La sentenza di assoluzione di D'Avanzo e Mauro dal reato di diffamazione a Previti

Pubblichiamo la sentenza di assoluzione del direttore di "Repubblica" Ezio Mauro e del giornalista Giuseppe D'Avanzo dai reati di diffamazione a mezzo stampa ed omesso controllo in danno di Cesare Previti, costituitosi parte civile, contestati in relazione ad una serie di servizi che D'Avanzo dedicò all'inchiesta IMI-SIR e a quelle sul caso "Squillante" ed in generale sui rapporti tra mondo politico e determinati ambienti giudiziari romani. La sentenza è interessante, oltre che per la notorietà dei fatti di cui si occupa, anche per le argomentazioni giuridiche svolte in ordine ai limiti del diritto di cronaca giudiziaria, in contrasto con quegli orientamenti giurisprudenziali che ritengono precluso al giornalista (anche di fronte ad indagini complesse e di rilevantissimo peso politico-istituzionale) di andare oltre l'asettica descrizione dei dati giudiziari in suo possesso, di fornire al lettore la sua personale valutazione degli stessi e di tentare una possibile ricostruzione critica del loro significato e valore, formulando ragionate ipotesi sui possibili esiti e sui possibili sviluppi delle indagini e dei giudizi.

TRIBUNALE ORDINARIO DI ROMA

Settima Sezione Penale Dibattimentale

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

IL TRIBUNALE ORDINARIO DI ROMA, in composizione monocratica, in persona del Giudice Valerio SAVIO,

alla pubblica udienza del 6.6.2002 ha deliberato la seguente

 

SENTENZA

PUBBLICANDOLA MEDIANTE LETTURA DEL DISPOSITIVO , IN ORDINE ALL’IMPUTAZIONE FORMULATA DAL PUBBLICO MINISTERO NEI CONFRONTI DEL SEGUENTE

 

IMPUTATI

1) D’AVANZO Giuseppe , nato a NAPOLI 10.12.1953

libero assente

2) MAURO Ezio, nato a Dronero (CN) 24.10.1948

libero contumace

 

P A R T E C I V I L E

PREVITI Cesare , nato a Reggio Calabria 21.10.1934, Senatore della Repubblica, rappresentato e difeso dall'Avv. Angelo Alessandro SAMMARCO, con studio in ROMA via della Conciliazione 44

IMPUTAZIONE

A) D’AVANZO Giuseppe, delitto di cui agli artt. 81 , 595 c.p., 13 e 21 l. 47 / 1948 perché con più azioni esecutive nel medesimo disegno criminoso redigeva e pubblicava sul quotidiano "La Repubblica", nei giorni appresso indicati, più articoli qui da intendersi integralmente riportati, con i quali offendeva la reputazione, anche mediante l’attribuzione di fatto determinato, di Cesare PREVITI, affermando tra l’altro:

A1 , articolo del 5.6.1997 dal titolo "Sotto tiro la superlobby trema la Roma che conta": "…I mediatori d’affari (o di corruzione) sono sistemati nel bel mezzo tra la macchina giudiziaria ed il sistema del potere politico economico e finanziario. Sono banchieri e gestori di patrimoni come Perfrancesco PACINI BATTAGLIA. Commercialistoi e tributaristi come Giovanni ACAMPORA e Sergio MELPIGNANO, con un passato nella Guardia di Finanza. Avvocati come Attilio PACIFICO e Cesare PREVITI. Gestiscono le provviste in nero realizzate all’uopo per la corruzione. MELPIGNANO si occupa di pagare SAVIA e di gestire per suo conto una società paravento. PACINI distribuisce ogni giorno denaro a manager pubblici (Lorenzo NECCI, Pio PIOGRINI) e magistrati. PREVITI, alla fine dell’affare IMI—SIR, intasca per sé 18 milioni di franchi svizzeri e Attilio PACIFICO e Giovanni ACAMPORA rispettivamente 33 e 12 miliardi di lire che a loro volta distribuiscono (si legge negli atti) "a magistrati in servizio in Uffici del Distretto della Corte di Appello , a pubblici ufficiali svolgenti una pubblica funzione giudiziaria". A questo proposito è molto suggestiva (e , come si dice, ‘indiziante’) l’analisi delle telefonate che intercorrono tra i protagonisti dell’affare IMI—SIR. Ad ogni passaggio giudiziario (sparizione della procura speciale dell’IMI, questione di legittimità in Corte di Cassazione, giudizio del GIP), si intrecciano con Felice ROVELLI (SIR) presente a ROMA una rete di contatti. In un pugno di giorni del marzo 1992, ad esempio, PREVITI chiama SQUILLANTE due volte, ROVELLI chiama PREVITI tre volte e SQUILLANTE in quattro occasioni e Attilio PACIFICO in cinque…";

A2, articolo del 10.7.1997 dal titolo "La guerra infinita, vogliono logorarmi": "…Nel mirino della terribile Ilda c’è Cesare PREVITI. Lo si sa, da quando dalla Svizzera sono arrivati i documenti bancari che riguardano il generale di ferro, il duro dell’esercito del Cavaliere. Se ne poteva stare BERLUSCONI con le mani in mano in attesa che il pool infliggesse l’ultima spallata al suo partito? Per niente. E dinanzi ad un’aula di TRIBUNALE, mentre l’ingegnere Antonio D’ADAMO lo ricusa come Difensore, l’avvocato Giuseppe LUCIBELLO si lascia andare ad una fosca previsione: ‘sento una gran puzza di bruciato’. Si morde il labbro per non dire di più. Poi ci ripensa. ‘Qualcosa succederà presto, non sarà nulla di buono’. Che cosa? Quando? ‘ Non lo so, è una sensazione…’;

A3 , articolo dell’11.7.1997 dal titolo "PREVITI scrive a BORRELLI ": "…Lei, ancora lei, sempre lei: Bete noire, la Ilda BOCCASSINI. Uffa! Cesare PREVITI, l’avvocato di ferro di Silvio BERLUSCONI , il corrusco Cesarone dai modi da centurione romano che non ama la diplomazia (anche se Senatore), disprezza la scherma (anche se Ministro), ed ama la zuffa (anche se consigliere del Cavaliere) , ne ha fin sopra i capelli. Non ne può più, l’avvocato, di essere assediato dagli investigatori ed accerchiato dalle rogatorie internazionali . La Ilda non si accontenta di aver messo le mani su un bel gruzzolo (18 milioni di franchi, ovvero 21 miliardi 19 milioni 140 mila lire) incassato dall’avvocato il 21 marzo del 1994 in cambio dei buoni servigi offerti alla famiglia ROVELLI per aggiustare la sentenza – ecco l’accusa della Ilda – che risarciva gli eredi di Felice ROVELLI di 680 miliardi. Poteva accontentarsi, no? il pubblico ministero in tailleur: invece, cerca ancora. E trova. Come a Lugano, quel 27 maggio . e con uno scatto d’ira o di preoccupazione, l’avvocato ha chiesto ufficialmente al Procuratore Francesco Saverio BORRELLI di levargli di torno quel magistrato…";

A4 , articolo del 25.7.1997 dal titolo : "Il Banchiere usava il nome di Tonino": "…Il loquace CHICCHI --- come se non bastassero i suoi guai – dovrà ora spiegare quali fossero (o sono) i suoi rapporti con Cesare PREVITI. Soltanto amichevoli, o anche d’affari ?E quali affari ?. Perché, ad esempio, il CHICCI concesse all’avvocato del Biscione, già ministro di BERLUSCONI ora deputato di Forza Italia, l’uso di due telefoni cellulari? Perché in vernacolo il PACINI poteva permettersi di trattare come un cane bastonato Renato SQUILLANTE, primo dei Giudici per le indagini preliminari di ROMA, influente tessitore delle trame giudiziarie del Palazzaccio?…";

B) MAURO Ezio, delitto di cui all’art. 57 , 595 c.p., 13 e 21 l. 47 / 1948, perché nella qualità di Direttore Responsabile del quotidiano "LA REPUBBLICA" ometteva il controllo necessario ad impedire che con la redazione e pubblicazione degli articoli di cui al capo A) che precede si offendesse la reputazione, anche mediante l’attribuzione di fatto determinato, di Cesare PREVITI.

 

CONCLUSIONI delle PARTI

per il Pubblico Ministero: condannarsi D’AVANZO Giuseppe, per il capo A e per gli articoli ivi indicati sub A1, A2, A4, con attenuanti generiche, ad euro 600,00 di multa; condanna di MAURO Ezio , per il capo B ed in relazione agli articoli indicati al capo A sub A1, A2, A4, con attenuanti generiche, ad euro 350,00 di multa; assoluzione degli imputati in relazione all’articolo indicato al capo A sub A3 , "perché il fatto non costituisce reato " per quanto concerne D’AVANZO, "perché il fatto non sussiste" per quanto concerne MAURO;

per la Parte Civile: condanna penale degli imputati, loro condanna al "risarcimento dei danni da liquidarsi in separata sede" ; "…con provvisionale immediatamente esecutiva di euro 25.000…"; con condanna alle spese legali di costituzione, per euro 7381,94 CAP ed IVA inclusa;

per le Difese: assoluzione perché il fatto non costituisce reato, per D’AVANZO e per il capo A, e perché il fatto non sussiste per MAURO e per il capo B; in subordine, ed in relazione all’articolo del 5.6.1997 indicato al capo A sub A1, non doversi procedere per tardività della querela

 

 

MOTIVI DELLA DECISIONE

 

  1. Svolgimento del giudizio

A seguito di decreto che dispone il giudizio emesso dal G.U.P.—TRIBUNALE ORDINARIO ROMA in data 9.3.2000 (con il relativo effetto interruttivo del corso della prescrizione), il dibattimento si incardinava e si svolgeva dinanzi al giudicante con la dichiarazione di utilizzabilità degli atti e dei documenti acquisibili trasmessi dal PM con il fascicolo per il dibattimento nonché di quelli prodotti dalle Parti nel corso del giudizio (copia degli articoli in questione; serie di documenti ed atti giudiziari prodotti dalla Difesa all’udienza del 22.12.2000 , fascicolati e con indice, numerati da 1 a 13), e con l’esame dell’imputato D’AVANZO Giuseppe e della Parte Civile Senatore della Repubblica PREVITI Cesare (d’ora in poi indicati per brevità come "D’AVANZO" e "PREVITI").

"Rilevato come i fatti" siano "inequivocamente narrati" negli articoli di cui in imputazione "come ricavati da atti relativi a procedimenti giudiziari in stato di indagini preliminari", "ritenuto che il giudizio su di una imputazione per diffamazione a mezzo stampa in relazione ad articoli di cronaca giudiziaria abbia per thema probandum la dimostrazione da parte della Pubblica e Privata Accusa della non fedeltà della notizia che si assume diffamatoria al contenuto dei provvedimenti giudiziari e non possa evidentemente trasformarsi in un secondo e parallelo giudizio sui medesimi fatti oggetto dei procedimenti giudiziari narrati" --- v. ordinanza ammissiva delle prove 22.12.2000 qui da intendersi riprodotta – il Tribunale rigettava la richiesta della Parte Civile di ascoltare, sui fatti storici oggetto dei processi raccontati negli articoli incriminati, oltre 1500 persone ("tutti i magistrati appartenenti al Distretto giudiziario della Corte di Appello di ROMA negli anni 1986-1993", e "tutti i cancellieri ed il personale qualificato di cancelleria appartenenti agli Uffici Giudiziari del Distretto della Corte di Appello di Roma negli anni 1986-1993 ", oltre ad altri 127 tra testimoni e persone da escutere ex art. 210 c.p.p.).

Dopo un rinvio dovuto a ragioni di irregolarità delle notifiche, due rinvii dovuti all’assenza dell’unico testimone ammesso (PREVITI), un rinvio dovuto ad impedimento a comparire dell’imputato D’AVANZO, un rinvio chiesto congiuntamente dai Difensori degli imputati per concomitanti impegni professionali, il giudizio veniva infine definito, in assenza dell’imputato D’AVANZO ed in contumacia di MAURO Ezio, all’udienza del 6.6.2002, sulle conclusioni sopra riportate in intestazione.

2. Il contenuto della querela, l’imputazione: i fatti per i quali sussistono – ed i fatti per i quali non sussistono -- le condizioni di procedibilità dell’azione penale e di validità del giudizio.

2.1. La querela, l’imputazione. La delimitazione del capo d’accusa per il quale sussistono le condizioni di procedibilità dell’azione penale e di validità del giudizio ai soli brani dei servizi giornalistici in questione riportati per esteso in querela ed in imputazione.

Deve innanzitutto verificarsi per quali fatti l’azione penale sia procedibile, per esistenza e tempestività di valida querela.

Il Senatore PREVITI – già all’epoca membro del Parlamento, ed ex Ministro della Difesa nel corso del 1994 nel Primo Gabinetto BERLUSCONI – presentava a mezzo di incaricato atto di querela a sottoscrizione autenticata direttamente al P.M. in data 30.9.1997 .

Con tale atto si denunciava come sul quotidiano a diffusione nazionale "La Repubblica" fosse iniziata, a partire dall’articolo di D’AVANZO pubblicato il 5.6.1997 titolato "Sotto tiro la superlobby, trema la Roma che conta" , "una vera e propria campagna di denigrazione" nei suoi confronti , "organizzata attraverso la diffusione di notizie destituite di fondamento ed artatamente manipolate al fine di ottenere una sostanziale falsificazione della realtà". Riportandosi nell’atto i brani dei singoli "pezzi" ritenuti diffamatori poi confluiti ai capi A1, A2, A3, A4 dell’imputazione, si denunciava quindi in sintesi come tale "campagna", ipotizzante a detta del querelante "una associazione per delinquere " con "organizzatori e promotori, magistrati, mediatori d’affari (o di corruzione)", fosse proseguita con gli articoli pubblicati dallo stesso quotidiano in data 10.7.1997, 11.7.1997, 25.7.1997 tutti a firma D’AVANZO e con l’intervista dello stesso D’AVANZO all’Avv. Giuseppe LUCIBELLO pubblicata il 17.7.1997, e fosse "ancora in corso" alla data di presentazione della querela. La dichiarazione di querela riguardava quindi – oltre che "Antonio D’ADAMO nella qualità di intervistato da D’AVANZO nel pezzo del 17.7.1997" (l’indicazione di D’ADAMO Antonio, nominato nell’intervista, appare il frutto di errore materiale, intendendosi con ogni probabilità indicare l’intervistato Avv. Antonio LUCIBELLO) -- Giuseppe D’AVANZO quale autore degli articoli e MAURO Ezio quale Direttore del giornale, rispettivamente per i reati "di diffamazione a mezzo stampa aggravata dall’attribuzione di fatti determinati" per il primo e di "omesso controllo" per il secondo.

Su tale querela – che non procedeva all’individuazione dei "fatti determinati" che con gli articoli sarebbero stati attribuiti – il P.M. con richiesta di rinvio a giudizio 7.9.1998 operava la contestazione riportata in epigrafe, ravvisando negli articoli di D’AVANZO Giuseppe del 5.6.1997, 10.7.1997,11.7.1997, 25.7.1997 – ma non nell’intervista a LUCIBELLO del 17.7.1997, e neanche nella "vignetta-grafico" di corredo all’art. 5.6.1997 (richiamata per inciso in querela, ma non ripresa in imputazione, con ogni probabilità perché ritenuta redazionale e non attribuibile al’imputato) -- gli estremi per procedere nei confronti dello stesso D’AVANZO per il reato continuato di cui "agli artt. 81 cpv, 595 c.p., 13 e 21 l. 47/1948", e nei confronti del Direttore responsabile MAURO Ezio per il "delitto di cui all’art. 57, 595 c.p., 13 e 21 l. 47 / 1948 ".

Rilevandosi negli articoli la sussistenza di "più azioni esecutive di un medesimo disegno criminoso" di offesa della reputazione di PREVITI Cesare "anche mediante l’attribuzione di fatto determinato", l’imputazione riprende quindi la tesi esposta in querela dell’esservi stata una volontaria unica "campagna diffamatoria" da parte del giornalista D’AVANZO (non contestandosi al Direttore il concorso in tale reato continuato bensì unicamente una serie di colposi omessi controlli, l’ipotesi accusatoria esclude peraltro che MAURO Ezio sia stato partecipe della volontà diffamatoria del suo cronista e commentatore politico).

