In nome del popolo

di Fausto Nisticò

 

Alcuni suggerimenti per correttamente inserire la dicitura"La Giustizia è amministrata in nome del popolo": in particolare sulla sua necessaria uniformità allo stile degli arredi esistenti , sulle nuove norme per l’estetica giudiziaria (nota del Ministero della Giustizia 26 novembre 2002) e sul lifting dei palazzi di giustizia.

In fondo, per me, non cambia nulla. Nella mia aula di udienza – che è anche la stanza dove lavoro quando udienza non c’è – non c’era neppure la dicitura "La legge è uguale per tutti", quella classica, insomma. Sin dal primo giorno del mio lavoro, infatti, avevo provveduto a rimuovere tutti gli orpelli apotropaici e quant’altri simulacri potessero incutere timore a me stesso ed a chi in questa stanza capitasse per discutere le sue ragioni e perché fosse chiaro che l’esercizio della giurisdizione dalle mie parti non si nutriva di simboli e cerimonie. Non crocefissi né immagini istituzionali né quei calendari di Corpi Militari che accomunano le aule di giustizia alle caserme e proteggono il giudice alle "spalle". Il mio mestiere – ho pensato – è già così pieno di latinorum, di trappole procedurali, di esclusività sacerdotale, di ritualità lontane dall’uomo comune, che aggiungerci pure altre immagini di severità avrebbe aumentato lo sconcerto di quanti tutti i giorni mi capitano davanti per risolvere i loro guai e che - semmai - si aspettano che sia fatta giustizia o più semplicemente sia dato loro un pezzo di carta utile per costringere il debitore a pagare o per poter riscuotere la pensione ingiustamente negata. D’altro canto – ho pure pensato – valuteranno con il tempo se qui la legge è uguale per tutti e dunque non vi è necessità di mettere la mani avanti, o peggio comunicare con i simboli che il ruolo mi avrebbe comunque assolto da ogni stupidaggine o da ogni sopruso. E poi, mi sono chiesto, avrebbe avuto senso scrivere negli ospedali "Qui sono tutti curati allo stesso modo", oppure nelle scuole "Qui si insegnano a tutti le stesse cose" od in qualsiasi altro ufficio pubblico "Qui non si fa figli e figliastri"? Non avremmo forse tutti – leggendo queste diciture retoriche - recitato il latinetto excusatio non poetita..?

Diciamocelo: la classica "La legge è uguale per tutti" era diventata vecchia per desuetudine e poi troppo si prestava alle interpretazioni ironiche ed amare di chi – suo malgrado – aveva avuto modo di constatare che forse non era vero; o di chi, avendo avuto modo di fare un giro nelle nostre carceri, avesse constatato che gli ospiti erano sempre gli stessi, ladri, marocchini, truffatori, venditori di fumo, insomma che la legge non era eguale per tutti se un ladruncolo di autoradio se ne stava al fresco e gli esportatori di capitali – magari di dubbia provenienza – continuavano a proclamare da fuori la loro condizione immacolata. Forse quella vecchia dicitura, quella maschera semantica, aveva addirittura assunto tratti sghignazzanti, come Al Pacino – ricordate? – nell’"Avvocato del diavolo", od irridenti, come Don Rodrigo a Padre Cristofaro.

Ora, non è ben chiaro se la velina ministeriale del 26 novembre di quest’anno, diretta al Capo del Dipartimento della Organizzazione giudiziaria, disponga per la rimozione della vecchia e proponga in alternativa la nuova dicitura "La giustizia è amministrata in nome del popolo" o se le diciture debbano cumularsi.

Si dice:" In conformità al disposto dell’art. 101 della Costituzione, La prego di voler impartire le opportune disposizioni affinché nelle Aule di udienza, compresa l’Aula Magna (ove esistente), di tutti gli uffici giudiziari sia inserita la seguente dicitura:"La Giustizia è amministrata in nome del Popolo". Tale dicitura sarà apposta in modo visibile alle spalle del Giudice ed in stile uniforme agli arredi".

La dicitura deve essere – secondo le disposizioni a firma del Ministro- inserita nelle Aule di udienza. L’interpretazione letterale sembrerebbe suggerire il cumulo, poiché nulla si dice sulla sorte di "La legge è uguale per tutti" e, come sappiamo, ubi lex non dixit non voluit. Inserire, d’altro canto, indica il mantenimento dello status quo, e perciò aggiungere al preesistente. Tuttavia, come sempre succede nel nostro mestiere (c’è sempre un tuttavia…) la tesi del cumulo sembrerebbe esclusa da una argomentazione logica. Il Ministro, infatti, non dice che la nuova dicitura debba essere apposta…in stile uniforme alla vecchia, bensì "in stile uniforme agli arredi" e dunque questo depone per la cancellazione della vecchia, altrimenti, una disposizione tanto attenta al momento estetico della giustizia, avrebbe raccomandato di non realizzare conflitti di stile fra le due diciture ed invece ha raccomandato di non creare conflitti di stile con gli arredi. Salve, dunque, le ipotesi (in realtà di scuola) nelle quali lo stile di "La legge è uguale per tutti" coincida, per avventura, con lo stile degli arredi, è da ritenersi che la nuova dicitura debba essere inserita al posto della vecchia. Insomma è un problema che occuperà, passata l’inaugurazione dell’anno giudiziario, i vertici degli uffici giudiziari.

