Avvocati a difesa della giurisdizione
Dopo l'appello dei professori universitari, pubblichiamo anche la voce di gruppi e associazioni di avvocati a difesa dei valori della giurisdizione.
- Intervento dell'IDF all'inaugurazione dell'anno giudiziario a Napoli
- Appello "avvocati per la giustizia" (Smuraglia e altri)
Intervento dell'IDF (Inziativa democratica forense) all'inaugurazione dell'anno giudiziario a Napoli
La IDF, quale associazione nazionale di avvocati impegnata da anni a condurre una battaglia culturale e politica su temi strettamente legati tra loro, quali democrazia e giustizia, ha particolarmente a cuore l’indipendenza sia interna che esterna dell’avvocatura e della magistratura.
Per indipendenza esterna dell’avvocatura intendiamo l’autonomia da centri di potere, istituzionale od economico, affinché l’avvocato non venga considerato come un mero strumento tecnico per perseguire qualsivoglia finalità di controllo sociale od economico o, peggio, per escogitare iniziative sleali intese a sottrarre i potenti di turno alla celebrazione dei processi in vista della prescrizione.
In breve, siamo contrarissimi alla figura dell’avvocato "consigliere del principe", ovvero di quell’avvocato che, pur di favorire interessi illeciti di chi lo paga, non esiti a sostenere - senza farsi scrupolo- iniziative aberranti, vere e proprie ingiurie alla coscienza di qualsiasi giurista e di ogni cittadino di un stato democratico.
Per indipendenza interna - cosa, se possibile, ancor più irrinunciabile - intendiamo l’autonomia degli avvocati tutti dalle pressioni che su di loro possono esercitare le lobbies economiche, sia nazionali che locali.
Per lo stesso motivo non può che minare l’autonomia e l’uguaglianza degli avvocati il fatto che colleghi, eletti in parlamento, abusino della propria carica istituzionale per confezionarsi su misura leggi ad hoc per prevalere nel singolo processo che li vede impegnati come difensori.
Poco importa che siffatto sistema venga adoperato nel processo penale o in una controversia civile: il conflitto di interessi è lo stesso; ed è ugualmente grave l’offesa alla dignità di quell’avvocato che, non disponendo d’uno scranno in parlamento, è destinato a vedere capovolto l’esito della controversia sol perché il suo avversario ha il potere di far modificare a proprio favore, retroattivamente, le regole del gioco.
Sia ben chiaro (e con ciò vogliamo evitare qualsiasi strumentalizzazione): ovviamente non siamo contrari a che un avvocato sieda in parlamento, (ne abbiamo tanti che degnamente ci rappresentano, e per tutti voglio ricordare l’avvocato Siniscalchi) ma al fatto che un avvocato si renda partecipe di iniziative legislative destinate unicamente ad aggiustare i propri processi se non addirittura per sottrarsi ad essi.
La democrazia e la nostra professione non hanno più alcun senso se la decisione d’una causa si confeziona in parlamento mediante leggi-sentenza.
Altro punto fermo per la nostra associazione è che a sua volta non esiste libera avvocatura senza una magistratura altrettanto libera ed indipendente.
Come qualsiasi operatore del diritto dovrebbe sapere, in realtà, si tratta delle due facce d’una stessa medaglia.
L’una senza l’altra non ha ragione di esistere, costituendo entrambe valori serventi rispetto al diritto fondamentale dei cittadini a che la legge sia uguale per tutti.
E non v’è legge uguale per tutti senza obbligatorietà dell’azione penale.
Per questo motivo – proprio in questa giornata così significativa - respingiamo con forza i quotidiani attacchi alla nostra democrazia ed alla Costituzione da parte di chi detiene un incontrollabile potere economico e sui mezzi di informazione; di chi, con una accelerazione senza precedenti, ha modificato le leggi sulle rogatorie internazionali, sul falso in bilancio, sul rientro dei capitali dall’estero.
Manifestiamo inoltre - sin dai tempi della famigerata bozza Boato- la nostra assoluta contrarietà ai progetti intesi a rendere discrezionale l’azione penale ed a separare le carriere di magistratura giudicante ed inquirente. Siamo consapevoli che ogni condizionamento del potere giudiziario da parte di quello politico rappresenta un attacco non solo allo Stato democratico ed ai diritti fondamentali dei cittadini, ma soprattutto alla libertà della avvocatura.
