Affidamento congiunto

Alla Camera sono in discussione proposte di legge presentate da tutti i gruppi e che vorrebbero introdurre la regola dell'affidamento congiunto dei figli ai due genitori in occasione delle separazioni personali dei coniugi. Si tratta, tra le altre, delle proposte n. 66 Tarditi ed altri, n. 643 Lucchese ed altri, n. 1558 Vitali ed altri, n. 453 Centro e altri, n. 2233 Lucidi ed altri, n. 2344 Mussolini ed altri. Sul tema riceviamo e pubblichiamo la relazione svolta dall'avvocata Teresa Manente alla Casa Internazionale delle Donne il 12 aprile 2002 in occasione di un convegno.

Problematiche dell’affidamento in caso di maltrattamenti

e persecuzioni da parte dell’ex partner.

di Teresa Manente*

A Roma sono operanti tre Centri antiviolenza per donne e figli minori gestiti dall’Associazione Differenza Donna. Ad oggi si sono rivolte 6.235 donne.

Di queste, il 92% ha subito violenza psicologica, fisica, sessuale all’interno della famiglia; nell’ 81,9% dei casi l’autore delle violenze è il marito o convivente. Il fenomeno dei maltrattamenti è quindi molto diffuso.

Fin dai primi colloqui tenuti da operatrici specializzate, psicologhe ed avvocate secondo una interdisciplinarietà delle varie competenze e specializzazioni coinvolte, emerge che molto spesso l’atto violento che ha determinato la richiesta di aiuto non è che l’ultimo di una serie di altri comportamenti vessatori che durano da tempo, spesso da vari anni. Si tratta di violenze psicologiche e fisiche che ledono in maniera grave l’integrità psicofisica della persona.

Il danno biologico e cioè la lesione del diritto alla salute, diritto questo inviolabile della persona riconosciuto in via primaria dalla nostra Costituzione, è rilevante. Sia per la donna che direttamente subisce le violenze, sia per i figli minori che quotidianamente, il più delle volte, assistono alle violenze del padre sulla madre. Sono bambini continuamente esposti alla violenza.

Il fenomeno dei maltrattamenti è un fenomeno in gran parte sommerso perché, più del 50% delle donne che si rivolgono a noi non sporge denuncia. La donna sceglie di intraprendere un giudizio di separazione - se coniugata - o di cessare la convivenza, spera così di riprendere a vivere una vita normale, lontana dalle sofferenze e dalle prevaricazioni. Ma nella maggioranza dei casi l’ex partner continua ad agire violenze su di lei. Per contrastare il fenomeno , efficace è stata la legge 4 aprile 2001 n. 154 sull’ordine di allontanamento del partner violento dalla casa coniugale, provvedimento che abbiamo richiesto e ottenuto dal Tribunale civile, ancor prima di intraprendere l’azione di separazione. Una legge sicuramente innovativa in materia di violenza domestica.

Una ricerca realizzata nel 2000 presso i tre Centri antiviolenza di Roma ha rilevato che nel 65,8% dei casi le donne separate continuano a subire violenze da parte dell’ex partner anche dopo la separazione. Questi dati concordano con quelli emersi in alcune ricerche condotte negli Stati Uniti dove per tali comportamenti è previsto il reato di stalking ( analogo reato è previsto in Australia e in Gran Bretagna). In tali situazioni, la violenza dell’ex partner sono soprattutto psicologiche , ma non per questo meno gravi: la donna viene controllata di nascosto, con appostamenti sotto casa, anche 24 ore su 24 molestata con continue telefonate (molte sono costrette a cambiare il numero del proprio telefono, anche più volte), pedinata nei suoi spostamenti, molto spesso anche sul posto di lavoro (motivo per il quale non di rado i datori di lavoro la licenziano perché non vogliono avere grane), le ingiurie e le minacce sono continue. La donna non è libera di uscire quando vuole, lui appena l’incontra la aggredisce fisicamente, è privata delle sue libertà personali.

Solo in una percentuale bassissima siamo in presenza di uomini con problemi di tossicodipendenza o alcolismo. Nella stragrande maggioranza dei casi non sono uomini affetti da patologie psichiatriche. L’intento principale è quello di tenere soggiogata la donna , incutendole paura. In tali situazioni, raramente il giudice civile in sede di udienza presidenziale (ex art.708 c.p.c) adotta un provvedimento di riduzione o sospensione del diritto di visita del padre, cosa che sarebbe invece opportuno, proprio nell’interesse dei minori . I partner violenti utilizzano le visite ai figli per maltrattare l’ex coniuge, mettendo in serio pericolo l’incolumità sia della madre sia dei figli costretti ad assistere alle violenze del padre. Anche nei casi, più gravi quando abbiamo ottenuto che le visite del padre siano fatte in strutture protette, l’uomo violento non si è fermato, ha continuato a maltrattare la donna, appena fuori dal luogo di incontro, pedinandola, minacciandola, aggredendola, il tutto davanti ai bambini .

