Il rinnegato

di Gianfranco Viglietta

Tutti lo avevano sempre ammirato per la sua intelligenza vivace e il suo innato carisma. Magari era un po’ estremista, e alcuni dirigenti dicevano che i suoi slogan erano demagogici e velleitari. Anche i compagni più vecchi lo accusavano di populismo e infantilismo estremista, ma aveva avuto sempre buon gioco ad infiammare i giovani, che si sentivano ingabbiati in strutture sempre più sclerotizzate, erano insofferenti alla prudenza dei quadri e alla continua tendenza al compromesso. Comunque era audace e deciso, un agitatore instancabile, proponeva continuamente occupazioni, manifestazioni di protesta, contestava la giustizia borghese, l’ economia monetarista, il modello di sviluppo, la cautela e la timidezza del sindacato. Insomma, un autentico leader movimentista. Le studentesse lo adoravano: erano gli anni del ciclostile, dei bivacchi nelle aule occupate, delle collette per i compagni arrestati, del divorzio e dell’ aborto.

Vennero gli anni della crisi: il salario non era più una variabile indipendente del prezzo. Il terrorismo spazzò via i cortei e le occupazioni, e con loro i gruppi extraparlamentari. Il partito perdeva consensi. Per un po’ resistette, cercò di tenere le posizioni, si dedicò alle agitazioni ambientaliste. Ma la nuova generazione non rispettava i leaders, non li riconosceva. Nè era uomo da battaglie di retroguardia, di arretramenti e ricerca di alleanze.

Era così grigia la vita del partito. Le prospettive di un successo praticamente inesistenti.Le tensioni del passato, le riserve su di lui non erano scomparse. La sua compagna era delusa: " con tutto quello che hai fatto per il partito, che ne hai ricavato?"

Pensava spesso a quelli come lui, al loro destino. Alcuni erano finiti nel partito armato, in galera o in esilio. Per loro aveva rispetto, continuava a nutrire un’ inconfessabile solidarietà. Anche loro erano stati dei leaders, avevano reagito all’ inerzia burocratica del partito, avevano agito e coinvolto altri in un progetto. Lui non si era esposto tanto, aveva capito che quella strada era perdente. Ma la piatta opacità di un’opposizione incerta e senza sbocchi lo angosciava molto di più. Non sopportava neppure quelli che a cinquant’anni giocavano a ricreare il movimento 77, a spingere giovani sprovveduti a scontrarsi con la polizia.

Quando incontrava i compagni, gli sembrava di cogliere nei loro sguardi un misto di rivincita e di muto rimprovero. Non riusciva più a sentirsi coinvolto. Gli sembrava assurdo che ancora ci fossero i volontari della festa dell’Unità, gli stessi che avevano, anni addietro, venduto l’autentica vodka sovietica, le magliette di Che Guevara...Pronti a credere ciecamente, a seguire tutte le giravolte del partito, nati per la esaltante missione dei gregari. Solo il loro gusto plebeo restava immutabile, nella sinistra, e la banalità dei ristoranti popolari, l’odore di fritto, l’applauso al segretario di turno.

Per la politica aveva trascurato tutto. Si era laureato, faceva formalmente l’avvocato. Ma si era limitato ai processi politici dei compagni arrestati, e poco altro. I compagni d’università, alla sua età, con la professione si erano arricchiti. Alcuni compagni della sinistra socialista stavano emergendo dall’ombra: criticavano il dogmatismo e l’opportunismo del PCI, la sua incapacità di comprendere una società profondamente cambiata. Scrivevano sui giornali, apparivano in televisione, spiegavano che le semplificazioni leniniste erano ormai senza significato. Avevano molte buone ragioni, e il coraggio di rivendicarle. Certo una volta aveva occupato la redazione del "Manifesto" perchè la linea del giornale era troppo moderata, ma erano tempi in cui la cultura politica del partito ufficialmente era rivoluzionaria e marxista-leninista mentre la linea politica era la ricerca del compromesso con i partiti borghesi: tra questi due poli bisognava collocarsi. Ma oggi...che senso ha un partito operaio in una società terziarizzata? Si può ancora tollerare un movimento sindacale di burocrati che gestisce un potere attribuito dalla legge?

Il dibattito che si andava svolgendo rivitalizzò le sue doti di polemista. All’inizio aveva delle perplessità, ma era convinto da tempo che la pratica dell’autocritica era un retaggio stalinista, e solo gli imbecilli non riescono a vedere i cambiamenti nella società. Fu solo attento a non sbilanciarsi sulle prospettive, che dovevano ancora essere costruite. Non cercava il successo economico, ma solo un maggior respiro che gli consentisse di impiegare la sua intelligenza al di là degli steccati. Eppure anche nella professione molte cose cambiarono: era stimolante cimentarsi con i problemi del diritto d’impresa, le intricate questioni di finanza e bilanci. Per anni si era occupato di compagni arrestati per resistenza, di operai rompiscatole licenziati da imprenditori esasperati.

Non sopportava più i vecchi compagni che lo fermavano per strada, o gli scrivevano contestandogli gli attacchi al partito, le posizioni contro il sindacato, la dura requisitoria contro la scala mobile. "Ma come, proprio tu che dicevi..." Era gente persa alla politica, si stupiva di aver dissipato tanto tempo con le loro banalità. Anche suo padre, con la retorica della resistenza e le sue imprese da partigiano! Sono passati cinquant’anni, e ancora parla come se avessimo i Tedeschi in casa.

