Pianisti

di Giovanni Palombarini

La vicenda dei cosiddetti "pianisti" (cioè dei senatori che nel corso dell’approvazione della legge Cirami hanno votato oltre che per sé, anche per qualcun altro) ha suscitato un diffuso sconcerto, anche perché quasi tutti coloro che sono apparsi sulle fotografie esibite dal senatore Bordon hanno a muso duro rivendicato la correttezza del proprio comportamento. A Marco Follini, segretario dell’Udc, componente della maggioranza di governo, che ha detto dei pianisti "se non chiedono scusa, lo faccio io per loro", un senatore del suo partito ha aspramente risposto accusandolo di giustizialismo; e il senatore D’Onofrio (lo stesso che in luglio, in occasione di una delle varie approvazioni della legge Cirami da parte del Senato, gridò trionfalmente ai parlamentari dell’opposizione "vi abbiamo lasciato in mutande"), ha parlato di un grave episodio di moralismo antiparlamentare. Insomma, alla fine, a sentire i protagonisti della vicenda, a chiedere scusa dovrebbero essere coloro che hanno denunciato una prassi davvero discutibile.

L’episodio, peraltro, induce a riflessioni ulteriori. Il fatto è che, in questo anno e mezzo di legislatura, è andato progressivamente accentuandosi un cambiamento del ruolo del Parlamento che non può non preoccupare coloro che sono attenti alla divisione dei poteri e agli equilibri istituzionali.

Nessun reale dibattito pubblico sembra attraversare la maggioranza parlamentare, che ogni volta, quale che sia l’argomento in discussione, si presenta compatta al voto senza che vengano mai espressi dissensi o perplessità. Eppure si tratta di una maggioranza numericamente fortissima, che ben potrebbe tollerare, almeno in qualche occasione, individuali prese di posizione o astensioni, se non voti contrari. Eppure alcuni dei parlamentari che la compongono hanno alle spalle rilevanti esperienze amministrative e politiche, o sono portatori di non trascurabili competenze specifiche. Il Parlamento non sembra più capace di autonome scelte. Neppure il messaggio del presidente Ciampi sull’informazione è sembrato capace di stimolarne le potenzialità critiche e di intervento. Insomma, a seguire le cronache, chi interviene lo fa per illustrare e sostenere proposte di origine governativa o per replicare, di regola duramente e non di rado in modo incongruo e stravagante, a critiche o emendamenti dell’opposizione.

Qui, più che una questione morale (o moralistica, direbbe il senatore D’Onofrio), va configurandosi una questione costituzionale, come del resto qualche studioso ha già segnalato. Procedono logiche di semplificazione e di centralizzazione che di certo non hanno un segno democratico. Non sono all’ordine del giorno solo i tentativi di ridurre l’autonomia della magistratura o di gestire direttamente tutta l’informazione. Anche per il Parlamento, cioè, procede una tendenza a ridurne gli spazi propri d’intervento in funzione delle scelte dell’esecutivo. Nessuno ovviamente rimpiange i tempi in cui le maggioranze venivano messe in difficoltà da dissensi o ostruzionismi di qualche corrente o sottocorrente di partito o da improvvise alleanze trasversali, un fatto che ha inciso non poco sul discredito che ha investito il Parlamento negli ultimi tempi della prima Repubblica. E però attualmente stanno operando logiche di vero e proprio ingessamento della funzione parlamentare; i disegni di legge, come i "maxiemendamenti" che di colpo ne sostituiscono il contenuto, sono sempre più spesso elaborati in sedi ristrette, esterne alle Camere. I deputati e i senatori della Casa delle libertà vengono chiamati a ratificare, senza tante discussioni e senza alcun spazio autonomo, le scelte compiute dal governo, rispetto alle quali ciascuno di loro non è in grado di dire alcunché. Insomma, sembra diventare sempre meno vero che ogni membro del Parlamento rappresenta la Nazione ed esercita le sue funzioni senza vincolo di mandato, come recita l’articolo 67 della Costituzione; e sembra diventare sempre più fragile il principio della divisione dei poteri. In questo contesto, non suscita troppa sorpresa neppure l’accanita difesa dei "pianisti" operata da alcuni settori della maggioranza.

Roma, 11.11.2002

 

 

 

 

 

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