Con tecnica di redazione dell’imputazione tanto diffusa quanto a sommesso avviso del giudicante mai abbastanza criticata, che rinuncia ad ogni impegno di analisi e selezione critica del materiale in osservazione e ad isolare e a descrivere partitamente per sintesi i fatti diffamatori a taluno attribuiti in un articolo – unico modo di assolvere in materia all’obbligo di legge, sanzionato di nullità e di recente sottolineato dal legislatore, di determinare i fatti oggetto dell’imputazione "in forma chiara e precisa" (soprattutto laddove si contesti la diffamazione "anche con attribuzione di fatto determinato") -- il P.M. sceglie invece in imputazione la strada – potenzialmente idonea sul piano oggettivo a danneggiare gli interessi della persona offesa per la possibilità che venga così eccepita la nullità della contestazione -- di non indicare esattamente quali fatti lesivi della reputazione si attribuirebbero negli articoli al diffamato, di dichiarare gli articoli de quibus "integralmente riportati", per poi come si è detto trasportare però pedissequamente in contestazione i brani degli articoli riportati in querela, premettendo infine – rendendo in tal modo i brani riportati meramente esemplificativi ed aggiungendo così ulteriore indeterminatezza al capo d’accusa -- che l’offesa alla reputazione di PREVITI Cesare sarebbe avvenuta per loro tramite "affermando tra l’altro" quanto in essi contenuto, e lasciando intendere quindi come in generale gli interi articoli dai quali gli stessi sono presi sarebbero lesivi della reputazione dell’attuale Parte Civile, o, quantomeno, che l’offesa si sarebbe realizzata anche con "altro" e non solo con i brani riportati per esteso.

Ritiene il giudicante che con una contestazione ed una querela siffatte, nonostante il riferimento agli articoli "da intendersi in imputazione integralmente riportati" , la responsabilità degli imputati debba essere valutata con esclusivo riferimento alla valenza diffamatoria dei soli brani riportati espressamente e per esteso in imputazione, e che utilizzabili a carico possano essere unicamente tali brani e non le parti dei servizi non riprese in querela (dal diretto interessato) e nel capo d’accusa (dal P.M. procedente) (ciò, naturalmente, salva la necessità della lettura di tali parti per meglio comprendere il senso dei brani ripresi in imputazione, e per meglio enucleare i fatti diffamatori attribuiti, e salva quindi la possibilità di utilizzare tali parti a discarico). E ciò, per due ordini di ragioni, ed in attuazione di due fondamentali norme del processo: A) in primo luogo, per rispetto del diritto dell’imputato – scolpito nelle norme che sanzionano di nullità l’imputazione non formulata "in forma e chiara e precisa" – di sapere di che cosa precisamente lo si accusa. Diritto che sarebbe leso da una interpretazione della norma di cui all’art. 429 1° comma lett. c) cpp che legittimasse l’utilizzo della pigra formula "qui da intendersi integralmente riportati" in imputazione riferita agli articoli consentendo per suo tramite di far genericamente rientrare nel thema decidendum qualsivoglia parte del testo in osservazione, qualsivoglia fatto in esso trattato, in tal modo permettendo al P.M. di rinviare a giudizio con accuse poco impegnativamente formulate a schema libero, e di instaurare giudizi caratterizzati da una sorta di formazione progressiva dell’effettivo capo d’accusa, in dibattimento, in base al dipanarsi del contraddittorio delle Parti su questo o quel tema anziché sul tal altro, potremmo dire: per convenzione processuale (e ciò, a prescindersi dal fatto che il richiamo agli "articoli qui da intendersi integralmente riportati" richiederebbe quanto meno, per elementare rispetto dei diritti della Difesa, che i testi richiamati fossero notificati unitamente al decreto che dispone il giudizio appunto quale parte integrante di esso, notifica anche nel caso, come da generale prassi, non avvenuta ); B) in secondo luogo, per effetto della procedibilità a querela del reato per cui si procede, che obbliga a prendere in considerazione (come invero al dunque fatto dal P.M., salvo il fuorviante riferimento agli interi articoli "da ritenersi integralmente riportati") i soli fatti su cui specificamente si è appuntata in querela la richiesta punitiva della persona offesa, e dunque i soli procedibili (ragione quest’ultima per la quale il giudicante non ha ritenuto di rilevare d’ufficio la nullità del decreto che dispone il giudizio per indeterminatezza del capo di imputazione ex 429 1° comma lett. c—429 2° comma c.p.p., come pure riteneva di poter fare ex art. 178 lett. b) c.p.p. anche in assenza di eccezione di parte -- ritenendolo invece di fatto ed infine assolutamente determinato, perché delimitato dalla querela di PREVITI e dalle norme sulla procedibilità).

2.2. L’improcedibilità dell’azione penale per quanto concerne l’articolo del 5.6.1997 di cui al capo A1 dell’imputazione. Il dovere di valutare anche con riferimento a tale articolo se sia possibile ex art. 129 c.p.p. giungere ad un proscioglimento degli imputati.

Venendo contestato come si è visto reato continuato procedibile solo a querela di parte, essendo la querela stata presentata il 30.9.1997 e quindi in relazione al primo degli articoli incriminati – del 5.6.1997 – oltre il termine di tre mesi previsto dall’art. 124 c.p. per interporre tempestiva e valida querela, ed essendo provato agli atti e mai messo in discussione da alcuno che il querelante abbia avuto conoscenza dell’articolo del 5.6.1997 già quel giorno stesso (fatto che sarebbe stato lecito presumere comunque, attesa la rilevanza politicamente enorme del "pezzo", la sua pubblicazione con grande rilevanza sul più diffuso e per molti più autorevole quotidiano nazionale, il ruolo politico all’epoca preminente del Sen. PREVITI; fatto comunque di per sé documentato dallo stesso PREVITI, v. gli articoli pubblicati il 6.6.1997 da "IL TEMPO" ed "IL GIORNALE" di cui all’allegato 2 alla querela, riportanti le pubbliche difese del parlamentare sui fatti oggetto dell’articolo e le dichiarazioni sue e dei suoi legali circa future azioni legali), deve conseguentemente discutersi a questo punto, per valutare se per l’articolo del 5.6.1997 la querela sia stata tempestiva, di come vada calcolata la decorrenza del termine di cui all’art. 124 c.p. nel reato continuato (la querela essendo evidentemente tempestiva in riferimento alla data di cessazione della continuazione così come ritenuta in imputazione , il 25.7.1997).

Al riguardo, nella legge non sono rinvenibili disposizioni espresse.

Ritiene il giudicante – con conclusione aderente alle invero sporadiche pronunce di legittimità in materia: v. CASS. Sez. III, 24.11.1970, Ginatta, Cass. Pen. Mass. 1972, 220, 196; CASS. Sez. III, 176184 / 1987) --- che la decorrenza del termine di cui all’art. 124 c.p. vada nel reato continuato secondo le regole generali fissata nella data di conoscenza certa da parte dell’avente diritto a querela del singolo fatto-reato parte dell’unico disegno criminoso e non nella data della conoscenza dell’ultimo atto consumativo unificabile nella continuazione criminosa. E che a tale conclusione – infine coerente con principi generali del nostro ordinamento processualpenalistico -- sia possibile giungere da un lato sul piano dell’interpretazione sistematica tenendo conto della ratio che presiede alla previsione di un breve termine perentorio per la presentazione della querela e di quelle che nel nostro sistema sono le regole da osservarsi in materia di interpretazione della norma penale, e dall’altro di quella che nel nostro codice penale è la conformazione normativa -- e la funzione – dell’istituto della continuazione criminosa.

E infatti.

Il termine di cui all’art. 124 c.p. ("tre mesi dal giorno della notizia del fatto che costituisce il reato") è termine che, per quei reati per i quali lo Stato subordina il proprio interesse a procedere alla correlativa manifestazione di volontà della vittima dello stesso, è posto essenzialmente a difesa dell’autore del fatto-reato e del suo diritto a non essere indefinitamente soggetto all’arbitrio altrui in ordine all’instaurazione di quel fatto grave e di gravi conseguenze per la vita di una persona che è un processo penale. E’ infatti termine regolato nel codice come termine breve e di irrimediabile decadenza, dati che rivelano come si tratti di decadenza costruita come sanzione, fondata -- nell’intenzione del legislatore -- appunto sul diritto dell’autore del fatto ad un rapido chiarirsi della situazione in ordine alla procedibilità dell’azione penale per uno di quei fatti-reato che la legge non considera così gravi da essere perseguito a prescindere dalla rapida manifestazione di volontà al riguardo del diretto interessato. Quella dell’articolo 124 c.p. è quindi disposizione di garanzia, da interpretarsi in generale, tra le diverse opzioni possibili, nel modo più restrittivo e più favorevole all’autore del reato. Sì che ogni interpretazione estensiva che porti a superare il dato letterale della disposizione e ad ampliare per i fatti iscrivibili in un più ampio reato continuato i termini di presentazione della querela , in deroga alla regola generale prevista al 1° comma dell’art. 124 c.p. , è da considerarsi erronea, finendo con l’ avere il concretissimo effetto di consentire nella sostanza una applicazione della legge penale "oltre i casi e i tempi in essa considerati", in violazione del divieto di cui all’art. 14 delle "preleggi" al codice civile.

Ne segue che l’assenza nell’art. 124 c.p. di una disposizione parallela a quella dell’art. 158 c.p. (per la quale il termine della prescrizione, nel reato continuato così come in quello permanente, decorre dalla cessazione della permanenza o della continuazione) appare tutt’altro che casuale, e frutto della scelta di politica legislativa di consentire di dirimere rapidamente il dubbio sulle intenzioni della vittima del reato e sulla procedibilità dell’azione penale per un dato fatto anche nei casi in cui questo fatto può un domani venire dal Giudice considerato parte di un più ampio ed unico disegno criminoso (e ciò, anche con positivi risvolti in termini di efficienza dell’intervento di P.G. e P.M., la cui azione potrebbe restare paralizzata o al contrario portare ad attività poi processualmente inutili ove il dubbio sulla procedibilità del singolo fatto in ipotesi iscrivibile nella continuazione permanesse oltre i tre mesi dalla certa conoscenza del singolo fatto da parte del titolare del diritto a querelare).

In parallelo, argomenti a favore della tesi che si assume sono ricavabili come si è detto dalla conformazione normativa dell’istituto della continuazione criminosa, e da quella che è la sua funzione.

Come è noto, nel sistema la continuazione criminosa è istituto che riguarda e viene in considerazione solo ed esclusivamente, ricorrendone gli estremi, quale meccanismo di calcolo della pena da irrogarsi in concreto, in deroga ai rigori del cumulo materiale di sanzioni che si applicherebbe in sua assenza. Nell’istituto di cui all’art. 81 cpv c.p. , se i singoli fatti-reato devono poter essere ricostruibili come parte integrante di un unico programma di reati predeterminato nelle sue linee generali ed essenziali, avente uno scopo unitario, e devono poter essere riportabili ad un unico momento ideativo e volitivo, ad un’unica deliberazione di massima che renda i reati successivi ideati, prospettati e voluti già all’atto della consumazione del primo; e se il collegamento tra i diversi fatti criminosi non può essere un dato ad essi estrinseco, nell’esame del caso concreto il programma criminoso unitariamente deciso dovendo poter essere logicamente e storicamente ricostruibile e riconoscibile dalla connessione di essi e dalla loro oggettiva comune teleologia, la continuazione essendo istituto che riguarda il reato, e non il reo, è anche vero che la continuazione è e rimane fictio iuris e mantiene una sua funzione unicamente quoad poenam, non elidendo l’ontologica autonomia di ogni singolo reato, unificato agli altri solo per gli effetti giuridici relativi al calcolo della pena ( così la consolidata ventennale giurisprudenza di legittimità, per tutte v. CASS. SS.UU. 151242/1981 ). Ne segue che non è possibile sul piano dell’interpretazione utilizzare l’istituto della continuazione criminosa a determinati effetti giuridici al di fuori del suo ruolo ex art. 81 cpv c.p., ed al di fuori di quelle previsioni di legge che espressamente considerano il reato continuato come reato unico (v. ad esempio sul piano del diritto processuale le disposizioni in materia di competenza per materia e per territorio determinata dalla connessione, artt. 15, 16 c.p.p.; v. ad esempio, sul piano del diritto sostanziale, il citato art. 158 c.p. , nel quale peraltro – a conferma dell’eccezionalità nel sistema della considerazione unitaria, a determinati effetti giuridici , dei reati unificati – l’inscindibilità del reato continuato opera unicamente con riferimento al termine iniziale di decorrenza della prescrizione fissato nella cessazione della continuazione, non statuendosi però per il reato continuato nuovi termini di prescrizione diversi da quelli previsti per i singoli reati unificati , termini che restano i soli applicabili : v. ancora le citate SS.UU.).

Fuori dei casi espressamente previsti dalla legge, non è possibile creare in via interpretativa fattispecie nelle quali le singole violazioni integrabili nel reato continuato , ad un determinato effetto giuridico, perdano la loro ontologica autonomia. Tantomeno è possibile farlo evidentemente in danno dell’imputato .

Così interpretato l’art. 124 1° comma c.p. , la querela presentata dall’attuale Parte Civile in data 30.9.1997 è tardiva con riferimento all’articolo pubblicato da "Repubblica" il 5.6.1997 . L’azione penale, con riferimento a tale articolo assunto come fatto diffamatorio, è dunque originariamente improcedibile. Restando procedibile, per quanto si è detto, solo per gli articoli del 10.7.1997, dell’11.7.1997, del 25.7.1997, nelle Parti riportate in querela e poi in imputazione.

L’improcedibilità dell’azione penale per quanto concerne l’articolo del 5.6.1997 non esime evidentemente il Tribunale dalla valutazione di merito in ordine alla possibilità di assoluzione degli imputati anche per tale articolo (essendo peraltro impossibile, attesa la costruzione dell’imputazione come delitto continuato, valutare la natura diffamatoria degli articoli 10.7.1997, 11.7.1997, 25.7.1997 senza analoga analisi riferita a quello del 5.6.1997, il più significativo dei quattro e quello che in ipotesi avrebbe dato il via alla "campagna di denigrazione").

E’ nel caso infatti "evidente" , nel senso di cui all’art. 129 2° comma c.p.p. , per quanto si dirà infra -- e seppure grazie a constatazione che attesa la materia non può che essere il frutto di anche articolate analisi -- che i fatti contestati a D’AVANZO non costituiscono reato per legittimo esercizio dei diritti a seconda dei casi di cronaca e di critica.

 

3. L’attribuibilità all’imputato Giuseppe D’AVANZO dei brani ritenuti diffamatori.

L’attribuibilità a D’AVANZO Giuseppe degli articoli contenenti i brani ritenuti diffamatori è in causa provata e fuori discussione (in un giudizio civile si direbbe: "pacifica tra le Parti").

Tutti e quattro i "pezzi" sono infatti firmati dall’attuale imputato, e di tutti e quattro D’AVANZO ha ammesso di essere stato l’effettivo redattore (v. suo esame del 13.12.2001), negando peraltro di essere autore in qualche modo della vignetta-grafico di corredo al pezzo 5.6.1997 (come si è visto sub 2.1.: in ogni caso estranea all’imputazione) così come della titolazione di tutti gli articoli in questione, secondo il giornalista riferibili a qualcuno dei sei tra redattori e viceredattori all’epoca responsabili delle pagine di politica interna de "La Repubblica".

4. Il contenuto degli articoli. La loro valenza diffamatoria della figura del Sen. Cesare PREVITI.

4.1. Il contenuto dell’articolo 5.6.1997.

Si è delimitato sub 2. l’oggetto della presente decisione. Si tratta di decidere se la reputazione dell’attuale Parte Civile possa essere stata lesa dai brani degli articoli in questione per cui è querela, e per scelta del P.M. – insindacabile da questo Giudice – confluiti in imputazione.