Ma non solo questa questione (che magari sarà risolta da una circolare interpretativa) occuperà l’impegno prossimo futuro, poiché non da tutte le parti sarà facile individuare "lo stile" degli arredi, stanti le numerose sovrapposizioni, gli accorpamenti, le ristrutturazioni, le ricostruzione, gli adattamenti che negli anni hanno colpito i nostri palazzi di giustizia (ove palazzi ci siano stati e non locali di fortuna).

Per esempio, per fare spazio ai giudici di pace o non so a quali altri giudici dilettanti, qualche anno fa il mio collega ed io siamo stati mandati a lavorare in una porzione di un fabbricato diroccato, in stile neoclassico, ma praticamente in rovina. La porzione destinata ai due giudici era stata sommariamente ripulita, ma questo non impediva che la mattina, prima di iniziare l’udienza, io dovessi scacciare i piccioni dalla mia stanza ed un bel gatto soriano che aveva trovato accogliente la mia poltrona; accadeva anche, con una certa frequenza, che i cani – che avevano libero accesso durante la notte dalle non poche entrate naturali – lasciassero un ricordino ed anzi uno scelse di farlo davanti alla porta del mio collega, il quale, visibilmente perplesso, sciorinò alcune considerazioni sulla giustizia. Ma a parte ciò, se la dicitura dovesse ora essere inserita in quel contesto, sarebbe veramente un problema commissionarla al grafico od al falegname, perché lo dovremmo fare in stile informe, o magmatico od addirittura in stile macerie, come quei cartelli che alle volte si leggono vicino ai disastri (" Pericolo di crollo, edificio in rovina"). Anche gli arredi presentavano disomogeneità: il gruppo di mobilio destinato al giudice era stato comprato nuovo di zecca (ma solo per invogliare i due giudici a sloggiare dal palazzo principale) ed era in stile falso impero, con la poltrona in pelle. Ma il resto degli arredi, tavoli per gli avvocati, scaffalature, librerie, tutto il resto apparteneva ad una sorta di eclettismo povero, poiché non vi era una sedia eguale ad un’altra e qualcuna di esse rappresentava addirittura un pericolo per la sua instabilità. Lì, dunque, si sarebbe fatto presto: sarebbe bastato, infatti, prendere un cartone, ritagliarlo alla meglio e con un pennarello nero a punta grossa scriverci "La Giustizia è amministrata in nome del Popolo"; poi appenderlo con un chiodo arrugginito divelto dagli infissi cadenti, alle spalle del Giudice. Non ci sarebbero stati problemi di uniformità agli arredi.

La questione, invece, si porrebbe per la mia attuale Aula di udienza, che, come già vi dicevo, coincide con la stanza dove studio e scrivo le sentenze. Qui le condizioni non sono disastrose, tuttavia è egualmente difficile isolare uno stile omogeneo: lo studio è sempre quello (falso impero in massello), ma, per esempio, alcune librerie sono in stile "scaffalatura Olivetti" ed i tavoli dove ripongo i fascicoli dell’udienza sono in stile "agenzia immobiliare" o, se vogliamo "agenzia di assicurazione". Le tende alle finestre – ereditate dal precedente inquilino – sono un classico "anni settanta" ed i lampadari al neon sono in stile "adeguamento legge 626". Le sedie, invece, secondo la tradizione dell’ufficio, appartengono all’"eclettismo consolidato" ed il tavolino per la stampante del personal è in stile "ufficio pubblico anni ‘60" (dotato com’è di una serie di cassettini a spessore ridotto e verisimilmente destinati a contenere la "carta carbone" ed altre veterocianfrusaglie di cancelleria).

Ancora una volta non diventa semplice identificare uno stile preciso al quale uniformare la dicitura.

Ma a tutto c’è rimedio, quando sulle cose ci si ragiona. Se, infatti, è vero che non vi è omogeneità negli arredi, certamente vi è omogeneità nelle architetture. E dunque, prevalendo sicuramente esigenze estetiche, potrà farsi riferimento a queste, ancora una volta accedendo ad interpretazioni estensive od analogiche.

L’architettura del mio palazzo di giustizia è univocamente in stile fascista, del tipo bonifica pontina, come tanti altri palazzi costruiti all’epoca, od anche dopo su vecchi progetti. Domina il marmo di Carrara e gli spazi inutili; le stanze sono di modesta metratura, ma alte sette metri (usque ad sidera), la porte tamburate altissime, le prospettive infinite invitano a dimensioni imperiali, le palme nel giardino, di autentica provenienza libica, spaziano, ardite, verso la quarta sponda. Un senso di severa autarchia pervade l’utente, quand’anche fosse risuscito a superare le complicatissime porte blindate, stile posterrorismo di sinistra..

Mi pare, allora, possibile (accedendo alla interpretazione estensiva ragionevole della quale ho detto) uniformare la nuova dicitura allo stile del palazzo ed allora commissionarla senz’altro in stile littorio.

Ne dovrebbe venir fuori una sorta di lapide di questo tenore:

"La Giustizia è amministrata in nome del Popolo"

Pisa dicembre 2002, Anno II° (*)

(*) per " anno II" , ovviamente, deve intendersi il secondo anno del ventunesimo secolo.

Pisa, dicembre 2002

 

 

 

 

 

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