La sezione Anm della Cassazione sul ddl di riforma dell'ordinamento giudiziario
Il disegno di legge delega per la riforma dell'ordinamento giudiziario delinea
un assetto della magistratura italiana contrario al dettato costituzionale.
Esso è anche in contraddizione con le pressanti esigenze di efficienza
del sistema, sia perché non affronta alcuno dei problemi che al riguardo
si pongono, sia perché le soluzioni che appresta sono spesso controproducenti.
Poiché il disegno di legge si dichiara ispirato all'intento di "restituire
la Cassazione al suo compito connaturale di vertice della magistratura ordinaria",
la Giunta della Sezione Cassazione dell'Associazione Nazionale Magistrati
non può esonerarsi dalla responsabilità di fornire una propria
immediata valutazione su di esso.
A tale proposito, è innanzitutto da osservare che attribuire alla Cassazione
la funzione di vertice della magistratura è erroneo dal punto di vista
costituzionale e costituisce una regressione rispetto alla concezione della
Cassazione che si è progressivamente e positivamente affermata nell'ultimo
mezzo secolo, durante il lungo e faticoso cammino verso l'inveramento del
dettato costituzionale.
Nell'ordinamento costituzionale, infatti, la Cassazione rappresenta il vertice
del sistema delle impugnazioni ed è solo in ragione, nell'ambito e
come effetto naturale di questa sua funzione giurisdizionale che è
ad essa demandato non solo il compito di assicurare il rispetto del giusto
processo, ma anche lo svolgimento della funzione di nomofilachia, intesa come
sintesi delle diverse soluzioni interpretative e come orientamento verso consapevoli
convergenze nell'interpretazione del diritto da parte degli stessi giudici
di merito, con i quali la cassazione si pone in libero e proficuo rapporto
dialogico.
In questo sistema, nel quale ciascun giudice - sia esso di legittimità
o di merito - è soggetto soltanto alla legge ed è quindi tenuto
a non assoggettarsi ad alcun'altra autorità, esterna o interna all'ordine
giudiziario, il risultato della tendenziale uniformità (e quindi della
prevedibilità e della certezza) nell'interpretazione del diritto è
rimesso soltanto, per un verso, alla collocazione della cassazione nel sistema
delle impugnazioni e, per altro verso, alla sua autorevolezza culturale e
alla persuasività delle sue sentenze: attribuire alla Corte una qualunque
posizione di supremazia ordinamentale o organizzativa, una qualunque capacità
di influire sulla "carriera" dei giudici, un qualunque ruolo incidente sulla
loro formazione professionale, significherebbe creare condizionamenti tali
da alterare gravemente il principio di autonomia e di indipendenza dei giudici
di merito.
Soggette al controllo della cassazione sono e debbono rimanere soltanto le
sentenze e non anche i giudici che le hanno emesse.
1. Questo assetto viene gravemente turbato dalla previsione di una "Scuola
della magistratura" istituita presso la Cassazione, anziché presso
il Consiglio superiore della magistratura, tanto più che a tale Scuola
vengono altresì impropriamente attribuiti compiti di "verifica attitudinale"
da valere "anche ai fini della progressione in carriera". Il disegno di legge
prevede infatti che alla Scuola sia preposto un comitato direttivo del quale
sono componenti due magistrati della Corte designati dal Primo Presidente
mentre altri tre componenti sono nominati dal CSM, ma di concerto con il Ministro
della giustizia. Il ruolo del CSM nella formazione professionale viene di
fatto cancellato: riguardo alla programmazione dell'attività didattica
si prevede, infatti, che il Consiglio superiore della magistratura possa fare
solo proposte, alla stessa stregua del Ministro, del Consiglio nazionale forense,
di ciascun Consiglio giudiziario, del Consiglio direttivo della Corte di cassazione
e di ciascun componente del Consiglio universitario nazionale.