Sappiamo tutti che i progetti dell’attuale governo non sono altro che il primo passo verso lo strapotere dell’esecutivo che vuole impadronirsi di quello giudiziario, in un unico disegno volto ad eliminare il controllo di legalità e a far sì che gli avvocati, piuttosto che confrontarsi liberamente e ad armi pari con le altre parti del processo, pubbliche o private, siano invece costretti a mendicare dal politico di turno - che magari è proprio lo stesso avvocato di controparte - la soluzione d’una data controversia giudiziaria.
Il nostro è un paese davvero strano: la vera e grave anomalia dell’Italia rispetto agli altri paesi di democrazia liberale è che da anni la giustizia – ma, attenzione, solo quella che funziona - è al centro del dibattito e dello scontro politico, addirittura secondo alcuni viene definita provocatoriamente eversione.
Ma in un paese normale la politica si occupa della giustizia non per ostacolarne il funzionamento o per rallentarne i meccanismi di indagine - se non addirittura per boicottarli, ma – al contrario- per fornire tutti gli strumenti necessari al suo regolare funzionamento al pari degli altri servizi pubblici essenziali.
Invece, in Italia, l’attuale governo – e, segnatamente, l’odierno guardasigilli – si preoccupano solo dei processi del premier emettendo provvedimenti che travalicano i loro poteri e contribuendo ad aggravare i problemi già drammatici del settore giustizia. Vedi processo SME.
L’attuale governo –è sotto gli occhi di tutti- cerca di imporre soluzioni più vantaggiose esclusivamente per le classi più forti e a danno della generalità degli interessati e dei più deboli.
Per questo la nostra associazione è impegnata a proporre agli avvocati e più in generale alla società e alla opinione pubblica iniziative che avviino una inversione di tendenza e pongano le premesse per una ben diversa riforma della giustizia, finalizzata a rendere efficiente il servizio, e giammai a minare l’irrinunciabile controllo di legalità.
Napoli, 12 gennaio 2002
Appello "avvocati per la giustizia"
Nella nostra qualità di avvocati sentiamo il
dovere di prendere posizione sul grave conflitto che si è aperto, e
non accenna a comporsi, tra Governo e Magistratura.
È un conflitto che non riguarda soltanto il Governo, e la maggioranza
parlamentare che lo sostiene, da una parte, e i magistrati dall'altra.
Riguarda tutti i cittadini, perché al centro di esso stanno i principi
della divisione dei poteri e della autonomia e indipendenza della magistratura.
E tali principi sono scritti nella nostra Costituzione non a tutela della
categoria dei magistrati, ma a presidio della libertà e della eguaglianza
dei cittadini.
Che questa sia la posta in gioco, è sotto gli occhi di tutti. L'aggressione
verbale violenta, da parte di esponenti del Governo e della maggioranza, nei
confronti di magistrati che assumono iniziative o pronunciano decisioni non
gradite, costituisce interferenza indebita nell'esercizio delle funzioni giurisdizionali
e produce oggettivamente, attorno all'esercizio di tali funzioni, un clima
di intimidazione. L'affermazione, più volte ripetuta, e contenuta addirittura
nella mozione sulla giustizia approvata a maggioranza dal Senato, secondo
cui vi sarebbero giudici che "hanno tentato e tentano ancora oggi di
usare l'alto mandato a fini di lotta politica", si risolve, per la sua
genericità e la palese strumentalità ed infondatezza, in un
evidente tentativo di delegittimazione dell'intera magistratura. E tutto ciò
avviene a fronte di procedimenti penali, per reati comuni di notevole gravità,
(oltretutto per fatti anteriori all'assunzione delle cariche), che riguardano
il Presidente del Consiglio ed altri autorevoli esponenti della maggioranza.
Siamo dunque in presenza di un attacco senza originato dalla volontà
di chi esercita il potere politico di sottrarsi al controllo di legalità
cui è istituzionalmente tenuto il potere giudiziario, e di sottrarvisi
attentando alla credibilità dell'ordine giudiziario, nel suo insieme
e nelle persone di quei magistrati che abbiano osato od osino perseguire reati
- come è loro imposto dalla legge - anche se in questi sia implicato
qualcuno dei potenti di turno.