L’articolo 5.6.1997 non riguarda né specificamente né principalmente PREVITI. Usando l’indicativo e non il condizionale e quindi con il tono di chi riferisce un fatto certo e come tale non da accertare, racconta – e rende chiaro sin dal sottotitolo ("Una rete di giudici corrotti, imprenditori, mediatori dietro ENIMONT, TAV, IMI-SIR, PALAZZI D’ORO. I PM di PERUGIA puntano all'associazione a delinquere") – dell’esistenza di una inchiesta in corso alla Procura della Repubblica di Perugia per episodi di corruzione in atti giudiziari che avrebbero visto come protagonisti Il Presidente dell’Ufficio GIP-GUP SQUILLANTE Renato ed il Pubblico Ministero – ed all’epoca Procuratore della Repubblica di CASSINO – SAVIA Orazio. Comunica al lettore che l’indagine sta riguardando più "filoni" (come da titolo: vicende relative all’inchiesta sugli appalti per i lavori relativi all’Alta Velocità delle FF.SS; inchiesta ENIMONT; inchieste IMI—SIR e "PALAZZI D’ORO"), quali sarebbero le "cinque promettenti fonti di prova" in mano agli inquirenti perugini, e che seppure dalle risultanze dell’inchiesta prima facie "ogni magistrato in odor di corruzione (come SAVIA o come Renato SQUILLANTE) "sembri "lavorare per suo conto e profitto", seppure "ogni filo sembri condurre in una direzione, senza nessun disegno o trama" , i pm di Perugia e Milano stanno valutando se tra tutti tali fatti sia possibile ricostruire "un disegno, una trama solida nel tempo e nei protagonisti" che consenta la contestazione del reato di associazione a delinquere finalizzata alla corruzione in atti giudiziari, e che all’uopo i magistrati stanno incrociando i dati dell’inchiesta perugina "con altri rilievi istruttori che hanno al centro magistrati di Roma", stanno "sovrapponendo la tranche dell’inchiesta spezzina originata dall’ascolto delle chiacchierate di Pierfrancesco PACINI BATTAGLIA" con "il lavoro del pool di MILANO (BOCCASSINI, COLOMBO, DAVIGO ) sull’affare IMI—SIR" , per valutare se al palazzo di giustizia di ROMA si sia per caso impiantata per anni "una consorteria togata disponibile ad essere corrotta, capace di truccare le carte delle inchieste, in grado di garantire esiti giudiziari e impunità o , al peggio, lunghi tempi di lavoro favorevoli per la prescrizione del reato". Racconta infine come "allo stato degli atti già pubblici" " i contatti e le connessioni a fondamento di questa tesi " sarebbero "forti e molto evidenti", e come "le figure in gioco sulla scacchiera" , nelle varie vicende, e "con mosse del gioco sempre uguali" sarebbero "tre": "il magistrato, il mediatore d’affari (o di corruzione), l’industriale (o il finanziere ) ".

Seguono tre paragrafi per le tre "figure".

Il secondo di questi è il brano incriminato di cui al capo A1 dell’imputazione, nel quale dunque si inserisce PREVITI Cesare tra coloro che nell’inchiesta sarebbero all’epoca risultati "i mediatori d’affari e di corruzione" "sistemati nel bel mezzo tra la macchina giudiziaria ed il sistema politico".

Orbene, seppure nel brano PREVITI venga nominato in relazione a fatti specifici solo in due occasioni e per fatti che di per sé potrebbero non essere illeciti (l’avere "intascato per sé 18 milioni di franchi svizzeri alla fine dell’affare IMI—SIR "; l’avere intrecciato telefonate con Felice ROVELLI e Renato SQUILLANTE in concomitanza di ogni rilevante "passaggio giudiziario" di tale affare), seppure in nessuna parte del brano, e neanche nella vignetta-grafico, si metta in relazione PREVITI a vicende diverse da quella IMI—SIR, e seppure anche per lui, come per tutti gli altri soggetti nominati nell’articolo, quella di essere stato parte di una associazione a delinquere rimane per tutto il "pezzo" null’altro che una ipotesi investigativa allo studio dei pm – ipotesi cui D’AVANZO nell’articolo si nota dal tono conferire plausibilità, ma che resta una ipotesi: v. infra sub 6.2. -- è incontestabile che nell’articolo l’incasso dei 18 milioni di franchi svizzeri viene chiaramente riferito a fatti illeciti, che l’"analisi delle telefonate che intercorrono tra i protagonisti dell’affare IMI—SIR ad ogni passaggio giudiziario" viene espressamente definita "molto suggestiva (e , come si dice , indiziante)" e che PREVITI viene descritto come persona che dall’indagine potrebbe emergere come membro tutt’altro che marginale della "consorteria" e come soggetto anche nei cui confronti i PM stanno valutando se sussista in senso tecnico gli estremi del reato di associazione a delinquere (si chiude l’articolo: "c’è n’è a sufficienza per considerare questa consorteria una vera e propria associazione a delinquere?…).

In sintesi, l’articolo dà notizia e consente di capire, con riguardo all’attuale Parte Civile: a) che è in corso a Perugia una complessa ed estesa indagine su episodi di corruzione in atti giudiziari avvenuti a ROMA in vicende giudiziarie di grandissima rilevanza economica; b) che i risultati di questa indagine, e di quelle in precedenza svolte negli ultimi anni da altre Procure (MILANO e LA SPEZIA in particolare) possono far seriamente ragionare dell’esistenza di una stabile "consorteria" giudiziaria, con alcuni protagonisti ricorrenti, volta all’"aggiustamento" in favore di interessi privati di indagini e processi, e che è possibile che i pm contestino il reato associativo finalizzato alla corruzione in atti giudiziari (non si dice a chi, si comprende per certo che tra i compartecipi vi sarebbero SQUILLANTE Renato e SAVIA Orazio); 3 ) che "allo stato degli atti già pubblici" e comunque degli atti delle inchieste in corso vi sono notevoli elementi indizianti per ritenere che anche PREVITI, forse componente stabile della "consorteria-superlobby", possa avere quantomeno partecipato in prima persona come mediatore di corruzione ad alcuni degli affari illeciti posti in essere dai magistrati sulla cui possibile corruzione si indaga, in particolare a manipolare l’esito della controversia IMI—SIR, del valore di 680 miliardi di vecchie lire , "intascando alla fine dell’affare, per sé, 18 milioni di franchi svizzeri".

4.2. Il contenuto dell’articolo del 10.7.1997.

Come il primo, anche questo "pezzo" non riguarda direttamente PREVITI Cesare, nominato solo incidentalmente.

Il giornalista riepiloga i fatti noti che fanno pensare, nella sua analisi, che sia prossimo "il definitivo confronto", "l’ultima mano" della partita tra "il Partito del Cavaliere" (inteso come Silvio BERLUSCONI) e i pubblici ministeri di Milano, "di oggi, come Ilda BOCCASSINI, e di ieri, come Antonio DI PIETRO". Nota come negli ultimi giorni si sia vista "Forza Italia contro la BOCCASSINI, BERLUSCONI contro DI PIETRO, La Procura di BRESCIA ancora contro DI PIETRO". Riporta delle indagini in corso a BRESCIA su BOCCASSINI e DI PIETRO nate a seguito delle accuse di persone presentatesi ai PM di quella città per denunciare gravi irregolarità nella conduzione di importanti indagini, e le dichiarazioni virgolettate di DI PIETRO – tra lo sconsolato ed il battagliero – circa tali denunce subite ("Non ce la faccio più, vogliono logorarmi, ma io non mi arrendo. sapevo che l’avrebbero fatto e so che continueranno a farlo. A mano a mano che i processi che mi riguardano arrivano ad una conclusione favorevole per me, se ne riattizzano altri. So che mi faranno pagare tutto il lavoro di Mani Pulite e mi faranno pagare anche la solidarietà che ho dato alla BOCCASSINI "). Descrive con le parole di un PM milanese quello che in quel momento sarebbe stato lo stato d’animo delle persone indagate da BOCCASSINI ("Per capire tutta questa fibrillazione, deve aver visto una volta nella vita, l’agitazione dei pesci mentre la rete comincia a salire, a salire, e i primi bracci della rete sono già sulla barca". E solo a questo punto segue nel "pezzo" il brano incriminato ("Nel mirino della terribile Ilda c’è Cesare PREVITI. Lo si sa, da quando dalla Svizzera sono arrivati i documenti bancari che riguardano il generale di ferro, il duro dell’esercito del Cavaliere. Se ne poteva stare BERLUSCONI con le mani in mano, in attesa che il pool infliggesse l’ultima spallata al suo Partito? Per niente…") , cui seguono le frasi di Antonio LUCIBELLO allusive a "qualcosa che succederà presto e non sarà nulla di buono", ed i ragionamenti politici di D’AVANZO sui possibili esiti "di una partita mortale".

In sintesi, e rimanendo al solo PREVITI, l’articolo – anche con l’ausilio di frasi stranamente rimaste fuori della querela e dell’imputazione (quella sul riferimento ai pesci nella rete, la chiusura del pezzo "Se il pool e Ilda BOCCASSINI dimostreranno che, è vero, PREVITI corrompeva i giudici di ROMA, il lavoro del pool sarà ancora lungo ed inattaccabile..") – comunica nel complesso al lettore: a) che PREVITI è indagato dalla "terribile Ilda" (per fatti gravi di corruzione in atti giudiziari: ma tale titolo di reato lo si apprende nella chiusura, non riportata in imputazione ) ; b) che la sua situazione di indagato è difficile, un po’ come quella dei pesci nella rete, e ciò in particolare "da quando dalla Svizzera sono arrivati" non meglio precisati "documenti bancari"; c) che BERLUSCONI lo sta in vario modo difendendo, quale "generale di ferro" del suo esercito.

4.3. Il contenuto dell’articolo dell’11.7.1997.

Questo terzo "pezzo" – titolato "PREVITI SCRIVE A BORRELLI "VIA LA BOCCASSINI" , Le carte svizzere a Milano. E il deputato ricusa il magistrato", articolo come quello del giorno precedente costituente una analisi critica delle varie vicende giudiziarie all’epoca a vario titolo coinvolgenti , oltre a Cesare PREVITI, Antonio DI PIETRO e Silvio BERLUSCONI, e farcito di commenti ed ipotesi sulle ragioni delle iniziative giudiziarie di tali persone, sulle loro scelte politiche e di politica difensiva – relativamente all’attuale Parte Civile: a) da un lato chiarisce definitivamente al lettore dell’articolo 5.6.1997 come i 18 milioni di franchi svizzeri ivi richiamati costituiscano secondo le risultanze di indagine all’epoca in mano dei pm di MILANO non tanto onorari professionali quanto la mercede di una mediazione di corruzione ("…La Ilda non si accontenta di aver messo le mani su un bel gruzzolo -- 18 milioni di franchi svizzeri, ovvero 21 miliardi, 19 milioni e 140 mila vecchie lire – incassato dall’avvocato il 21.3.1994 in cambio dei buoni servigi offerti alla famiglia ROVELLI per aggiustare la sentenza -- ecco l’accusa della Ilda -- che risarciva gli eredi di Felice ROVELLI di 680 miliardi…"), e, b ) dall’altro lato dà notizia della presentazione in data 9.7.1997 di istanza di ricusazione del sostituto procuratore della Repubblica di MILANO Ilda BOCCASSINI "per gravi ragioni di inimicizia".

4.4. Il contenuto dell’articolo del 25.7.1997.

Più ancora che i tre precedenti, l’articolo lambisce PREVITI , ma in sostanza non lo riguarda. Lungi dall’interessarsi del Senatore, il "pezzo" è infatti tutto incentrato sul ruolo di Pierfrancesco PACINI BATTAGLIA ("rentier a Pisa e banchiere a GINEVRA" all’epoca coinvolto in molte rilevanti indagini giudiziarie, e persona che "poteva permettersi in vernacolo di trattare come un cane bastonato Renato SQUILLANTE, … influente tessitore delle trame giudiziarie del palazzaccio -), sui rapporti del PACINI BATTAGLIA con l’imprenditore Antonio D’ADAMO , sulla possibilità che il D’ADAMO avesse denunciato ("pare…prima a BERLUSCONI nero su bianco in un memoriale, poi a due misteriosi emissari del Cavaliere su un nastro registrato, infine ai magistrati di BRESCIA ") che i 12 miliardi di lire da egli ricevuti dal PACINI BATTAGLIA il 10.6.1993 ( "a soli tre giorni dalla sua scarcerazione da parte di DI PIETRO") fossero non tanto un finanziamento ai suoi "traballanti affari" quanto almeno in parte una tangente destinata allo stesso DI PIETRO a remunerazione della scarcerazione, sulla possibilità infine, al contrario sostenuta dal PACINI BATTAGLIA (e cui il giornalista mostra di dare maggior credito), che il D’ADAMO sia null’altro che un calunniatore di DI PIETRO e fosse riuscito a farsi dare i 12 miliardi a sostegno delle sue gravi condizioni economiche millantando credito in danno di DI PIETRO e minacciando il PACINI, ove insistesse nel chiedere la restituzione del denaro, di essere in grado di smuovere l’iniziativa investigativa del magistrato suo amico nei suoi confronti. Unico riferimento a PREVITI, nel brano incriminato, il fatto che con PACINI BATTAGLIA il Senatore "avesse rapporti amichevoli" o di affari" non meglio precisati ("E quali affari?"), e che questi gli avrebbe "concesso l’uso di tue telefoni cellulari".

4.5. Il fatto a valenza diffamatoria complessivamente comunicato ai lettori.

In sintesi, a volerli leggere unitariamente e nell’insieme -- come si fa in querela ed in imputazione leggendovi un unitario disegno criminoso – i quattro articoli in parola, con riguardo all’attuale Parte Civile e a ciò che può potenzialmente diffamarla, sempre e comunque riferendo di indagini in corso, comunicano nel complesso al lettore: a) che il Senatore della Repubblica ed Avvocato Cesare PREVITI, ex Ministro della Difesa, a seguito di indagini dei PM di MILANO e PERUGIA "allo stato degli atti già pubblici" è gravemente indiziato – anche per l’esistenza di "documenti bancari" pervenuti dalla Svizzera -- di avere intascato una tangente di 18 milioni di franchi svizzeri per la mediazione di corruzione offerta alla famiglia ROVELLI per "aggiustare" la sentenza che risarciva gli eredi di Felice ROVELLI di 680 miliardi di lire; b ) più in generale, che ad esito di questa come delle altre complesse ed estese indagini in corso sui fenomeni di corruzione – alle quali il tono ed il taglio degli articoli e dei titoli conferiscono credibilità – è forse possibile e non arbitrario, intersecando i dati delle diverse inchieste, verificare l’ipotesi della possibile esistenza al Palazzo di Giustizia di ROMA di una stabile "consorteria" giudiziaria o "superlobby" che dir si voglia, con alcuni protagonisti ricorrenti, "sistemati nel bel mezzo tra la macchina giudiziaria ed il sistema di potere politico economico e finanziario", vòlta al frequente ’"aggiustamento" in favore di interessi privati di indagini e processi penali di grande rilevanza economica; c ) che i magistrati inquirenti di MILANO e PERUGIA stanno compiendo tale verifica, per decidere se sia possibile contestare ad una pluralità di soggetti il reato di associazione a delinquere finalizzata alla corruzione in atti giudiziari (la posizione del senatore PREVITI al riguardo non viene mai trattata e discussa specificamente, non escludendolosi peraltro dall’ipotesi ) ; d ) che tra gli indizi a carico di PREVITI nel caso ROVELLI , oltre ai "documenti bancari" provenienti dalla Svizzera, vi è quello dato da una "rete di contatti telefonici" tra PREVITI, ROVELLI e SQUILLANTE, suggestivi in un’ottica accusatoria perché avvenuti in occasione di "ogni passaggio giudiziario" rilevante della vicenda IMI—SIR ; d) che il Senatore si è sentito e si sente perseguitato dal sostituto procuratore di MILANO Ilda BOCCASSINI al punto da "ricusarla" il 9.7.1997 per "motivi di grave inimicizia nei suoi confronti", spalleggiato in questo da 40 parlamentari del suo partito che quello stesso giorno ebbero a chiedere la sospensione dal servizio del magistrato; e ) che dalle indagini il Senatore risulterebbe in amichevoli rapporti, anche per non meglio precisati "affari" di possibile natura illecita, con persona coinvolta in molte delle rilevanti indagini per corruzione e concussione in corso quale Pierfrancesco PACINI BATTAGLIA , persona che "poteva permettersi in vernacolo di trattare come un cane bastonato Renato SQUILLANTE", l’ "influente tessitore delle trame giudiziarie del Palazzaccio", secondo quanto riferito nel primo degli articoli il primo dei magistrati sospettati di corruzione e di appartenenza alla "superlobby ", e ciò al punto da vedersi da questi "concedere l’uso" di due telefoni cellulari.

