Giustizia per i cittadini e non per il popolo*

di Maria Paola Costantini

(avvocato, componente della Direzione nazionale di Cittadinanzattiva e del Coordinamento Giuristi democratici)

Lo studioso tedesco R. Jerhing scrisse a proposito del rapporto tra diritto e società: "il sentimento del diritto è come la radice dell’albero rappresentato dalla società. Laddove questa radice rinsecchisce, l’albero muore". E’ un po’ quello che si rischia in questa fase di transizione della società italiana con il sentimento e il senso della tutela dei diritti e dei diritti. Si avverte troppe volte come vengano messi in discussione diritti fondamentali come l’uguaglianza dei cittadini, il riconoscimento della dignità della persona e si "tolgano le gambe" agli strumenti di tutela, ostacolando i soggetti ad esso deputati (la giurisdizione) e riducendo anche la possibilità per i cittadini di trovare forme efficaci di tutela. Si pensi soltanto alla introduzione di arbitrati che limitano di fatto le possibilità di tutela effettiva e danno forza a soggetti forti a scapito di quelli deboli o marginali.

Ma il senso della giustizia e dei diritti è oggi indispensabile in un contesto in forte cambiamento non solo sul piano internazionale (la globalizzazione) ma anche su quello italiano (sistema maggioritario, crisi del sistema di welfare, ecc.) dove si spezzano legami forti e se ne vanno costruendo di nuovi. In questi giorni della memoria, una ragazza ebrea romana ha detto che a guidarla non è tanto la carità o il dover essere buona, ma il senso della giustizia. Potrebbe oggi sembrare quasi un non senso di fronte a conflitti di interessi evidenti in settori chiave (non solo l’informazione, ma la sanità, l’ambiente, la lotta alla criminalità, il lavoro, ecc.) dove l’interesse particolare è preminente anche rispetto al buon senso o al futuro della società e dei nostri figli. Il riferimento non è tanto o solo all’ambito nazionale, ma anche a quello locale e regionale dove si continua a scegliere spesso nella logica dell’interesse specifico e "familiare".

Ciò è tanto più grave se si condivide l’idea che la giustizia e la tutela dei diritti – come ha affermato Rodotà – sono parte dell’identità di una comunità democratica che deve mantenere come riferimenti da una parte, l’indipendenza e l’autonomia dei diversi soggetti (che governano, legiferano e giudicano) e dall’altra, - e non potrebbe essere altrimenti - la costituzione e i diritti fondamentali della persona. E soprattutto considerare la giustizia come un bene comune da salvaguardare e far avanzare e non far regredire.

Ritengo che per tali ragioni questo congresso di Magistratura democratica sancisca e debba sancire nuove modalità di rapporto con i cittadini. Non in senso partitico, ma nel senso della partecipazione attiva a un ambito che appartiene a tutti per le sue conseguenze concrete e perché è strumento indispensabile per mantenere un elevato livello democratico. Rispetto a ciò valgono due considerazioni. La prima riguarda il fatto che la giurisdizione è per i cittadini garanzia di effettività dei diritti. Nella giurisdizione il cittadino vede un faro, un riferimento che può portare fiducia o sfiducia nel sistema, può conferire sicurezza nella vita di ogni giorno, contribuisce a costruire il senso di appartenenza alla propria comunità. Una giustizia che non è imparziale o non funziona ingenera dubbi, sospetti e invita a operare in senso egoistico e individualistico. Troppe volte i cittadini si sono sentiti inascoltati e abbandonati nelle loro richieste e legittime aspettative di giustizia e di tutela. Richieste bagatellari, microdiritti, semplici interessi: così sono state chiamate. Nel contempo non poche riforme hanno avuto come obiettivo il deflazionare i tribunali, dimenticando il valore simbolico e democratico sotteso all’accesso alla giustizia. C’è oggi, inoltre, una aumentata richiesta di giustizia che non ha nulla a che vedere con il giustizialismo. Si tratta invece della richiesta in ordine all’applicazione delle leggi e al riconoscimento di nuove situazioni, alla tutela di ambiti vitali come lavoro, salute e ambiente, alla difesa di soggetti deboli (tossicodipendenti, carcerati, migranti e stranieri), la tutela del cittadino consumatore (i deboli contro i forti – e non retoricamente). Ci si aspetta che ciò sia fatto da un soggetto autorevole, riconosciuto e riconoscibile. E sia fatto in termini certi.

