Bandiere della pace
Facendo seguito all'articolo dal
titolo "Esporre la bandiera della pace non è reato" dell'avv. Nicola
Canestrini (Omissis, febbraio 2003), pubblichiamo la richiesta di archiviazione
del sost.proc. di Pesaro Stefano Celli in un procedimento penale attivato
a seguito di una denuncia dei Carabinieri per l'esposizione di bandiere della
pace in edifici comunali.
PROCURA DELLA REPUBBLICA
presso il Tribunale di Pesaro
RICHIESTA DI ARCHIVIAZIONE
Al Giudice per le indagini preliminari
S E D E
Il Procuratore della Repubblica
Letti gli atti del procedimento penale
a carico di:
SORBINI SANDRO e PRITELLI DOMENICO
persone sottoposte ad indagini preliminari
in ordine alla seguente imputazione:
delitti di cui agli articoli 292 e 323
c.p.,
Commessi in Gradara e Gabicce Mare,
22 febbraio 2003
Osserva
- in data 22 febbraio 2003, intorno alle ore 10, militari
appartenenti all'Arma dei Carabinieri in forza alla Stazione di Gabicce
Mare verificarono che sul pennone antistante la sede del Comune di Gradara
era issata una bandiera multicolore con la scritta "PACE";
- alle ore 11,40 del medesimo giorno gli stessi militari,
ripassando sul luogo, constatarono l'assenza della bandiera dal pennone
e la presenza della stessa (o identica) bandiera a una finestra dello stabile
sede del Comune;
- analogo accertamento presso il Comune di Gabicce
Mare permise di accertare che, oltre al tricolore e alla bandiera dell'Unione
Europea (deve ritenersi issate a due pennoni), erano esposte due bandiere
multicolore con la scritta "PACE", fissate alla ringhiera del balcone;
- di conseguenza il Comandante della Stazione ha redatto
comunicazione notizia di reato a carico dei Sindaci dei due comuni, per
il delitto di cui all'articolo 323 c.p., facendo riferimento a un telefax
diramato dal Prefetto di Pesaro e Urbino il quale, a sua volta, nell'esercizio
del potere di vigilanza (verosimilmente ai sensi dell'articolo 10.2 dpr
121/2000) circa l'esposizione del tricolore e degli altri vessilli, riportava
"il contenuto della lettera 11.2.2003 … indirizzata dal Segretario Generale
della Presidenza del Consiglio dei Ministri …";
- in sintesi tale messaggio, o meglio la lettera del
Segretario Generale, rappresentava sia il divieto di esporre simboli privati
(e bandiere straniere), sia le conseguenze di detta esposizione e cioè
la violazione degli articoli 292 e 323 c.p.;
- appare dunque opportuno, essendo sostanzialmente
pacifici i fatti, in quanto constatati dai militari dell'Arma, valutare
la condotta ascritta ai sindaci di Gradara e Gabicce Mare; non sfugge a
questo ufficio che potrebbero essere necessari alcuni approfondimenti "in
fatto": ad esempio se il pennone di cui al punto 1. sia di pertinenza del
Municipio di Gradara; se i vessilli italiano ed europeo esposti nel comune
di Gabicce Mare fossero issati su un pennone; accertare chi, materialmente,
e da quando, avesse esposto i vessilli multicolore, poiché ovviamente
tali circostanze possono avere rilievo nella concreta attribuzione di responsabilità;
tuttavia, proprio per le considerazioni che ci si appresta a svolgere tali
accertamenti perdono rilevanza, qualora codesto Giudice condivida l'interpretazione
che si sta per esporre;
- occorre verificare, anche se non espressamente menzionata
nella comunicazione notizia di reato 48/3 del 23 febbraio 2003, anche l'illecito
di cui all'articolo 292 c.p.;
- trattandosi di norma che intende proteggere il prestigio
e l'onore dello Stato, vilipende la bandiera chi, appunto, tiene una condotta
che mostra di considerare vile tale simbolo; è noto che gli sviluppi
della dottrina sul punto hanno condotto a escludere rilevanza penale a tutte
quelle condotte che pur oggettivamente mostravano disprezzo per la bandiera,
senza però trascendere in atti concreti, materiali, ma limitandosi
a esprimere il pensiero; ciò soprattutto in virtù della riconoscimento
del rango costituzionale per tale diritto; si è cioè affermato
ripetutamente che, per integrare il delitto in questione, sarebbe necessario
almeno una condotta materiale, come ad esempio lacerare la bandiera, o altre
condotte analoghe;
- ebbene, anche prescindendo da tali acquisizioni,
sembra che in nessuno dei due casi si possa pervenire a qualificare come