Seppure, astrattamente parlando, in un sistema processuale incentrato sulla presunzione di non colpevolezza dell’imputato l’essere in stato di mera sottoposizione ad indagini non dovrebbe di per sé essere condizione lesiva della propria immagine personale, appare dunque innegabile che la narrazione giornalistica di simili notizie giudiziarie -- e soprattutto , dell’esistenza di elementi che proverebbero l’essere il PREVITI stato almeno in una occasione corruttore di giudici e pubblici ministeri -- sia stata in concreto idonea, di per sé presa, anche per gli effetti indiretti che tali notizie come è noto producono nel circuito mediatico, ad incrinare la pubblica reputazione di PREVITI, come persona, come Avvocato, come Parlamentare.

Se la pubblicazione dei brani incriminati può avere avuto esiti diffamatori , ritiene però il giudicante che il fatto, così come complessivamente contestato in imputazione, "non costituisca reato", per parallela sussistenza delle esimenti del legittimo esercizio dei diritti di cronaca giudiziaria e di critica.

5. La sussistenza dell’esimente del diritto di cronaca. In generale. Ed in materia giudiziaria. I caratteri differenziali dell’esimente del diritto di critica.

5.1. La sussistenza dell’esimente del diritto di cronaca. In generale.

E’ necessaria a questo punto una ricognizione circa l’ambito di tale esimente, in generale.

Come punto di partenza, e seppure a discapito della brevità, appare necessario ricordare – poiché il dato nella giurisprudenza e nelle scelte di alcuni Pubblici Ministeri finisce talvolta troppo sullo sfondo – che il diritto di cronaca , vale a dire il diritto di pubblicare la narrazione di fatti di cui si è venuti a conoscenza, per diffondere tale conoscenza, è una modalità, in democrazia unitamente al diritto di critica forse la più rilevante modalità, del diritto di libera manifestazione del pensiero sancito dall’art. 21 della Costituzione e dall’art. 10 della Convenzione per la Salvaguardia dei Diritti dell’Uomo e delle Libertà Fondamentali, e che – avendo la sua prima estrinsecazione nella libertà di stampa – esso costituisce fondamentale funzione democratica, legata al diritto del singolo cittadino di concorrere al formarsi delle opinioni degli altri consociati ed al contempo di essere informato, in generale di quanto accade nella collettività di cui è parte, ed in particolare dell’operato dei titolari di funzioni pubbliche, onde poter con maggiore consapevolezza partecipare alla vita sociale e democratica del Paese.

"La libertà di espressione consacrata dal comma 1 dell’art. 10 costituisce uno dei fondamenti essenziali di una società democratica, una delle condizioni primordiali di progresso e della realizzazione di ciascuna persona….La libertà di espressione…vale non solamente per le ‘informazioni’ o per le ‘idee’ accolte con favore o ritenute inoffensive od indifferenti ma anche per quelle che urtano, scioccano, turbano, e ciò è richiesto dal pluralismo, dalla tolleranza e dallo spirito di apertura senza i quali non vi è società democratica" (Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, 8 luglio 1986, Lingens).

In un tale quadro costituzionale, in un ordinamento anche relativo all’Unione Europea che vede tra i suoi architrave il diritto di manifestazione del pensiero, la tutela del diritto di cronaca, da parte di chiunque esercitato, come quella del diritto di critica, deve essere la più estesa possibile. L’interpretazione delle norme che regolano situazioni che lambiscono tale diritto deve quindi essere ispirata al principio che la libera narrazione di fatti, da parte di chiunque, deve essere consentita nella forma la più estesa possibile, e può e deve essere soggetta a quei soli limiti che derivino dall’esigenza di tutelare altri beni costituzionalmente protetti, in modo tale da trovare il punto di equilibrio che meglio permette di contemperare e far coesistere le diverse tutele.

Tra tali altri beni costituzionalmente protetti, certamente vi è l’integrità dell’onore e della reputazione della persona. Si tratta quindi di delineare quale sia il punto di equilibrio tra le due tutele, quali siano i requisiti del diritto di cronaca lecitamente esercitato, in altri termini quali siano i limiti, i confini del diritto di cronaca e quindi i casi in cui è nel sistema giustificata la prevalenza della tutela della libera manifestazione del pensiero su quella dell’integrità dell’onore e della reputazione di un individuo. Respingendo quindi innanzitutto la tesi – risalente in dottrina – che, con riferimento all’uomo politico od in genere al titolare di funzioni pubbliche, ebbe a costruire come esimente del "consenso dell’avente diritto" – nel senso di cui all’art. 50 c.p. – la scelta di chi, scendendo nell’agone pubblico, accetta al contempo di esporsi alla più acuta osservazione dell’intera comunità , e quindi anche alle critiche più feroci ed in ipotesi di per sé diffamatorie: ricostruzione suggestiva, ma che portando alla conclusione che l’uomo politico ed in genere chi volontariamente si espone alla generale critica della pubblica opinione non abbia alcuna tutela del proprio onore e della propria reputazione contrasta con i dati di sistema che vedono tale tutela in diretta filiazione della tutela della persona umana, posta anch’essa dagli artt. 2 e 3 della Costituzione tra i principi fondamentali della Repubblica.

Con specifico riferimento al diritto di cronaca, ritiene allora il giudicante quanto segue, riprendendo la più convincente elaborazione dottrinaria e giurisprudenziale in materia:

  1. il diritto di cronaca, come si è detto funzione del diritto di libera manifestazione del pensiero e della libertà di stampa, è diritto soggettivo pubblico costituzionalmente tutelato dall’art. 21 della Costituzione ( C. Cost. 175 / 1971 );
  2. in quanto diritto soggettivo, il suo legittimo esercizio anche putativo ( CASS. SS. UU. 26.3.1983, Fiorillo ) ha efficacia scriminante ex art. 51 c.p.;
  3. essendo l’onore e la reputazione beni costituzionalmente protetti anche con riguardo alle persone ricoprenti funzioni pubbliche, è necessario ricostruire i limiti del legittimo esercizio del diritto di cronaca;
  4. il diritto di cronaca consiste non nella esternazione di giudizi, ma nella narrazione di fatti. Si manifesta non nell’espressione di una libera opinione, in una valutazione, che in quanto tale non può che essere soggettiva, ma nel racconto di dati storici obiettivi. Si concreta quindi in forme di comunicazione ontologicamente diverse da quelle in cui si concreta il diritto di critica, e tale intrinseca differenza ha come immediata conseguenza che il diritto di cronaca – a differenza di quello di critica -- non può che trovare il suo primo limite, logico e sistematico, nella verità del fatto (in senso lato inteso);
  5. sufficiente ad integrare la prima condizione del legittimo esercizio del diritto di cronaca deve tuttavia ritenersi sia la rispondenza al vero della narrazione, senza che sia necessario che rispondente al realmente accaduto sia anche il fatto diffamatorio narrato; se il cronista scrive che da x emerge per Caio y o che Tizio ha detto che Caio è y , necessario e sufficiente è che sia vera l’esistenza di x o che sia vero che Tizio ha detto che Caio è y, e non che sia vero y. Diversamente opinandosi – aderendosi alla maggioritaria giurisprudenza – si finirebbe con il configurare la condizione della verità del fatto in termini non solo in concreto inesigibili nei confronti del cronista ma soprattutto nei termini giuridicamente i più ristretti possibili, e quindi, per quanto si è detto sopra, in termini contrastanti con la Costituzione, per le limitazioni che ne discenderebbero al diritto di cronaca, quindi alla libertà di stampa, quindi al diritto di libera manifestazione del pensiero. Pretendere che il cronista prima di dare la notizia debba sempre verificare ed accertare direttamente, con tutti i controlli possibili, non la sola attendibilità della narrazione (tramite la verifica dell’attendibilità delle fonti) ma anche l’effettiva rispondenza all’accaduto del fatto narrato non potrebbe non avere infatti oggettivamente come conseguenza – attesa l’obiettiva difficoltà che sempre sussiste nella ricostruzione di un fatto storico per quel che realmente è stato – che la paralisi del diritto di cronaca, confinando la sua possibilità di espansione a quanto pubblicato dalla Gazzetta Ufficiale, e poco altro (ed il diritto di critica, alla redazione di note a sentenza);
  6. interpretata in tali ampi termini la condizione relativa alla verità del fatto, e riferita la stessa alla narrazione e non al fatto narrato, la seconda delle condizioni enucleate dalla giurisprudenza per ritenere sussistente l’esimente -- la continenza espressiva -- dovrà però doverosamente andare oltre il tradizionale ambito al quale la giurisprudenza la riferisce – quello "della civile forma espressiva", della "correttezza di linguaggio", del divieto di usare "espressioni di per sé offensive", o "giudizi di disvalore gratuiti , non pertinenti e/o sproporzionati al fatto vero" – per essere più rigorosamente riferita altresì alla modalità con la quale la narrazione viene resa nota come fatto, vale a dire alla completezza e correttezza con la quale il cronista rende conto, nel testo pubblicato, delle verifiche di attendibilità delle fonti effettuate prima della pubblicazione. Continente non sarà in tal senso solo "il pezzo" scritto in forma espressiva corretta, ma solo quello che tanto più inverosimile e/o diffamatorio è il fatto narrato tanto più rende conto in forma problematica ed esaustiva delle ragioni di possibile inattendibilità delle fonti e / o di possibile falsità del fatto narrato (es.: se si scrive che dal tale documento o dalla tale dichiarazione di Tizio emerge che dietro la strage di Piazza Fontana vi è Madre Teresa di Calcutta, si sarà nell’ambito del diritto di cronaca non solo se è vero che esiste un tale documento o se è vero che è stata rilasciata una tale dichiarazione, non solo se il cronista ne parla con linguaggio corretto ma solo ed unicamente se si sarà evidenziata compiutamente la massima inattendibilità del fatto narrato e la parallela assoluta inattendibilità delle fonti, e quindi anche della narrazione; ove invece il fatto narrato sia in sé più verosimile, e contrastanti le fonti, si sarà usata modalità espressiva continente nel riferire della narrazione laddove il cronista abbia dato atto della contraddittorietà o problematicità dei dati acquisiti, e, laddove abbia espresso valutazioni sugli stessi operando un suo tentativo di ricostruzione – che è impossibile precludere al giornalista --, solo se la ricostruzione proposta non sia palesemente incompatibile con quanto emerge dalle fonti narrate e discusse, e sia stata proposta come possibile evidenza data dalle medesime, e non come tesi o come esperienza diretta del cronista (v. Cass. Sez. V, 13.10.1995, Laiacona); è in altri termini necessaria una continenza sia espressiva che sostanziale;
  7. per consolidata giurisprudenza, altra condizione del legittimo esercizio del diritto di cronaca anche potenzialmente diffamatorio è l’interesse pubblico alla conoscenza del fatto (della narrazione del fatto narrato). Interesse pubblico, da valutarsi però con riferimento esclusivo alla oggettiva rilevanza del fatto per la collettività, necessariamente pretermettendo quindi ogni considerazione dell’utilità sociale dell’informazione (parametro evidentemente dipendente non da dati oggettivi, ma dall’utilizzo di criteri etici o politici o pedagogici, e come tale da non considerare nella ricostruzione di una esimente e quindi dell’ambito di applicazione di una fattispecie penale). Proprio per il derivare del diritto di cronaca dalla libertà di stampa, il parametro dell’interesse pubblico o sociale alla conoscenza della notizia, a ben guardare anch’esso parte della continenza sostanziale della narrazione, non può che essere requisito costitutivo del diritto di cronaca lecito. Come si è visto, il nucleo del problema è di ricercare il migliore bilanciamento costituzionale possibile tra l’interesse individuale alla reputazione e l’interesse della collettività alla libera conoscenza e diffusione delle notizie su quanto accade. Al riguardo, e con l’obiettivo di garantire con la tutela possibile della reputazione il massimo della trasparenza e dell’ampiezza dell’informazione, deve ritenersi: a) che tale bilanciamento si deve eseguire individuando come punto di equilibrio il concetto che il diritto di cronaca debba essere il più ampio nei casi di interesse pubblico immediato, vale a dire quando riguarda fatti d’intrinseca rilevanza pubblico-sociale, e/o che riguardano soggetti che tengono comportamenti o svolgono attività che necessariamente richiamano l’attenzione dell’opinione pubblica; b) che ciò è evidentemente massimamente valido in primo luogo per i casi di fatti riguardanti uomini politici e rappresentanti delle Istituzioni, per tutti coloro che ricoprono o hanno ricoperto in genere funzioni pubbliche, od elettive a qualunque livello, ed in generale per tutti i soggetti "la cui voce ed immagine abbia vasta risonanza presso la collettività grazie ai mezzi di comunicazione" (per l’individuazione di quest’ultima generale categoria, v. CASS., Sez. V, 9.10.1995, Montanelli); c) che lo stesso debba dirsi nei casi di interesse pubblico mediato, attinente vicende magari anche riguardanti fatti privati ma inscindibilmente connessi a situazioni d’interesse pubblico (es. la notizia su fatto di vita privata utile a dimostrare un alibi); d) che tanto maggiore è il rilievo pubblico del soggetto implicato dalla notizia potenzialmente lesiva della reputazione tanto maggiore sarà l’ampiezza del diritto di cronaca da considerarsi ai fini della ricognizione di sussistenza dell’esimente in parola (salva poi magari l’eventuale diversa valutazione dell’avvenuto rispetto o meno dei "limiti del diritto di cronaca posti a tutela della riservatezza ed in particolare dell’essenzialità dell’informazione" dagli artt. 12 lett. e) e 20 lett. a) l. 675/1996, dagli artt. 615 bis e 734 bis c.p., limiti che non hanno nulla a che vedere con l’onore e la reputazione). E che quindi, se saranno comunque esclusi, in generale, dall’ambito dell’esimente, i fatti privati la cui conoscenza non ha alcuna neanche mediata rilevanza di pubblico interesse, e se al contrario potranno evidentemente essere incluse nell’ambito del diritto di cronaca le notizie relative ad addebiti di natura anche illecita (certamente di interesse pubblico, quando riferiti a soggetti di rilievo pubblico), altresì anche le notizie inerenti fatti privati potranno rientrare nell’ambito della causa di giustificazione, in relazione alla qualità pubblica del personaggio sottoposto ad osservazione ed al tipo di fatto addebitato (solo così garantendosi, ad es., la piena informazione del cittadino circa la coerenza tra affermazioni pubbliche e condotte private di chi aspira a ricoprire funzioni pubbliche). In definitiva ed in sintesi potendosi affermare che la cronaca nei confronti dei personaggi politici od in genere investiti di cariche e funzioni istituzionali o che ad esse si candidano o si sono candidati andrà sempre ritenuta lecita quando investe fatti di rilievo pubblico, ed altresì quando investe condotte private che, nel caso specifico, può dirsi rilevino per l’interesse pubblico, i limiti del diritto di cronaca non potendo che essere più ampi nei confronti di un uomo politico (inteso in senso lato) che non nei confronti di un privato cittadino, per l’inevitabile – e consapevolmente assunta – maggiore esposizione del primo al controllo attento dei suoi atti e dei suoi gesti sia da parte dei giornalisti;
  8. essendo l’assenza di cause di giustificazione uno degli elementi costitutivi del reato inteso nella sua essenza normativa, a fronte dell’allegazione da parte del giornalista dell’esercizio anche solo putativo del diritto di cronaca deve essere provata positivamente dalla Pubblica Accusa l’insussistenza, anche tratta dal solo testo incriminato. dei dati di fatto sui quali si vuole fondare l’esimente. Sul punto dissentendosi dai prevalenti orientamenti non solo giurisprudenziali, ma di gestione dei processi per diffamazione a mezzo stampa, si ritiene in altri termini che il difetto di prova della verità del fatto (inteso come verità della narrazione) -- e, a fortiori, il difetto di prova della verità del fatto narrato -- non possa essere trasformato in prova positiva della falsità del medesimo, e quindi dell’insussistenza dell’esimente. La diversa opinione non solo finisce con il restringere in concreto anche per tale via l’ambito del diritto di cronaca – obbligando il cronista a dare conto oltre che della attendibilità delle fonti narranti in relazione alla verosimiglianza del fatto narrato, altresì dell’ iter di loro acquisizione, della loro esistenza, ecc. – ma appare in contrasto con i principi generali del processo penale che impongono alle istituzioni giudiziarie di provare che una persona è colpevole, e non alla persona indiziata di provare di essere innocente;

Quanto al diritto di critica, per consolidata giurisprudenza esso consiste essenzialmente nella esternazione di giudizi, e non nella narrazione di fatti. Si manifesta nell’espressione di una libera opinione, in una valutazione, che in quanto tale non può che essere soggettiva, e non nel racconto di dati storici obiettivi. Si concreta quindi in forme di comunicazione ontologicamente diverse da quelle in cui si concreta il diritto di cronaca, e tale intrinseca differenza ha come immediata conseguenza che il diritto di critica non può trovare tra i suoi limiti quello, enucleato dalla giurisprudenza per il diritto di cronaca, della verità oggettiva (del fatto addebitato: laddove per la critica non si discute di fatti, ma appunto di giudizi). "Il diritto di critica si esprime nella manifestazione di una opinione che sarebbe contraddittorio pretendere rigorosamente obiettiva, ovvero assolutamente oggettiva; la critica non può che essere soggettiva e cioè corrispondere all’angolazione individuale ed, in definitiva, al punto di vista di chi la manifesta, per cui i giudizi critici non possono essere mai suscettibili di valutazioni che pretendano di ricondurli a verità oggettiva" (CASS., V Sez., 16.4.1993, Barile). "Per i giudizi di valore il requisito della verità è inesigibile e costituisce una lesione alla libertà di opinione stessa, elemento fondamentale del diritto garantito dall’art. 10 della Convenzione per la Salvaguardia dei diritti dell’uomo" (v. la sopra citata Corte Europea dei diritti dell’uomo, 8.7.1986). E il sindacato sulla verità oggettiva del fatto addebitato potrà quindi essere riferito ai soli fatti-presupposto del giudizio, e nei soli casi in cui sia possibile in qualche modo isolarli e separarli dalla valutazione e dalla opinione pura e semplice (Cass., V Sez., 8.5.1998, n. 6548, Rinaldi Tufi).