In tal modo vengono attribuite alla Cassazione funzioni assolutamente estranee
al suo ruolo giurisdizionale e tali da inquinare quest'ultimo, inserendo in
esso fattori di improprio condizionamento sulla giurisdizione di merito (per
non parlare del ruolo illegittimamente riconosciuto al Ministro, in un campo
che non ha nulla a che fare con le attribuzioni di cui all'articolo 110 della
Costituzione), sia per la capacità di influire sulla selezione attitudinale
ai fini della progressione in carriera, sia per la formazione professionale
in sé considerata.
Quanto a quest'ultima, deve infatti essere ricordato che la formazione professionale
dei magistrati - a differenza di quella che si svolge nelle aziende e nelle
pubbliche amministrazioni - non può essere rivolta alla conformazione
degli stessi e della loro attività ad un unico modello imposto dall'alto
o dall'esterno e neppure dalla stessa Cassazione, dal Csm o dalla Scuola,
ma deve invece essere intesa, oltre che all'acquisizione delle necessarie
capacità tecniche, a suscitare la coscienza dei termini giuridici e
culturali dei problemi nonché dei valori sottesi ad ogni scelta operativa,
al libero confronto ed al reciproco approfondimento tra i diversi orientamenti,
proprio al fine di rendere consapevole l'esercizio dell'autonomia di ciascun
magistrato, di modo che essa - garantita dalla ostituzione come diritto fondamentale
dei cittadini - possa esprimersi non già in scelte arbitrarie, soggettivistiche
o casuali, ma in scelte - libere perché consapevoli e fondate - tra
le diverse e ponderate interpretazioni possibili della norma, del fenomeno
reale e del proprio stesso ruolo.
E' in questo senso che la funzione della formazione professionale dei magistrati
non può non essere compresa tra quelle che "possono indirettamente
incidere sull'indipendenza dei magistrati" e quindi non può non rientrare
nelle attribuzioni del Csm. Il pluralismo culturale e ideale che per Costituzione
deve connotare tutta l'attività consiliare assume qui una valenza ulteriore
e ben più incisiva, in quanto serve ad evitare il pericolo che la formazione
professionale dei magistrati divenga un fattore di condizionamento degli stessi
e di loro induzione al conformismo e alla subalternità.
La tendenza all'uniformità e all'orientamento delle scelte interpretative
- che è in qualche misura sottesa alla funzione nomofilattica - si
pone quindi in un proficuo rapporto dialettico rispetto alla funzione della
formazione professionale dei magistrati: unire tali funzioni significherebbe
alterare e tradire i caratteri essenziali dell'una e dell'altra, così
come avrebbe effetti gravemente distorsivi collegare la funzione formativa
a quella selettiva.
A queste considerazioni deve poi aggiungersi che la Cassazione non sarebbe
materialmente in grado di svolgere tale funzione. La Corte Suprema, infatti,
si trova già ora in una situazione di grande sovraccarico che le rende
difficile svolgere le sue funzioni giurisdizionali a quel livello di efficienza
e di qualità che il suo ruolo richiede. L'ipotesi di gravare la Corte
anche di una funzione così impegnativa e così eterogenea come
quella della formazione professionale, appare, da questo punto di vista, irrealistica.
Deve anche essere rilevato che il novantacinque per cento circa dei magistrati
esercita funzioni giudiziarie di merito. Affidare il compito di curare la
loro formazione professionale a chi invece esercita funzioni di legittimità
appare alquanto irrazionale. Non è qui in questione la presenza in
Cassazione di grandi capacità culturali e didattiche, ma appare ovvio
che la formazione professionale della magistratura è compito che può
naturalmente essere meglio svolto da un organismo, quale il CSM, in cui trovano
espressione tutte le differenziate professionalità e le diverse funzioni
che la magistratura comprende.
Infine, non può essere taciuto che nel campo della formazione professionale
dei magistrati il Consiglio superiore della magistratura ha raggiunto nell'ultimo
decennio risultati positivi. Anche per questo motivo, cambiare sistema non
avrebbe alcuna giustificazione. Né alcuna giustificazione sembra ipotizzabile
per talune disposizioni di dettaglio contenute nella delega - come quella
che vieta la possibilità di seguire più di un corso di formazione
ogni tre anni - che mettono chiaramente in luce il carattere improvvisato
e approssimativo dell'innovazione proposta.
