Le correnti e la c.d. politicizzazione del Csm*

di Giovanni Diotallevi

Quando si parla di "tempi e qualità della giustizia", inevitabilmente si fa anche riferimento al ruolo e all’attività del C.S.M. quale organo di "amministrazione della giurisdizione". Tra le cause primarie dell’asserito cattivo funzionamento del Consiglio viene sempre indicata la c.d. politicizzazione dell’organo che avrebbe snaturato le proprie funzioni, assurgendo goffamente al ruolo di "parlamentino dei magistrati", modificando così il suo ruolo originario. La nuova legge elettorale ha tra i suoi obiettivi dichiarati quello di "spoliticizzare" il C.S.M., attraverso l’eliminazione delle c.d. correnti, in modo da ridare efficienza e "neutralità" all’azione del C.S.M. Questo obiettivo viene perseguito attraverso l’abolizione del voto di lista, la riduzione del numero dei componenti e la separazione dell’elettorato passivo tra p.m. e giudici. Il nuovo sistema elettorale incide dunque, oltre che sulla quantità, sulla qualità della rappresentanza dei magistrati, in via diretta ed immediata, facendosi carico di quell’accusa di "politicizzazione" che i promotori del disegno di legge rivolgono all’attività e al ruolo del Consiglio.

Metodi intriganti e faccendieri, clientelismo, personalismi, macchine elettorali, favoritismi e lottizzazione sono prospettate come le caratteristiche dominanti della struttura organizzativa del C.S.M., così come è stata sinora espressa dai sistemi elettorali degli ultimi vent’anni.

Credo che occorra superare l’impatto emotivo suscitato da accuse generiche, ma sapientemente orchestrate e ripetute in modo ossessivo, per chiarire concretamente i problemi che pure esistono, e analizzare se il rimedio proposto sia idoneo a sanare i mali cui si allude.

Cominciando però a sgombrare il campo da tutta l’aurea suggestiva che l’accusa di politicizzazione, genericamente diffusa, inevitabilmente solleva.

Possono essere attribuiti tre significati al termine "politicizzazione":

  1. collegamento improprio a partiti e potentati politici;
  2. politicantismo, cioè mutuazione dei metodi degenerativi della vita politico/amministrativa;
  3. politicità: consapevolezza, cioè, delle scelte di valore e dei momenti indirizzo per la vita dell’istituzione e dell’intera magistratura.

Su queste premesse il rigore dell’analisi deve essere razionale e intellettualmente onesto e riconoscere che insieme alle importanti funzioni di gestione amministrativa, che devono essere caratterizzate da correttezza, imparzialità ed efficienza, vi sono momenti dell’attività del Consiglio connotati da una intrinseca politicità, esercizio di un potere di indirizzo le cui scelte sono volte ad attuare i principi, i fini, le regole che la Costituzione assegna all’istituzione giudiziaria.

Privilegiare anzianità o attitudini nel conferimento di incarichi e funzioni, fissare i limiti e le modalità dell’attività di inchiesta del Consiglio, attuare in modo più o meno ampio una scelta in favore della pubblicità e della trasparenza della sua attività, scegliere i percorsi, i temi e le linee direttive della formazione professionale, stabilire i criteri organizzativi che devono essere posti alla base della materia c.d. tabellare, ribadire, con forza, e sempre drammaticamente più spesso, il ruolo dell’istituzione giudiziaria all’interno di un corretto assetto dei poteri costituzionali, sono attività che impongono scelte alla cui base vi sono valutazioni interpretative, analisi bilanciate, individuazione di punti qualificanti, che possono trovare la loro organizzazione ed il loro denominatore comune soltanto in una coerente "politica" giudiziaria.

Ma questa dimensione "politica", che trova la sua sintesi efficace nella formula dell’autogoverno, coglie il suo percorso obbligato nei valori che la Costituzione assegna alla giurisdizione: autonomia e indipendenza della magistratura, obbligatorietà dell’azione penale, rifiuto di giudici speciali o "politici" (salvo i casi previsti dagli artt. 90, c.2, e 103 della Cost.), tutela giudiziaria di ogni situazione garantita dall’ordinamento, tutela del pluralismo giudiziario, controllo della costituzionalità delle leggi.

Perché allora non è giusto considerare il C.S.M. come l’istituzione naturale deputata a rappresentare le diverse posizioni ideali presenti nella magistratura, espresse dalle varie aree culturali e che hanno trovato la loro legittimazione proprio nell’azione svolta sinora all’interno dell’organo di autogoverno? Perché negare che il C.S.M. , grazie alla sua struttura è stato un luogo idealmente e pluralisticamente qualificato, ha rappresentato un punto di convergenza dove dai confronti, anche aspri, sui più importanti temi istituzionali e professionali, si è sviluppata e consolidata un’area di comune consenso, di un consenso laico e non ideologico, sui valori istituzionali fondamentali, quali, ad es. l’autonomia . l’indipendenza e la funzione di garanzia della giurisdizione? Ma con quale superficialità si può affermare che il pluralismo culturale presente nel C.S.M. costituisce la riproduzione degli schieramenti partitici, causa ed effetto quindi della deprecata politicizzazione?

Solo un esame approssimativo o non obiettivo dell’attività del C.S.M. non può riconoscere il pluralismo ideale esistente all’interno di ciascun gruppo, che fa giustizia sommaria di ogni ipotizzabile cordone ombelicale con singoli schieramenti politici. Ciò che deve preoccupare l’istituzione giudiziaria sono piuttosto i casi di collateralismo politico occulto di singoli esponenti del mondo giudiziario, che mettono, quelli si, in crisi la legittimazione sociale della magistratura, e perciò la sua indipendenza.