Anche per il diritto di critica deve peraltro evidentemente ritenersi certamente sussistente in ogni caso un limite formale di continenza e di moderazione del linguaggio adoperato, valutato nel contesto in cui la comunicazione di critica viene inserita, limite per il quale le espressioni usate non devono essere di per sé offensive e sconfinare nella mera contumelia, tanto più se il lessico offensivo è stato usato del tutto gratuitamente ed inutilmente, senza giustificazione per quelle che erano le necessità di comunicazione e di espressione dell’opinione (giurisprudenza sul punto in qualche modo consolidata, v. tra le ultime CASS., V Sez., 5.11.1997, Farassino). Così come del pari essenziale e primario – nella enucleazione dei limiti del diritto di critica idoneo a scriminare la diffamazione – rimane il parametro dell’interesse pubblico o sociale della critica, definibile come continenza sostanziale, vero requisito costitutivo del diritto di critica lecito (v. supra).

5.2. La sussistenza dell’esimente del diritto di cronaca. Particolarità riferibili alla cronaca di fatti giudiziari.

Operata la generale ricapitolazione dei contorni dell’esimente del diritto di cronaca di cui sub 5.1. (da questo Tribunale e da questo Giudice già operata in altre occasioni, per ultimo in TRIBUNALE ROMA VII Sez. Pen. 24.9.2001, in composizione monocratica, proc.to 14008 / 2000 reg. dib. Trib), è da rilevare come alcune delle tesi giurisprudenziali riprese abbiano trovato occasione di affermazione ed applicazione d’elezione proprio in materia di cronaca giudiziaria.

Si è detto, in tema di verità del fatto, che sufficiente ad integrare la prima condizione del legittimo esercizio del diritto di cronaca sia la rispondenza al vero della narrazione, senza che sia necessario che rispondente al realmente accaduto sia anche il fatto diffamatorio narrato, che se il cronista scrive che da x emerge per Caio y o che Tizio ha detto che Caio è y, necessario e sufficiente è che sia vera l’esistenza di x o che sia vero che Tizio ha detto che Caio è y, e non che sia vero y, e che diversamente opinandosi si finirebbe con il configurare la condizione della verità del fatto in termini non solo del tutto inesigibili nei confronti del cronista ma giuridicamente nei termini i più ristretti possibili, e quindi, per quanto si è detto sopra, in termini contrastanti con la Costituzione, per le limitazioni che ne discenderebbero al diritto di cronaca, quindi alla libertà di stampa, quindi al diritto di libera manifestazione del pensiero.

Orbene, è proprio in materia giudiziaria che si palesa in modo particolarmente chiaro come il rispetto da parte del giornalista del limite della verità del fatto sia integrato già solo dalla possibilità di riportare ed ancorare le singole notizie raccontate al contenuto di atti accertamenti ed iniziative di indagine di P.G. e P.M., o al contenuto di provvedimenti o atti giurisdizionali di P.M. e magistratura giudicante, purchè veri ed effettivamente esistenti (e non quindi ad es. a mere illazioni raccolte tra gli investigatori). E’ proprio in materia giudiziaria che si palesa evidente che pretendere che il cronista prima di dare la notizia debba sempre verificare ed accertare direttamente, con tutti i controlli possibili, non la sola attendibilità della narrazione (tramite la ragionata verifica dell’attendibilità delle fonti) ma anche l’effettiva rispondenza all’accaduto del fatto narrato – con una sorta di indagine del giornalista, parallela a quella della PG e del PM ed idonea ad intralciarla, indagine che dovrebbe a quel punto arrivare ad accertare la responsabilità dell’indagato anche solo per poter dare notizia dell’esistenza di una inchiesta -- avrebbe oggettivamente la conseguenza (del tutto incompatibile con il sistema costituzionale delineato, oltre che del tutto inaccettabile in una società democratica) della totale paralisi del diritto di cronaca, con impossibilità di riferire di indagini ma anche di dibattimenti in corso, e con la possibilità a quel punto di dare notizia delle sole sentenze passate in giudicato, e di poco altro (con l’ulteriore effetto indiretto, anch’esso all’evidenza incompatibile con l’ordinamento costituzionale ed inconcepibile in un Paese democratico dell’unione Europea, di sottrarre di fatto l’operato della magistratura ordinaria al penetrante controllo dell’opinione pubblica).

Così, "la verità della notizia mutuata da un provvedimento giudiziario sussiste ogniqualvolta essa sia fedele al contenuto del provvedimento stesso, senza alterazioni o travisamenti; ai fini di cui all’art. 51 c.p. pertanto è sufficiente che l’articolo pubblicato corrisponda al contenuto di atti e provvedimenti dell’autorità giudiziaria, senza che sia richiesto al giornalista di dimostrare la verità obiettiva o la fondatezza delle decisioni e dei provvedimenti adottati in sede giudiziaria" (CASS. SEZ. V., 27.1.1999, n. 150, imp. Mennella ed altri).

Naturalmente, "fedeltà al contenuto" dei provvedimenti giudiziari significa poi che i dati emergenti dall’indagine vanno divulgati con tendenziale e sostanziale completezza, senza cioè omettere di riferire – dolosamente o colposamente -- quei fatti rilevanti che attenuano o possono attenuare la valenza diffamatoria delle altre notizie giudiziarie narrate, di cui si disponga.

Del pari, anche in relazione alla seconda delle condizioni per ritenere sussistente l’esimente -- la continenza espressiva -- è possibile trovare in materia giudiziaria occasione d’elezione per l’applicazione delle affermazioni supra sintetizzate sub 5.1.

Se infatti il rispetto del limite della verità del fatto nella cronaca giudiziaria è dato dalla corrispondenza del racconto giornalistico al contenuto di veri atti processuali o di indagine, è anche vero che notoriamente gli atti processuali o di indagine non sono materia grezza, ma materiali che si prestano spesso a diverse letture ed interpretazioni, che possono essere riferiti singolarmente o come fatti isolati o posti in connessione ad altri fatti giudiziari, e che la materia giudiziaria in particolare penale è facile terreno per giudizi etici e "politici" ( in senso lato, come in senso specifico, quando le notizie riguardano uomini politici ). L’ambito della cronaca giudiziaria è quindi uno di quelli in cui è maggiormente sostenibile che la continenza debba andare oltre il tradizionale ambito "della civile forma espressiva", della "correttezza di linguaggio" , del divieto di usare "espressioni di per sé offensive" , o "giudizi di disvalore gratuiti, non pertinenti e/o sproporzionati al fatto vero" – per essere più rigorosamente riferita altresì alla modalità con la quale la narrazione viene resa nota come fatto, vale a dire alla completezza e correttezza con la quale il cronista rende conto, nel testo pubblicato, della problematicità dei dati acquisiti, della loro possibile contraddittorietà, del loro essere una notizia allo stato degli atti, una verità rebus sic stantibus gravida di evoluzioni.

Continenza sia espressiva che sostanziale non può quindi significare, in materia, che trattazione dei dati, oltre che con linguaggio civile, in forma problematica, col taglio di racconto di vicenda in itinere, che – se le notizie riguardano indagini – non consideri la presunzione di non colpevolezza vigente nel sistema come un limite alla possibilità di rendere note informazioni investigative o processuali bensì utilizzi tale principio come una sorta di cauto ed immanente criterio di interpretazione dei dati raccontati, che sempre avverta il lettore che si tratta di dati da verificare nella loro veridicità storica (v. CASS., Sez. V, 27.6.1984, in Riv. Pen., 1985).

Laddove la narrazione includa valutazioni, collegamenti tra fatti diversi, tentativi di ricostruzione dell’indagine o di vicende complesse – valutazioni che, attesa la materia, ed atteso il "parallelo" diritto di critica, è praticamente impossibile e giuridicamente infondato precludere al cronista giudiziario, anche laddove attribuisca ai fatti processuali veri una valenza (negativamente caratterizzata per i riflessi che ne derivano sulla reputazione del soggetto) maggiore di quella ricavabile dal provvedimento giudiziario (v. CASS., SEZ. V, 16.2.1995, in Cass. Pen., 1996, 1395) -- continenza sia espressiva che sostanziale non può che significare che la ricostruzione proposta non sia palesemente incompatibile con quanto emerge dalle fonti narrate e discusse, non utilizzi illazioni, sia stata proposta come possibile ma non acclarata evidenza data dalle medesime (e non come tesi o come esperienza diretta del cronista (v. la citata Cass. Sez. V, 13.10.1995, Laiacona).

Con riguardo infine al profilo relativo all’interesse pubblico alla conoscenza del fatto, è da rilevare in generale come tale interesse vada considerato, con riferimento alla cronaca giudiziaria in senso relativo e non assoluto, a meno di non volerlo ritenere sempre e comunque sussistente, in detrimento di quel bilanciamento di interessi tra diritto all’informazione e diritto alla tutela della reputazione che certo non può essere ritenuto inoperante in materia di cronaca giudiziaria. In senso assoluto, infatti, è estremamente difficoltoso, almeno con riferimento al processo penale, rinvenire investigazioni/procedimenti/giudizi per i quali si possa escludere che il procedimento abbia una qualche oggettiva rilevanza per la collettività: casi cioè, riguardo alla divulgazione di notizie dei quali sia possibile escludere radicalmente ed in nuce l’esimente in parola, per insussistenza del requisito in parola. E ciò, perchè se la cosa per quanto detto sub 5.1 è di immediata evidenza nei casi di interesse pubblico immediato, vale a dire quando il processo riguarda casi di intrinseca rilevanza pubblica e soggetti che tengono comportamenti o svolgono attività che necessariamente richiamano l’attenzione dell’opinione pubblica (in primis evidentemente gli uomini politici e quelli che ricoprono funzioni pubbliche), ed altresì nei casi qualificabili come di interesse pubblico mediato (v. supra sub 5.1.), a ben guardare le notizie che riguardano il modo in cui funzionano l’investigazione criminale ed il processo penale – evento pubblico per eccellenza e per definizione, luogo di quotidiana verifica dello stato delle interazioni tra potestà punitiva dello Stato e diritti dei singoli – sono in assoluto evidentemente sempre di oggettivo interesse pubblico anche con riguardo al più infimo dei processi a carico del quisque de populo e per fatti bagatellari.

In senso relativo, fuori dei casi di interesse pubblico immediato e mediato, e quando si tratti di procedimenti per fatti privati anche magari riferibili a persone nel focus dell’opinione pubblica ma la cui conoscenza non ha alcuna neanche mediata rilevanza di pubblico interesse, il punto di bilanciamento tra i diversi beni costituzionalmente protetti in gioco dovrà evidentemente consentire quel minimo di informazione che consenta di far conoscere non tanto i fatti oggetto del processo ed i nominativi dei coinvolti – di nessun interesse pubblico – quanto ad es. eventuali particolarità del caso socialmente rilevanti o patologie processuali verificatesi da segnalare alla pubblica attenzione.

Discussione da approfondire, ma irrilevante nel caso in esame, nel quale la sussistenza del requisito in parola, trattandosi articoli riguardanti fenomeni di corruzione di pubblici funzionari è , come si vedrà meglio in seguito, fuori discussione.

Così delineati in generale i contorni normativi delle esimenti in parola, può passarsi ad esaminarsene la sussistenza nel caso in esame.

6. La sussistenza delle esimenti del diritto di cronaca, e del diritto di critica, nel caso in esame.

6.1. La verità dei singoli fatti raccontati nei brani degli articoli riportati in imputazione ed utilizzabili a carico. Con riferimento alle notizie con chiarezza e specificamente individuabili negli stessi. Sussistenza dell’esimente del legittimo esercizio del diritto di cronaca giudiziaria.

L’imputato D’AVANZO Giuseppe, nel corso del suo esame e tramite la sua Difesa tecnica, ha rivendicato la sussistenza nel caso, per tutti e quattro i brani incriminati, dell’esimente del legittimo esercizio del diritto di cronaca giudiziaria, e del diritto di critica, e ha sostenuto di non avere fatto altro che dare doverosa notizia del contenuto di provvedimenti giudiziari – "materiali diversi" -- di cui era entrato in possesso nell’arco dell’anno precedente la pubblicazione degli articoli in parola (in alcuni casi), e di avere offerto ai lettori di "Repubblica" la sua elaborazione critica di tale contenuto (in altri).

Ha prodotto copia di tali provvedimenti giudiziari, ed ha indicato nei suoi atti difensivi, articolo per articolo, le fonti delle singole notizie riportate dagli articoli incriminati (si vedano l’elenco dei documenti prodotti, e la memoria difensiva presentata all’udienza del 6.6.2002).

Si è già avuto modo di esaminare partitamente il contenuto degli articoli in questione nel loro complesso ai paragrafi da 4.1 a 4.5., alla cui lettura si rimanda.

Dovendosi ora verificare, per quanto si è detto sub 5.1 e 5.2., se sussista nel caso la possibilità di riportare i fatti narrati all’effettivo contenuto di atti e provvedimenti giudiziari, o se si possano invece riferire alcuni dei brani all’esimente del diritto di critica piuttosto che non a quella del diritto di cronaca, ritiene il giudicante che sia opportuno separare la verifica in due momenti: quello della verifica relativamente a quei fatti, a quelle notizie con chiarezza e specificamente enucleabili dai brani degli articoli utilizzabili a carico, e quello della verifica relativamente a quanto si legge negli articoli 5.6.1997 -- relativamente alla possibilità che nell’indagine raccontata si contesti il reato di associazione a delinquere – e 25.7.1997 -- relativamente a quanto si legge in ordine ai rapporti tra PREVITI e Pierfrancesco PACINI BATTAGLIA – che più (od oltre) che comunicare notizie dai contorni definiti operano invece intorno ai risultati di indagine concernenti PREVITI delle rielaborazioni critiche dei dati.

Naturalmente, nel corso della verifica la responsabilità degli imputati come si è detto più volte potrà essere in ipotesi ricostruita solo con riferimento a quei brani degli articoli riportati in querela ed in imputazione. Laddove invece, per meglio comprenderli, e per valutare la sussistenza delle esimenti, bene potrà farsi riferimento all’intero testo degli articoli.

