Tutti i giudici nel mirino*
di Giovanni Palombarini
Certo, le delusioni che la magistratura sta dando alla destra di governo, e in particolare a Forza Italia, sono davvero molte. Delusioni consistenti, intanto con riferimento ai processi che riguardano il capo dell'esecutivo e vari suoi amici, che i tribunali si ostinano a voler celebrare invocando il principio che la legge è uguale per tutti; ma poi anche per quel che concerne la mancata accettazione del tipo di rapporto fra poteri forti e giurisdizione che le componenti dell'attuale maggioranza hanno in testa e che si esprime in vari provvedimenti legislativi in gestazione, a cominciare da quello che ha per oggetto l'ordinamento giudiziario. In particolare sembra ormai fallita una tattica mirante a dividere i magistrati in buoni e cattivi. All'inizio nel mirino dell'attuale presidente del consiglio e dei suoi avvocati (poi diventati quasi tutti legislatori, essendo stati eletti in parlamento) erano alcuni uffici giudiziari - la procura di Milano, ma anche quella di Palermo - accusati di uso distorto della giurisdizione. Poi il campo s'è allargato, e la stampa vicina a Silvio Berlusconi ha fatto oggetto di polemiche «il partito dei pubblici ministeri», da tenere ben distinto dalla grande maggioranza dei giudici, silenziosamente operosi e rispettosi delle leggi. Successivamente l'ampliamento è stato ancora più consistente: anche i giudici, anche quelli della corte di cassazione, nella misura in cui sono apparsi determinati a fare certi processi e magari a condannare coloro che risultavano colpevoli, sono stati fatti entrare nel novero degli inaffidabili, che sentenziano a fini di parte (inizialmente si parlava di toghe rosse e di comunisti, poi, più genericamente, di magistrati «politicizzati» che ce l'hanno con Berlusconi), fino a ricomprendervi addirittura alcuni giudici stranieri. Peraltro, sia pure con crescenti difficoltà, anche questa operazione è stata condotta a partire dalla premessa che oggetto della polemica era pur sempre un'esigua minoranza, da tenere ben distinta da una magistratura meritevole del massimo rispetto, la cui indipendenza era fuori discussione.
Il risultato da raggiungere era duplice. Da un lato alcuni processi dovevano necessariamente chiudersi in qualche modo senza sentenze di condanna, secondo alcuni non potendosi sovrapporre le decisioni dei giudici alla volontà popolare; dall'altro era necessario ridefinire la collocazione istituzionale della magistratura, secondo indicazioni che risalgono agli anni Ottanta ma che gli ultimi governi della prima repubblica non erano stati capaci di realizzare. Il tutto con il consenso della generalità dei magistrati, stanchi da un lato del «protagonismo» di alcuni colleghi, troppo disponibili ad apparire nelle cronache per effetto di indagini e processi, e dall'altro di una conflittualità fra potere politico e giurisdizione che dura da tempo e che non consente di vivere tranquilli.
Con l'anno nuovo sono però avvenuti alcuni fatti che hanno evidenziato il fallimento di questo tentativo strumentale di divisione e gli scarsi esiti degli annessi argomenti di propaganda. Prima, in occasione dell'inaugurazione dell'anno giudiziario, la generalità dei magistrati ha rese pubbliche in modo clamoroso le proprie preoccupazioni per la sorte di quella fondamentale garanzia dei cittadini che è l'indipendenza della magistratura. Poi, in giugno, dopo assemblee locali fortemente partecipate, lo sciopero dei magistrati di protesta contro i disegni di controriforma dell'ordinamento giudiziario del ministro Castelli ha raggiunto un clamoroso numero di adesioni, mai visto in passato. Infine nelle elezioni per il rinnovo del Csm l'alleanza dei gruppi progressisti ha conseguito il 48% dei voti, un risultato sorprendente, imprevedibile anche per i più ottimisti fra i suoi sostenitori.