2. Il disegno di legge prevede poi la possibilità di un accesso estremamente
anticipato alle funzioni di cassazione a seguito di concorsi per titoli ed
esami: si tratta della mera riproduzione di un sistema che è stato
vigente in passato, ha dato pessima prova di sé e per questo motivo
è stato abrogato dal Parlamento.
Non resta quindi che ripetere qui quel che tutte le componenti culturali della
magistratura hanno sostenuto nei decenni trascorsi, trattandosi di rilievi
basati sull'esperienza concreta e sulla intima adesione ai valori e ai caratteri
fondamentali che devono connotare l'istituzione perché sia conforme
al dettato costituzionale.
La soppressione del concorso per l'accesso anticipato in Cassazione ha rappresentato
l'adempimento del principio costituzionale secondo cui i magistrati si distinguono
solo per le funzioni esercitate ed ha eliminato i gravi inconvenienti derivanti
dal concreto funzionamento del sistema che li prevedeva: l'impegno del magistrato
concentrato non sul carico di lavoro dell'ufficio, ma sulla sentenza da valorizzare
quale "titolo"; la trasformazione di quest'ultima da risposta destinata al
cittadino ad esibizione di sapere dottrinario e giurisprudenziale destinato
agli esaminatori; il difetto di garanzie per quanto riguarda l'oggettività
e l'imparzialità della valutazione; il sistema di cooptazione fondato
sulla gerarchia, inevitabilmente destinato a premiare il conformismo giurisprudenziale;
la tentazione per il magistrato di rifugiarsi in "nicchie" comunque lontane
dalla "prima linea", per coltivare lo studio teorico e l'approntamento dei
provvedimenti-titolo; la scelta tra le varie funzioni in vista delle maggiori
o minori opportunità da esse fornite per la predisposizione di tali
provvedimenti.
Abrogare quel sistema ha significato inoltre l'eliminazione, nei rapporti
interni alla magistratura, di spinte al rivalismo e alla competitività,
particolarmente improprie rispetto alla funzione giudiziaria.
Oggi, nella nostra istituzione, svolge di regola un ruolo prioritario l'autoselezione
attitudinale e non la corsa ai gradi e agli onori, e ciò non può
che volgersi a beneficio dei cittadini.
Oggi la considerazione dei gradi processuali non più collegata ai gradi
della gerarchia o alle gradazioni della premialità, induce una concezione
più "colta" del processo.
Oggi il cittadino sa che l'ordinamento italiano pone il magistrato che lo
deve giudicare in condizione di essere sine spe ac metu.
La previsione di questo accesso anticipato e differenziato in Cassazione determinerebbe
effetti distorsivi anche rispetto alla cultura che la cassazione stessa deve
possedere ed esprimere per svolgere adeguatamente il proprio ruolo che - pur
prevalentemente legato al controllo di legittimità - non è riducibile
ad una attività di elaborazione dogmatico-formalistica, ma richiede
di essere costantemente nutrito da una sensibile e diretta consapevolezza
concreta dei fenomeni sociali regolati e dei problemi da risolvere, che può
acquisirsi soltanto attraverso una impegnata e matura esperienza nella giurisdizione
di merito.
Nulla sarebbe più nefasto per la Cassazione, oggi, di misure capaci
di isolarla dal resto della magistratura e di pregiudicare l'osmosi tra merito
e legittimità: la Cassazione è certo più autorevole da
quando l'efficacia del suo insegnamento è affidata alla capacità
di ascolto e alla persuasività delle ragioni giuridiche poste a fondamento
delle sue sentenze piuttosto che agli strumenti di induzione al conformismo
collegati ad una impropria posizione di "vertice".
