L'ordinanza delle Sezioni Unite sul legittimo sospetto
Pubblichiamo la seconda parte dell'ordinanza, con la quale le Sezioni Unite della Corte di Cassazione, lo scorso 28 gennaio, hanno respinto la richiesta di Silvio Berlusconi e Cesare Previti di trasferire da Milano a Brescia i processi del filone cosiddetto "toghe sporche" (Imi-Sir, SME, Lodo Mondadori).
MOTIVI DELLA DECISIONE
1 - Le richieste di rimessione sono infondate.
A - E' priva di fondamento l'eccezione - il cui esame è preliminare - sollevata, in udienza, da uno dei difensori di Berlusconi.
Secondo questo difensore, le sezioni unite, prima di accertare se sussista una grave situazione locale tale da pregiudicare la libertà di determinazione delle persone che partecipano al processo o tale da determinare motivi di legittimo sospetto, se vi siano, quindi, o non vi siano le condizioni richieste dalla legge per la rimessione dei processi, dovrebbero porsi il quesito se sia del tribunale di Milano la competenza a conoscere dei reati contestati agli imputati, cosa che quel difensore nega.
Ha senso chiedersi se ricorrano le condizioni per la rimessione - è questo il significato della eccezione - solo se risulti correttamente determinata la competenza per territorio del tribunale di Milano.
Ove se ne constatassero le condizioni, a ben poco servirebbe trasferire i processi in applicazione dell'art. 11 c.p.p., se, poi, accolta, in sede di impugnazione, l'eccezione di incompetenza per territorio, già ripetutamente proposta, i processi dovessero essere trasferiti al giudice ritenuto territorialmente competente.
L'eccezione non ha pregio.
Le sezioni unite, in questa sede, sono investite unicamente del problema, incidentale, della rimessione dei processi sul presupposto della non imparzialità del giudice dinanzi al quale oggi i processi vengono celebrati, giudice la cui competenza per territorio, allo stato, non può ritenersi illegittimamente determinata e la cui eventuale incompetenza può essere fatta valere con i mezzi propri del codice di rito, il quale, come è noto, nell'art. 21 prevede la possibilità di eccepirla, nell'art. 24 di riproporla in sede di appello, e, nell'art. 568, di denunciare la illegittimità della sentenza, sul punto, con il ricorso per cassazione.
D'altro canto, gli stessi richiedenti mostrano di essere consapevoli che la corte di cassazione, nel momento in cui prende in esame la richiesta di rimessione, non può interessarsi del problema della competenza per territorio come tale.
I richiedenti, infatti, hanno trattato, molto diffusamente, la questione, non come questione sulla competenza da risolvere in questa sede, ma unicamente come uno dei provvedimenti endoprocessuali dai quali dovrebbe desumersi la non imparzialità del giudice.
Come si vedrà meglio a suo tempo, i provvedimenti del giudice, la cui imparzialità viene posta in discussione, possono essere presi in considerazione, in sede di esame della richiesta di rimessione, e rilevare, ai soli fini della rimessione e non ad altri fini, ove si accerti che siano stati il riflesso di una grave situazione locale e che, per le loro caratteristiche oggettive, siano sintomatici della non imparzialità del giudice.
Si dimostrerà, però, che, nel caso in esame, la lamentata grave situazione locale non sussiste, donde l'impossibilità che i provvedimenti endoprocessuali, tra i quali quelli sulla competenza per territorio, siano, se errati, il riflesso di quella situazione e la conseguente impossibilità di prenderli in esame in questa sede anche se soltanto ai fini della rimessione.
B - Queste sezioni unite, prima di dimostrare la infondatezza delle ragioni addotte a sostegno delle richieste di rimessione dei processi, debbono soffermarsi sia sulla questione della applicabilità ai processi in corso della L. 7 novembre 2002, n. 248, che ha modificato gli artt. 45, 47, 48 e 49 del c.p.p., sia, qualora ritengano che la legge debba applicarsi ai processi in corso, sulla questione della legittimità costituzionale della norma che ne prevede l'applicabilità, sia, infine, sulla questione della legittimità costituzionale della legge nella parte in cui ha introdotto, tra i presupposti che legittimano la rimessione del processo, il legittimo sospetto.
I - La questione della immediata applicabilità della legge n. 248 del 2002 ai processi in corso, ivi compresi i processi, come quelli in esame, nei quali la richiesta di rimessione era stata già proposta quando la legge è entrata in vigore, deve essere risolta nel senso della immediata applicabilità.
a - Premesso che i lavori parlamentari dicono con chiarezza che l'intenzione espressa dalla maggioranza era nel senso di una applicazione immediata della nuova regolamentazione anche alle richieste di rimessione già proposte, queste sezioni unite condividono quell'indirizzo della dottrina secondo il quale l'affermazione iniziale, categorica, del comma 1 dell'art. 5 della legge - "la presente legge si applica anche ai processi in corso" - traduce fedelmente l' intenzione del legislatore.
Ed è appena il caso di ricordare che, come rileva la dottrina, "il criterio dettato dall'art. 12, primo comma, delle disposizioni sulla legge in generale - 'nell'applicare la legge non si può ad essa attribuire altro senso che quello fatto palese dal significato proprio delle parole secondo la connessione di esse, e dalla intenzione del legislatore' - è rigorosamente unitario, poiché il senso lessicale di una parola nel discorso non sta senza nesso con le altre, il quale nesso non può essere che la connessione logica, e tutto il discorso, infine, in quanto è il discorso di un uomo, non sta indipendentemente dall'intenzione di chi lo fa, poiché il senso delle parole in contrasto con l'intenzione tradirebbe, invece di esprimere, il valore normativo del fatto".
Grande è, quindi, come sottolinea altra voce della dottrina, "l'importanza dei lavori preparatori, che hanno un notevole valore esplicativo e offrono un solidissimo fondamento all'interpretazione quando il proposito manifestato dal legislatore in sede di lavori preparatori concordi con il testo della norma".
b - L'indirizzo, secondo il quale è, invece, da escludere la immediata applicabilità della legge ai processi in corso nei quali sia stata già proposta la richiesta di rimessione, pone l'accento sulla successiva proposizione del comma 1 dell'art. 4, nella quale si dispone: e le richieste di rimessione, che risultano già presentate alla data di entrata in vigore della legge, conservano efficacia.
Osserva quest'indirizzo che l'art. 5, in questa seconda proposizione, destina ai procedimenti di rimessione già instaurati una disciplina apposita in cui il richiamo alla conservazione degli effetti - espressione, si dice, che ricalca quelle utilizzate in altre analoghe occasioni per indicare il medesimo significato normativo (artt. 65, commi 1 e 2, disp. trans. c.p.p. 1930 e 16, commi 1 e 2, d.p.r. n. 666 del 1955) - specifica il principio tempus regit actum nel senso che la richiesta di rimessione conserva efficacia, conserva gli effetti, rispetto alla legge in vigore nel momento in cui la richiesta è stata proposta.
c - A questa interpretazione si è, però, obiettato - e la rilevata non equivocità della prima proposizione, corrispondente all'intenzione del legislatore, rende l'obiezione del tutto condivisibile - che "è difficile sostenere che la clausola aggiunga qualcosa a ciò che risulta dalla frase precedente, ma è altrettanto difficile pretendere che ne riduca gli effetti", ché "è del tutto ovvio che le richieste già presentate conservino efficacia essendosi ampliato l'ambito di rimessione", con la conseguenza che, "se la legge si applica ai processi in corso, significa che, dal momento della sua entrata in vigore, ogni atto è regolato dalle nuove disposizioni, salvo espresse deroghe e in questa chiave è ragionevole concludere che la valutazione delle richieste già presentate debba svolgersi secondo i canoni vigenti al tempo della valutazione".
Si è anche osservato, nella stessa direzione, che, nella seconda proposizione del comma 1 dell'art. 5, "la 'e' che la precede è chiaramente di congiunzione con la frase precedente: 'la presente legge si applica anche ai processi in corso e le richieste di rimessione già presentate conservano efficacia'", sicché quella seconda proposizione vuol dire, semplicemente, che "non occorre presentare una nuova richiesta perché quella già presentata sarà valutata alla stregua della nuova legge".
E' da aggiungere, per completezza, che, recentemente, in dottrina si è anche sostenuto che, non solo non va sottovalutato "il significato logico-sintattico del collegamento operato attraverso la congiunzione 'e', ma è da cogliere un possibile significato autonomo del disposto - il quale, pertanto, non è pleonastico - riferito alle richieste presentate prima dell'8 novembre 2002: per vero, l'integrale operatività della novella potrebbe determinare la perdita di efficacia per inammissibilità di richieste che, sulla scorta della precedente disciplina, non correvano tale rischio".
"Il che - si aggiunge - può ben realizzarsi in conseguenza delle nuove ipotesi di inammissibilità disegnate nell'art. 49 c.p.p., che attengono alla riproposizione della richiesta non basata su elementi nuovi da parte di un altro imputato dello stesso procedimento o di un procedimento che da esso sia stato separato".
"Quindi, potrà anche concludersi nel senso del riconoscimento della operatività del tempus regit actum, ma in una prospettiva interna all'altrimenti piena applicabilità delle nuove previsioni relative ai presupposti della rimessione del processo".
II - La distinta questione della legittimità costituzionale della legge, nella parte in cui dispone la immediata applicabilità delle norme in essa contenute ai processi in corso, ivi compresi i processi nei quali la richiesta di rimessione sia stata già proposta, deve essere risolta affermando la legittimità costituzionale della legge alla luce della tradizionale giurisprudenza della Corte costituzionale.
a - Secondo la dottrina maggioritaria, la disposizione transitoria in esame determina forti dubbi di costituzionalità con riferimento alla nuova ipotesi di rimessione - legittimo sospetto -, in relazione al principio di cui all'art. 25, comma 1, della Costituzione.
Poiché la garanzia di precostituzione del giudice rispetto al fatto reato implica una deroga al normale criterio di immediata operatività delle norme processuali, in quanto viene privilegiato "il criterio per cui l'individuazione del giudice naturale precostituito per legge deve essere realizzata sulla base delle norme processuali di competenza vigenti all'epoca del fatto", dall'art. 25 comma 1, Costituzione deriva - si sostiene - "un chiaro divieto di retroattività delle norme incidenti sulla competenza giurisdizionale, che si traduce nella loro inapplicabilità nei processi per reati commessi prima della loro entrata in vigore".
Ne consegue, dal momento che le disposizioni sui presupposti della rimessione concorrono, nell'ambito del sistema delle competenze, ad individuare il giudice competente in quei determinati processi in cui sia stata presentata la richiesta di trasferimento del processo ex art. 45 c.p.p., che "eventuali norme modificatrici dei suddetti presupposti - per esempio nel senso della loro estensione attraverso la restaurazione della formula del legittimo sospetto - non possano valere se non nei processi relativi a reati commessi dopo l'entrata in vigore della legge".
b - Ma, a differenza di questa dottrina, maggioritaria, che intende l'art. 25, comma 1, Costituzione in senso rigoroso, pretendendo, appunto, che l'individuazione del giudice avvenga sempre in base alla normativa vigente al momento del fatto delittuoso e, comunque, escludendo che lo ius superveniens possa incidere sui processi riguardanti fatti commessi anteriormente all'entrata in vigore della legge, la giurisprudenza costituzionale offre una diversa interpretazione della norma.
Secondo il giudice delle leggi, "il precetto costituzionale enunciato nel primo comma dell'art. 25 tutela una esigenza fondamentale unitaria: quella, cioè, che la competenza degli organi giudiziari, al fine di una rigorosa garanzia della loro imparzialità, venga sottratta ad ogni possibilità di arbitrio".
