Il referendum sull'art. 18
di Giovanni Palombarini
Md deve ormai prendere una qualche pubblica posizione - la scadenza del voto si avvicina - rispetto all’iniziativa referendaria per l’estensione delle previsioni dell’art. 18 dello statuto dei diritti dei lavoratori. Personalmente ritengo che Md dovrebbe impegnarsi per il successo del "si". So bene che sono state e sono tante le critiche, le perplessità, e comunque le prese di distanza in vari settori - non mi riferisco alle forze della destra di governo o alla confindustria. E però, dopo la decisione della corte costituzionale ammissiva del referendum, è necessario ragionare non solo per verificare la fondatezza di tante censure, ma anche per capire cosa conviene fare oggi. A me pare che proprio un analisi spassionata consenta di superare i dubbi.
Provo dunque a spiegare le ragioni di questo mio convincimento.
1. Intanto, una prima considerazione di natura squisitamente politica, che a me pare già da sola decisiva, che fa riferimento al quadro complessivo del diritto del lavoro, alla tendenza in atto ormai da anni, e alla situazione politica e sociale di oggi. Ebbene, non si ricordano molte iniziative in positivo - esterne cioè a una logica puramente difensiva o addirittura di adeguamento a una tendenza neoliberista - nel corso degli ultimi anni per l'affermazione o l'estensione dei diritti, nonostante 5 anni di governi dell'Ulivo. Certo, il 2002 verrà ricordato anche per grandi battaglie, fra le quali la straordinaria mobilitazione in difesa dell'articolo 18: ma si è trattato appunto di una battaglia difensiva. E in positivo?
In positivo ricordo un’iniziativa che sembrava potesse realizzarsi per via legislativa ma che è subito abortita, quella delle 35 ore. Certo, anche per i deludenti esiti dell'esperienza francese la vicenda è stata da tutti rimossa; e però meriterebbe alcune riflessioni nel mondo della sinistra, proprio a proposito dei suoi scopi, limiti ed esiti (molti sembrano avere dimenticato che, accanto ad altre, la questione dell’orario di lavoro, cioè del tempo di vita disponibile per il lavoratore salariato, ha sempre costituito un punto di lotta di grande, decisivo rilievo).
Oggi, quanto a iniziative di segno costruttivo, cioè di avanzamento, io vedo questa iniziativa referendaria. E comunque mi domando: a prescindere da questa, quali iniziative fuori da una logica subalterna per la tutela del lavoro sono oggi concretamente possibili?
Tra l'altro, più in generale, considerazioni del genere a me pare possano farsi con riferimento alla situazione e alla tendenza generale, al di là dei diritti di chi lavora. Quali battaglie generali non solo difensive sui più diversi versanti, istituzionali, sociali o politici, sono state condotte negli ultimi anni o sono in campo oggi? Quali iniziative sono visibili che sfuggano all'accettazione non si sa quanto rassegnata e quanto convinta, ad esempio, della democrazia della delega, della fine della partecipazione dei cittadini alle scelte, o addirittura dello stesso coinvolgimento nelle forme prime dell'espressione democratica, quale il prendere parte alle elezioni ("anche in America succede così, e però si tratta pur sempre di una democrazia", così si dice spesso senza neppure una riflessione sul peso che su una tendenza del genere può avere avuto la scelta della legge elettorale maggioritaria e sul fatto che questa penalizza proprio i ceti subalterni). Non sono questioni sorte oggi con il governo delle destre; sono aperte da anni, con la seconda repubblica.
Dunque, tornando al tema, prima di vedere più da vicino le ragioni del sostegno o delle perplessità, mi pare opportuno ribadire: non si sono mossi in molti, non si stanno muovendo in molti per l'assunzione in carico non solo del problema generale posto dalle nuove forme del lavoro, ma anche di quello dei nuovi meccanismi organizzativi della produzione. Cioè, è vero che all’ordine del giorno c’è il problema della ristrutturazione in corso del mercato del lavoro, che è aperta la questione dei tanti lavori cosiddetti autonomi senza tutele, come sottolineano molti di coloro che criticano l'iniziativa referendaria; e però c'è anche la questione posta dai processi di automazione e dalla diffusione del decentramento produttivo, con il numero sempre crescente di imprese con meno di 16 dipendenti, ma di rilevante dimensione economica e di mercato: qui siamo in presenza di consistenti tipologie di lavoro subordinato di tipo tradizionale. Non so quanto siano esatte alcune cifre che sono state di recente diffuse, ma penso che corrispondano abbastanza da vicino alla realtà: ebbene, pare che attualmente l’art. 18 si riferisca solo al 37% della forza lavoro. E allora, perché una sua estensione dovrebbe essere considerata marginale per effetto dell’innegabile importanza del dilagare dei lavori cosidetti autonomi?
Eppure, è irrisoria la tutela degli ormai numerosissimi dipendenti dalle imprese sotto la soglia dei 16 dipendenti, se è vero che in caso di licenziamento ingiustificato è possibile, come ha ricordato Giovanni Cannella, anche un risarcimento di due mensilità e mezzo della retribuzione, con tutto ciò che può conseguire a una simile situazione anche in termini di precarietà e di accentuazione della sottomissione per il timore del licenziamento. Qui siamo in presenza di posizioni soggettive deboli, per la tutela delle quali non solo non è stato fatto nulla in un recente passato, ma per le quali realisticamente non si prospettano oggi soluzioni di tipo legislativo. Dunque, cosa può fare chi non si vuole rassegnare? Come non vedere che attendere impossibili soluzioni legislative (per le quali ovviamente rimane comunque utile e necessario impegnarsi con convinzione) rischia, politicamente, di trasformarsi in un alibi? L’iniziativa referendaria è un tentativo di uscire dall’angolo, e già per questo merita di essere sostenuta.
