Le politiche comunitarie del Governo italiano:

una svolta pericolosa

Magistratura democratica è da tempo convinta che il processo costituzionale europeo in corso sia un passaggio cruciale per l’avvenire della democrazia.

Al termine della complessa procedura iniziata col Consiglio europeo di Laeken, deve essere adottato un modello di costituzione federale, che incorpori senza riserve la Carta dei diritti fondamentali, che rafforzi in modo decisivo il ruolo del Parlamento europeo nel procedimento legislativo secondo regole unitarie, e che realizzi nel contempo autentiche politiche sociali comuni, e ridimensionando gli egoismi nazionali.

In caso contrario, si avrebbe la conferma della prevalenza, in Europa, dei soli meccanismi di integrazione economica e di unificazione dei mercati, senza il valore aggiunto di una maggior tutela dei diritti sociali e di libertà dei cittadini che deve costituire il principale fattore di superamento dell’attuale deficit democratico delle istituzioni comunitarie.

La linea politica seguita, da sempre e sotto ogni maggioranza, dal Governo e dal Parlamento italiani è stata quella del favore verso una prospettiva europea federale, che riconosca e garantisca i diritti fondamentali secondo le sempre attuali indicazioni che ci vengono dagli artt. 2 e 3 della nostra Costituzione.

L’attuale maggioranza si pone in radicale discontinuità con quella politica. Gli emendamenti al progetto dei primi sedici articoli della futura Costituzione europea, presentati dal rappresentante del Governo italiano in seno alla Convenzione, on. Fini, mostrano infatti il prevalere di una concezione mercantilistica e chiusa di un’Europa di “popoli” anziché di “cittadini” eguali e solidali.

Con pochi tratti di penna, senza fornire alcuna motivazione e senza aprire preventivamente l’indispensabile dibattito in Parlamento e nel Paese, il Governo italiano incredibilmente propone di cancellare dalla Costituzione europea qualsiasi riferimento al modello federale, alla pace, alla tolleranza, alla giustizia ed alla solidarietà, mentre la parità tra donne e uomini verrebbe trasformata in un più generico perseguimento delle “pari opportunità”.

Ed inoltre si vorrebbe che l’esercizio dei diritti fondamentali riconosciuti dalla Carta proclamata a Nizza sia subordinato alla loro “compatibilità con l’ordinamento giuridico di ciascuno Stato”, con una clausola di limitazione che neppure il Governo di Londra, tradizionalmente diffidente verso qualsiasi codificazione dei diritti costituzionali, aveva mai proposto durante i lavori della Convenzione e che porterebbe ad un sostanziale svuotamento del loro contenuto precettivo, affidandoli ai mutevoli umori delle singole maggioranze politiche nazionali. Ciò che ne svuoterebbe alla radice la stessa natura “fondamentale”.

A ciò si aggiunga la proposta (questa volta preannunciata) di sostituire nel testo dell’art. 2, in luogo del riferimento ad una “società pacifica che pratica la tolleranza, la giustizia e la solidarietà”, il riconoscimento delle “comuni radici giudaico- cristiane come valori fondanti il patrimonio” dell’Unione. Una clausola che appare fuori luogo perché “i valori e i principi che vengono indicati in una Costituzione devono ispirare obbligatoriamente l'azione delle istituzioni pubbliche e, dunque, se vi fossero richiami alle tradizioni religiose, le istituzioni non sarebbero laiche, in grado di garantire l'eguale rispetto di tutte le convinzioni “, come ha esattamente sottolineato, nel dibattito in Convenzione, l’on. Elena Paciotti.

Se venisse adottato il modello costituzionale proposto dal nostro Governo, saremmo di fronte ad un vistoso arretramento dello stesso diritto comunitario, della cui prevalenza sui diritti nazionali sarebbe lecito dubitare, nonché dei diritti e delle libertà già oggi pienamente riconosciuti sulla base dell’art. 6 TUE, della consolidata giurisprudenza della Corte di Giustizia e del Tribunale di primo grado, delle tradizioni costituzionali comuni che costituiscono l’acquis comunitario.

Che le proposte del Governo italiano nella Convenzione non siano il frutto di una estemporanea iniziativa del suo rappresentante, ma la precisa indicazione di una linea meditata (ancorché non esplicitata pubblicamente), è dimostrato da ciò che è avvenuto nel corso dell’ultima riunione del Consiglio dell’Unione europea per la Giustizia e gli affari interni.

Il Ministro Castelli, che già aveva mostrato la sua preconcetta ostilità verso qualsiasi forma di cooperazione penale internazionale, opponendosi con argomenti inconsistenti all’adozione della Decisione-quadro sul mandato di arresto europeo, si è ora frapposto, unico fra i quindici Ministri degli Stati membri, all’adozione di una Decisione- quadro sulla repressione del razzismo e della xenofobia, sulla base di una proposta della Commissione che è certamente criticabile (come tutto ciò che appartiene al mondo del diritto e della legislazione), ma che certamente persegue la fondamentale finalità, imposta dall'art. 29 del TUE vigente, di combattere fenomeni gravi e ricorrenti, che minano alla base le stesse radici democratiche e liberali dell'Unione.

E’ probabile che sia stato l’incipit della stessa motivazione della proposta (“Le società europee sono multiculturali e multietniche, e la loro diversità è un fattore positivo e di arricchimento. Purtroppo, i comportamenti razzisti e xenofobi persistono nel mondo intero. Quanto avviene nelle varie regioni d’Europa dimostra il perdurare degli atteggiamenti razzisti e xenofobi”) a mettere sull'avviso il rappresentante italiano, facendogli assumere un atteggiamento pregiudizialmente ostile che fa apparire giustificate le diffidenze che circondano da tempo l’azione del nostro Governo in seno all’Unione.

L’argomento usato per giustificare l’opposizione all’atto comunitario, fondato su una pretesa difesa della libertà di opinione, appare tanto pretestuoso ed inconsistente quanto quelli a suo tempo opposti all’adozione del mandato di arresto europeo. La proposta in esame, infatti, in linea con la già vigente Azione comune del 15 luglio 1996 relativa agli interventi di contrasto del razzismo e della xenofobia, mira alla adozione di legislazioni fra loro compatibili in tutti gli Stati membri, al fine della repressione delle aggressioni motivate da fini razzisti; altro che “opinioni”.

Le memorie dell’immane tragedia di una guerra mondiale scatenata dai teorici del razzismo, le leggi razziali italiane del ’38, l’esistenza di specifiche Convenzioni internazionali contro il genocidio e la sua apologia e contro il razzismo, nulla hanno potuto contro il veto del nostro Governo, scatenato contro non meglio precisati “nazisti rossi” che pullulerebbero in Europa.

Ciò che sta facendo questo Governo nelle istituzioni comunitarie appare estremamente grave; senza un reale dibattito, i suoi rappresentanti, alla vigilia della presidenza italiana del Consiglio europeo e nella fase cruciale del processo costituente e dell’allargamento dell’Unione, stanno invertendo di 180 gradi la nostra tradizionale politica comunitaria.

Oscure ombre si addenserebbero sul futuro dell’Europa se dovessero prevalere simili idee- guida.

Crediamo che i giuristi non possano e non debbano tacere.

Claudio Castelli, Livio Pepino

marzo 2003

 

 

 

 

 

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