Una seconda considerazione concerne la necessaria distinzione tra popolo e cittadinanza sottolineata da Franco Ippolito. E’ il cittadino responsabile, cresciuto e parte del processo democratico di cui si parla. E’ colui che è parte della governance come governo allargato e che non tollera di dover essere indicato nella genericità del termine popolo e nel vedersi chiamato in causa solo ad ogni elezione politica per dare una delega totale a chi governerà. Il governare è una cosa di tutti i giorni e la complessità delle società contemporanee rende il cittadino parte dei giochi e non spettatore muto e passivo. Nella distinzione si evidenzia la rilevanza della soggettività dei cittadini che già operano nei diversi settori della vita e che sono partecipi della lotta per il diritto e per i diritti; c’è la assunzione di responsabilità e anche il desiderio di non essere un’altra volta esclusi. In questi ultimi anni e in questi mesi si è potuto costatare l’impatto e l’apporto della azione dei cittadini nell’ambito delle riforme relative al sistema giudiziario, alla indipendenza della magistratura, alla attuazione delle leggi, ecc. Si è anche dimostrato quanto necessario sia un loro coinvolgimento: nei girotondi e nella attività quotidiana di tutela.

Che cosa fare. Alcuni spunti:

Le proposte

1 - L’inaugurazione degli anni giudiziari. Si tratta di rendere l'inaugurazione dell'anno giudiziario un momento in cui si possa mettere in evidenza il ruolo della giurisdizione in una società democratica (momento simbolico che serve al mantenimento della valenza anche simbolica della giurisdizione) e dove sia possibile un confronto serio sullo stato della giustizia. In questo senso si potrebbe pensare a utilizzare strumenti come i Consigli giudiziari o gli osservatori della giustizia per avviare monitoraggi sulle situazioni locali. In tale "impresa" andrebbero coinvolti sia il personale amministrativo sia le organizzazioni civiche che operano nell’ambito giudiziario e a tutela dei diritti. Penso ad Antigone o a Cittadinanzattiva, alle associazioni sulla tutela delle vittime. L’apporto di tali soggetti potrebbe essere su diversi livelli: sul piano organizzativo rispetto al servizio giustizia e quindi come aiuto a un monitoraggio ampio e concreto della situazione; sul piano del rapporto tra cittadini e giustizia, con la finalità di dare trasparenza, di "umanizzare" il servizio e ricostruire un clima di fiducia.

2 - L’interpretazione e l’applicazione dell’art. 111 della Costituzione, predisponendo mezzi e disponibilità a rendere il processo civile e il processo penale più giusto per le parti nel processo. Il ruolo della vittima nel processo penale è certamente una delle urgenze in un contesto di riconoscimento del loro apporto in termini di verità e di interesse generale, negando l’interpretazione secondo la quale la vittima è portatrice di richieste solo di vendetta o di richiesta di danni. Si tratta di individuare modalità che determinino poteri – e non mere facoltà discrezionalmente valutabili - di fornire informazioni, di avanzare richieste, di partecipazione attiva anche nelle fasi di indagini, ecc. e doveri di ascolto e di ricezione di quanto proviene da questa.

3 – La sensibilizzazione di operatori e cittadini in ordine alla rilevanza della giustizia nella collettività anche attraverso la diffusione e la discussione di documenti come la Carta dei diritti dei cittadini nella giustizia e con la predisposizione di Uffici relazione con il pubblico per dare un contributo in ordine a un accesso consapevole alla giustizia e per favorire una maggiore trasparenza degli uffici giudiziari.

4 – La creazione e il potenziamento di un Osservatorio sulla tutela dei diritti in Europa, attraverso la raccolta di decisioni ma soprattutto l’avvio di un avvio di un percorso di incentivazione dell’uso delle Corti comunitarie ed europee in ordine alla tutela di diritti fondamentali e dei diritti sociali. Mostrando così l’esistenza di un’altra sponda di tutela e operando per una Europa più democratica e più dei cittadini.

Ritengo che così si possa fermare il clima di intimidazione e di "attentato", verso la Costituzione e la ripartizione dei poteri costituzionali a cui stiamo assistendo.

Gennaio 2003


*L'articolo riproduce l'intervento preparato per il Congresso di Magistratura Democratica.

 

 

 

 

 

 

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