2. A questo proposito vanno fatte alcune realistiche osservazioni anche a proposito delle possibilità di resistere alle tendenze in atto.
Intanto, per quel che concerne la deroga dell’articolo 18 - accantonata ma forse solo momentaneamente (infatti già se ne sente di nuovo parlare) - sappiamo che nell'ultima versione contenuta nel "patto per l'Italia" il progetto di modifica della norma, anche se per definizione tale modifica è temporanea, comporterebbe di fatto effetti rilevanti per molti anni per le imprese che utilizzeranno la deroga, con una compressione evidente - per effetto della libera rescindibilità - dei diritti del lavoro dipendente.
Poi, non va dimenticato che sono in corso le procedure di attuazione delle indicazioni del cosiddetto libro bianco. Si va dal lavoro a chiamata al lavoro accessorio o occasionale, dalla possibilità di ripartire un lavoro fra due o più lavoratori per l’esecuzione di un’unica prestazione all’ampliamento del lavoro part time, con l’allargamento delle ipotesi di lavoro intermittente o a chiamata (come ha rilevato Gaetano Campo, con inevitabili gravi riflessi per il lavoro femminile, per il quale la determinazione dei tempi di lavoro è funzionale all’impegno familiare).
Tutto ciò non cade d’improvviso dal cielo, ma si aggiungerà a modifiche sostanziose che sono intervenute nell'ultimo decennio. Di tutto ciò Giovanni Cannella ha scritto ampiamente e lucidamente, su Questione Giustizia e su il Ponte, per cui posso rinviare ai suoi scritti.
Allora, come non vedere che questa iniziativa referendaria, se avesse successo, sarebbe un contropiede micidiale rispetto alla tendenza, contro chi sia pure in modi diversi si è mosso e si muove in favore della adattabilità del lavoratore a qualsiasi situazione determinata da chi opera esclusivamente, e del tutto liberamente, per il profitto?
Dunque, anche se i dubbi circa il merito del referendum sono diffusi, penso che non possano prevalere sui caratteri dell’iniziativa che ho appena ricordato (primo, atto costruttivo, per l’estensione dei diritti, secondo, atto capace di mettere un alt alla tendenza). D’altro lato, va sottolineato - a fronte delle obiezioni - che l’iniziativa referendaria propone una questione di principio. Si tratta di un diritto fondamentale oppure no? Se si, come in tanti anche fra i perplessi dicono, allora perché limitarlo alle aziende con più di 15 dipendenti nelle quali opera poco più di un terzo del lavoro subordinato?
Certo, l'affermazione di questo principio non riguarda il problema delle 2.800.000 persone, davvero tante, che hanno già oggi un lavoro limitato nel tempo. Ma questa può essere un'obiezione significativa rispetto alle esigenze di tutela di quell'altro settore del lavoro dipendente a cui ho fatto riferimento?
3. Quanto poi ai dubbi circa il possibile esito della consultazione, credo che potrebbero davvero ridursi se solo si riflettesse un attimo sul fatto che dopo il successo elettorale della destra, quando avvilimento e rassegnazione erano diffusissimi, ben difficilmente erano prevedibili la misura straordinaria, e le convergenze, delle diverse mobilitazioni di questi ultimi mesi, diverse e dettate da molteplici ragioni, ma che avevano in definitiva in comune la tutela dei diritti fondamentali. Dunque il "si" può avere successo. Il problema, a me pare, è essenzialmente quello del conseguimento del quorum, per cui è necessario attivarsi subito per una diffusa sensibilizzazione al fine di togliere efficacia al silenzio delle televisioni.
4. Vi è poi un'altra obiezione che circola, quella della divisione che il referendum determinerebbe o avrebbe già causato fra le forze di sinistra. Io faccio solo due considerazioni sul punto.
Intanto: quali sono le ragioni insuperabili di una simile divisione? Una riflessione razionale dovrebbe indurre facilmente al loro superamento, se le cose stanno come si è detto. Insomma, chi si divide, e da chi, e per che cosa?
Ma poi, anche questa ennesima questione ripropone l'interrogativo concernente l'individuazione di quanto c'è oggi di sinistra nel nostro paese. Ho già ripetutamente espresso le mie convinzioni in proposito e quindi non sta ad annoiare chi mi legge. Certo, ogni battaglia per la difesa e l’estensione dei diritti avrà sempre bisogno dell’impegno forte del centro democratico, cioè di tutto l’Ulivo: questo è il problema, per la cui soluzione occorre lavorare, che però è ben diverso dalle temute divisioni in quanto c’è realmente di sinistra oggi nel paese, divisioni che io non vedo. Comunque l’obiezione, se poteva avere un valore prima, oggi, con l’iniziativa in campo, appare superata.
La scadenza elettorale si avvicina. Per il successo è necessario l’impegno di tutte le forze democratiche.
Giovanni Palombarini
Febbraio 2003
Omissisa
cura di magistratura democratica romana
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