Molti possono essere stati i motivi di un simile esito, ma uno, fondamentale, appare certo. Per i candidati di questa alleanza hanno votato anche magistrati che non sono fra i tradizionali aderenti a Md e ai Movimenti, e che solo negli ultimi mesi hanno deciso di partecipare al dibattito che all'interno dell'istituzione giudiziaria si è sviluppato a proposito delle polemiche durissime nei confronti di alcuni giudici (si pensi alle iniziative, nell'autunno scorso, dell'allora sottosegretario Taormina nei confronti del tribunale di Milano) e dei disegni governativi di ristrutturazione della magistratura.
Il fatto è che i magistrati, al di là delle tradizionali divisioni, si sono resi conto che oggi sono davvero in ballo la loro indipendenza e lo stesso principio di legalità, di una legge uguale per tutti; e hanno scelto di mandare al consiglio superiore persone che certamente difenderanno con fermezza, senza tentazioni compromissorie o cedimenti, i principi costituzionali.
Chi si è illuso che tutto questo avrebbe indotto gli esponenti della maggioranza di governo a correggere il loro atteggiamento nei confronti dei magistrati e della giurisdizione è stato subito smentito. E' di queste ore la notizia che l'on. Cesare Previti, deputato di Forza Italia, con un'iniziativa senza precedenbti nella storia della Repubblica, ha chiesto al presidente di Magistratura Democratica l'elenco completo degli aderenti a tale associazione (ma anche altri settori organizzati della magistratura, par di capire, sono nel mirino dell'uomo politico). Lo scopo dichiarato della richiesta è quello di poter ricusare i giudici che l'on. Previti considera ideologicamente ostili o coinvolti, in quanto aderenti a Md, in un comune pre-giudizio di colpevolezza nei suoi confronti; ma gli effetti di intimidazione rischiano di essere ben altri.
Da un punto di vista strettamente giuridico, infatti, è impossibile far rientrare le divergenze politiche fra i casi, tassativamente stabiliti dalla legge, nei quali un imputato può ricusare il giudice; e appare ovviamente irrilevante a tale scopo quanto un altro magistrato che con il processo non ha nulla a che fare può avere scritto su una rivista a proposito dell'utilizzazione di un conto estero della Fininvest. E però, anche se Livio Pepino ha respinto al mittente la richiesta, l'on. Previti ha comunque rilanciato davanti all'opinione pubblica il sospetto che una parte della magistratura utilizzi i processi penali non per accertare se alcuni reati siano stati commessi oppure no, ma per colpire esponenti politici dei quali non si condividono idee e programmi.
Non si tratta solo di un espediente difensivo. Il fatto,
con gli sviluppi che può avere, è di straordinaria gravità
sotto il profilo politico-istituzionale, e come tale riguarda davvero tutti,
a cominciare da coloro che hanno a cuore i diritti. L'iniziativa mette infatti
in discussione alcuni valori, a cominciare dal principio costituzionale della
libertà di associazione. Chi ha scritto la costituzione repubblicana
ha riconosciuto a tutti questa libertà, essenziale per la democrazia,
ponendo come limitazione per i magistrati, peraltro eventuale, soltanto quella
al diritto a iscriversi ai partiti politici. Tutto questo viene oggi messo
in discussione, in definitiva affermando che chi si riconosce in una determinata
associazione - si tratta di molte centinaia di persone - non può fare
certi processi, cioè quelli che riguardano esponenti dell'attuale maggioranza
di governo. E' a rischio un diritto fondamentale, in una stagione nella quale
anche altri appaiono a rischio, un diritto che da soli i magisatrati non potranno
da soli efficacemente difendere. Per questo non solo l'Anm e il Csm, ma anche
tutte le forze democratiche sono chiamate a prendere posizione.
L'articolo è pubblicato su "Il manifesto" dell'11.7.2002
Omissisa
cura di magistratura democratica romana
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