"La illegittima sottrazione della regiudicanda al giudice naturale precostituito si verifica, perciò, tutte le volte in cui il giudice venga designato a posteriori in relazione ad una determinata controversia o direttamente dal legislatore in via di eccezione singolare alle regole generali".
Il principio costituzionale viene, invece, rispettato quando la legge, sia pure con effetto anche sui processi in corso, "modifica in generale i presupposti o i criteri in base ai quali deve essere individuato il giudice competente: in questo caso, infatti, lo spostamento della competenza dall'uno all'altro ufficio giudiziario non avviene in conseguenza di una deroga alla disciplina generale, che sia adottata in vista di una determinata controversia, ma per effetto di un nuovo ordinamento che il legislatore, nell'esercizio del suo insindacabile potere di merito, sostituisce a quello vigente" (Corte cost., sentenza n. 56 del 1967).
In un'altra pronuncia la Corte ha ribadito che l'intervento legislativo incidente sulle competenze già radicate deve ritenersi legittimo quando, "oltre ad operare in termini generali e ad avere per oggetto fatti penali di una notevole rilevanza sociale, si collega, anche, ad una insopprimibile esigenza di giustizia, che l'attuale ordinamento giuridico stenta a soddisfare, quale quella della rapidità del giudizio, per cui il suo operare retroattivamente non lede nella sostanza quelle garanzie che stanno alla base dell'art. 25, comma 1, della Costituzione (Corte cost., sentenza n. 72 del 1976).
c - L'orientamento della giurisprudenza costituzionale è, dunque, nel senso di ritenere che il principio di precostituzione è comunque osservato quando l'organo decidente è istituito dalla legge sulla base di criteri generali e non fissati in vista di singole controversie (Corte cost., sentenza n. 207 del 1987; sentenza n. 185 del 1981).
"La domanda da porsi, allora, è - rileva altra voce della dottrina - se la legge Cirami ha modificato i presupposti della rimessione e, quindi, il sistema delle competenze, in vista di singoli processi", aggiungendo che, "in un certo senso, lo dicono anche i suoi sostenitori che la legge nasce dalle 'anomalie' dei processi milanesi e nella stessa relazione al ddl 'Cirami' il collegamento è chiaro, seppure mediato dall'esigenza di colmare un vuoto di garanzie denunciato dalla Corte di cassazione".
Si chiede, però, questa dottrina - e l'interrogativo non può non essere condiviso - "se è sufficiente tutto ciò a provare che il sistema delle competenze sia stato modificato 'in vista di singoli processi', pur essendo la legge operativa per tutti gli imputati'", e conclude con l'affermazione che, "seppure investita della questione, è difficile che la Corte censuri per simili ragioni il regime transitorio", ché "il divario tra verità storica e verità formale resterà abissale".
d - Si può aggiungere a tutto ciò, come si sottolinea da altri, che, se l'istituto della rimessione deroga, fa eccezione, al principio del giudice naturale precostituito per legge, l'eccezione è giustificata dall'esservi un pericolo concreto che il giudice, data la grave situazione locale, possa non essere imparziale.
Imparzialità che, come si è posto in evidenza in dottrina, "pur nel silenzio del legislatore costituente, era considerata come un principio informatore del sistema, preesistente all'esercizio del potere costituente, ovvero come una qualifica 'connaturata' alla qualità di giudice, imparzialità oggi esplicitamente affermata come principio dalla L. costituzionale 23 novembre 1999, n. 2, la quale ha inserito i principi del giusto processo nell'art. 111 della Costituzione affermando, tra l'altro, che ogni processo deve svolgersi davanti ad un giudice terzo e imparziale.
Ci si può chiedere, allora, se possa ritenersi violato l'art. 25, comma 1, della Costituzione, nel suo aspetto di 'norma sostanziale' - "destinata a fissare un indirizzo per l'attività legislativa subordinata, ed in particolare volta a stabilire che la competenza giurisdizionale debba essere definita prima del verificarsi del fatto da giudicare" - e nel suo aspetto di norma 'formale' - "volta ad istituire una riserva assoluta di legge in materia di competenza giurisdizionale" - nel momento in cui il legislatore intervenga, come ha fatto con la legge in esame, ampliando, dopo la nascita della regiudicanda e dopo la richiesta di rimessione, in via generale e non con riferimento ad un determina fattispecie, le ipotesi di rimessione, le ipotesi in cui il giudice può essere ritenuto o sospettato di non essere quel giudice imparziale dinanzi al quale deve svolgersi il (giusto) processo ai sensi dell'art. 111 della Costituzione, quel giudice che, solo, può prendere in esame la regiudicanda.
III - La questione della legittimità costituzionale dell'art. 45 c.p.p., come modificato dall'art. 1 della L. n. 248 del 2002, deve essere risolta, anch'essa, tenendo conto della giurisprudenza della Corte costituzionale.
a - Come è noto, la corte di cassazione, con l'ordinanza del 27 novembre 1962, Casoli, nel ritenere non manifestamente infondata la questione della legittimità costituzionale dell'art. 55 c.p.p., ha coinvolto, nella sua denuncia, "l'intero istituto, considerato nel suo complesso",; è, altresì, noto che la Corte costituzionale, con la sentenza interpretativa di rigetto del 27 aprile 1963, n. 50, ha dichiarato non fondata la questione, facendo le seguenti affermazioni.
"Nella rimessione autorizzata dall'art. 55 c.p.p., lo spostamento della competenza per territorio dipende necessariamente ed esclusivamente dall'accertamento obiettivo dei fatti ipotizzati dalla legge, in seguito e a conclusione di uno speciale procedimento; ed è altresì da escludere che, anche se nel testo legislativo è usata la parola 'può', la facoltà attribuita al supremo organo della giurisdizione ordinaria importi una discrezionalità nell'emanare il provvedimento di rimessione, dovendosi invece ritenere che tale provvedimento costituisce l'espressione del potere-dovere del giudice di decidere, come di regola si verifica, nel caso concreto in base all'accertamento e alla valutazione dei fatti in relazione alle ipotesi, in astratto, prevedute dalla legge."
"Nell'interpretazione dell'art. 55 assumono particolare rilievo le gravi esigenze che, con l'istituto della rimessione, regolato da tale articolo, si intendono soddisfare, esigenze, le quali, al pari del divieto di distogliere alcuno dal giudice naturale precostituito per legge, rispondono anch'esse a principi costituzionalmente rilevanti, cioè l'indipendenza e, quindi, l'imparzialità dell'organo giudicante e la tutela del diritto di difesa".
"La disposizione impugnata tende ad evitare che l'insorgere di particolari situazioni, o altri fattori esterni, possano, in qualsiasi modo, interferire nel processo penale, incidendo sulla obiettività del giudizio e sulla retta applicazione della legge, che si ricollegano ad una suprema garanzia di giustizia, donde non soltanto l'opportunità, ma la necessità che, del processo, conosca un giudice diverso d quello originariamente stabilito dalla legge".
"Qualora, invero, nella sede in cui si svolge il processo e in relazione al medesimo si presentino situazioni come quelle previste dall'art. 55; qualora, cioè, - in relazione all'ordine pubblico - si manifestino o siano sicuramente prevedibili gravi turbamenti della pubblica tranquillità e della pacifica convivenza dei cittadini, con pericolo anche per la sicurezza delle persone; ovvero quando - riguardo al legittimo sospetto - con mezzi diritti o indiretti, non esclusa la violenza nei riguardi delle persone che partecipano al processo, si tenta di influire sullo svolgimento o sulla definizione di esso, appare chiara non soltanto l'opportunità, ma la necessità che del processo conosca un giudice diverso da quello originariamente stabilito per legge, la designazione del quale, per necessità pratiche, è demandata all'organo giudiziario".
Questa sentenza ha affermato, dunque, sia che il denunciato potere discrezionale della corte di cassazione nel decidere lo spostamento della competenza non sussiste, perché la traslatio iudicii deve dipendere necessariamente ed esclusivamente da un accertamento obiettivo dei fatti ipotizzati dalla legge, sia che i presupposti per la rimessione - gravi motivi di ordine pubblico e legittimo sospetto - non possono essere considerati "labili", se si interpretano restrittivamente, se si ritengono sussistenti "qualora si manifestino perturbamenti della pubblica tranquillità e della pacifica convivenza dei cittadini, con pericolo anche per la sicurezza delle persone", ovvero - relativamente al legittimo sospetto - quando "con mezzi diretti o indiretti, non esclusa la violenza nei riguardi delle persone che partecipano al processo", si tenti di "influire sullo svolgimento o sulla definizione dello stesso".
b - Potrebbe porsi il quesito se il testo dell'art. 45, come licenziato dal Senato - la rimessione si sarebbe potuta chiedere, secondo quel testo, "quando la sicurezza e l'incolumità pubblica fossero pregiudicate da gravi situazioni locali tali da turbare lo svolgimento del processo e non altrimenti eliminabili, ovvero per legittimo sospetto" - sarebbe passato indenne ad un eventuale vaglio di legittimità costituzionale.
Ma, non pare si presti a rilievi, sul piano della legittimità costituzionale, il testo definitivamente approvato, nel quale si prevede espressamente che i motivi di legittimo sospetto sussistono se determinati da una grave situazione locale, espressione, come meglio si vedrà in seguito, che, avendo il significato di una situazione locale non interpretabile se non in termini di pericolo concreto della non imparzialità del giudice, esclude, con certezza, che lo spostamento della competenza per territorio possa dipendere dalla discrezionalità del giudice e, quindi, che venga violato il principio dell'art. 25, primo comma, Costit. del giudice naturale precostituito per legge.
C - Ciò detto, prima di esaminare la fattispecie debbono essere ribaditi, con determinate puntualizzazioni, i principi che questa suprema corte ha affermato:
- sulla natura eccezionale dell'istituto della rimessione,
- sulla interpretazione restrittiva delle relative norme,
- sulla interpretazione delle espressioni pregiudizio della libertà di determinazione delle persone che partecipano al processo, legittimo sospetto e
- sulla interpretazione della espressione grave situazione locale.
I - L'istituto della rimessione è considerato eccezionale già in una circolare del 2 ottobre 1939 dell'allora Ministro della Giustizia, che ha anticipato non poco di quel che si sarebbe detto successivamente.
a - "La rimessione dei procedimenti, che costituisce una deroga alla competenza territoriale, - così questo documento - è un istituto di eccezione che dovrebbe avere scarsa e ben meditata applicazione".
"E' vero che i motivi sui quali essa può essere fondata - ordine pubblico o legittimo sospetto - sono indicati dalla legge in modo generico ed indeterminato, ma ciò non può giustificare, nell'attuazione pratica, una valutazione elastica e superficiale dei motivi stessi".
"Occorre, invece, un accertamento rigoroso della sussistenza di condizioni obiettive ed ambientali tali da giustificare fondati dubbi sulla possibilità dello svolgimento tranquillo ed imparziale di un determinato procedimento ed occorre, altresì, che la valutazione di quelle condizioni sia fatta con estrema ed oculata prudenza".
