L'appello dei professori universitari sulla giustizia
I sottoscritti professori universitari di diritto, consapevoli
della loro responsabilità di fronte agli studenti e di fronte al dovere
di rispettare i principi basilari delle discipline giuridiche, ritengono di
non poter tacere di fronte ad un evento mai verificatosi nella storia parlamentare
dell'Italia unita, che mette a repentaglio le stesse fondamenta dello stato
costituzionale.
Il Senato della Repubblica, con la mozione approvata a maggioranza il 5/12/2001,
ha sottoposto a violente critiche alcuni provvedimenti giudiziari relativi
a processi penali in corso, qualificandoli come errati nel merito, eversivi
del corretto esercizio delle funzioni giurisdizionali e lesivi delle prerogative
del legislatore; il tutto nel quadro di gravissime accuse rivolte a singoli
magistrati che avrebbero tentato, e tenterebbero tuttora, "di usare l'alto
mandato, con le relative prerogative previste dalla Costituzione, a fini di
lotta politica, fino ad interferire nella vita politica del Paese utilizzando
in maniera strumentale i più svariati capi di accusa di sapore chiaramente
illiberale".
Questo intervento costituisce un grave atto di intimidazione, perché
contiene un giudizio di merito su provvedimenti giurisdizionali ancora sottoposti
agli ordinari mezzi di impugnazione, e, come tale, attenta alla libertà
di valutazione dei giudici nell'attuale e nei successivi gradi del processo.
Si deve poi rilevare che è falsa l'affermazione secondo cui "recenti
provvedimenti giudiziari" - le due ordinanze (17 e 21 novembre 2001) pronunciate
dal Tribunale di Milano in processi penali a carico dell'on Previti e altri
- "hanno disatteso una sentenza della Corte costituzionale, per di più
risolutiva di un conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato" (la sentenza
n. 225/2001, che annulla alcuni provvedimenti emessi dal giudice dell'udienza
preliminare nei suddetti processi). In realtà, le ordinanze del Tribunale
di Milano non disattendono la sentenza costituzionale. Nel prendere doverosamente
atto dell'annullamento deliberato dalla Corte, esse affrontano il delicato
problema dell'influenza esercitata dai provvedimenti annullati sul seguito
del processo; e, nel contesto di un'ampia argomentazione, escludono la necessità
del ritorno alla fase dell'udienza preliminare, sollecitato dalla difesa.
Da tale conclusione, che pare ai sottoscritti del tutto plausibile alla luce
del diritto vigente, si può naturalmente dissentire sulla base di una
diversa lettura della legge processuale, la cui corretta interpretazione è
dalla stessa sentenza costituzionale demandata ai "competenti organi
della giurisdizione".
Ma si deve comunque fermamente ribadire che, in presenza di provvedimenti
ancora sottoposti agli ordinari mezzi d'impugnazione, la critica può
essere svolta con atti di esercizio della libertà di manifestazione
del pensiero e non con atti di indirizzo politico, come è una mozione
parlamentare. Con ciò si è violato il principio plurisecolare
- molto più antico della vigente Costituzione - che vieta al Parlamento
di interferire nel merito dei singoli processi: divieto così forte
da, addirittura, impedire alla legge di modificare le sentenze definitive.
I sottoscritti non possono fare a meno di rilevare che la mozione del Senato
s'inserisce in un quadro generale di violento attacco politico contro la magistratura
italiana, accompagnato da iniziative segnate da un conflitto d'interessi che
inquina la vita politica del Paese e i suoi rapporti con la comunità
internazionale.
Nell'esprimere, in questo delicato frangente, piena solidarietà alla
magistratura, i sottoscritti ricordano che uno dei padri della Costituzione,
Piero Calamandrei, nella prefazione all'Elogio dei giudici scritto da un avvocato,
particolarmente elogiava Aurelio Sansoni, giudice in Toscana nel Ventennio,
scrivendo: "Qualcuno, nei primi tempi del fascismo, lo chiamava anche "il
pretore rosso"; e non era in realtà né rosso né bigio:
era soltanto una coscienza tranquillamente fiera, non disposta a rinnegare
la giustizia per fare la volontà degli squadristi che invadevano le
aule. Era semplicemente un giudice giusto: e per questo lo chiamavano "rosso"
(perché sempre, tra le tante sofferenze che attendono il giudice giusto,
vi è anche quella di sentirsi accusare, quando non è disposto
a servire una fazione, di essere al servizio della fazione contraria).
Primi firmatari
Sergio CHIARLONI
Mario DOGLIANI
Paolo FERRUA
Roberto WEIGMANN
Dicembre 2001
Omissisa
cura di magistratura democratica romana
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