3. E' da tempo avvertita l'esigenza di un più rigoroso vaglio attitudinale
per il conferimento delle funzioni di legittimità, diretto non già
a creare inutili graduatorie ma ad accertare la sussistenza, in chi aspira
ad esercitare tale funzioni, dello specifico standard professionale che esse
richiedono: ciò può essere raggiunto senza bisogno di modifiche
legislative e di fatto il Consiglio superiore della magistratura ha progressivamente
ridotto il peso dell'anzianità nella scelta dei magistrati da destinare
a tali funzioni. Al fine di apprestare strumenti operativi più idonei
a verificare in concreto il possesso delle specifiche attitudini al giudizio
di legittimità, che non vanno confuse con generiche qualificazioni
di maggiore o minore "bravura", potrebbe anche essere opportuno sperimentare
l'utilità di una commissione di esperti alla quale affidare il compito
di esprimere una prima valutazione di massima sui lavori giudiziari e sulle
pubblicazioni dei vari candidati, da inserire poi nel materiale istruttorio
che la procedura consiliare è destinata a utilizzare e a tradurre in
specifiche proposte al plenum del CSM.
La "Commissione speciale" prevista dagli articoli da 9 a 11 del disegno di
legge non corrisponde però a questa ragionevole ipotesi. Non vi è
neppure bisogno di esprimere le ragioni del vero e proprio sconcerto determinato
dal fatto che i componenti di tale Commissione sono nominati esclusivamente
entro una rosa proposta dal Ministro: una previsione di tal genere è
sicuramente incostituzionale perché l'autonomia del Consiglio superiore
della magistratura esclude qualunque intervento condizionante dell'esecutivo
nei procedimenti riguardanti lo status dei magistrati. Appare inoltre del
tutto improprio che ad una Commissione tecnica formata da esperti esterni
sia affidato il compito non già di valutare tecnicamente il materiale
documentale rilevante (provvedimenti giudiziari e pubblicazioni) ma di esprimere
una valutazione globale e complessiva della "meritevolezza" dei candidati,
tale da fungere quale vera e propria "proposta" al Consiglio. In tal modo,
ad un organo tecnico verrebbe sostanzialmente appaltato un segmento del procedimento
e non una incombenza strettamente istruttoria quale quella di svolgere accertamenti
e fornire informazioni e valutazioni di carattere tecnico, con evidente stravolgimento
delle corrette procedure consiliari.
4. E' da salutare con soddisfazione l'ipotesi della istituzione di un "Consiglio
giudiziario" della Corte di cassazione, ma il plauso deve limitarsi a ciò,
posto che le modalità di attuazione dell'innovazione appaiono in larga
misura criticabili.
Ad iniziare dal nome: non si comprende perché quello istituito presso
la cassazione non debba chiamarsi Consiglio giudiziario, come è nella
nostra tradizione e come è per i consigli giudiziari presso le Corti
d'appello, e debba invece ricevere la denominazione di Consiglio direttivo,
che appare tratta dalla terminologia usata per i nuovi istituti partecipativi
di recente approntati per la magistratura amministrativa.
Per il Consiglio giudiziario della Corte
di cassazione, tuttavia, l'obiezione più grave è quella che
si riferisce alla composizione dell'organo ed in particolare alla presenza
in esso di componenti "laici". Per tale innovazione, che investe in maniera
ancora più pregnante i Consigli giudiziari presso le Corti d'appello,
la relazione non adduce altra ragione che quella - a valenza meramente estetica
- di una necessaria "simmetria" con la composizione del Consiglio superiore
della magistratura, ma tale richiamo è sfornito di senso giuridico
e di una apprezzabile giustificazione razionale.
E' infatti in primo luogo da rilevare che la presenza dei laici è prevista
dalla Costituzione solo per il Consiglio superiore e non anche per i Consigli
giudiziari che pure già esistevano all'epoca della Costituente; peraltro
la Costituzione prevede analiticamente altre forme di partecipazione di laici
all'amministrazione della giustizia, ma non contempla in alcun modo la forma
di partecipazione qui ipotizzata, il che induce a ritenere che tale innovazione,
estranea alla previsione costituzionale, rappresenti una indebita limitazione
dell'autonomia dell'ordine giudiziario.