"L'abuso dell'istituto determina deplorevoli e ingiustificabili sospetti sulla indipendenza e la imparzialità della magistratura ed autorizza il dubbio, altrettanto deplorevole ed ingiustificato, che si possa alterare la giustizia attraverso la sostituzione del giudice".
b - La dottrina, già nell'abrogato codice, è stata sempre unanime nel definire eccezionale l'istituto e "il carattere eccezionale, e, in alcune ordinanze, assolutamente eccezionale dello stesso è stato ribadito - in stretto collegamento con l'affermazione della natura derogatoria del medesimo rispetto al principio costituzionale del giudice naturale precostituito per legge - con tale costanza dalla giurisprudenza, come ha rilevato la dottrina, da apparire quasi una clausola di stile" (Cass., 13 ottobre 1997, Manganaro; 10 marzo 1997, Cirino Pomicino; 26 ottobre 1996, Berlioz; 30 gennaio 1996, Tetamo; 25 ottobre 1995, Gullotti; 12 ottobre 1995, Massimano; 20 settembre 1995, Craxi; 5 luglio 1995, Fiandrotti; 7 febbraio 1995, Sgarbi; 16 novembre 1993, Annaconda; 23 gennaio 1992, Di Muro).
c - L'eccezionalità dell'istituto si spiega, anzitutto, considerando che la rimessione costituisce eccezione al principio del giudice naturale precostituito per legge, precostituzione che, come osserva la dottrina, non è soltanto in funzione della prevedibilità del giudice, ma anche della non manipolabilità a posteriori della competenza.
L'eccezionalità si coglie, poi, tenendo conto che, in tanto con la rimessione si deroga alla competenza territoriale e, quindi, al principio del giudice naturale precostituito per legge, in quanto vi siano motivi - gravi situazioni locali - per sospettare il giudice di non essere imparziale e la non imparzialità o il sospetto della non imparzialità del giudice non può che essere eccezionale, come la stessa circolare, prima citata, del Ministro della Giustizia del 1939, mostrava di ritenere.
L'eccezionalità, infine, si giustifica se si ha anche ben presente che, come hanno sempre affermato, anche nella vigenza del codice abrogato, la giurisprudenza e la dottrina, il giudice non imparziale o sospetto di non esserlo non è il giudice o non è soltanto il giudice del processo, ma è, per definizione, l'organo giudicante nel suo complesso (Cass., 23 febbraio 1998, Berlusconi, secondo la quale la grave situazione locale deve essere tale da riverberarsi sull'organo giudicante indipendentemente dalla sua composizione; 13 ottobre 1997, Manganaro, secondo la quale "i fattori inquinanti l'imparzialità debbono riverberarsi sull'intero ufficio giudiziario astrattamente considerato, non su singoli magistrati o su un singolo organo in cui si articoli"; 10 marzo 1997, Cirino Pomicino, secondo cui rileva il nesso tra l'ambiente giudiziario e quello creatosi in relazione ad una determinata vicenda giudiziaria; 25 febbraio 1993, Della Corte, che parla dell'ufficio nel suo complesso; 14 aprile 1993, Palau, secondo cui "il legittimo sospetto che importa la rimessione del processo deve riferirsi all'ufficio giudiziario nel suo complesso e non ad un singolo magistrato o ad un singolo organo collegiale dell'ufficio) ; 18 aprile 1990, Di Palma, secondo cui "l'istituto della rimessione tende a garantire la serenità dell'organo nel suo complesso").
Questa eccezionalità, è evidente, non può che essere l'effetto di una causa eccezionale, di una grave - eccezionale - situazione locale.
II - Il carattere eccezionale dell'istituto ha come indefettibile corollario, secondo le unanimi affermazioni della giurisprudenza e della dottrina, il principio della interpretazione restrittiva delle norme che lo disciplinano e ciò proprio perché queste norme "incidono pesantemente sulle regole attributive della competenza inerenti alla precostituzione del giudice naturale". (cfr.: Per la giurisprudenza formatasi nella vigenza del codice abrogato: Cass., 20 giugno 1985, Pisanelli; 28 marzo 1984, Mastrovito; 29 ottobre 1983, Russo; 1 marzo 1983, Gullace; 22 aprile 1980, Scoccianti; 20 ottobre 1976, Izzo; 20 maggio 1975, Bozano e per la giurisprudenza formatasi dopo l'entrata in vigore del codice vigente: Cass., 14 ottobre 1993, Palau; 6 luglio 1993, Baietta; 18 aprile 1990, Di Palma).
b - Del resto, già nella circolare del 1939 del Ministro della Giustizia si affermava, sostanzialmente, lo stesso principio quando si osservava che occorreva "un accertamento rigoroso della sussistenza di condizioni obiettive ed ambientali tali da giustificare fondati dubbi sulla possibilità dello svolgimento tranquillo ed imparziale di un determinato procedimento" e occorreva, altresì, che la valutazione di quelle condizioni venisse fatta con estrema ed oculata prudenza".
c - Quanto alla dottrina, è stato recentemente affermato che "non si può ignorare che, sebbene la giurisprudenza abbia correttamente fatto leva sul dato normativo per ricavarne una lettura 'restrittiva', sia il riferimento oggettivo alle situazioni locali, sia la stessa loro qualificazione come 'gravi' sono dati suscettibili di interpretazioni e valutazioni cui non resta estranea la diversità di sensibilità e di concezione personale".
"Per conseguenza, solo una interpretazione che tenga conto della funzione dell'istituto, ma, soprattutto, che sia costantemente memore del carattere 'eccezionale' rivestito dal medesimo all'interno dell'ordinamento - in funzione di precisi limiti derivanti dal principio costituzionale di precostituzione del giudice - consente di propiziare un uso della rimessione che non appaia abnormemente dilatato".
"L'"evidente portata derogatoria assunta dall'istituto della rimessione di fronte al principio enunciato nell'art. 25, comma 1, Costit. non può che postulare, infatti, un approccio interpretativo rigoroso, che impone di considerare tassative - e, dunque, soggette ad un criterio di stretta interpretazione - le fattispecie legittimanti il trasferimento del processo".
III - Quanto al significato delle espressioni "pregiudizio della libertà di determinazione delle persone che partecipano al processo" e "legittimo sospetto" è sufficiente richiamare alcune delle affermazioni che queste sezioni unite hanno fatto, al riguardo, nella ordinanza del 29 maggio 2002, con la quale, come è noto, hanno sollevato la questione di legittimità costituzionale dell'art. 45 c.p.p., in riferimento all'art. 2, n. 17 legge delega 16 febbraio 1987, n. 81, nella parte in cui non prevedeva tra le cause di rimessione il "legittimo sospetto", ordinanza con la quale - è opportuno sottolinearlo - le sezioni unite hanno posto un problema non inesistente che il legislatore ha superato attraverso la revisione degli articoli che il codice di rito riserva alla rimessione del processo e l'introduzione, tra i presupposti della rimessione, del legittimo sospetto, ancorato, come gli altri presupposti, ad una grave situazione locale.
a - "Netta - si è osservato in questa ordinanza - è la differenza tra "libertà di determinazione delle persone che partecipano al processo" e legittimo sospetto.
"Il pregiudizio della 'libertà di determinazione
delle persone che partecipano al processo', è, invero, secondo la giurisprudenza e la dottrina, il condizionamento che queste persone subiscono, in quanto soggetti passivi di una vera e propria coartazione fisica o psichica che, incidendo sulla loro libertà morale, impone una determinata scelta, quella della parzialità o della non serenità, precludendone altre di segno contrario.
"Il 'legittimo sospetto' è, invece, il ragionevole dubbio che la gravità della situazione locale possa portare il giudice a non essere, comunque, imparziale o sereno", dovendo intendersi per imparzialità la neutralità, la indifferenza, del giudice rispetto al risultato, rispetto all'esito del processo.
E che - è doveroso aggiungerlo - imparzialità del giudice voglia dire neutralità del giudice rispetto al risultato è stato affermato dalla Corte cost. nella sentenza 1 ottobre 1997, n. 306, nella quale la Corte ha riconosciuto come, "nell'ambito del principio del giusto processo, derivante dalle disposizioni costituzionali che attengono alla disciplina della giurisdizione, posto centrale deve attribuirsi alla imparzialità-neutralità del giudice in carenza della quale tutte le altre regole e garanzie processuali perderebbero di concreto significato.
b - La formula "legittimo sospetto" - si è anche detto in quella ordinanza - è, quindi, più ampia, più comprensiva della formula "libertà di determinazione delle persone che partecipano al processo", ponendo essa l'accento sull'effetto, cioè sul pericolo concreto che possano essere pregiudicate la imparzialità o la serenità, senza esigere che quell'effetto sia conseguenza della impossibilità per il giudice di essere imparziale per essere stato coartato fisicamente o psichicamente.
c - Può sintetizzarsi tutto ciò, quanto al legittimo sospetto, affermando che, secondo queste sezioni unite, "i motivi di legittimo sospetto sono configurabili "quando si è in presenza di una grave ed oggettiva situazione locale, idonea a giustificare la rappresentazione di un concreto pericolo di non imparzialità del giudice, inteso questo come l'ufficio giudiziario della sede in cui si svolge il processo di merito".
IV - Il tema della grave situazione locale è il tema cruciale dell'istituto della rimessione del processo perché solo attribuendo a questa espressione il significato che le spetta, solo riservandole, nella logica della eccezionalità dell'istituto, la interpretazione restrittiva, che, peraltro, la giurisprudenza di questa suprema corte le ha sempre riservato, si riesce a distinguere tra ciò che veramente incide negativamente e concretamente sul bene costituzionale della imparzialità del giudice - e, quindi, tra ciò che giustifica la traslatio iudicii - e ciò che, invece, non ha quella incidenza e, conseguentemente, non può determinare il trasferimento del processo.
La giurisprudenza e la dottrina assolutamente prevalente non hanno alcun dubbio sul valore che deve essere attribuito alla espressione grave situazione locale.
Nessun dubbio per entrambe, anzitutto, che l'aggettivo territoriale alluda ad una situazione locale, empiricamente verificabile, estranea alla dialettica processuale.
I - Ricordato che già per il Ministro della Giustizia del 1939 occorreva, per la rimessione, "un accertamento rigoroso della sussistenza delle condizioni obiettive e ambientali" e che già la giurisprudenza formatasi nella vigenza del codice abrogato, specialmente quella successiva alla sentenza n. 50 del 1963 della Corte Costituzionale, richiedeva che sussistessero fattori, turbative di carattere locale/territoriale, la giurisprudenza, dopo l'entrata in vigore del codice vigente, ha ribadito il principio, delimitando, peraltro, ulteriormente gli spazi nei quali l'interprete deve muoversi per accertare se la lamentata grave situazione locale abbia le caratteristiche che la legge, nel momento in cui disciplina l'istituto della rimessione come istituto di carattere eccezionale, vuole che abbia ai fini della traslatio iudicii.
a - Per cass., 23 febbraio 1998, Berlusconi, "le situazioni locali, secondo una consolidata tradizione interpretativa, ampiamente ripresa dalla giurisprudenza di questa suprema corte riguardo al codice di rito vigente, possono trarre origine soltanto da obiettive e provate circostanze ambientali, estranee alla dialettica processuale".
Per cass., 13 ottobre 1997, Manganaro: "la situazione locale legittimante la rimessione deve riguardare fenomeni esterni alla dialettica processuale e all'ambito dei rapporti intrinseci al dinamico sviluppo del processo".
Per cass., 9 novembre 1995, Cerciello: "l'art. 45 del nuovo codice ha stabilito che le situazioni legittimanti la rimessione debbono essere di carattere locale, condizione con la quale si è inteso affermare che le causali della traslatio iudicii debbono riguardare fenomeni esterni alla dialettica processuale".
Per cass., 12 ottobre 1995, Massimano: "le situazioni legittimanti la sottrazione del processo al giudice del locus commissi delicti debbono essere di carattere locale cioè debbono trarre origine da obiettive e provate circostanze ambientali, estranee alla dialettica processuale.
Per cass., 14 ottobre 1993, Palau: deve trattarsi di "concrete e dimostrate situazioni ambientali.