La caduta del muro e del sistema sovietico fu per lui una liberazione, e per gli ex compagni una tragedia. Del resto aveva sempre criticato i regimi comunisti (anche se da sinistra), e questi imbecilli si erano fatti cogliere impreparati fino all’ultimo. Scrisse un veemente articolo: "Gli ultimi bolscevichi piangono ancora la morte di Stalin". Era il polemista del momento. Gli fu affidato uno spazio in TV sui crimini e le doppiezze di Togliatti.

Cambiò frequentazioni, ma la sua vita divenne di nuovo convulsa: dibattiti, tavole rotonde, articoli sui giornali. Frequentava gente brillante. Sentiva che era necessario conoscere le persone che contano, nell’economia e nella finanza. Cosa mai si poteva capire di politica, se non si aveva una conoscenza reale di tutto ciò che, nel bene e nel male, tiene in piedi un paese?

Era in buona compagnia: le intelligenze migliori della sinistra di un tempo, fossero stati leninisti o trotskisti, di Lotta continua o di Potere Operaio, avevano intrapreso lo stesso percorso.

Una sera in Piazza Esedra rivide Anna. Nel 78, alla manifestazione per l’aborto, aveva 17 anni. L’aveva frequentata, aveva avuto una storia con lei. Poi l’aveva persa di vista, inghiottita nel silenzio degli anni 80.

-Sei diventata più affascinante, ormai sei una vera donna.- Lei non aveva un’aria benevola, ma si sentiva inquieta. La invitò a cena.

-Non frequentiamo gli stessi locali, e non sono vestita in modo adeguato. Potrebbero vederci, non vorrei farti fare una cattiva figura.

Lui scherzò, la prese in giro, le fece dei complimenti, ammorbidì la sua ostilità. Dopo tutto era ancora un uomo affascinante. A cena, volle spiegarle: nelle sue scelte c’era sempre stata una coerenza di fondo. Non aveva sofferto anche lei dei falsi dibattiti, delle discussioni e delle votazioni manipolate? E quel partito che si era dichiarato rivoluzionario per decenni, non aveva sempre cercato il consenso della borghesia, degli industriali, non era forse approdato all’economia di mercato? Il resto non era forse ipocrisia, populismo, demagogia? Le così dette masse non erano in grado di capire o non volevano capire. Del resto, neppure esistevano, nelle società dei mille mestieri e dei cento status diversi.

Anna lo guardò a lungo perplessa, poi disse: "Hai ragione, è tutto vero, solo che tu sei un infame. Sono stata innamorata di te. Abbiamo fatto l’amore, quando tu non avevi nulla da organizzare. Me ne vergogno. Ho sofferto molto per quello che hai ricordato, per gli opportunismi dei burocrati del partito."

-Ma tu non mi ascolti. Del resto non hai mai ascoltato le donne...Per te erano pubblico, capaci di lavori manuali, o coreografia...(in realtà ascoltava, ma la sua mente divagava. Ricordava che Anna aveva una voglia sotto il seno sinistro)

- Ma io però ho sofferto. Ho pianto quando ogni speranza di cambiamento sembrava finita...

La guardava stupito, ma non riusciva a distogliere gli occhi dalle sue labbra. Riconobbe una piega sul collo, riconobbe quel buffo agitare le mani mentre parlava.

-Ho pianto anche quando ti sei sposato...Una donna di sinistra, della borghesia intellettuale, che andava dal parrucchiere o dall’estetista prima delle manifestazioni o dei dibattiti. Caso mai fosse passato Trotskj non poteva mica farsi vedere in disordine. Ma è il tuo disprezzo per la gente che mi disgusta. Io mi trovo bene tra i compagni che vendono salsicce alla festa dell’Unità. L’ho fatto anch’io. Hanno il disperato bisogno di fare qualcosa, di sperare che serva. Potevi diventare un burocrate di partito, o un moderato, o stare in silenzio a pensare. Magari convertirti, farti buddista. Ma chi è stato comunista non dovrebbe mai arrivare a disprezzare i disgraziati, ha scelto la causa dei diseredati perchè aveva qualcosa di generoso dentro. Invece ti sei schierato con l’avversario. Ma hai ragione, sei coerente: con il tuo narcisismo, quando dovevi essere il leader che decide, il vero rivoluzionario. Pensavo che tu fossi un rinnegato. Invece sei un debole fatuo, che non riesce a sopportare la mediocrità della vita..."

La notte sognò Anna. Gli sembrava bellissima nella sua ira. Si svegliò, sospirò, pianse.

Il mattino fece colazione sul suo terrazzo. La colf filippina gli portò i giornali. Il panorama su Villa Borghese gli comunicava un senso di pienezza, come le brioches.

Aprì il suo computer portatile.

File. Microsoft Word. Salva con nome. Immigrazione e populismo.

Le ipocrisie della sinistra stanno creando forti pericoli di razzismo. La protesta crescente dei cittadini per i problemi dell’ordine pubblico non può essere ignorata. E’ impossibile trascinarsi ancora dietro ideologie terzomondiste ed un egualitarismo astratto...

La filippina, silenziosa, tolse la tavola, scopò accuratamente le briciole...

 

 

 

 

 

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