penalmente rilevante la condotta segnalata nella comunicazione dell'Arma;
- nel caso di Gradara, è stata issata a un pennone,
verosimilmente il pennone pertinente il Municipio, una bandiera multicolore
con la scritta PACE, senza che fosse presente altra bandiera, né
prima né dopo; dunque non pare possibile ipotizzare alcuna condotta
di vilipendio, posto che chiunque abbia issato tale bandiera da un lato
si è limitato a manifestare il pensiero, dall'altro non ha posto
in essere alcuna condotta che diminuisse il prestigio del tricolore; e infatti
non risulta, neppure per ipotesi, che la bandiera multicolore sia stata
issata al posto del tricolore, così obiettivamente declassandolo;
ed è evidente che, in difetto di tale condotta, la semplice esposizione
di una bandiera che non sia essa stessa oggettivamente offensiva per quella
nazionale (sul punto si ritornerà tra poco), non può certo
considerarsi condotta di vilipendio;
- nel caso di Gabicce Mare, invece si tratta dell'esposizione
contemporanea del tricolore, del vessillo europeo, e di due bandiere multicolore,
peraltro in posizione, a quanto si comprende, di minor rilievo; infatti
mentre le bandiere "ufficiali" erano esposte ai pennoni (la stessa legge
22/1998 e il dpr 121/2000 disciplinano il numero, il posto che debbono occupare
le bandiere a seconda delle occasioni), le due bandiere della pace erano
appese alla ringhiera del balcone, in posizione obiettivamente deteriore;
anche in questo caso non sembra che tale condotta possa considerarsi oggettivamente
di disprezzo, o anche solo di scarsa considerazione del tricolore, che mantiene
il posto d'onore, assieme alla bandiera europea;
- è appena il caso di precisare che anche l'esposizione
di una bandiera della "PACE" non può essere in sé considerata
offensiva per il tricolore o per il vessillo europeo; è circostanza
ascrivibile alla sfera del notorio, e può essere apprezzata, comunque,
anche da un osservatore non a conoscenza delle cronache nazionali, che tali
bandiere, comparse già ai tempi del conflitto nella ex Yugoslavia,
e fatte poi proprie da molti movimenti (non necessariamente autodefinitisi
"pacifisti"), null'altro vogliono sostenere se non, appunto, la PACE; il
campo multicolore, infatti, non ha un particolare significato, se non il
richiamo alla pluralità (di culture, di popoli, di nazioni, di sensibilità),
mentre la scritta "PACE" che lo sovrasta, non necessita, evidentemente,
di alcuna spiegazione ulteriore; la bandiera in questione, come ogni altra
bandiera, è essenzialmente un simbolo, che veicola valori ritenuti,
per chi la espone, fondamentali, tanto da essere proclamati pubblicamente;
e se si pone mente al fatto che "L'Italia ripudia la guerra … come mezzo
di risoluzione delle controversie internazionali" (articolo 11 della Carta
costituzionale), appare chiaro che la proclamazione di tale valore non può
certo essere interpretata come sintomo di disprezzo per la bandiera italiana;
- certo ogni condotta deve essere storicizzata, e non
può dirsi in errore chi legga nella condotta di chi espone la bandiera
un segnale di dissenso rispetto alle scelte del Governo; è un'interpretazione
legittima, anche se non obbligata, ma rientra, appunto, nel campo della
manifestazione dell'opinione politica che, fino a quando non travalichi
i limiti di una corretta critica, non può formare oggetto di valutazione
penale, meno che mai integrare il delitto di vilipendio;
- venendo ora all'altra condotta, direttamente ipotizzata
anche dai militari denuncianti, vale a dire l'abuso d'ufficio, si osserva
in primo luogo che, per integrare l'elemento oggettivo di tale delitto sono
necessarie:
- una violazione di norme di legge o di regolamento,
ovvero una violazione del dovere di astensione;
- una condotta che procuri un ingiusto vantaggio patrimoniale;
- una condotta che arrechi un danno ingiusto;
essendo le due ultime condizioni
sufficienti anche se ricorrenti da sole;
- pare a questo ufficio che possa escludersi sicuramente
la presenza di un ingiusto vantaggio patrimoniale, non essendo davvero ipotizzabile
lo stesso neppure in astratto, poiché è evidente che chi ha
esposto la bandiera non riceve alcun beneficio patrimoniale, tanto meno
ingiusto;
- parimenti da escludere sembra la sussistenza di un
danno ingiusto; nessuno lo ha lamentato e lo stesso non può certo