Per cass., 8 aprile 1992, Casaglia: "le situazioni che legittimano la rimessione devono essere di carattere locale e devono riguardare l'ambiente che circonda il processo.
Come può notarsi, la giurisprudenza ha dedotto che la situazione locale deve essere esterna alla dialettica processuale dal dover essere, la stessa, una situazione locale/territoriale, affermazione, quest'ultima, dalla quale la giurisprudenza ha tratto, come conseguenza, anche il principio della irrilevanza, ai fini della rimessione, dei provvedimenti endoprocessuali.
b - La dottrina si muove nella stessa direzione.
E' assolutamente minoritaria la dottrina che esclude che l'espressione situazione locale si riferisca solo a situazioni esterne alla dialettica processuale, mentre la dottrina maggioritaria, dopo avere posto in rilievo che, se dovesse escludersi che la situazione locale deve essere una situazione esterna al processo, si correrebbe il rischio di ridurre il fattore ambientale ad un inutile orpello, incrementando il numero delle rimessione inutiliter datae, afferma che "il termine locale va, invece, inteso nel senso che occorre un effettivo radicamento territoriale della situazione che rileva quale causa di rimessione".
"La situazione locale, pertanto, altro non indica se non il contesto ambientale extragiudiziario; la causa pregiudicante nasce e si cristallizza all'esterno del processo e solo successivamente riverbera i suoi effetti all'interno della peculiare vicenda giudiziaria, sicché non è la vicenda processuale a contagiare, proiettandosi all'esterno, il contesto ambientale generale, ma esattamente l'opposto".
Aggiunge questa voce della dottrina che "una lettura non preconcetta dell'art. 45 c.p.p. permette, d'altro canto, di cogliere una duplice esigenza".
"La prima, di natura logica, individua nell'alterazione dell'equilibrio funzionale del processo l'effetto endogeno ricollegabile ad un fattore perturbante esogeno radicato nel territorio e a ciò allude la dottrina quando parla di 'nesso ambientale' tra gli accertati pericoli locali e gli effetti negativi prodotti sul giudice o sulle parti e sulla stessa linea esegetica si colloca la giurisprudenza prevalente, sottolineando la necessità di un negativo rapporto della vicenda giudiziaria con l'ambiente inteso come luogo in cui il processo si svolge".
"La seconda, prettamente metodologica, impone un vaglio preliminare in ordine alla peculiare situazione territoriale e, solo in un secondo momento, l'ulteriore verifica circa l'effettiva incidenza del fenomeno esterno sulla dinamica processuale; la verifica territoriale, naturalmente, va condotta in maniera libera da qualsiasi pregiudizio - nel senso etimologico del termine - derivante dalla peculiare vicenda giudiziaria, diversamente si rischia di confondere l'effetto con la causa o, ancora peggio, di presumere l'esistenza del fattore esogeno esclusivamente sulla base dell'accertato effetto endogeno.
c - Ebbene, se la situazione locale altro non indica che "il contesto ambientale" extragiudiziario, se "la causa pregiudicante nasce e si cristallizza all'esterno del processo e solo successivamente riverbera i suoi effetti all'interno della peculiare vicenda giudiziaria", ciò sta a significare che la corte di cassazione deve accertare se sussiste la grave situazione locale/territoriale prescindendo dalla dialettica processuale, prescindendo da ciò che accade nel processo.
E' il territorio, nel quale, come esigono le norme sulla competenza per territorio, si radica quel determinato processo, che deve essere investito da una situazione di tale gravità da rendere il processo incompatibile con la permanenza in quel luogo; è il territorio, in altri termini, che impone che il processo, lì radicato, ne sia sradicato, sicché, se sul territorio, su ciò che sta intorno al processo, non v'è nulla che evochi una grave situazione, ciò che accade nel processo non può avere alcuna rilevanza.
Detto in altre parole, se la grave situazione locale/territoriale obiettivamente non sussiste, ciò che accade nel processo non può, ovviamente, essere riflesso di una inesistente grave situazione locale e, quindi, non può avere alcuna rilevanza ai fini della rimessione.
Al quesito, quindi, se "i provvedimenti e i comportamenti del giudice possano assumere rilevanza ai fini della rimessione del processo, deve rispondersi, secondo queste sezioni unite, che "i provvedimenti e i comportamenti del giudice possono assumere rilevanza ai fini della rimessione del processo a condizione che siano l'effetto di una grave situazione locale e che, per le loro caratteristiche oggettive, siano sicuramente sintomatici della non imparzialità del giudice.
Se la grave situazione locale sussiste non v'è dubbio, invero, che i provvedimenti e i comportamenti del giudice possano assumere rilevanza ai fini della rimessione.
Se il territorio è gravemente turbato - e deve esserlo ai fini di quel processo - è, infatti, pressoché impossibile che il turbamento non si rifletta nel processo; è veramente impossibile che quel grave turbamento non incida negativamente sulla imparzialità del giudice e, quindi, sui o su alcuni provvedimenti di quest'ultimo, determinandone caratteristiche sicuramente sintomatiche della parzialità.
I provvedimenti endoprocessuali, se, in presenza di una grave situazione locale, presentano queste caratteristiche negative, valgono, quindi, per un verso, da avallo, da conferma del giudizio, peraltro, autonomamente certo, dell'esistenza della grave situazione locale essendone l'effetto, e, per altro verso, possono contribuire a far capire se si versi in una situazione di pregiudizio della libertà di determinazione delle persone che partecipano al processo o in un situazione di pericolo concreto di non imparzialità del giudice.
E questo avallo, questa conferma, in un istituto eccezionale e di stretta interpretazione come quello in esame, eliminano ogni residuo, pur lontano, ma pur sempre ipotizzabile dubbio sulla gravità della situazione locale.
In questi termini va valorizzato quanto la dottrina pone in rilievo circa la circolarità tra ciò che avviene all'esterno e ciò che avviene all'interno del processo.
Se la grave situazione locale non esiste oggettivamente, a nulla vale indugiare sui provvedimenti endoprocessuali e ciò per la semplice ragione che, in assenza di un grave turbamento dell'ambiente esterno al processo, gli eventuali, discutibili, provvedimenti endoprocessuali possono ben spiegarsi o come semplice conseguenza di un'errata interpretazione della legge o di un non corretto esercizio del potere discrezionale o come provenienti da un giudice ricusabile; possono spiegarsi, cioè, come effetti che hanno la loro causa nel processo o se, come nell'ipotesi della ricusazione, l'hanno fuori del processo, si tratta pur sempre di una causa che non è la grave situazione locale.
Se, invece, quest'ultima sussiste, i provvedimenti endoprocessuali, se con determinate caratteristiche, specialmente se emessi su questioni particolarmente rilevanti o nei momenti più delicati del processo, possono essere ritenuti a ragione conseguenza della stessa, con quella, dianzi sottolineata, circolarità che si risolve in una conferma, in un avallo, della grave situazione locale autonomamente accertata.
d - D'altro canto, soltanto se la grave situazione locale è grave situazione ambientale-territoriale ha senso affermare, una volta che ne sia stata accertata l'esistenza, che il pericolo concreto della non imparzialità riguarda l'organo nel suo complesso e non il giudice o i giudici del processo.
Solo se è interessato gravemente il territorio, che è ciò che sta intorno al processo, può dirsi, infatti, a ragione, che anche ogni altro giudice del luogo - diversamente da quanto accade nella ricusazione - si sarebbe comportato, con alto grado di probabilità, come si sono comportati, con i loro provvedimenti, effetto della grave situazione e sintomatici della non imparzialità, i giudici del processo.
II - La situazione non solo deve essere locale/territoriale, nel senso appena visto, ma deve essere anche grave e la interpretazione di questo aggettivo, che deve essere restrittiva - come si è visto deve esserlo la interpretazione dell'aggettivo locale -, è veramente decisiva, non solo per la distinzione tra ciò che legittima e ciò che non legittima la rimessione del processo, ma anche - e più di quanto lo sia la corretta interpretazione dell'aggettivo locale - ai fini della non violazione del principio del giudice naturale precostituito per legge.
a - La giurisprudenza è, al riguardo, sostanzialmente tutta negli stessi termini.
Per cass., 23 febbraio 1998, Berlusconi, grave situazione locale significa che "le circostanze ambientali debbono avere una sintomatica abnormità.
Per cass., 10 settembre 1997, Cirino Pomicino, "la situazione deve essere tale da sconvolgere l'ordine processuale" (negli stessi termini: cass., 7 febbraio 1995, Sgarbi).
Per cass., 21 febbraio 1996, Lamberti, deve trattarsi di "dati di fatto, non solo certi, ma univocamente significativi".
Per cass., 8 settembre 1992, Casaglia, deve trattarsi di "concrete circostanze di notevole consistenza".
Per cass., 23 gennaio 1992, Di Muro, "la situazione deve essere tale da rendere pressoché inevitabile la sua negativa incidenza sul corretto svolgimento del processo".
b - Quanto alla dottrina, è sufficiente porre in evidenza che, per una autorevole voce della stessa, deve trattarsi di congiunture abnormi, per altra di eventi eccezionali e per altra, recentissima, che si richiama a cass., 21 febbraio 1996, Lamberti, di fatti non solo certi, ma univocamente significativi.
c - Espressioni, come quelle appena viste - situazione o congiuntura abnorme, sconvolgente, di notevole consistenza, di inevitabile incidenza, eccezionale, univocamente significativa - dicono, con chiarezza, quale deve essere lo spessore della situazione locale perché possa pregiudicare concretamente la libertà di determinazione delle persone che partecipano al processo o per potere giustificare la rappresentazione di un concreto pericolo di non imparzialità del giudice.
A ben vedere, gli aggettivi usati per definire la gravità della situazione locale consentono di dire che la situazione locale deve essere tale, per la sua abnormità, per la sua notevole consistenza, per la sua eccezionalità, per il suo univoco significato, da non potere essere interpretata se non nel senso del pericolo concreto della non imparzialità o nel senso del pericolo concreto del pregiudizio della libertà di determinazione delle persone che partecipano al processo, interpretazione, questa, che riduce drasticamente i margini di discrezionalità della corte di cassazione nel decidere sulla sussistenza della grave situazione locale e nel disporre il trasferimento del processo in deroga al principio del giudice naturale precostituito per legge.
d - Che la situazione debba essere grave nel senso appena visto si desume, del resto, anche dal fatto che la situazione che pregiudica la sicurezza o la pubblica incolumità è, necessariamente, una situazione abnorme, di notevole consistenza, eccezionale, univocamente significativa, potendo dirsi pregiudicata la sicurezza quando la situazione locale sia talmente grave da richiedere un intervento, non momentaneo e significativo nelle presenze, delle forze dell'ordine e potendo dirsi pregiudicata la pubblica incolumità quando la situazione locale sia tanto grave da esigere un intervento, che si protragga nel tempo, della protezione civile: si pensi alle tragedie del Vaiont e della Val di Stava, per ricordare due gravi situazioni locali distanti, tra di loro, nel tempo.
Non v'è alcuna ragione, allora, per ritenere che il legislatore, nel prevedere che il pregiudizio della libertà di determinazione delle persone che partecipano al processo o che i motivi che determinano il legittimo sospetto debbono scaturire, anch'essi, da una grave situazione locale idonea a turbare lo svolgimento del processo, non richieda che questa situazione abbia una pari, non minore, gravità, che sia univocamente significativa, come sicuramente lo è, e non può non esserlo, la situazione che pregiudica la sicurezza e la incolumità pubblica.