Che sia in gioco il principio della divisione dei poteri e della autonomia
e della indipendenza della magistratura risulta anche da alcuni propositi
di "riforma" enunciati dal Ministro della Giustizia e da esponenti
della maggioranza. La rivendicazione al potere politico (più volte
ripetuta) del compito di correggere e perseguire gli "errori" dei
giudici, con la prefigurazione di un controllo politico sull'esercizio della
giurisdizione; la proposta di sottrarre al Consiglio superiore della magistratura,
organo di autogoverno, la materia disciplinare, e gli altri interventi annunciati
in ordine al Csm, volti a ridimensionarne il ruolo e le funzioni; la proposta
di attribuire al Parlamento la determinazione di "criteri di priorità"
nell'esercizio della azione penale, con il chiaro aggiramento, se non la soppressione,
del principio della obbligatorietà della azione penale sancito dalla
Costituzione, e l'esplicità sottoposizione dell'esercizio della azione
penale alla volontà del potere politico; la proposta di separazione
delle carriere dei magistrati, sullo sfondo della quale si colloca, per dichiarazione
di alcuni autorevoli esponenti del Governo e della maggioranza, la riorganizzazione
in senso unitario e gerarchico dell'ufficio del pubblico ministero e la messa
in discussione della sua indipendenza, rispondono ad unico orientamento, quello
di abbandonare il principio della separazione (e della reciproca autonomia)
tra potere giudiziario e potere esecutivo e di sottoporre il primo al controllo
del secondo.
I valori in gioco appartengono a tutti e costituiscono patrimonio indefettibile
della nostra democrazia. I magistrati, dunque, non devono essere lasciati
soli nella loro difesa. Ed al loro fianco è giusto che siano in primo
luogo gli avvocati, sempre, per cultura e tradizione, particolarmente sensibili
ai valori della autonomia e della indipendenza della magistratura, così
come a quelli della autonomia e della indipendenza della loro professione.
Gli avvocati sanno che la giustizia, che costituisce il loro impegno quotidiano,
non sarebbe più degna di tale nome se si violasse il principio di uguaglianza
tra i cittadini, se pochi privilegiati potessero sottrarsi alla giurisdizione,
se l'autonomia e l'indipendenza della magistratura e dei singoli magistrati
inquirenti e giudicanti non fossero più garantite.
Alcuni recenti, sconcertanti episodi dimostrano che il pericolo è tutt'altro
che astratto e che sta crescendo il numero e l'entità dei valori posti
in discussione. In un processo nel quale è imputato il Presidente del
Consiglio, il difensore di questi non ha esitato ad "avvertire"
i giudici che nella sua veste di parlamentare avrebbe presentato un'interpellanza
al Governo su questioni attinenti al processo in corso. Nel medesimo processo,
il Ministro della Giustizia non ha esitato ad adottare un provvedimento amministrativo
che, se avesse l'effetto voluto, comporterebbe la modificazione del Collegio
giudicante ed il conseguente azzeramento del processo. In questi e in altri
casi i giudici hanno saputo far prevalere, contro ogni tentativo di intimidazione,
il rigoroso rispetto della legge e della Costituzione. Ma fino a quando ciò
sarà possibile? E l'indebita commistione tra esercizio della difesa
e influenza politica non rischia di produrre l'alterazione e l'appannamento
della essenziale funzione del difensore nel processo, da sempre affidata al
primato della legge e alla forza degli argomenti, mai alla protezione dei
potenti?
Di fronte ad una situazione che diventa ogni giorno di più intollerabile
per tutti coloro che credono nella giustizia senza aggettivi, nella divisione
dei poteri, nella autonomia e indipendenza della magistratura, nel principio
di eguaglianza, e dunque, in sintesi, nello Stato di diritto e nella democrazia,
occorre, da parte di tutti, il massimo impegno. E questo impegno, per contrastare
la china pericolosa in cui siamo avviati, vogliamo manifestare come cittadini
ed anche, e soprattutto, come avvocati del libero Foro. Il punto di riferimento
essenziale è, come sempre, la Costituzione della Repubblica, insostituibile
fondamento della nostra convivenza democratica.
Carlo Smuraglia (Milano), Giovanni Russo (Savona), Carlo Federico Grosso (Torino),
Guido Alpa (Genova), Michele Taruffo (Pavia), Vittorio Chiusano (Torino),
Lorenzo Acquarone (Genova), Enzo Roppo (Genova), Giorgio Ghezzi (Bologna),
Carlo Russo (Savona), Franco Coccia (Roma), Giorgio Covi (Milano), Peppino
Cappuccio (Messina), Luigi Scatturin (Venezia), Valdemaro Flick (Genova),
Antonio Manca Graziadei (Roma), Giovanni Marongiu (Genova), Emilio Zecca (Milano),
Pietro Ichino (Milano), Guido Calvi (Roma), Rosanna Tedesco Malagugini (Milano),
Mario Fezzi (Milano), Emilia Recchi (Roma), Daniela Baggi (Padova) e altri
trecento firmatari.
Omissisa
cura di magistratura democratica romana
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