Ed allora perché non riconoscere che l’autonomia politico – culturale sviluppatisi all’interno della magistratura è stata capace anche di decantare questi fenomeni degenerativi, grazie al modello associativo pluralistico? E non è stata la sempre più chiara caratterizzazione del Consiglio in ordine alle scelte programmatiche, ai contenuti, alle linee di politica istituzionale, pluralisticamente costruite attraverso il dibattito e il contributo trasparente e verificabile delle varie componenti ideali, a costituire il rimedio più efficace contro le spinte clientelari?

Con il nuovo sistema elettorale si vuole spazzare via un sistema proporzionale per liste concorrenti, che pur con tutti i suoi difetti è apparso lo strumento organizzatorio più valido del consenso dei magistrati, in quanto è stato il naturale sviluppo e la coerente conclusione istituzionale della tradizione associativa presente da lungo tempo in magistratura. Questo sistema, insieme al pluralismo espresso dalle designazioni parlamentari ha determinato la vita dell’istituzione e le sue linee generali, che possono essere condivise o meno, ma che sicuramente non possono essere ricondotte a mere posizioni partitiche o corporative, se non operando un arbitrario e riduttivo procedimento di amputazione intellettuale del fenomeno.

Non si può far finta di dimenticare che nel nostro sistema costituzionale, nonostante le violente torsioni maggioritarie, vige ancora il c.d. "policentrismo istituzionale", di cui è evidente espressione l’autogoverno del C.S.M. Qual è la coerenza costituzionale del progetto in cantiere con l’architettura disegnata dal Costituente? Il nuovo sistema elettorale non appare in grado, al di là delle affermazioni di facciata, di eliminare alcuna delle superfetazioni del sistema, ma anzi rischia di aggravarle, minando e non salvaguardando, al contempo, l’autonomia e l’indipendenza della magistratura, e, con esse, del suo organo istituzionalmente rappresentativo.

C’è un solo modo, a mio giudizio, per superare il pericolo della c.d. lottizzazione e dello snaturamento della rappresentanza del Consiglio, da organo di rappresentanza di un interesse generale comune , quello della giurisdizione, a centro di riferimento di interessi personali, facilmente clientelari; in base alla Costituzione la rappresentanza di interessi particolari, sia che essi si riferiscano a singoli soggetti, o a aree geografiche , o a categorie di magistrati o a magistrati individuati in base ai diversi "mestieri" non può avere legittimazione al C.S.M.. Il Consiglio, organo di rilevanza costituzionale cura un unico interesse generale, per cui deve poter rappresentare i diversi punti di vista con riferimento a questo interesse, e trovare il modo migliore per raggiungerlo.

Occorre dunque, anche in questo nuovo scenario, fare leva sull’ autonomia culturale derivante all’istituzione dal confronto dialettico tra i magistrati e tra le aree culturali di appartenenza; confronto trasparente e controllabile, svolto sulla base dei valori propri dell’istituzione giudiziaria, così come previsti dalla carta costituzionale; non è cedendo all’idea di burocratizzare il C.S.M. che si salva la sua immagine e la sua credibilità; non è consegnando l’organo di governo autonomo della magistratura all’area dell’alta amministrazione che si difendono le condizioni indispensabili del ruolo e dell’indipendente esercizio della giurisdizione.Non è attraverso interventi sulla composizione e sulla struttura del Consiglio, ricondotti, in questo caso, ad un quadro di centralizzazione di fatto dei poteri, che si può utilmente percorrere la strada per attribuire coerenza ad un sistema politico generale, che pure in altri settori sceglie la trama delle varie autonomie.

Occorre invece proteggere sino in fondo il ruolo dell’autogoverno.Solo senza stravolgere le regole del libero confronto tra i diversi orientamenti ideali e senza depotenziare la ricchezza del pluralismo associativo la magistratura troverà la forza e la coerenza per il rispetto e la tutela di quei valori che sinora sono stati espressi dalla capacità di autonomia politico – culturale dell’istituzione , dalla sua capacità di essere rappresentanza di idee e non di interessi.

La sfida che ci aspetta è dunque quella disegnata da un nuovo scenario, dove saper cogliere comunque le opportunità per una rappresentanza che sia espressione dell’interesse comune, non di particolarismi e di localismi, in modo che la rappresentanza si leghi comunque ad un programma di idee condivise.

Solo così non avremo una fuga dalle responsabilità della magistratura, un abbassamento della capacità della funzione giurisdizionale di dare risposte alle domande di giustizia, senza protagonismi, ma senza atteggiamenti di subalternità culturale e di conformismo, con quella crescente pigrizia morale che, come diceva Calamandrei, "sempre più preferisce alla soluzione giusta quella accomodante". Solo così potrà esserci un magistrato che non avrà il "terrore" della propria indipendenza, che non sarà condizionato da poteri ed interessi, ma sarà custode di impegno e professionalità e dei valori essenziali della giurisdizione. La magistratura non è il "partito della legge", ma è sicuramente custode della tutela del principio di legalità e il Consiglio può e deve continuare a rappresentare anche questo valore.

*Pubblichiamo l'intervento dell'autore al Congresso di Salerno dell'Anm

 

 

 

 

 

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