Inoltre, i Consigli giudiziari restano, anche nell'ottica di un loro potenziamento,
organi giuridicamente definibili come ausiliari del CSM. La loro attività
e quindi la loro natura sono più vicine al livello amministrativo che
a quello, per così dire, di "governo" dell'istituzione, onde la presenza
di una componente nominata da organismi universitari non avrebbe alcuna ipotizzabile
spiegazione o utilità.
L'impropria simmetria perseguita con la previsione in questione non tiene
evidentemente conto della natura e del ruolo costituzionale del CSM e del
significato funzionale della presenza in esso di una rappresentanza c.d. laica,
volta a creare un raccordo culturale con il potere legislativo e con la sede
più alta della sovranità popolare. La componente laica del CSM
non solo è eletta da una maggioranza qualificata (cosa che, peraltro,
con il sistema elettorale maggioritario tende a perdere di rilevanza) ma l'elezione
avviene ad opera delle Camere riunite e cioè del medesimo organo -
diverso dalle singole camere - che elegge il Presidente della Repubblica e
i giudici costituzionali. Nell'ambito degli organismi ai quali il disegno
di legge affida la nomina dei componenti laici (Consiglio nazionale forense,
consiglio universitario nazionale e consigli regionali) non esiste organo
ad esse assimilabile. Non si comprende inoltre quale funzione avrebbero i
laici nominati nei Consigli giudiziari, che cosa essi dovrebbero rappresentare
e nel contesto di quale funzione dell'organo si collocherebbe il loro apporto.
Infine, i laici eletti al CSM sono messi fuori dagli albi e dal ruolo universitario
e di certo ciò non per motivi di sovraccarico lavorativo: non sembra
che si possa ipotizzare altrettanto per i componenti laici dei consigli, ma
è ovvio che la possibilità per un avvocato di continuare ad
esercitare la professione forense mentre partecipa al governo dei magistrati
non può non destare serie perplessità.
5. Nel contesto fino ad ora descritto, la previsione di un'indennità
generica, concessa a tutti i magistrati della Cassazione e tale quindi da
lasciare irrisolto lo specifico e reale problema di coloro che risiedono fuori
sede, appare un'innovazione impropria e non rispondente alle esigenze che
a questo proposito erano state prospettate.
6. La riforma dell'ordinamento giudiziario che viene delineata nel disegno
di legge è, nel suo complesso - a parte alcuni spunti accoglibili ed
altri certamente positivi - contraria al modello di magistratura che si è
venuto affermando in questi decenni grazie all'opera di progressiva attuazione
del dettato costituzionale da parte del parlamento ed alla maturazione, nella
magistratura, di una cultura dell'autonomia, dell' indipendenza e del ruolo,
che ha alimentato il nostro sistema di autogoverno essendone a sua volta alimentata.
Una riforma dell'ordinamento giudiziario che intendesse dividere la magistratura,
imponendosi ad essa e alla sua cultura ordinamentale, non avrebbe giustificazione
alcuna e determinerebbe una grave frattura nei rapporti tra le Istituzioni
dello Stato. Certo, il servizio di giustizia nel Paese presenta aspetti di
crisi e zone nelle quali è urgente l'intervento riformatore, né
la magistratura è immune da difetti e da colpe. Riteniamo tuttavia
che essa non meriti una "controriforma" che avrebbe come risultato la sua
divisione, la riduzione della sua autonomia - quale si esprime nel sistema
di autogoverno incentrato sul Consiglio superiore -, l'attribuzione alla Cassazione
di una impropria posizione di supremazia ordinamentale ed il ripristino di
un assetto basato sulle competizioni carrieristiche e quindi contrario al
disegno costituzionale.
Roma 27 marzo 2002
LA GIUNTA
Omissisa
cura di magistratura democratica romana
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