La prima "notizia" con chiarezza e specificamente enucleabile dai brani degli articoli in parola è che il Senatore della Repubblica ed Avvocato Cesare PREVITI, ex Ministro della Difesa, a seguito di indagini dei PM di MILANO e PERUGIA "allo stato degli atti già pubblici" è gravemente indiziato di avere intascato una tangente di 18 milioni di franchi svizzeri per la mediazione di corruzione offerta alla famiglia ROVELLI per tutelare gli interessi dei medesimi ROVELLI in causa IMI—SIR.

A tale riguardo, imputato e Difesa non solo hanno documentato che tale "notizia" corrisponde al contenuto di un provvedimento giudiziario di cui D’AVANZO era entrato in possesso, e segnatamente dell’ordinanza di custodia cautelare emessa dal GIP—TRIBUNALE ORDINARIO MILANO in data 13.2.1997 nei confronti di BATTISTELLA Primarosa e ROVELLI Felice, ma altresì che quantomeno il fatto in sé del versamento dei 18 milioni di franchi svizzeri dai ROVELLI all’avv. PREVITI era al 5.6.1997 fatto noto da oltre un anno, oltre che fatto vero anche storicamente, e come tale ammesso dal Senatore PREVITI.

La citata ordinanza GIP—TRIBUNALE ORDINARIO MILANO – provvedimento estremamente complesso ed analitico nei riferimenti ai "gravi indizi" – (doc. 1 tra quelli depositati dalla Difesa degli imputati) dispone effettivamente in data 13.2.1997 l’applicazione della misura cautelare della custodia in carcere nei confronti di ROVELLI Felice e BATTISTELLA Primarosa per il reato di cui agli artt. 81, 110, 321 in relazione a 319 ter c.p. comma 1 c.p., per avere corrisposto importi molto ingenti di franchi svizzeri agli Avvocati ACAMPORA Giovanni, PACIFICO Attilio, PREVITI Cesare (appunto: 18 milioni, pari a oltre 21 miliardi di vecchie lire), "somma destinata" a "pubblici ufficiali in via di identificazione", in virtù di accordi " intervenuti tra i tre legali e Nino ROVELLI in epoca anteriore al novembre 1990", affinchè i pubblici ufficiali "violassero i loro doveri di imparzialità, indipendenza e probità, allo scopo di favorire -- nel giudizio civile di merito definito da ultimo dalla CORTE di APPELLO di ROMA fra Nino ROVELLI ( e, dopo la morte di questi, fra i suoi eredi ) e l’IMI – i predetti ROVELLI, nonché allo scopo di non far depositare o di far scomparire la procura speciale relativa al ricorso per Cassazione rilasciata dall’IMI, in modo da far dichiarare inammissibile il ricorso stesso ed altresì allo scopo di ottenere altri provvedimenti favorevoli alla posizione processuale dei ROVELLI. In particolare mantenendo Felice ROVELLI i contatti con ACAMPORA, PACIFICO e PREVITI indirizzati alla realizzazione dell’accordo e a rimuovere qualsiasi ostacolo all’esito favorevole della vicenda, e disponendo la BATTISTELLA e lo stesso felice ROVELLI il pagamento della somma, intervenuto tra il marzo ed il giugno 1994, rispettivamente: quanto a PACIFICO … (omissis)…; quanto ad ACAMPORA… (OMISSIS)…, quanto a PREVITI franchi svizzeri 18.000.000 (pari a lire 21.019.140.000, con bonifico con valuta 21.3.1994 a favore del conto SBS Ginevra 136183 rif. Filippo…(OMISSIS)".

Segue l’esposizione -- come si è detto estremamente analitica e ragionata -- della mole di elementi a carico, che in questa sede ovviamente non vi è ragione né di descrivere né di discutere, ma che in sintesi può rilevarsi sia costituita da dati documentali, intercettazioni telefoniche, dichiarazioni dei soggetti coinvolti (indizi, che, con riguardo al pagamento che qui interessa, vengono comunque descritti nel provvedimento come consistenti essenzialmente: nella prova documentale del bonifico in valuta 21.3.1994; nelle dichiarazioni di Felice ROVELLI e BATTISTELLA Primarosa dell’8.5 e del 14.9.1996 di avere provveduto al pagamento del denaro a PREVITI – oltre che ad ACAMPORA e PACIFICO -- nel 1994, dopo che l’IMI provvide a versare le somme dovute agli eredi di Nino ROVELLI a seguito della definizione della vertenza giudiziaria in senso loro favorevole -- v. p. 7 , 8-9 ordinanza --; nei dati relativi alla vicenda negoziale e processuale ROVELLI/SIR—IMI, ed in particolare nella cronologia dei fatti processuali posti in relazione alla cronologia dei contatti soprattutto telefonici tra gli indagati, numerosi, frequenti, coincidenti con gli avvenimenti significativi di causa; nei dati relativi ai rapporti tra PREVITI, gli altri legali e i ROVELLI, all’assenza di incarichi formali in causa per i tre legali, all’assenza di una verificabile causa negoziale o professionale di giustificazione dell’ingente versamento del 21.3.1994, causa non documentata e non allegata né dai legali né dai ROVELLI, in modo inspiegabile dal loro punto di vista se sussistente; nel fatto che il pagamento sia avvenuto a stretto giro e subito dopo la materiale percezione da parte degli eredi ROVELLI della somma netta loro attribuita all’esito del giudizio; nella cronologia della scomparsa – e poi ricomparsa, in allegato ad un anonimo – della procura speciale notarile contenente il mandato a difendere l’IMI in Cassazione).

Ancora, l’imputato D’AVANZO ha sostenuto di avere potuto riferire al lettore nell’articolo del 5.6.1997 che i denari ricevuti da PREVITI dalla famiglia ROVELLI erano in parte destinati a magistrati degli Uffici di ROMA grazie anche al contenuto di altro provvedimento giurisdizionale di cui era entrato in possesso, e ha prodotto altresì tale documento: si tratta dell’ordinanza di applicazione della custodia cautelare in carcere GIP—TRIBUNALE ORDINARIO MILANO nei confronti di ACAMPORA Giovanni e PACIFICO Attilio del 15.5.1996, che come quella del 13.2.1997 riporta imputazione contenente tutti gli estremi essenziali del fatto corruttivo e del pagamento illecito contestato all’Avv. Cesare PREVITI, e -- pur evidentemente focalizzando la sua attenzione su ACAMPORA e PACIFICO – descrive nuovamente ed in modo altrettanto analitico gli elementi indiziari a carico degli indagati ed anche di PREVITI.

La Difesa può dirsi abbia quindi ampiamente dimostrato la sua tesi.

Di più, la Difesa ha documentato come quantomeno il fatto in sé del versamento del 21.3.1994 fosse al 5.6.1997 fatto noto e pubblicamente discusso da oltre un anno. Ed addirittura come tale fatto sia vero anche storicamente, e come tale ammesso dall’attuale Parte Civile sin dal 17.5.1996.

Si ricava infatti dalla documentazione prodotta dalla Difesa (v. documento 6, riproduzione della titolazione della prima pagina del "Corriere della Sera" del 18.5.1996; v. ordinanza di custodia cautelare GIP—TRIBUNALE ORDINARIO MILANO 11.12.1997 nei confronti di PREVITI, p. 104, documento 3), che sin dal giorno dell’arresto di ACAMPORA e PACIFICO – 17.5.1996 – Cesare PREVITI non ha negato l’accredito in suo favore dei 18 milioni di franchi svizzeri, ammettendo il fatto come tale, sostenendo però si trattasse di normalissime parcelle, per "una vita di lavoro", nell’ambito di un rapporto ventennale con i ROVELLI. E che anche in seguito, nell’interrogatorio 23.9.1997 dinanzi al P.M. di MILANO, pur cambiando versione, lo stesso non ha negato di "avere intascato" i 18 milioni, solo sostenendo stavolta che non di parcelle si fosse trattato, ma di provvista utile ad eseguire alcuni pagamenti nell’ambito di un mandato fiduciario.

Infine, nel presente dibattimento, pur riservandosi di fornire i dettagli solo dinanzi al Tribunale di Milano, PREVITI allo stesso modo non ha contestato il fatto, dichiarando che l’importo "è un qualcosa di collegato direttamente " ai suoi "antichi e pregressi rapporti con Nino ROVELLI" e che in ogni caso "il movimento di questo denaro è documentalmente provato che non è arrivato a nessun magistrato di questo mondo" (v. p. 9 della trascrizione del suo esame del 28.5.2001): dando definitiva prova che almeno il fatto in sé del bonifico è fatto storicamente vero.

Il secondo fatto specifico con chiarezza enucleabile dai brani degli articoli in parola è che tra gli indizi a carico acquisiti nel corso delle indagini su IMI—SIR vi è quello di una "rete di contatti telefonici" tra PREVITI, ROVELLI e SQUILLANTE, suggestivi in un’ottica accusatoria perché avvenuti in occasione di "ogni passaggio giudiziario" rilevante della vicenda "ROVELLI".

Anche in questo caso la Difesa ha assolto l’onere di documentare che tale "notizia" è assolutamente corrispondente alle risultanze di indagine riprese e discusse in provvedimenti giudiziari, vale a dire nelle due sopra citate ordinanze applicative della custodia cautelare 13.2.1997 nei confronti di BATTISTELLA-ROVELLI e 15.5.1996 nei confronti di ACAMPORA-PACIFICO.

Soprattutto nella prima ordinanza, si evidenziano infatti analiticamente e con la massima precisione possibile le telefonate intercorse tra Cesare PREVITI, Renato SQUILLANTE, Felice ROVELLI e le si "incrociano" cronologicamente con i vari passaggi processualmente significativi della causa IMI—SIR, corredando la ragionata discussione di tali dati ritenuti altamente indiziari con un tabulato illustrativo delle telefonate (v. p. 33 e ss ordinanza 13.2.1997).

Il terzo fatto specifico con chiarezza ricavabile dai brani incriminati, questa volta dall’articolo 10.7.1997, è che tra gli indizi a carico di PREVITI vi sono "documenti bancari provenienti dalla Svizzera ", dall’arrivo dei quali l’Avvocato sarebbe "nel mirino della terribile Ilda" (intesa come Ilda BOCCASSINI, sostituto procuratore della Repubblica a MILANO).

Il riferimento del giornalista, potendo evidentemente rinforzare nel lettore l’idea che il quadro degli elementi a carico di PREVITI sia stringente, e che le accuse siano quindi più che fondate, è anch’esso ritenuto diffamatorio dall’attuale Parte Civile, che anzi sostiene in querela la falsità della notizia, nell’atto definita come "autorevolmente smentita" dal Procuratore Generale Svizzero Carla DEL PONTE (della quale produce lettera 11.7.1997 in cui si attesta che "contro l’ordinanza di trasmissione della documentazione bancaria inerente … Cesare PREVITI è ancora pendente ricorso davanti al TRIBUNALE FEDERALE, mentre una seconda ordinanza è stata intimata in data odierna, con un termine di ricorso di 30 giorni…", e che "attualmente nessun documento bancario riguardante …PREVITI…è dunque stato trasmesso alle autorità italiane ").

L’imputato D’AVANZO ha però allegato di essersi voluto riferire a documentazione diversa da quella della quale PREVITI prova con la lettera della DEL PONTE la mancata trasmissione in Italia ancora all’11.7.1997, e cioè a quella indicata e discussa a pp. 6-7 dell’ordinanza di custodia cautelare 15.5.1996 ACAMPORA-PACIFICO. Si tratta di documentazione non direttamente riguardante PREVITI – ed il dato spiega perché ad essa non si riferisca il Procuratore elvetico nella citata lettera (ove a richiesta si danno naturalmente informazioni solo sugli atti "inerenti " o "riguardanti" Cesare PREVITI) – ma di documentazione messa a disposizione degli inquirenti sin dal maggio 1996 dal legale svizzero MENSCH (mandatario, a quanto si legge nell’ordinanza, della materiale esecuzione dei pagamenti a PREVITI-ACAMPORA.PACIFICO a mezzo di una Società costituita in Liechtenstein, la PITARA TRUST) e relativa alle modalità di dazione delle somme "incriminate", modalità che il G.I.P. nell’ordinanza 15.5.1996 utilizza "a carico" perché in grado di dare evidenza del "giro" del denaro (si legge nell’ordinanza: "la documentazione attesta sia la formazione della provvista del conto della PITARA TRUST ad opera della Signora BATTISTELLA Primarosa, sia i vari bonifici effettuati, sia gli ordini ricevuti da Felice ROVELLI. E’ da ritenere pertanto incontrovertibile la verifica di quanto asserito dagli eredi ROVELLI in merito alle movimentazioni dei bonifici bancari della PITARA TRUST, corrispondenti a quanto indicato nel capo di imputazione ").

A che cosa esattamente si sia voluto riferire D’AVANZO nell’articolo non è dato sapere oggi con certezza. Se si sia trattato di riferimento ad atti assunti per rogatoria (ad es. a quelli relativi all’interrogatorio in Svizzera di ABELTINO Ettore il 16.6.1997 ed alle perquisizioni e sequestri effettuati nel maggio 1997 sempre nella Confederazione elvetica, di cui si discute nell’istanza di sostituzione del P.M. BOCCASSINI presentata da PREVITI il 9.7., come parrebbe plausibile se non altro per un dato cronologico), o se si sia trattato di un riferimento agli atti sopra indicati. Troppo ellittico ed incidentale, il riferimento.

Può però osservarsi come l’inciso in questione parli di "documenti bancari" e non di "rogatorie" o di atti trasmessi o da trasmettersi nell’ambito di rogatoria (del tipo di quelli cui evidentemente si riferiscono invece DEL PONTE nella sua lettera 11.7 e PREVITI nell’istanza di astensione del P.M. 9.7). Come il riferimento ai "documenti bancari arrivati" sia nel contesto dell’articolo assolutamente incidentale e quindi per altri versi poco significativo in termini diffamatori. E, soprattutto, come in presenza dell’esposta allegazione difensiva, non si possa nel dubbio che prenderne atto, Pubblica e Privata Difesa non avendo fornito elementi idonei a dimostrare sul punto la falsità della narrazione e quindi l’insussistenza del requisito di verità del fatto e con esso dell’esimente in parola (essendo l’assenza di cause di giustificazione uno degli elementi costitutivi del reato inteso nella sua essenza normativa, a fronte dell’allegazione da parte del giornalista di dati idonei a fondare il diritto di cronaca dovendo essere come si è detto la Pubblica e Privata Difesa a provare positivamente l’insussistenza dei dati di fatto sui quali si vuole fondare l’esimente: il difetto di prova sulla verità del fatto non potendo essere trasformato in prova positiva della falsità del medesimo: v. supra 5.1., punto 8).

Più agevole il discorso sulla quarta "notizia" con chiarezza enucleabile dai brani in questione riportati in imputazione, questa volta da quello dell’11.7.1997: quella secondo cui il Senatore, stanco "di essere assediato dagli investigatori ed accerchiato dalle rogatorie internazionali", esasperato dall’attivismo investigativo del pm Ilda BOCCASSINI, sentendosi da questa perseguitato, "ha chiesto al Procuratore Francesco SAVERIO BORRELLI di levargli di torno quel magistrato", presentando all’uopo il 9.7., per "motivi di grave inimicizia nei suoi confronti", istanza di astensione del P.M. o di sostituzione del medesimo.

Rilevatosi come per tale punto del capo d’Accusa lo stesso P.M. abbia nelle conclusioni in aula chiesto l’assoluzione "perché il fatto non sussiste", è qui sufficiente osservare: 1) che dare notizia dell'avvenuta presentazione da parte di un indagato di una istanza di sostituzione del pm procedente e di invito allo stesso ad astenersi ex art. 52 1° comma c.p.p. è dare notizia di una iniziativa del tutto legittima, facoltà del sottoposto ad indagine, e non può quindi assolutamente ledere la reputazione dello stesso; 2) che il fatto è risultato vero (v. l’istanza dell’avv. PREVITI al Procuratore di MILANO 9.7.1997, doc. 12 della Difesa), e divulgato ai media dallo stesso PREVITI e dal suo Difensore (si vedano le dichiarazioni pubbliche di cui ai comunicati ANSA documento 11 della Difesa).