D - Nel passare all'esame dei dati di fatto, nei quali i richiedenti ravvisano la grave situazione locale, deve essere preliminarmente dichiarata sia la manifesta infondatezza della eccezione di inammissibilità della memoria del pubblico ministero, sia la irrilevanza processuale della eccezione di intempestività e, quindi, di irritualità delle osservazioni fatte pervenire dal presidente della IV sezione del tribunale di Milano.
I - L'eccezione di inammissibilità della memoria del pubblico ministero è stata sollevata osservando che, nel procedimento di rimessione, le funzioni di pubblico ministero sono esercitate dai magistrati della procura generale presso la corte di cassazione e non dal pubblico ministero del processo del quale si chiede la rimessione, sicché la facoltà di produrre memorie è, se mai, del primo e non del secondo.
La tesi non ha alcun pregio.
E', invero, sufficiente considerare che l'art. 46, comma 2, c.p.p. dispone che "la richiesta è depositata, con i documenti che vi si riferiscono, nella cancelleria del giudice ed è notificata entro sette giorni a cura del richiedente alle altre parti".
Se "parte " è il soggetto che richiede una decisione giurisdizionale in accoglimento di una propria tesi, il riferimento più immediato, come si sottolinea dalla dottrina, corre proprio al pubblico ministero, giacché questo è, in primo luogo, il soggetto che, attraverso il promovimento dell'azione penale, domanda, appunto, al giudice una decisione che accolga le ragioni dell'accusa.
Ma, se il pubblico ministero è parte non può non avvalersi della facoltà attribuita alle parti dall'art. 121 c.p.p., il quale, nel comma 1, dispone, che, "in ogni stato e grado del procedimento, le parti e i difensori possono presentare al giudice memorie o richieste scritte, mediante deposito in cancelleria".
Del resto, non ci sarebbe ragione di notificare la richiesta al pubblico ministero se questo non avesse la possibilità di svolgere alcuna attività in difesa della propria posizione processuale.
Altro, evidentemente, è il tema dell'esercizio delle funzioni di pubblico ministero, funzioni che l'art. 51, comma 1, lett. b), c.p.p. prescrive che, nei giudizi di impugnazione, siano esercitate dai magistrati della procura generale presso la corte di appello o presso la corte di cassazione, esercizio dal quale non può di certo conseguire che il pubblico ministero del processo del quale si chiede la rimessione non sia stato e non sia tuttora, sino all'eventuale rimessione, parte di quel processo.
II - Il rilievo, che si legge nella memoria di Previti del 18 gennaio 2003 e con il quale si contesta la irritualità delle "osservazioni" della IV Sezione del Tribunale di Milano perché pervenute soltanto il 27 novembre 2002, è privo di qualsiasi incidenza processuale.
Previti osserva che, disponendo l'art. 46, comma 3, c.p.p. che "il giudice trasmette immediatamente alla corte di cassazione la richiesta con i documenti allegati e con eventuali osservazioni, "la trasmissione delle osservazioni del giudice procedente è eventuale, ma immediata, sicché deve ritenersi che la IV Sezione del tribunale non ha seguito le indicazioni normative, essendosi limitata, al momento del deposito delle richieste di rimessione, unicamente a trasmettere le richieste medesime e la documentazione alle stesse allegata inoltrando le osservazioni a distanza di molti mesi, senza alcuna coerenza".
Può anche discutersi se sia o meno rituale la trasmissione di osservazioni da parte del giudice del processo del quale si chiede la rimessione che non sia contestuale alla trasmissione della richiesta.
E' certo, però, che, supposto che sia ravvisabile, l' irritualità è senza alcuna sanzione, disponendo il comma 4 dell'art. 46 c.p.p., che "è causa di inammissibilità l'inosservanza delle forme e dei termini previsti dai commi 1 e 2", mentre, come riconosce lo stesso Previti, la facoltà di trasmettere osservazioni con la richiesta è prevista nel comma 3.
E - Nell'iniziare l'esame dei fatti al fine di accertare se vi sia o non vi sia la grave situazione locale, con le caratteristiche, dianzi puntualizzate, necessarie per la rimessione del processo, queste sezioni unite debbono osservare che non risponde al vero che, come si sostiene in qualche memoria, abbiano già positivamente accertato la grave situazione locale nella ordinanza con la quale è stata sollevata la questione di legittimità costituzionale.
In quella ordinanza, invero, preso atto delle ragioni addotte dai difensori nel prospettare la questione di costituzionalità e sintetizzati i fatti che i richiedenti ritenevano, e ritengono tuttora, costituire grave situazione locale, queste sezioni unite hanno sollevato la questione non ritenendo, a seguito di una sommaria delibazione dei fatti, manifestamente infondate le prime e le seconde ragioni, sulle quali, quindi, poteva legittimamente innestarsi un giudizio di legittimità costituzionale.
E' in questa sede, dunque, che, escluso che le richieste di rimessione siano manifestamente infondate, queste sezioni unite si apprestano ad esaminare i fatti per accertare se sussiste o non sussiste la grave situazione locale.
I - Dalle richieste, come diffusamente, a suo tempo, riportate, risulta che tutti i richiedenti, ma, soprattutto, Berlusconi e Previti, il quale vi dedica più della metà della sua richiesta e non poche pagine delle memorie, ritengono che Saverio Borrelli, allora procuratore della Repubblica presso il tribunale di Milano, con le sue ripetute dichiarazioni, con i suoi atti, con le sue iniziative, con i suoi interventi, ha trasformato la procura della Repubblica di Milano in organismo politico e che, così facendo, ha determinato la grave situazione locale di contrapposizione, per ragioni politiche, con riflessi sui processi e, quindi, sulla imparzialità dei giudici, tra gli uffici giudiziari di Milano, da un lato, ed alcuni imputati dall'altro, in particolare Berlusconi e Previti.
a - Per rendersi conto sin dove, nella ricostruzione di Previti, si sarebbe spinta questa contrapposizione, è opportuno leggere quanto Previti scrive nelle pagg. 3-4 della richiesta.
"Un esempio eclatante del metodo adottato è fornito dalla vicenda dell'invito a comparire per un interrogatorio, disposta dalla procura di Milano, nel momento in cui potesse esplicare i suoi maggiori effetti distruttivi e al tempo stesso ottenere il massimo effetto spettacolare, cioè proprio quando - 21 novembre 1994 - l'On. Berlusconi, anche all'epoca Primo Ministro, presiedeva a Napoli un importante vertice tra i Paesi dll'ONU in tema di criminalità organizzata".
"Posto - prosegue Previti - che non vi era alcuna necessità giuridica di notificare un simile atto, eventuale, e, quindi tranquillamente posticipabile a data diversa, la scelta 'comunicazionale' di prediligere un palcoscenico mediatico di amplissima risonanza, quale quello di un importante vertice internazionale tra Capi di Governo, è stata evidentemente dettata da strategie di natura 'extraprocessuale', del tutto incompatibili con la normale conduzione di un processo".
"Non solo, ma l'intera operazione è stata innescata grazie alla palese ed incontestabile violazione del segreto investigativo concernente la notizia dell'iscrizione del nominativo del Capo del Governo nel registro Generale delle notizie di reato, necessariamente trapelata dalla Procura della Repubblica di Milano, ufficio che custodiva e teneva tale registro".
"Eppure, proprio l'anticipazione della notizia dell'avvenuta iscrizione nel registro generale dell notizie di reato del nominativo dell'On. Berlusconi, fornita ad un giornalista del 'Corriere della Sera', che per scoop ebbe il premio di giornalista dell'anno, aveva consentito di preparare il terreno allo spettacolare colpo di scena orchestrato dalla procura - la notifica dell'avviso - che in questo modo riuscì ad assestare un colpo mortale al Governo in carica che poco dopo dovette dimettersi".
Stando a queste proposizioni, la procura e, quindi, Saverio Borrelli, che ne era il capo, ha spinto la propria contrapposizione politica nei confronti di Berlusconi, Presidente del Consiglio, sino a provocare, con atti spettacolari, la caduta del Governo da questi presieduto.
Non v'è dubbio, dunque, che, secondo questa ricostruzione, il disegno politico di Borrelli fosse già chiarissimo nel novembre del 1994 e, conseguentemente, che già in quel momento, come, del resto, avrebbero confermato tutta una serie di dichiarazioni, di contenuto politico/giudiziario - citate puntualmente da Berlusconi nella propria richiesta - era già chiaramente in atto la grave situazione locale, la profonda anomalia territoriale richiesta dalla legge per la traslatio iudicii.
b - I comportamenti di Borrelli, così come vengono descritti nella richiesta di Previti, consentono di distinguere, per comodità, un "primo Borrelli, il Borrelli della notifica del 21 novembre 1994 e di tutta una serie di dichiarazioni che vanno dal novembre 1993 al settembre 1997, un secondo Borrelli, il Borrelli stratega, con la politicizzata magistratura milanese, della concertazione contra reum, di ciò che Previti, con questa espressione, definisce, a pag. 23 e ss.gg., come vera e propria strategia processuale in danno degli imputati, e un terzo Borrelli, il Borrelli, procuratore generale in quel momento, che ha chiuso la relazione per l'inaugurazione dell'anno giudiziario 2002 con la ripetizione resistere, resistere, resistere, interpretata, nelle richieste, come un ulteriore atto politico.
c - Prima di vedere se in ciò che Borrelli ha detto o fatto, secondo quanto rappresentato dai richiedenti, possa ravvisarsi, come costoro ritengono, la grave situazione locale richiesta dalla legge per il trasferimento del processo, si deve ricordare la giurisprudenza di questa suprema corte sulla valutazione che, in sede di esame della richiesta di rimessione, deve essere fatta delle dichiarazioni o dei comportamenti del p.m..
La giurisprudenza, nel porre in evidenza in quali dati di fatto o situazioni non possa ravvisarsi la grave situazione locale, di cui all'art. 45 c.p.p., ha affermato, quanto ai comportamenti o alle dichiarazioni del p.m., che "la temuta parzialità dell'ufficio del p.m. rimane estranea alle possibili turbative al corretto esercizio della giurisdizione, perché l'organo della pubblica accusa nel vigente sistema processuale riveste pur sempre la qualità di parte, con tutte le implicazioni che ciò comporta anche in ordine alle strategie processuali alle quali la sua condotta può essere preordinata, la quale non si sottrae, comunque, al controllo del giudice nel processo, sicché il suo eventuale 'accanimento' nei confronti dell'imputato non ha alcun rilievo".
Anche per cass., 23 febbraio 1998, Berlusconi: "l'eventuale possibile condizionamento di natura psicologica del collegio giudicante nei confronti dei pubblici ministeri milanesi - anche in quella occasione il tema era pressoché lo stesso - non ha nulla a che fare con una diffusa situazione ambientale, capace di far venire meno le condizioni di tranquillità e di compostezza che debbono caratterizzare lo svolgimento di ogni processo".
"L'orientamento di questo supremo collegio è che 'gli atti e i comportamenti' delle persone che partecipano al processo, essendo estranei alla situazione locale che l'art. 45 c.p.p. prende in considerazione, non possono integrare i presupposti richiesti perché possa disporsi la rimessione".
"Non è la prima volta - così ancora questa ordinanza - che questa corte ha ritenuto 'fuori luogo' il richiamo ai presupposti dell'art. 45 c.p.p. quando gli elementi addotti dal richiedente si indirizzino sui titolari degli uffici della procura della Repubblica".