In tali situazioni di maltrattamenti – che rappresentano una realtà molto diffusa - l’affido condiviso obbligatorio sarebbe come sancire il diritto a far perdurare quella situazione di rischio, di pericolo che con la separazione la donna aveva cercato di interrompere.

Con gravissimi danni psicologici per i figli minori.

In Inghilterra, dove vigeva la regola della bigenitorialità, per proteggere i figli minori lesi dalla persecuzione dei padri nei confronti dell’ex partner, nel 1996, è stata emanata una legge la "Family Law Act" che ha introdotto il divieto per i padri, con storie di maltrattamenti alle spalle o in corso, di avere contatto con i figli.

Molto spesso il legislatore, gli avvocati, i giudici e a volte anche gli assistenti sociali ignorano i danni psichici derivanti ai bambini che assistono alla violenza del padre sulla madre. Una ricerca realizzata nel 1999 dalle psicologhe di Differenza Donna sugli effetti della violenza assistita, dimostra che figli testimoni della violenza del padre sulla madre subiscono danni psichici gravi simili a quelli prodotti dalla violenza esercitata direttamente su di loro. I risultati della ricerca hanno evidenziato che bambini e bambine accusano disagi sia comportamentali che relazionali: hanno paura, sono ansiosi, depressi, oppure iperattivi, rabbiosi, hanno disturbi psicosomatici, mal di pancia, mal di testa, soffrono di insonnia e di disturbi dell’alimentazione.

Questi effetti negativi della violenza tendono a scomparire con l’allontanarsi dalla causa della violenza. Quando le madri si separano dal compagno violento i bambini riacquistano un equilibrio psicofisico. Pertanto proprio nell’interesse dei minori, nelle situazioni di maltrattamenti, l’affido condiviso obbligatorio deve essere assolutamente escluso. Obbligare i genitori a frequentarsi, nelle situazioni di maltrattamenti significa legittimare il diritto a maltrattare.

Ma al di là di queste situazioni, la regola dell’affido condiviso sempre e comunque non è utile anche nei casi in cui il padre, seppur non violento, comunque si disinteressa dei figli dopo la separazione.

Da parte di coloro che sostengono le proposte di legge sull’affido condiviso obbligatorio si sostiene che esso può costituire la soluzione a questo problema: un cattivo padre, assente verso i figli sarà obbligato a diventare un buon padre.

Si dice, la legge deve mirare a cambiare la cultura. Ma mi chiedo: può una legge imporre sentimenti di amore, di gioia, come il piacere di curare ed assistere il proprio figlio ? L’essere genitori nasce da un desiderio, non da un obbligo imposto. Sicuramente non è un problema di legge, ma un problema culturale. Del resto già esistono buone leggi: la Costituzione stabilisce parità di doveri e diritti di entrambi i genitori a tutela dei figli; ci sono poi le leggi ordinarie: cito ad es. la legge n. 903 del 1977, che prevede il diritto del padre di assentarsi dal lavoro per malattia del figlio, la legge 8 marzo 2000 n. 53, la legge n. 151 del 2001 sui congedi parentali per entrambi i genitori.

Ma quanti padri hanno usufruito di tali leggi ? E quanti padri hanno chiesto l’affidamento dei figli ? A Roma i padri che chiedono l’affido esclusivo congiunto o alternato sono solo il 17 % su 15 mila coppie che ogni anno si separano o divorziano.

Ancora nella realtà sono pochi i padri che dopo la separazione continuano ad avere rapporti continuativi con i figli e che rispettano le visite stabilite dal giudice.

Dalla nostra esperienza, presso i Centri antiviolenza emerge inoltre che il 61,3 % dei padri non adempie all’obbligo di versamento dell’assegno di mantenimento verso i figli.

I sostenitori dell’affido condiviso affermano che il problema del disinteresse dei padri verso i figli, dipenderebbe dal fatto che i figli sono affidati ad un solo genitore, di solito la madre, e pertanto il padre si sente escluso. Ma mi chiedo: perché le madri, che per loro scelta hanno preferito che i figli fossero affidati al padre, continuano invece ad avere rapporti continuativi con i loro figli, anche quotidiani , a prescindere dall’essere genitori affidatari. Il problema Non è la legge. Il fatto che il padre non affidatario veda i figli solo nei fine settimana o in estate è una scelta dei padri, che autolimitano l’esercizio dei loro diritti, non è una imposizione dettata dall’attuale legislazione. Ben vengano padri premurosi e attenti: un padre che accompagna i figli a scuola, che li porta in piscina, che li aiuta a fare i compiti è una gran bella cosa per i figli e anche per le madri che nella maggioranza dei casi oggi dopo la separazione si trovano da sole a dover gestire l’organizzazione della vita quotidiana con i figli. Con tutte le rinunce che ne conseguono, ad esempio rispetto alla realizzazione nel lavoro.