6.2. Con riferimento all’art. 5.6.1997 ed all’ipotesi ivi riferita di possibile contestazione di reati associativi. Sussistenza dell’esimente del diritto di critica.

Se quelle appena esaminate sub 6.1. sono i fatti in qualche modo specificamente e con chiarezza enucleabili dai brani degli articoli in parola utilizzabili a carico, Pubblica e Privata Accusa hanno altresì incentrato le loro argomentazioni sul fatto che gli articoli – ed anzi segnatamente quello del 5.6.1997 – comunicherebbero ancora al lettore nel loro complesso con altrettanta chiarezza che il Senatore PREVITI (al di là del fatto specifico relativo all’incasso dei 18 milioni di franchi svizzeri nell’affare ROVELLI) sarebbe altresì stato parte di una "superlobby" o consorteria che dir si voglia vòlta al frequente "aggiustamento" in favore di interessi privati di indagini e processi di grande rilevanza economica. E che la cosa nel servizio 5.6.1997 verrebbe data per fatto vero e sicuro e non come fatto in via di accertamento, ipotizzando la sussistenza di una associazione a delinquere in senso tecnico (accusa non ancora formulata al 5.6.1997 da alcuna Procura e che non troverebbe riscontro in quelli che erano i fatti giudiziari conosciuti o conoscibili dal cronista), e dandosi in ogni caso per certo che le Procure di MILANO e PERUGIA stessero per procedere per il reato associativo anche nei confronti dell’ex Ministro della Difesa: il tutto, accompagnandosi anche l’articolo con un grafico-vignetta descrivente una circolarità di rapporti tra i protagonisti delle varie vicende oggetto del "pezzo" giornalistico.

Ritiene il Tribunale che tale tesi – pur ben argomentata in aula da P.M. e Difesa di Parte Civile – non trovi alcun riscontro nel testo in esame, quella della partecipazione di PREVITI alla stabile consorteria rimanendo nell’articolo 5.6.1997 una mera ipotesi di lavoro, certo implicitamente ritenuta possibile e non esclusa, ma sempre esposta, nell’ambito di un discorso generale, solo come possibile ricostruzione di dati però ancora in corso di accertamento in plurime e complesse indagini, ed al vaglio degli inquirenti.

Al riguardo, ed ai soli effetti di cui all’art. 129 2° comma c.p.p. – trattandosi come si è visto di articolo in relazione al contenuto del quale l’azione penale non è procedibile per tardività della querela – è dato di osservare:

1 ) Nel solo brano utilizzabile a carico perché riportato in imputazione, gli unici fatti specifici riferiti all’attuale Parte Civile restano quelli relativi all’ indagine per l"affaire" ROVELLI o IMI-SIR che dir si voglia (e la vignetta-grafico di corredo dell’articolo ne dà conferma fedele: in essa, la cui paternità è stata in ogni caso negata da D’AVANZO, si collega PREVITI altresì a SQUILLANTE, ma senza riferimento ad alcuna vicenda o fatto specifico). E’ però vero che PREVITI Cesare viene incluso nell’elenco di quelli che "sono sistemati nel bel mezzo tra la macchina giudiziaria ed il sistema di potere politico, economico e finanziario" (non però tra coloro che "gestiscono le provviste in nero realizzate all’uopo per la corruzione", frase che pur nella forse nel caso eccessiva sintesi dovuta allo stile giornalistico è con chiarezza subito riferita a "Melpignano", che "si occupa di pagare SAVIA e di gestire per suo conto una Società-paravento" e a "PACINI" che "distribuisce ogni mese denaro a manager pubblici come Lorenzo NECCI e Pio PIGORINI e a magistrati", laddove PREVITI è indicato invece non come soggetto che gestisce fondi neri ma come soggetto che intasca per le prestate mediazioni di corruzione nel caso IMI-SIR). Ma è anche vero che l’enormità dell’affare IMI-SIR -- corruzione in atti giudiziari in una causa del valore di quasi 700 miliardi di lire – , l’elevato ruolo dei magistrati in ipotesi corrotti, il fatto che PREVITI avesse già all’epoca dei fatti una posizione politica di grande rilievo e avesse assunto l’incarico di Ministro della Difesa a poche settimane dall’aver intascato i 18 milioni di franchi svizzeri bene potevano autorizzare nell’analisi critica del giornalista, già sui soli dati di tale vicenda, la non arbitraria formulazione dell’ipotesi di una "sistemazione" dell’avvocato PREVITI "tra la macchina giudiziaria ed il sistema di potere politico".

2) Dimenticando le questioni riguardanti l’imputazione, e a voler considerare tutto l’articolo in parola – dopo, si badi bene, averlo isolato dal contesto mediatico in cui veniva ad inserirsi, che notoriamente da mesi e da anni comunicava che in questo come nella quasi totalità degli altri casi sempre e solo di inchieste si stava riferendo e discutendo, e non di fatti acclarati, la vera notizia ogni tanto all’epoca avendo potuto essere che si stesse svolgendo qualche dibattimento: operazione necessaria, per dare una qualche plausibilità e cittadinanza alla questione che occupa -- emerge con assoluta chiarezza dalla lettura come nel "pezzo" mai la sussistenza di una associazione a delinquere o "superlobby" tra i protagonisti delle vicende giudiziarie citate , e tanto più l’appartenenza ad essa di Cesare PREVITI, venga data per fatto vero certo ed accertato, con attribuzione di definitività a fatti che all’epoca potevano essere solo ipotesi. E come neanche venga mai comunicata in alcun modo la notizia che per il reato di cui all’art. 416 c.p. un qualche PM ad una qualche latitudine abbia almeno iniziato a procedere, contro PREVITI ma anche contro altri, iscrivendo a registro indagati o formalizzando in un qualche atto giudiziario l’ipotesi di associazione a delinquere.

Già dal titolo e dal sommario – e cioè da ciò che può colpire anche chi scorre il giornale e non legge l’articolo – è evidente ed è sempre chiaro che solo di ipotesi e di indagini in corso si tratta, al vaglio dei magistrati del pubblico ministero come, sui dati noti, della libera analisi critica di chiunque. Se nel titolo la "superlobby" è "sotto tiro", e "la Roma che conta" trema, vuol dire che la consorteria non è stata ancora smascherata. Se, nel sommario, per ENIMONT, TAV, IMI-SIR, Palazzi d’oro e "la rete di giudici corrotti, imprenditori, mediatori" che emergerebbe "dietro" tali vicende "i pm di Perugia puntano all’associazione a delinquere", è evidente allora che ancora non l’hanno accertata e che allo stato è una ipotesi ed un obiettivo di verifica investigativa, e null’altro, e comunque: che non è stato accertato al riguardo ancora nulla.

E ancora più chiaramente, nel testo: a) il pezzo esordisce annunciando che quando il 7.6.1997 si sarà svolto l’interrogatorio di MELPIGNANO "i quattro procuratori di PERUGIA…tireranno le somme della prima settimana di una indagine che nella Capitale sta provocando i brividi alla schiena di molti protagonisti …", in tal modo chiarendo da subito che non solo di indagine si tratta, ma di indagine agli inizi, alla sua "prima settimana"; b ) l’articolo prosegue con la dettagliata elencazione delle "cinque promettenti (o micidiali) fonti di prova" (riguardanti in ogni caso indagati diversi dall’attuale Parte Civile); c) entra nel vivo dell’analisi valutando – e facendo sapere che "i pool di MILANO e PERUGIA valuteranno presto" -- la possibilità che "ribaltando i primi dati dell’inchiesta perugina", "incrociandola con altri rilievi istruttori che hanno al centro magistrati di ROMA", "sovrapponendo la tranche dell’inchiesta spezzina originata dall’ascolto delle chiacchierate di Pierfrancesco PACINI BATTAGLIA ed il lavoro del pool di MILANO sull’affare IMI—SIR" , si possa arrivare, per i "contatti e le connessioni a fondamento di questa tesi …forti, ed, allo stato degli atti già pubblici, molto evidenti", a ricostruire l’esistenza al palazzo di Giustizia di ROMA di una "consorteria togata disponibile a essere corrotta" e quindi di una associazione a delinquere finalizzata alla corruzione in atti giudiziari" con tre "figure in gioco sulla scacchiera: il magistrato, il mediatore d’affari (o di corruzione), l’industriale (o il finanziere)" (in tal modo mai parlandosi di PREVITI, né nominandosi lo stesso mai direttamente, ed evidenziandosi un quadro nel quale non può sussistere nel lettore alcun dubbio sul fatto che di mere risultanze d’indagine si sta parlando); d ) prosegue formulando ipotesi cui le indagini – sempre loro – dovranno dare risposta (es.: "chi sollecitò SQUILLANTE e SAVIA al pressing su VINCI?", fatto definito "ancora tutto da chiarire"); e) a togliere ogni (im)possibile dubbio circa il fatto che l’associazione a delinquere sia dato per un fatto acquisito, si chiude con la domanda: "c’è n’è a sufficienza per considerare questa consorteria una vera e propria associazione a delinquere?" (chiarendosi ancora che non si tratta di domanda retorica, ma "di ciò che le procure di Perugia e Milano decideranno nelle prossime settimane").

Dall’inizio alla fine, con riguardo a IMI-SIR come alla "superlobby", se c’è una cosa chiara nell’articolo è -- come si vede in tutta evidenza -- che non si sta parlando di fatti accertati, ma di ciò che "allo stato degli atti" risulta dalle indagini, delle ipotesi che sui dati acquisiti è possibile formulare, e che forse i pm formuleranno.

3) A ben guardare però, scrivere che i "pm valuteranno presto le condizioni per contestare il reato di associazione a delinquere" e chiudere l’articolo con la relativa domanda se non è riferire di un fatto accertato non è neanche un raccontare di una attuale concreta situazione investigativa: è in realtà una non-notizia, da un lato per l’ovvia ragione che è del tutto fisiologico ed ordinario che come in ogni processo gli inquirenti valutino la qualificazione anche la più grave dei fatti acquisiti, e dall’altro per il fatto che nel pezzo il riferimento alla possibilità della contestazione del reato associativo lungi dall’essere spacciata come il frutto di rivelazioni di fonti ufficiose o confidenziali – cui mai ci si riferisce nel testo – finisce con l’essere nulla di più di un artificio retorico utile a dare ritmo narrativo e sviluppo a quegli analitici ragionamenti che il giornalista opera in proprio per tutto l’articolo (partendo dalla constatazione che "apparentemente i fili di quest’inchiesta sono aggrovigliati confusamente come il risvolto di un ricamo" e che "ogni filo sembra condurre in una direzione, senza nessun disegno o trama" , per poi esporre – per il vero con più interesse per altri soggetti che non per il senatore PREVITI – "i contatti e le connessioni a fondamento " della tesi). Si tratta insomma di null’altro che di una analisi critica, da parte del cronista, di tutti i materiali giudiziari a sua disposizione, di suoi ragionamenti in ordine alle possibili "strategie" delle procure e alle possibili accuse di "teorema giudiziario" che potrebbero un domani loro essere rivolte (ed a conferma dell’assunto, vengono le dichiarazioni dell’imputato rese nel corso dell’esame, laddove, con riguardo ai riferimenti dell’articolo alla "superlobby" ha sostenuto essere stato "un lavoro suo", fatto "mettendo insieme diverse indagini giudiziarie e verificando i punti di contatto…, per verificare se si fosse in presenza di un episodio o di un fenomeno…"; v. trascriz. esame D’AVANZO 13.12.2001, pp. 11 e 18-19).

4) anche intesa come ricostruzione critica (e non come narrazione di notizia), l’analisi discorsiva del giornalista appare perfettamente legittima, e non travalicare i limiti dell’esimente questa volta del legittimo esercizio del diritto di critica. Non può infatti ritenersi precluso al cronista giudiziario – di fronte ad indagini complesse ed in itinere, di fronte a materiali probatori magmatici di diverse inchieste e di diverse autorità giudiziarie, e tantopiù nel riferire di vicende di rilevantissimo peso politico economico ed istituzionale – di andare oltre la asettica descrizione dei dati giudiziari in suo possesso, di fornire al lettore la sua personale valutazione degli stessi, di tentare – ovviamente con la continenza espressiva del caso e con l’aderenza ai fatti – una loro possibile ricostruzione critica, operando considerazioni sul loro attuale valore e significato, e formulando ragionate ipotesi sui possibili loro esiti e sui possibili sviluppi dell’indagine o del processo. Diversamente opinandosi, non resterebbe al giornalista che riferire per mere annotazioni degne dell’indice di un fascicolo, scrivere note a sentenza (beninteso: a sentenze definitive) e pubblicare gli atti per estratto, con esiti sostanziali nella più parte dei casi di nessuna efficacia informativa e quindi di denegata informazione ai cittadini, gli atti giudiziari e di indagine sempre necessitando (in particolar modo con riferimento alle indagini più complesse quali quelle ENIMONT, TAV, IMI-SIR, "PALAZZI D’ORO" ecc. in parola) di divulgazione in linguaggio non tecnico, di spiegazioni per i non addetti ai lavori, di inquadramento della singola notizia nello stadio di avanzamento lavori dell’indagine e quindi nelle possibili prospettive del processo, operazioni tutte evidentemente impossibili senza l’utilizzo di strumenti critici.

Consistendo come si è visto in sostanza in nient’altro che nella manifestazione di una sua personale ricostruzione delle connessioni emergenti tra i fatti ed i protagonisti di plurime inchieste, l’analisi che D’AVANZO svolge nell’articolo – quasi esclusivamente nelle sue parti fuori imputazione – si sottrae ad ogni sindacato di rispetto della verità oggettiva, sindacato in relazione all’esimente del diritto di critica riferibile come è noto ai soli fatti-presupposto del giudizio o dell’opinione, ed oltretutto solo quando "sia possibile in qualche modo isolarli e separarli dalla valutazione e dalla opinione pura e semplice" (Cass., V Sez., 8.5.1998: fatti-presupposto che nel caso restano quelli di cui ai documenti giudiziari tutti di cui la Difesa ha documentato il possesso, producendoli).

6.3. Con riferimento all’articolo 25.7.1997 ed all’accostamento ivi operato tra PACINI BATTAGLIA e PREVITI. Sussistenza dell’esimente del diritto di critica.

Come il brano appena analizzato sub 6.2., il la parte riportata in imputazione dell’articolo del 25.7.1997 appare anch’esso più il frutto di una elaborazione critica del giornalista sui dati ormai emersi da più inchieste che non la narrazione di specifici fatti giudiziari (l’unico fatto specifico ricavabile dall’articolo con riguardo a Cesare PREVITI a ben guardare essendo infatti quello per cui Pierfrancesco PACINI BATTAGLIA "gli concesse l’uso di due telefoni cellulari": fatto dalla valenza diffamatoria del tutto evanescente, dal momento che "ricevere in uso" due telefoni mobili – nel "pezzo" neanche si dice se gratuitamente o meno, dove, e quando – evidentemente non può essere ritenuto fatto idoneo a ledere la reputazione, anche se a offrire l’uso è un soggetto sottoposto ad indagini: e fatto riguardo al quale si deve comunque rilevare come il dato dei due telefoni sia poi risultato essere vero, o quantomeno ammesso dai diretti interessati senza che sia stato aliunde provato il contrario: si veda il verbale dell’interrogatorio che il 30.7.1997 PACINI BATTAGLIA avrebbe reso al P.M. di MILANO, doc. 13 della Difesa, nel corso del quale PACINI BATTAGLIA dichiara: "sì, credo di aver consegnato a PREVITI una o due schede. Il Sen. PREVITI mi aveva detto, chiacchierando amichevolmente, che voleva utilizzare delle schede svizzere per essere più tranquillo sulle telefonate che faceva. Io mi resi disponibile a fornirgliele. Sicuramente all’inizio le ho pagate io, non posso escludere che in un periodo successivo me ne abbia rimborsata una, se ciò non è avvenuto vuol dire che ho fatto un regalo a Cesare PREVITI, come più o meno è avvenuto per tutte le persone a cui ho consegnato schede telefoniche svizzere GSM"; e si vedano le dichiarazioni di PREVITI in aula nel presente giudizio , rese nel corso dell’esame del 28.5.2001).