"La qualità di parte, sia pure pubblica, del p.m. è stata più volte affermata; ne deriva che la temuta parzialità del p.m., anche quando si manifesti in comportamenti 'ispirati a conflittualità preconcetta e abnorme, è destinata a rimanere estranea alle possibili turbative al corretto esercizio della giurisdizione" (negli stessi termini: Cass., 10 marzo 1997, Cirino Pomicino; 20 dicembre 1995, Vizzini; 20 settembre 1995, Craxi; 5 luglio 1995, Fiandrotti; 7 febbraio 1995, Sgarbi; 13 gennaio 1995, De Rosa; 13 ottobre 1994, Fabbri; 21 aprile 1994, Pahor).
d - Questa giurisprudenza può, in linea di massima, essere condivisa, non, però, sino ad escludere che mai gli atti e i comportamenti del pubblico ministero possano assumere caratteristiche tali da renderli incompatibili con l'essere il pubblico ministero parte, sia pure parte ispirata a conflittualità preconcetta e abnorme.
Secondo queste sezioni unite, quindi, la questione se gli atti e i comportamenti del pubblico ministero, quando censurabili, siano idonei a costituire presupposto per la rimessione del processo va risolta nel senso che "gli atti e i comportamenti del pubblico ministero, quando censurabili, sono idonei a costituire presupposto per la rimessione del processo a condizione che essi abbiano pregiudicato la libera determinazione delle persone che partecipano al processo, ovvero abbiano dato origine a motivi di legittimo sospetto.
Se, nel caso di specie, si accertasse che risponde al vero che la procura della Repubblica di Milano ha subito quella radicale trasformazione, la grave situazione locale sarebbe innegabile.
Se si accertasse, come scrive Previti nella prima pagina della richiesta, che "non è possibile in questa sede dare conto dell'intero percorso che, nel corso di questo lungo periodo della storia giudiziaria del Paese, ha intrapreso il pool di Milano assurto al rango di organismo politico, in grado, in alcuni momenti drammatici, di condizionare le stesse Istituzioni repubblicane"; che "non è possibile indicare i numerosissimi deliranti proclami populisti e giustizialisti, veri e propri programmi politici, con i quali esponenti di questo gruppo di magistrati milanesi, hanno afflitto l'intera Nazione che ha dovuto per anni sopportare 'straripamenti di potere', 'strappi alle regole', 'forzature', 'azioni mirate a tutela di alcuni e a danno di altri', 'violazioni sistematiche dei principi del giusto processo'"; se tutto ciò venisse accertato come vero, se, soprattutto, venisse constatato il mutamento di natura della procura milanese da ufficio che esercita obbligatoriamente l'azione penale a "organismo politico, non vi sarebbe alcun dubbio che ci si troverebbe dinanzi alla grave situazione locale che è il presupposto per la rimessione del processo.
Ma, ricordando quanto si è puntualizzato in ordine alla situazione locale/territoriale, questi atti e comportamenti del pubblico ministero, per rilevare ai fini della rimessione, debbono avere le caratteristiche di una grave situazione territoriale estranea alla dialettica processuale: solo questa estraneità, questo radicamento della grave situazione nell'ambiente esterno al processo, giustifica la rappresentazione di un concreto pericolo di non imparzialità del giudice inteso questo come l'intero organo giudiziario della sede in cui si svolge il processo.
Ne consegue che, come accade per i provvedimenti endoprocessuali del giudice, le iniziative, le richieste, gli interventi, gli atti endoprocessuali del p.m. possono avere rilevanza ai fini della rimessione solo una volta accertata autonomamente la grave situazione locale, solo una volta accertata, per stare al caso di specie, la trasformazione del ruolo della procura o, al di fuori di caso in esame, solo una volta accertato un evento, in loco, sul territorio, altrettanto abnorme, al quale abbiano dato causa comportamenti o atti del p.m..
Soltanto in questo caso gli atti e le iniziative endoprocessuali del p.m. rilevano, per un verso avallando, confortando, la accertata sussistenza della grave situazione locale e, per altro verso, concorrendo, anch'essi, a permettere di distinguere se la grave situazione locale sia tale da pregiudicare la libertà di determinazione delle parti o tale da determinare motivi di legittimo sospetto.
e - Per quanto riguarda tutto ciò che Previti e Berlusconi affermano essere stato fatto o detto da Borrelli - da quello che, per semplificare, si è chiamato il primo Borrelli, il Borrelli che va dal novembre 1993 al settembre 1997 - non può non affermarsi che gli atti, i comportamenti, le iniziative di Borrelli, posti in esere in quel lasso di tempo, pur se censurabili o pur se non condivisibili, sono processualmente irrilevanti.
La giurisprudenza di questa suprema, e la migliore dottrina, sono, invero, nel senso che "la grave situazione locale, coeva alla fase procedimentale o addirittura anteriore alla stessa, "non può avere alcuna incidenza processuale per la decisiva ragione che, in quel momento, il processo da, eventualmente, rimettere, da trasferire, non esiste ancora e, quindi, non può attribuirsi rilievo a situazioni, pur gravi, che, nel momento in cui sono sorte, non avevano possibilità di incidere in un processo, in quel momento, inesistente".
Ed è significativo che la giurisprudenza abbia affermato questo principio proprio in relazione all'attività del pubblico ministero (cfr.:Cass., 13 ottobre 1997, Manganaro; 23 gennaio 1995, Di Rosa; 29 ottobre 1994 Cerciello).
E, in ordine all'esame di quegli atteggiamenti od opinioni nella loro storicità, autorevoli voci della dottrina pongono in evidenza che, "in linea astratta, non può escludersi che, dopo l'instaurazione del processo a seguito di esercizio dell'azione penale, anche atti o fatti verificatisi nel corso delle indagini preliminari possano venire valutati nella loro dimensione storica, quali sintomi indiretti della grave situazione locale presupposta a fondamento della richiesta di rimessione."
Ciò sta a significare, evidentemente, che quegli atteggiamenti od opinioni, ai fini della rimessione, possono rilevare storicamente, possono essere, cioè, apprezzati come sintomo indiretto della grave situazione locale, se, nel momento del processo, la grave situazione locale si propone o si ripropone, perché, solo in questo caso, ci troveremmo dinanzi ad una grave situazione locale coeva al processo tale da poter incidere negativamente sulla imparzialità del giudice, situazione che potrebbe essere suffragata, avallata, dall'essere stata, storicamente, preceduta da fatti della stessa specie o dello stesso genere o, comunque, da altri fatti, tutti sintomo indiretto di una grave situazione locale, con il limite, storico, di essere stati posti in essere in un momento in cui, per l'inesistenza del processo, erano assolutamente irrilevanti.
Le dichiarazioni e i comportamenti di Borrelli - del "primo Borrelli" - irrilevanti processualmente perché coevi, non al processo, ma alla fase delle indagini processuali o, in parte, addirittura precedenti, potrebbero valere, quindi, come sintomo indiretto della grave situazione locale se si accertasse che, dopo l'esercizo dell'azione penale, si è verificata una grave situazione, locale-territoriale, della stessa specie o genere o anche della stessa specie o dello stesso genere ad opera dello stesso Borrelli o di altri.
Ciò rinvia, ovviamente, al secondo e al terzo Borrelli e a quant'altro, nel territorio, si ritiene, dai richiedenti, essere segno di una grave situazione locale rilevante ai fini della rimessione e, anticipando le conclusioni, si vedrà che né il Borrelli delle concertazioni contra reum, né il Borrelli del resistere, resistere, resistere, né tutto il resto hanno le caratteristiche di quella grave situazione locale esistendo la quale è lecito valorizzare, ad avallo, dati del passato, dati che si collocano storicamente in un momento che li rende processualmente irrilevanti.
Ma, prima di chiudere con quello che le richieste autorizzano definire il primo Borrelli, è opportuno indugiare sull'atto che, stando alla richiesta di Previti, appare l'atto della procura con maggiore valenza politica, quell'atto, notificato a Berlusconi il 21 novembre 1994, che, secondo Previti, avrebbe avuto, tra l'altro, l'effetto, per le sue modalità, "di assestare un colpo mortale al Governo in carica che poco dopo dovette dimettersi".
E, allora, deve ricordarsi che la notifica di quest'atto è stata posta da Berlusconi a fondamento di altra, precedente, richiesta di rimessione (Cass., 9 novembre 1995 Cerciello) e che la corte di cassazione, nella relativa ordinanza di rigetto, ha espresso su questa notifica un giudizio che queste sezioni unite non possono non fare proprio data la impeccabilità dello stesso sotto ogni prospettabile profilo e data, dunque, l'impossibilità di considerarlo come causa o, per lo meno, come una delle cause delle dimissioni del Governo di Berlusconi, dimissioni, peraltro, che vengono ricondotte a quest'atto apoditticamente, senza l'indicazione di alcun pur possibile riscontro.
"Deve preliminarmente osservarsi - così la corte di cassazione - che non trattasi di un atto arbitrario o illegittimo, perché l'art. 369 c.p.p. non pone al pubblico ministero altro limite oltre quello della tempestività dell'informazione, rispetto al compimento del primo atto al quale il difensore ha diritto ad assistere."
"Indubbiamente, però, la scelta del momento in cui effettuare quella comunicazione, coincidente con l'assunzione da parte del Presidente del Consiglio dei ministri di un incarico così rappresentativo a livello internazionale, può offrire materia di attenta riflessione quanto ai criteri di opportunità che possono averla giustificata; ma, altrettanto incontestabile è che le cautele assunte dalla procura di Milano non riuscirono nell'intento che la loro adozione avrebbe dovuto assicurare: il pubblico ministero non si avvalse della facoltà prevista dal primo comma dell'art. 369 c.p.p., ma utilizzò la polizia giudiziaria, in virtù dei poteri conferitigli dall'art. 151 dello stesso codice e, ciò nonostante, la notizia pervenne alla stampa con solerte tempestività e fu da questa immediatamente pubblicata".
"Tutto ciò premesso, non può, però, non rilevarsi che quell'informazione di garanzia rientrava nella funzionale competenza del pubblico ministero ed essa ha ormai esaurito i suoi effetti nella fase delle indagini preliminari; la scelta della sua adozione non è certamente ricollegabile ad una anomala grave situazione ambientale e neppure è estranea alla dinamica fisiologica di un rapporto processuale" (Cass., 9 novembre 1995, Cerciello).
II - Nel paragrafo "concertazione contra reum" della sua richiesta, Previti, per dimostrare la propria tesi sulle ricorrenti riunioni, tra i magistrati milanesi, giudici e pubblici ministeri, indette per studiare la strategia processuale da adottare contro gli imputati, in particolare contro lo stesso Previti e Berlusconi, elenca una serie di date in cui quelle riunioni sarebbero avvenute anche alla presenza di persone, come il dr. Giancarlo Caselli, che con gli uffici milanesi non avevano nulla a che vedere.
Uno dei protagonisti, se non il protagonista, di queste riunioni sarebbe stato, ancora una volta, Borrelli e ciò perché queste riunioni si sarebbero tenute, secondo Previti, poco prima della approvazione, da parte del Parlamento, della legge n. 367 del 2001 in tema di rogatorie internazionali, o poco dopo, legge alla cui neutralizzazione Borrelli era interessato, secondo quanto lo stesso Borrelli avrebbe detto in una occasione citata sia nella richiesta di Previti, sia in quella di Berlusconi.
Quelle riunioni hanno sortito l'effetto di individuare, secondo Previti, una linea di interpretazione della legge che ha dato vita ad una serie di decisioni totalmente illegittime perché al di fuori dei limiti delle competenze funzionali del giudice dibattimentale: le sezioni I, II IV del tribunale - si rileva - hanno adottato, tutte, questa linea interpretativa.