Nella mia esperienza non mi è mai capitato di vedere una donna rifiutare l’aiuto dall’ex marito sensibile e premuroso verso i figli; al contrario ho visto molte donne cercare invano di essere aiutate dagli ex coniugi nella cura quotidiana dei figli e chiedermi come far rispettare al padre le modalità di visita stabilite dal giudice.

Il problema dell’assenza, del disinteresse del padre verso i figli non può essere risolto imponendo come regola sempre e comunque l’affido condiviso perché tale tipo di situazione quando non è scelta, quando non c’è accordo, è estremamente pericolosa, acuisce i conflitti, penalizza i coniugi che hanno scelto di vivere separati, e danneggia gravemente i figli minori. In nessun paese europeo è previsto un affido condiviso imposto dalla legge. Francia, Spagna, Inghilterra, Germania da vari anni hanno introdotto l’istituto dell’affidamento "in comune" tra i genitori. Ma sempre e solo con il loro consenso. Emblematica è la situazione verificatasi in Germania, dove è stata prevista nel 1998 la regola dell'affidamento congiunto.

Le prime applicazioni dei giudici di merito sono state nel senso di disporre l'affidamento anche in mancanza di accordo delle parti. Ciò ha portato ad un aumento della conflittualità tra i genitori sicchè solo un anno dopo, nel 1999, è stato necessario un intervento della Corte Federale che ha fissato i seguenti principi fondamentali:

a) l'affidamento condiviso presuppone il consenso delle parti;

b) l'accordo deve essere analitico e riguardare ogni aspetto essenziale dell'affidamento

c) in mancanza di accordo o di accordo che non appaia conforme all'interesse del figlio, il giudice potrà disporre l'affidamento ad un solo genitore.

Quindi anche l’analisi della legislazione europea ci porta a dire che l’affido condiviso è previsto solo come una possibilità di affidamento una modalità che può reggere solo sull’accordo tra coniugi. E’ un modello di affidamento, già attualmente previsto dall’art. 6 della legge n. 74\87, che può realizzarsi tra persone già consapevoli del ruolo genitoriale di ciascuno e che tendono a mantenerlo in favore di entrambi.

Quello che mi sembra veramente impossibile è il voler calare per legge un modello di affidamento valevole e uguale per tutti,

anche tra persone che in definitiva si odiano e che non saranno mai capaci di attuarlo, destinato a fallire in partenza, con il rischio di acuire ancora di più i conflitti.

Va aggiunto ancora che il vero problema irrisolto e irrisolvibile, a mio avviso, è quello della possibilità di dare attuazione ad obblighi, quelli dei genitori, che non sono né fungibili, né coercibili.

Se i tribunali non riescono oggi a far rispettare gli obblighi connessi ad un affidamento monoparentale, non si vede come le disposizioni, più complesse di un affidamento condiviso possano trovare una concreta attuazione in caso di inadempimento.

Forse nelle proposte di legge è sottesa una finalità più ampia, cioè quella di tendere alla riconciliazione, di ostacolare se non impedire la separazione tra i coniugi.

Nella relazione allegata alla proposta Tarditi è espressamente detto che in una società come la nostra, dove la famiglia è in grande crisi, "ogni minimo spiraglio per una riconciliazione deve essere convenientemente sfruttato".

Una riflessione finale.

Siamo dinanzi ad un generale arretramento delle conquiste delle donne e dei diritti sociali in genere.

Non è un caso che nella proposta Tarditi, nella nuova formulazione dell’art. 147 c.c. – che disciplina i diritti e doveri dei genitori verso i figli – alla parola matrimonio viene sostituita la parola "procreazione", e in Parlamento sono in discussione progetti di legge sulla procreazione assistita in cui si stabilisce il principio della soggettività giuridica del concepito, da cui discendono conseguenze giuridiche aberranti per le donne, come l’abrogazione, di fatto, del diritto di abortire.

* avvocata, responsabile dell'ufficio legale dell'associazione "Differenza Donna - onlus" che gestisce i tre Centri antiviolenza di Roma, uno del Comune di Roma e due della Provincia. Relazione svolta al convegno tenutosi il presso la Casa Internazionale delle Donne di via della Lungara Roma



 

 

 

 

 

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