Come con riguardo alla prospettiva della contestazione di reati associativi a SQUILLANTE, SAVIA, MELPIGNANO ed altri, appare in buona sostanza evidente dalla lettura dell’intero articolo, e non solo del brano utilizzabile a carico perché riportato in imputazione, che D’AVANZO Giuseppe nel corso dello stesso, lungi dal dedicarsi a PREVITI e dall’attribuirgli "fatti determinati", non fa altro che svolgere una sua personale riflessione su quanto emerso nelle varie inchieste con riguardo a PACINI BATTAGLIA, sul suo ruolo di personaggio-cerniera tra molti dei protagonisti delle varie indagini, sulla vicenda del finanziamento a D’ADAMO da parte del PACINI BATTAGLIA di 12 miliardi di lire a soli tre giorni dalla sua scarcerazione da parte del pm DI PIETRO, il tutto riportando al contempo le dichiarazioni di PACINI sui rapporti avuti con Antonio D’ADAMO ed Antonio DI PIETRO, e a partire come sempre dai dati giudiziari di cui è in possesso (oltre alle ordinanze di custodia cautelare relative al caso IMI—SIR: la richiesta per l’applicazione di misure cautelari 15.5.1997 del P.M. di PERUGIA nei confronti di MELPIGNANO Sergio, BONIFACI Domenico, SAVIA Orazio – inchieste "Palazzi d’Oro, Enimont --, doc. 8 della Difesa, ed i dati, in gran parte già all’epoca notori e pubblici dell’inchiesta poi sfociata nella richiesta di rinvio a giudizio 7.1.1999 del P.M. di PERUGIA, doc. 9 della Difesa).

L’incidentale riferimento al Senatore PREVITI contenuto nell’articolo non è estraneo a tale elaborazione critica, ma ne costituisce un passaggio.

L’unica frase dalle potenzialità diffamatorie ("…il loquace Chicchi …dovrà ora spiegare quali fossero – o sono – i suoi rapporti con Cesare PREVITI. Soltanto amichevoli o anche d’affari?. E quali affari? …") – frase che per quanto en passant finisce con il comunicare al lettore che dalle indagini il Senatore risulterebbe in rapporti non solo amichevoli ma anche per non meglio precisati affari con chi, appunto il Pierfrancesco PACINI BATTAGLIA, "poteva permettersi in vernacolo di trattare come un cane bastonato Renato SQUILLANTE", l’"influente tessitore delle trame giudiziarie del Palazzaccio " – è in effetti innegabilmente allusiva ma sia per i suoi ripetuti punti interrogativi , sia per il contesto discorsivo in cui è inserita (la prima parte dell’articolo, che precede tale frase, soprattutto; ma anche il resto del commento) rimane sempre evidente al lettore che sempre e solo degli esiti parziali di indagini si sta discutendo, che sempre e solo di ipotesi si sta ragionando, che sempre e solo di fatti sub judice ed in via di accertamento si tratta.

Il brano incriminato è infatti seguito dall’ampia discussione su quanto "i magistrati di BRESCIA" stanno accertando in ordine al pm Antonio DI PIETRO, ai suoi rapporti con l’imprenditore Antonio D’ADAMO, al finanziamento che PACINI BATTAGLIA operò in favore di D’ADAMO in prossimità della propria scarcerazione ad opera dello stesso DI PIETRO, e dalle dichiarazioni al riguardo del PACINI BATTAGLIA. E, soprattutto, è preceduto dalle seguenti frasi: "Ora che dalla Svizzera trasmigrano verso MILANO anche le carte bancarie sui conti correnti di Cesare PREVITI e Renato SQUILLANTE, Pierfrancesco PACINI BATTAGLIA – ancora lui – si ritrova cucito addosso il vestito stretto e magagnato del Grande Testimone. Dell’uomo del destino. Anzi, dell’uomo dei molti destini, che può parlare o tacere, accusare o dissimulare. Ruolo scomodo, scomodissimo, di imputato-chiave e testimone-chiave in molte faccende-chiave. Il Chicchi deve fare i conti, da imputato, con accuse gravissime (ENIMONT,ENI); da testimone, con imputati eccellenti come Cesare PREVITI od Antonio DI PIETRO; da indagato, con cèrberi come i magistrati di MILANO, di PERUGIA o i procuratori di BRESCIA."

Un incipit, che fin dall’inizio toglie al lettore ogni dubbio – anche per il tono ironico, e per il lessico a volte da elzeviro nei confronti del "toscanaccio di Bientina" e dell’"Avvocato del Biscione" – sul fatto che stia per leggere null’altro che una riflessione ad alta voce su vicende giudiziarie allo stato non chiare ed in itinere, sulle quali il cronista e commentatore politico-giudiziario, quale "opinione pubblica", nell’esercizio del suo diritto di critica, formula lecite domande, non fermandosi ai dati giudiziari nudi e crudi in possesso suo e della medesima opinione pubblica ma compiendo una sua personale analisi dei possibili punti di contatto tra le vicende delle varie indagini e dei possibili rapporti tra i loro protagonisti (e tra essi, tra PACINI BATTAGLIA e PREVITI), e sue personali considerazioni sui possibili sviluppi che le investigazioni potrebbero avere.

6.4. La continenza espressiva. Sua sussistenza, con riferimento a tutti gli articoli incriminati.

Con riferimento alla seconda delle condizioni enucleate dalla giurisprudenza per ritenere sussistenti le esimenti del diritto di cronaca e di quello di critica, la continenza espressiva – su cui contorni si è detto supra, sub 5.1. e 5.2. -- va innanzitutto rilevato come né la Pubblica né la Privata Accusa abbiano contestato, negli articoli in parola, l’uso di "espressioni di per sé offensive ", o l’assenza di quei requisiti di "civile forma espressiva" e di "correttezza del linguaggio" che la giurisprudenza di legittimità ritiene debbano essere presenti per poter riconoscere le esimenti del diritto di cronaca o di critica. Il dato non è quindi in contestazione, emerge del resto con tutta evidenza dagli articoli, sul punto non è necessario soffermarsi.

P.M. e Parte Civile hanno invece contestato sia venuta meno la necessaria continenza espressiva nel presentare nell’articolo dell’11.7.1997 come una forzatura processuale l’esercizio di una legittima facoltà difensiva (quella di presentare istanza di sostituzione / astensione del P.M. titolare dell’indagine), e – soprattutto -- , nell’articolo 5.6.1997, nel ricostruire artatamente e nel presentare arbitrariamente come fatto ormai accertato l’esistenza a ROMA di una superlobby togata di cui PREVITI era parte, dando definitività a quelle che al momento potevano essere solo ipotesi investigative neanche allo stato formalizzate da alcuna Procura della Repubblica.

Ritiene il Tribunale si tratti di rilievi manifestamente infondati.

Per quanto concerne l’articolo 11.7.1997 e la presentazione dell’istanza vòlta a rimuovere dall’indagine il pubblico ministero Ilda BOCCASSINI, l’iniziativa processuale del Senatore PREVITI è certamente descritta come frutto di una condizione psicologica difficile dell’indagato dinanzi agli incalzanti accertamenti del P.M., ed interpretata con linguaggio colorito ("con uno scatto d’ira o di preoccupazione, l’avvocato ha chiesto ufficialmente al procuratore Francesco Saverio BORRELLI di levargli di torno quel magistrato"), ma in nessun passaggio della narrazione viene descritta come un qualcosa di illecito od anche solo come una forzatura. Ed anzi si rileva come la lettera sia sì "durissima nella sostanza" ma "formalmente cortese nel tono", e, a maggior informazione del lettore, se ne espongono praticamente integralmente le ragioni, con linguaggio descrittivo, sintetizzandole ("Ilda BOCCASSINI, scrive PREVITI, ha motivi di ‘grave inimicizia’ nei miei confronti. A paragone di questa inimicizia, è nulla il risentimento che convinse il procuratore generale di BRESCIA, Marcello TORREGROSSA, ad interdire al sostituto Fabio SALAMONE le indagini su Antonio DI PIETRO, La BOCCASSINI, continua l’Avvocato, ne ha fatte di peggio"). Il tutto, riferendosi ancora al lettore dell’occasione processuale che aveva originato l’istanza, vale a dire dell’interrogatorio in Svizzera dell’"amministratore delle due Società elvetiche nella disponibilità" del Senatore, delle modalità aggressive e dell’atteggiamento pregiudizialmente colpevolista che BOCCASSINI avrebbe tenuto nel corso dell’interrogatorio, dell’acquisizione di documenti dalla Svizzera in ritenuta violazione della normativa sulle rogatorie.

Una informazione completa, un passaggio nel quale il giornalista sottolinea certo l’ovvio fastidio dell’indagato nell’avere addosso un pm agguerrito, ma in cui D’AVANZO si astiene da ogni commento circa l’iniziativa processuale di PREVITI, chiudendo con la sola presa d’atto che "un nuovo fronte della battaglia è stato aperto" e con la domanda "Cosa farà ora BORRELLI?".

Con riferimento invece all’articolo 5.6.1997, ancora più infondata è come si è visto sub 6.2. che si sia voluta prospettare come accertata l’esistenza di una associazione a delinquere o di una consorteria giudiziaria o di una superlobby intorno al Palazzo di Giustizia di ROMA. Come per gli altri due articoli del 10.7 e 25.7.1997, non si può al riguardo che rimandare a quanto si è già detto, ribadendosi che se vi è una cosa chiara nell’articolo (così come in quelli 10.7. e 25.7.) è che non si sta parlando di fatti acclarati ma solo delle ipotesi che sui dati acquisiti in diverse grandi inchieste in corso è oggettivamente possibile formulare (e che forse i pm formuleranno). E con la sola ulteriore osservazione che la ricostruzione critica proposta da D’AVANZO non si presentava certo alla data dell’articolo come palesemente incompatibile (e quindi incontinente) con quanto allo stato emerso dalle fonti giudiziarie narrate e discusse (e segnatamente : dalle ordinanze di custodia cautelare più volte citate emesse nei confronti di BATTISTELLA—ROVELLI e ACAMPORA-PACIFICO, e dalla richiesta di custodia cautelare nei confronti di MELPIGNANO-BONIFACI-SAVIA).

Anche nella forma espressiva, l’articolo 5.6.1997 resta sempre assolutamente problematico in ordine alla possibilità che si possa arrivare davvero in concreto a contestare il reato associativo o anche solo a provare l’esistenza della superlobby, e resta quindi continente in quel senso sostanziale di cui si è detto sub 5.1. punto 6), e sub 5.2., perchè frutto di quell’utilizzo della presunzione di non colpevolezza come immanente criterio-guida nella valutazione dei dati giudiziari, utile ad avvertire il lettore che non ha davanti verità rivelate, e non come limite al diritto del giornalista di narrare e commentare (si veda ad es. il riferimento al fatto che un domani alcuni potrebbero definire la contestazione del reato associativo o la tesi dell’esistenza della consorteria "teorema giudiziario"; si veda, ancora, sempre a titolo esemplificativo, la chiusura del pezzo, laddove, dopo l’esposizione di vari dati di indagine, ci si chiede : "ve ne è a sufficienza per considerare questa consorteria una vera e propria associazione a delinquere ?").

6.5. L’interesse pubblico alla conoscenza dei fatti . Sussistenza

Prendendo a base quanto si è detto al punto 7) del precedente paragrafo 5 , e sub 5.2., tra gli estremi delle esimenti in parola quello dell’interesse pubblico alla conoscenza del fatto oggetto di cronaca o di critica è nel caso concreto il più facile da riconoscere.

Gli articoli in esame riguardano infatti rilevantissime inchieste, più che semplici indagini, portate avanti da più Uffici del P.M. su fatti e fenomeni di enorme rilevanza politica—economica—istituzionale. Rimanendo a ciò che concerne l’attuale Parte Civile, gli articoli riguardano l’andamento dell’inchiesta che tende ad accertare se Cesare PREVITI, nella qualità di Avvocato , possa avere corrotto con altri professionisti magistrati arrivati a ricoprire importanti incarichi negli Uffici Giudiziari della Capitale, in causa del valore di 700 miliardi riguardante importanti soggetti quali l’Istituto Mobiliare Italiano e quindi interessanti specificamente anche migliaia di risparmiatori. Riguardano la possibilità che egli possa avere commesso più fatti del genere, in stabili rapporti con altri mediatori quali Pierfrancesco PACINI BATTAGLIA, e con diversi magistrati. O addirittura la possibilità che egli possa avere fatto parte di una consorteria giudiziaria ruotante intorno agli Uffici giudiziari di ROMA. Riguardano, ancora (v. l’articolo in cui si riferisce dell’istanza di sostituzione del P.M. per pregiudiziale atteggiamento colpevolista) il buon andamento delle nostre istituzioni giudiziarie, la loro efficienza, la loro terzietà ed imparzialità in procedimenti in cui sono indagati esponenti del mondo politico. Riguardano infine persona già all’epoca membro del Parlamento, ex Ministro della Difesa, esponente politico di primo piano di uno partiti italiani più votati dagli elettori, e quindi soggetto appartenente alla politica nazionale ed alle Istituzioni della Repubblica.

Trattasi dunque – a volerlo classificare – di caso in cui sussiste un interesse pubblico immediato alla conoscenza dei fatti oggetto di cronaca e di critica, fatti che si presentano di intrinseca rilevanza pubblico-sociale. E di caso in cui in cui -– in quel bilanciamento di interessi da operarsi sul piano costituzionale tra diritto ad informare ed essere informati e libera manifestazione del pensiero, da un lato, e tutela dell’onore e della reputazione dall’altro – l’ambito del diritto di cronaca e di critica da considerarsi nella ricognizione sulla sussistenza delle esimenti in parola non può che essere riconosciuto nella sua maggiore ampiezza, investendo fatti illeciti in ipotesi commessi da uomo politico e delle Istituzioni, e quindi soggetto che ha consapevolmente assunto ruoli che massimamente lo espongono, in un Paese democratico, all’attenta pubblica verifica dei suoi atti da parte dei cittadini, e, per loro conto, innanzitutto dei giornalisti.

8. L’assoluzione di Giuseppe D’AVANZO "perché il fatto non costituisce reato", e di Ezio Mauro dal reato di cui al capo B) , "perché il fatto non sussiste".

Discende dalle osservazioni che precedono che Giuseppe D’AVANZO deve essere assolto dal reato di diffamazione continuata a mezzo stampa contestatogli – anche ex art. 129 2° comma c.p. con riferimento all’articolo 5.6.1997 per il quale mancano le condizioni di procedibilità -- "perché il fatto non costituisce reato" per sussistenza , nei termini esposti , delle esimenti del legittimo esercizio dei diritti di cronaca giudiziaria e di critica.

Ezio Mauro, quale Direttore Responsabile all’epoca de "La Repubblica", è dal canto suo accusato del reato di cui agli artt. 57, 595 c.p., 13 e 21 l. 47 / 1948 , per non avere esercitato il controllo necessario ad impedire la pubblicazione degli articoli di D’AVANZO di cui al capo A) dell’imputazione.

La ricostruzione della responsabilità per tale fattispecie postula evidentemente che un reato di diffamazione sussista, in tutte le sue componenti, assenza di esimenti inclusa.

Accertata nei confronti di D’AVANZO la sussistenza delle cause di giustificazione del legittimo esercizio dei diritti di critica e di cronaca, ed assolvendosi lo stesso "perché il fatto non costituisce reato", viene a mancare l’oggetto dell’omesso controllo. Omissione, che quindi evidentemente "non sussiste".

P.Q.M., IL TRIBUNALE ORDINARIO di ROMA, visti gli artt. 129, 530 c.p.p. ,

1 ) assolve D’AVANZO Giuseppe dal reato continuato ascrittogli al capo A) , in relazione a tutti gli articoli contestatigli, perché il fatto non costituisce reato;

2 ) assolve MAURO Ezio dal reato contestatogli al capo B, in relazione a tutti gli articoli contestatigli, perché il fatto non sussiste;

2 ) indica in giorni novanta il termine per il deposito della motivazione.

IL GIUDICE

( dott. Valerio SAVIO )

 

 

 

 

 

Inizio pagina

Prima pagina

 

 

Omissis

a cura di magistratura democratica romana


Chi siamo
Come eravamo
Legislazione
Giurisprudenza
Migranti
Archivio
Satira giuridica

Siti di interesse

Prima pagina

 

Scrivi

Suggerimenti

critiche

articoli

notizie