Il decisivo protagonismo di Borrelli, al riguardo, è posto in risalto, come si è appena detto, anche nella richiesta di Berlusconi, nella quale, dopo essersi ricordato che, stando al quotidiano "La Repubblica" del 5 ottobre 2001, Borrelli si era espresso, sulla legge in questione, affermando che "lo sforzo della magistratura sarà quello di neutralizzare sul piano interpretativo i guasti peggiori che dalla legge sulle rogatorie possono nascere", si legge, a pag. 35, che "ecco, quindi, come la uniformità delle decisioni del tribunale di Milano sembra direttamente conseguenza al proclama di Borrelli.
Borrelli, dunque, secondo le richieste, nel settembre, ottobre, 2001 ha avuto un ruolo fondamentale nella concertazione contra reum, la quale ha avuto come culmine la interpretazione della legge sulle rogatorie adottata poi dai collegi.
Borrelli, secondo queste ricostruzioni, ha avuto, nella concertazione contra reum, quello stesso ruolo fondamentale che aveva avuto dal novembre 1993 al settembre 1997.
a - Questa la tesi e quelle che seguono le date in cui le riunioni, con quei fini, si sarebbero verificate.
"Alla fine settembre 2001 - così la richiesta di Previti a pag. 25 - i p.m. di Milano hanno tenuto un'assemblea di tre giorni per elaborare un documento comune di attacco al Governo Berlusconi e Borrelli è intervenuto personalmente suggerendo di "non citare i processi di Berlusconi e di limitarsi a critiche tecniche e generali".
"Questo episodio dimostra, prosegue Previti, che:
- in questo periodo sono avvenute riunioni anomale di tipo assembleare tra magistrati milanesi a sfondo parapolitico o metagiudiziario, fatto avvenuto esclusivamente nella sede giudiziaria milanese;
- l'intento di Borrelli e di D'Ambrosio è stato quello di evitare che si scoprisse il vero oggetto delle discussioni e degli interventi, mediante una criptazione con riferimenti a tematiche generali e di pura 'facciata';
- se Borrelli ha sentito l'esigenza di suggerire di non citare i processi di Berlusconi e Previti, ciò significa che, 'accordi', 'incontri', 'intese', concertazione', o 'discussioni' aventi tale oggetto dovevano già essere avvenuti o in quello stesso contesto o prima, in altre occasioni".
"In un articolo del 5 ottobre 2001 sul 'Corriere della Sera' viene data notizia di un'assemblea' tenuta nella procura di Milano avente ad oggetto iniziative di tipo paragiudiziario e la fissazione di un'ulteriore 'assemblea', nella quale si sarebbero riuniti tutti i magistrati, da tenere il successivo 13 ottobre, di analogo stampo 'paragiudiziario'".
"Il 'Giornale' e 'La Repubblica del 3 ottobre 2001 danno notizia di un'altra riunione del giorno precedente tra magistrati - quindi anche giudicanti - alla quale hanno partecipato Borrelli e D'Ambrosio con l'intervento del dott. Caselli avente ad oggetto il modo di eludere sul piano interpretativo a legge sulle rogatorie".
IV - "Nuova riunione di 'sostituti' di Milano del 4 ottobre 2001 nel corso della quale Borrelli e D'Ambrosio hanno 'strappato applausi'".
E' nel corso di questa riunione che Borrelli si sarebbe espresso dicendo che "lo sforzo della magistratura sarà quello di neutralizzare sul piano interpretativo i guasti peggiori che dalla legge sulle rogatorie possono nascere".
"Altra riunione e/o assemblea plenaria del 30 ottobre 2001, alla quale hanno partecipato più di 200 p.m. e giudici milanesi riuniti in assemblea straordinaria, con lo scopo di difendere la magistratura dagli attacchi quotidiani del potere politico: l'oggetto generico e 'criptato' lascia, però, trasparire, sia l'anomalia delle riunioni tra giudici e p.m., sia che, certamente , all'ordine del giorno dei lavori assembleari, vi fossero le strategie interpretative da adottare nei processi nei confronti di Berlusconi e Previti".
"Ulteriore riunione assembleare del giorno 29 novembre 2001, alla quale hanno partecipato, oltre che giudici e p.m., anche i soliti Borrelli e D'Ambrosio e i giudici dei processi nei confronti di Berlusconi e Previti".
Può subito porsi in evidenza rispetto a tutto ciò - e sull'argomento si tornerà in seguito - che la tesi della strategia processuale contro gli imputati, della concertazione contra reum, dimostra tutta la sua fragilità, si potrebbe dire tutta la sua inconsistenza, proprio dinanzi alle ordinanze sulle rogatorie emesse dai due tribunali, ordinanze le cui motivazioni, le cui ragioni, hanno trovato l'avallo di autorevoli voci della dottrina e sono simili a quelle poste a fondamento delle loro ordinanze da pressoché tutti i giudici che si sono interessati della questione e simili, inoltre, a quelle addotte dalla Corte di Cassazione in una recente sentenza, come ha ricordato la IV sezione del tribunale nelle sue osservazioni.
b - Per, saggiare, al di là delle ordinanze sulle rogatorie, la fondatezza della tesi della concertazione contra reum e dell'ulteriore, negativo, ruolo di Borrelli, deve riflettersi, per un verso, sui documentati rilievi che si leggono, rispetto alle date elencate da Previti e alle corrispondenti riunioni, nella memoria dei pubblici ministeri, e, per altro verso, sulla risposta che, a quei rilievi, viene data in una memoria di Previti.
I - "Previti - osserva la memoria dei pubblici ministeri - cita un'assemblea di tre giorni tenuta dall'ufficio del pubblico ministero a fine settembre per elaborare un documento comune di attacco al governo Berlusconi"; un'assemblea - pare del 4 ottobre - resocontata dal Corriere della Sera del 5 ottobre, sempre della procura di Milano, avente ad oggetto iniziative di tipo 'paragiudiziario'; una nuova riunione il 4 ottobre dei pubblici ministeri".
"In effetti - si dice in questa memoria - tutte queste riunioni sono consistite in incontri degli appartenenti all'ufficio del pubblico ministero, a cavallo tra la fine di settembre e l'inizio di ottobre, e il loro esito è costituito dalla lettera che il procuratore generale e il procuratore della Repubblica hanno inviato al C.S.M. il 5 ottobre 2001; come può testimoniare la missiva, l'oggetto delle riunioni, alle quali non ha mai partecipato nemmeno un giudice, non consisteva nella elaborazione di un documento di attacco al Governo Berlusconi".
A questo rilievo è allegato un documento, in data 5 ottobre 2001, i cui passi salienti sono i seguenti:
"Nel corso del dibattito parlamentare intorno al disegno di legge che ratifica l'Accordo italo-svizzero sulle commissioni rogatorie e di modifica di alcuni articoli del codice di procedura penale, in particolare nella fase svoltasi al Senato della Repubblica e a margine della stessa, alcuni parlamentari hanno vantato fra i pregi della novella quello di impedire l'utilizzazione di prove false nella pronuncia di sentenze di condanna, apertamente sebbene genericamente riferendosi a condanne del passato e a procedimenti in atto".
"Si è trattato di asserzioni del tutto estranee all'economia delle argomentazioni escogitabili a sostegno di un provvedimento peraltro criticabile e di fatto criticato ampiamente da giuristi e magistrati italiani e stranieri anche, ma non soltanto, per la norma transitoria retroattiva che lo correda".
"Esse sono state recepite dai magistrati della procura della Repubblica presso il tribunale ordinario di Milano come calunniosamente offensive per un gran numero di loro, oltre che di collegi giudicanti, per l'istituzione giudiziaria, per le Autorità giudiziarie e politiche dei Paesi stranieri coinvolte paradossalmente nel sospetto di falsificazione".
"In nessuno dei casi, ai quali le impudenti dichiarazioni intendono riferirsi, erano state finora sollevate in sede processuale questioni di inautenticità di documenti, ottenuti attraverso procedure rogatoriali in cui già nelle fasi estere le parti private avevano avuto ampia possibilità di dispiegare le proprie difese, ma non v'è dubbio che tali prese di posizione abbiano recato oggettivamente un danno gravissimo alla credibilità di singoli magistrati, di interi uffici - anzitutto quelli milanesi - e dell'amministrazione della Giustizia...".
"L'inquietudine provata nelle file dei pubblici ministeri, non soltanto a Milano, rischia di esplodere in manifestazioni di protesta che, condivisibili o meno nella forma, sarebbero pienamente giustificate dall'imperativo di difendere una dignità personale e professionale che non deve poter essere impunemente calpestata".
"Nelle vesti di procuratore della Repubblica in carica e di procuratore generale della Repubblica di Milano chiediamo formalmente con questa lettera al Consiglio Superiore della Magistratura, tutore supremo dell'indipendenza dell'Ordine giudiziario, di voler assumere ogni consentita iniziativa per stigmatizzare pubblicamente la incivile, inammissibile violazione di principi di verità e di rispetto istituzionale, commessa in sede politica ai danni della magistratura per finalità di evidente ricaduta su procedimenti in corso....confidiamo che l'Organo di autogoverno voglia altresì accordare tutela delle persone, che sono state ingiustamente ferite in occasione e a causa del compimento del loro dovere".
Come può notarsi, quelle riunioni hanno avuto un determinato scopo, esposto chiaramente nel documento, e il contenuto di quest'ultimo non è davvero interpretabile come attacco al Governo Berlusconi, ma, semplicemente, come richiesta, legittima, di tutela rivolta al C.S.M. che ne era il destinatario.
Nella memoria di Previti si legge che "la lettera al C.S.M. conferma i pericoli per l'ordine pubblico essendovi l'accenno espresso a manifestazioni dei p.m. di Milano".
Si può osservare, in primo luogo, che l'espressione "manifestazioni di protesta" non significa, evidentemente, manifestazioni turbative dell'ordine pubblico, ma indica attività dirette a richiamare l'attenzione della opinione pubblica su una motivazione offensiva addotta a giustificazione di una legge che aveva incontrato numerose, consistenti obiezioni.
Si può rilevare, inoltre, che la correttezza dei pubblici ministeri, che si ritenevano offesi dalle dichiarazioni citate nel documento, stava proprio nel chiedere l'intervento del C.S.M. anche per impedire quelle manifestazioni.
Previti aggiunge che "il sospetto circa la possibile 'inautenticità' di documenti che sarebbe alla base della legge sulle rogatorie, non riguarda, certo, come si allude insidiosamente nella citata lettera al C.S.M., la condotta delle autorità straniere che invierebbero atti falsi, quanto piuttosto il rischio che nei procedimenti italiani, per le più varie ragioni, compresa, ad es., l'errata o la parziale fotocopiatura di atti, possano avere ingresso, come prove, documenti privi di garanzie di autenticità e, quindi, palesemente inattendibili".
Ebbene, i pubblici ministeri, in quel documento, non hanno affatto dubitato che i documenti, nel processo, debbono essere autentici o immuni da falsità, ma si sono sentiti offesi proprio perché alcuni parlamentari, secondo loro, avevano vantato, tra i pregi della novella, quello di impedire l'utilizzazione di prove false, quasi che i magistrati milanesi - i quali nel documento pongono in evidenza che i parlamentari si erano riferiti apertamente, sebbene genericamente, a condanne del passato e a procedimenti in atto - avessero fatto uso di rogatorie false.
Secondo quei magistrati, infatti, quelle dichiarazioni erano state fatte a margine della discussione, al Senato, della legge sulle commissioni rogatorie.