risultare dalla sola violazione di legge (su cui ci si soffermerà
tra poco); diversamente opinando, qualunque violazione di norme, anche non
particolarmente pregnanti, costituirebbe abuso d'ufficio, il che comporterebbe
responsabilità penale per quasi ogni atto adottato dalla pubblica
amministrazione e giudicato poi illegittimo in sede di ricorso gerarchico
o giurisdizionale;
- né può affermarsi che vi sia danno
ingiusto laddove venga mossa una critica (ammesso che l'esposizione della
bandiera possa essere così interpretata, il che pare difficile, atteso
che l'esposizione intende proporre e sostenere un valore, piuttosto che
negarne altri) a chi sostiene opinioni diverse da quelle implicitamente
rappresentate nella bandiera; si tratta, appunto, di espressione di opinioni,
condotta che non può mai, lo si ripete, travalicare di per sé
la soglia del penalmente lecito;
- vi è poi un'ulteriore considerazione, assorbente,
che riguarda proprio la violazione di legge; vengono in considerazione l'articolo
2 della legge 22 del 5 febbraio 1998, nonché gli articoli 4, 8 e
12 del regolamento di attuazione, emanato con dpr 121 del 7 aprile 2000
(sia la legge che il regolamento non contengono alcuna norma sanzionatoria);
l'articolo 2 della legge, nello stabilire modi e tempi dell'esposizione
del tricolore e della bandiera dell'Unione all'esterno degli edifici sede
di organismi di diritto pubblico, include fra questi (comma 1 lettera c)
i consigli regionali, provinciali, comunali; e il comma 3 dello stesso articolo
conferisce (al regolamento e) alle regioni potestà normativa
integrativa "in merito alle modalità di uso ed esposizione della
bandiera della Repubblica italiana e di quella dell'Unione europea nonché
di gonfaloni, stemmi e vessilli, anche con riferimento ad organismi
di diritto pubblico non ricompresi nell'elenco di cui al comma 1 del presente
articolo";
- già tale disposizione, che allude chiaramente
alla possibilità per le regioni di regolare l'esposizione di "stemmi
e vessilli" sembra smentire l'interpretazione contenuta nella nota del Segretario
Generale della Presidenza del Consiglio dei Ministri, richiamata dal Prefetto
e allegata alla comunicazione notizia di reato; e infatti, pur in assenza
di tali disposizioni integrative, sembra incontestabile che l'esposizione
aggiuntiva di "stemmi e vessilli" agli edifici sede di consigli comunali
(confronta articolo 2.1.c della legge), pur dovendo essere regolamentata,
non possa essere considerata di per sé illecita, a meno che non sia
il vessillo che, intrinsecamente, offende il tricolore; il divieto esiste,
ma solo (articolo 8 del regolamento) per le bandiere di Stati esteri; sicché
anche sotto questo profilo si conferma l'insussistenza del divieto, poiché
ove il legislatore, sia pure secondario, ha inteso vietare l'esposizione
di certi vessilli lo ha fatto espressamente;
- ulteriore conferma della "riserva" di regolamento,
riconosciuta in materia di esposizione di bandiere da parte degli enti locali,
si ha nell'articolo 4.2 del regolamento, che omette di occuparsi dei "tempi
di esposizione" delle bandiere negli edifici sede di consigli regionali,
provinciali e comunali; questa, ai sensi dell'articolo 12 del regolamento,
è oggetto dell'autonomia normativa e regolamentare delle rispettive
amministrazioni, salva la priorità della bandiera nazionale e la
sua obbligatoria esposizione laddove sia esposto il vessillo o gonfalone
propri dell'ente;
- in nessuno dei casi portati all'attenzione dell'ufficio,
tuttavia, pare ricorra violazione di questa norma, sicché deve concludersi
che, fermo il giudizio sull'insussistenza di un danno ingiusto o di un ingiusto
vantaggio patrimoniale, neppure vi è violazione di legge e deve escludersi
la ricorrenza del delitto di cui all'articolo 323 c.p.;
- di qui l'irrilevanza di ogni altra indagine e la
richiesta a codesto ufficio
PQM
Visto l'articolo 409 c.p.p. chiede l'archiviazione
del procedimento per insussistenza dei delitti ascritti agli indagati, e la
conseguente restituzione degli atti al proprio Ufficio.
Pesaro, 22 marzo 2003
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Il Procuratore della Repubblica
Stefano Celli - sost.
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