E questa legge riguarda, oltre che la ratifica dell'Accordo tra Italia e Svizzera del 10 settembre 1998, in tema di assistenza giudiziaria, soltanto le norme sulle rogatorie, come si evince con chiarezza dal relativo testo, le cui modifiche concernono esclusivamente determinati articoli del libro undicesimo - il quale detta la disciplina dei rapporti giurisdizionali con autorità straniere - del codice di rito e, in particolare, l'art. 696, primo articolo del titolo I, e alcuni articoli del titolo III, capi I e II, che regolano le rogatorie dall'estero e all'estero.
Non v'è alcun dubbio, quindi, che il tema che ha determinato la reazione dei magistrati del p.m. milanesi era il tema dell'uso di rogatorie false e non il tema, in genere, della falsità.
Ma, a prescindere da tutto ciò, il documento, discusso in quelle riunioni, non è stato, di certo, come si diceva, un attacco al Governo Berlusconi, sicché Borrelli, in questa riunione, lungi dall'essere stato il suggeritore di uno scritto di attacco al Governo, è stato, se mai, il suggeritore di un documento istituzionalmente irreprensibile.
"Previti - continua la memoria dei pubblici ministeri - cita poi un'assemblea del 2 ottobre con pubblici ministeri e giudici e la partecipazione straordinaria di Giancarlo Caselli, avente lo scopo di eludere la legge sulle rogatorie".
"Il 2 ottobre - prosegue la memoria - si è tenuto un incontro avente ad oggetto l'illustrazione del servizio che Pro Eurojust, organo dell'Unione Europea, può rendere alle A.G. nazionali in tema di coordinamento delle indagini transnazionali, con riferimento alla circolare ministeriale 207631/2000/01".
"L'incontro è stato proposto dal Dott. Caselli, unico membro italiano di Pro Eurojust, con missiva data 26 settembre 2001; a tale riunione hanno partecipato, oltre Caselli, esclusivamente appartenenti alla magistratura requirente e in nessun modo sono stati trattati i problemi di interpretazione ed applicazione della legge n. 367/2001".
Alla memoria sono allegati tre documenti.
Il primo è il testo di un fax del 26 settembre 2001, indirizzato dal Dott. Caselli, nella sua qualità di membro di Pro Eurojust, al procuratore generale dott. Saverio Borrelli, nel quale il primo esprime il desiderio di incontrare i magistrati della procura per illustrare il servizio che Pro Eurojust poteva rendere in tema di coordinamento delle indagini transnazionali e nel quale propone, come data di incontro, quella del 2 ottobre 2001, nelle ore pomeridiane, aggiungendo di avere indirizzato la stessa nota anche al procuratore della Repubblica presso il tribunale.
Il secondo è una nota del giorno successivo - del 27 settembre - con la quale Borrelli porta a conoscenza dei magistrati della procura generale la nota di Caselli invitandoli ad intervenire all'incontro sottolineando che era importante "familiarizzare con le prospettive europee della giustizia penale sostanziale e processuale, prendere cognizione dei nuovi strumenti che si profilano all'orizzonte, confidare nella possibilità di migliorarli".
Il terzo è l'elenco dei magistrati cui era indirizzata la nota.
Questi documenti escludono nel modo più assoluto - non sembra possano esservi dubbi - che l'intervento del dott. Caselli avesse ad oggetto, come si dice nella richiesta di Previti, "il modo di eludere sul piano interpretativo la legge sulle rogatorie".
Previti, nella memoria, così replica:
"Non si comprende perché sia stata scelta proprio la sede di Milano per una riunione che sarebbe dovuta avvenire anche in altre sedi giudiziarie, persino più importanti di Milano".
"Non è chiaro perché l'oggetto della riunione che avrebbe dovuto essere Eurojust è divenuto invece la legge sulle rogatorie".
"Sembrerebbe che a tali riunioni abbiano partecipato anche altri magistrati rispetto a quelli indicati".
"In tale riunione, stando almeno ai resoconti giornalistici, il procuratore Borrelli ha annunciato, la disapplicazione generalizzata della legge sulle rogatorie".
"Infine, questa riunione è avvenuta al di fuori di quelle programmate".
Ma è facile osservare che il dott. Caselli poteva, evidentemente, scegliere liberamente da quale procura cominciare quegli incontri, né è dimostrato che si sia parlato di espedienti diretti a non osservare le nuove disposizioni sulle rogatorie.
Va altresì osservato che i magistrati del pubblico ministero, dopo aver negato che in quell'incontro si fosse parlato della legge sulle rogatorie, subito dopo danno una notizia che neppure Previti ha dato: informano, infatti, dicendo che il 29 ottobre 2001 si era tenuto un incontro, l'unico, riguardante la legge sulle rogatorie, organizzato dall'Ufficio dei referenti per la formazione decentrata dei magistrati promossa dal C.S.M., allegando la relativa documentazione.
L'onestà intellettuale che i magistrati del p.m., autori della memoria, hanno dimostrato nel dare questa notizia non può non essere apprezzata, e ciò li rende credibili anche quando affermano, nonostante i resoconti giornalistici, che in quella riunione non si era parlato della legge sulle rogatorie, così come sono risultati documentalmente credibili quando hanno negato che nella riunione del 4 ottobre si fosse redatto un documento di attacco al Governo Berlusconi.
Quanto, poi, ai magistrati che hanno partecipato alla riunione, risulta dalla stessa nota del Dott. Caselli che erano stati invitati anche i magistrati della procura della Repubblica: si spiega, quindi, perché non abbiano partecipato soltanto i magistrati della procura generale elencati in uno dei tre citati documenti.
c - Dalla documentazione relativa all'incontro di studio che ha avuto come oggetto la legge sulle rogatorie risulta che, per il 29 ottobre 2001, è stato programmato un incontro "per studiare le innovazioni introdotte dalla legge 5 ottobre 2001 in tema di rogatorie internazionali", così come risulta che quell'incontro è stato uno dei sette di "pronto intervento" sulle novelle legislative svoltisi dal 7 maggio al 29 ottobre 2001, tutti comunicati, come documentato, al C.S.M..
Previti nella memoria oppone che:
- "non risulta dalla stessa lettera prodotta che simili interventi siano stati adottati per tutte le leggi di nuova entrata in vigore";
- "non risulta quali siano gli intervalli temporali tra le riunioni di pronto intervento e quelli analoghi per altre leggi, né se tutte queste abbiano effettivamente avuto luogo, mentre, in compenso, la riunione sulla legge n. 367/2001 è stata estesa a tutti i magistrati del distretto";
- "v'è, dunque, la prova della riunione tra giudici e p.m. nel corso della quale il procuratore Borrelli ha impartito la direttiva della disapplicazione della legge prontamente e fedelmente attuata nei processi in corso e, in ogni caso, un incontro di studio su una legge non può essere trasformato in una riunione il cui tema sia la disapplicazione della stessa";
- "nell'elenco delle riunioni "decentrate" manca proprio la riunione sulle rogatorie con il Dott. Caselli e il Procuratore Borrelli";
- "la convocazione per la riunione del 29 ottobre 2001, che non risulta firmata, è avvenuta dopo pochi giorni dall'approvazione della legge e nel corso di tale riunione è stato programmato l'intervento della dott.ssa Boccassini e del Dott. Davigo, attualmente giudice della corte di appello di Milano e, all'epoca in cui sono iniziati i procedimenti oggetto della richiesta di rimessione, sostituto procuratore del tribunale di Milano, esponente di punta del c.d. pool di mani pulite".
Queste proposizioni si prestano ai seguenti rilievi.
E' certo che gli incontri di pronto intervento hanno avuto ad oggetto tutte le novelle legislative intervenute nel 2001: lo si legge nel fax indirizzato dalla Dott.ssa Daniela Borgonovo, dell'Ufficio referenti per la formazione decentrata del distretto di Milano, alla Dott.ssa Ferranti del C.S.M, fax nel quale si dice anche che "il seminario sulla legge in tema di rogatorie internazionali si inserisce nelle iniziative di 'pronto intervento' che abbiamo svolto con riferimento a tutte le novelle legislative intervenute negli ultimi tempi".
La documentazione allegata dai pubblici ministeri permette anche di accertare, per quel che può interessare, quali siano stati gli intervalli temporali tra le riunioni di pronto intervento e quelli analoghi per altre leggi.
Se i sette incontri di pronto intervento erano stati fissati per il 7 maggio, il 7 giugno, il 19 giugno, il 28 giugno, l'11 ottobre, la programmazione degli incontri non di pronto intervento risulta sia dal documento "calendario", sia dal documento "elenco incontri" in materia penale, documenti nei quali si legge che per i mesi di maggio- giugno 2001 era previsto un corso "sui temi della contabilità e bilanci delle imprese", per il 24 novembre un incontro sui "tribunale di sorveglianza tra vecchie e nuove prospettive", per il 13 novembre un incontro "sull'immigrazione clandestina" e per il 13 dicembre un incontro "sull'esecuzione penale", oltre una serie, numerosa, di incontri destinati alla magistratura onoraria.
Certo, dunque, che tutti gli incontri di pronto intervento hanno avuto luogo, non vi sono ragioni - e non ne vengono indicate - per mettere in dubbio che gli incontri non di pronto intervento non siano stati tenuti.
E' vero che all'incontro per l'esame della legge sulle rogatorie sono stati invitati tutti i magistrati del distretto, giudici e pubblici ministeri.
Ma, è proprio la documentazione offerta dai pubblici ministeri che consente di affermare che l'invito a tutti i magistrati del distretto è stata una costante in tutti gli incontri di pronto intervento.
E' scritto nel fax della Dott.ssa Borgonovo al C.S.M. - "ogni seminario è organizzato mediante avviso spedito a tutti i magistrati del distretto" - e in tutte le lettere per gli altri incontri, fossero o non fossero di pronto intervento.
A questo punto l'affermazione di Previti che, "dunque, v'è la prova della riunione tra giudici e p.m. nel corso della quale il procuratore Borrelli ha impartito la direttiva della disapplicazione della legge" è una affermazione senza alcun fondamento in fatto e anche lontana dalla logica comune, perché, sul piano squisitamente logico, dall'essere, quell'incontro, un incontro di studio sulla legge sulle rogatorie non ne consegue, quasi si trattasse di una conseguenza logicamente necessaria, deduttiva, già tutta nelle premesse, l'essersi trasformato nella sede in cui Borrelli ha impartito direttive per la disapplicazione della legge sulle rogatorie.
Che, poi, nell'elenco delle riunioni decentrate manchi la riunione con Caselli e Borrelli dipende esclusivamente dal fatto, documentalmente certo, che quest'ultima riunione non è stata programmata od organizzata dall'Ufficio dei referenti per la formazione decentrata, ma si è tenuta su iniziativa di Caselli, come si è già visto.
Si spiega, inoltre, agevolmente perché la riunione del 29 ottobre sia stata tenuta dopo pochi giorni dall'approvazione della legge.
La legge è stata approvata il 5 ottobre 2001, sarebbe dovuta entrare in vigore, come dispone l'art. 20 della stessa, il giorno successivo a quello della pubblicazione; la pubblicazione è avvenuta l'8 ottobre 2001 e l'art. 18 dispone che "quando gli atti sono già stati acquisiti al fascicolo del dibattimento, in ogni stato e grado del giudizio l'eventuale causa di nullità o di inutilizzabilità deve essere rilevata dal giudice o eccepita entro la prima udienza successiva alla data di entrata in vigore della legge".
I magistrati del distretto di Milano, impegnati in processi con rogatorie, avevano, quindi, ben poco tempo a loro disposizione per studiare la legge, sicché non meraviglia se l'Ufficio dei referenti, il quale non può non venire incontro, nei limiti del possibile, alle esigenze professionali dei magistrati, si sia premurato di programmare un incontro, per tutti i magistrati del distretto, a breve termine.
Omissisa
cura di magistratura democratica romana
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