Il G8 a Genova: diritti e garanzie violati
di Giovanni Palombarini
Ad alcune settimane dai duri, tragici avvenimenti di Genova, vale forse la pena di mettere in fila, per quel che possono valere di questi tempi, alcune considerazioni di carattere giuridico. Negli ultimi anni si è fatto a gara da parte di tanti nell’invocare il diritto e i diritti, le norme e le garanzie, insomma la legalità, ma alla prova dei fatti i proclami e le affermazioni di principio di molti - in particolare, degli esponenti della destra al governo - si sono rivelate nient’altro che chiacchiere. Proviamo a vedere.
Legittima difesa? Per l’uccisione di Carlo Giuliani, il vicepresidente del consiglio e numerosi componenti del governo non hanno mai avuto dubbi in proposito. In diretta televisiva, già la sera della tragedia, Gianfranco Fini e il ministro degli esteri Ruggiero - seguiti poco più tardi dal ministro degli interni Scaloja - hanno proposto agli ascoltatori il ricorso a questa soluzione: un carabiniere ha sparato per difendersi, quindi non è punibile.
La questione non è così semplice; e anche se vicepresidenti e ministri si sono prodigati e continuano a prodigarsi nel suggerirne la soluzione all’opinione pubblica, ci vorrà un giudice per risolverla (ma il senatore Cossiga, sempre fedele a se stesso, ha già messo le mani avanti: ha parlato infatti di "atto giuridicamente inconcepibile" e di "comportamento irresponsabile" a proposito delle indagini della procura delle Repubblica di Genova per il delitto di omicidio volontario).
Intanto è necessario ricostruire con qualche precisione i fatti. Ad esempio, secondo le Monde, un fotografo ha riferito che anche un carabiniere a piedi ha sparato, e dalle riprese che mano a mano sono state trasmesse si percepiscono distintamente due spari. Ancora, sembra che esistano fotografie che mostrano come il famoso estintore in mano a Giuliani fosse stato scagliato verso i dimostranti proprio dall’interno della camionetta e come la pistola, prima che contro il giovane ucciso, fosse stata puntata verso un’altra persona subito datasi alla fuga. Ma poi per la legittimità di una determinata forma di difesa deve sussistere l’impossibilità di scegliere tra più soluzioni; mentre le ormai innumerevoli fotografie e riprese cinematografiche, a un’analisi approfondita potrebbero anche evidenziare come con una manovra di retromarcia della camionetta - che poi è stata effettuata passando sul cadavere - fosse possibile ai carabinieri sottrarsi al pericolo. In altre occasioni situazioni analoghe sono state sbloccate sparando in aria.
Inoltre il codice penale stabilisce che è necessaria la proporzione tra offesa e difesa - sarà quindi compito dei magistrati verificare se a fronte del lancio di un estintore contro il veicolo da parte del giovane fosse indispensabile sparargli alla testa per evitare il pericolo - e prevede anche l’eccesso colposo in legittima difesa.
Come si vede, una questione complessa, a risolvere la quale non possono bastare le perentorie sentenze preventive di tanti ministri e dei media che li sostengono, né la protervia di un ex presidente della Repubblica.
Legittima perquisizione? Il capo della polizia ha definito ciò che è avvenuto a Genova nella notte fra sabato 21 e domenica 22 luglio un atto di polizia giudiziaria che s’è trasformato - a causa dell’atteggiamento ostile degli occupanti - in un’operazione di ordine pubblico. Ministri e opinionisti al loro servizio non hanno avuto dubbi in proposito: s’è trattato di una perquisizione, effettuata senza mandato del magistrato per l’urgenza di trovare armi, che ha incontrato un’illegittima resistenza.
E però. Intanto il testo unico delle leggi di pubblica sicurezza autorizza la perquisizione immediata quando vi siano indizi della presenza in un determinato luogo di armi, munizioni e materie esplodenti, non per raccogliere il magro bottino esibito dalla Questura genovese ai giornalisti la domenica mattina; inoltre non si vede come mancasse il tempo, in una situazione in cui l’ufficio del pubblico ministero era aperto in permanenza, per chiedere all’autorità giudiziaria il necessario decreto motivato. E poi: tanti testimoni hanno parlato, e le immagini televisive hanno fatto vedere a milioni di persone in tutto il mondo gli esiti di quella irruzione, con il viavai di tante autoambulanze che non bastavano mai a caricare i giovani feriti, con le stanze, a operazione conclusa, stracolme di cose distrutte e di tracce di sangue sulle pareti e sul pavimento.
La verità è che si è messo da un canto il magistrato, perché era ben difficile motivare il sospetto che in quei luoghi vi fossero armi, munizioni o materie esplodenti (del resto in tre giorni di manifestazioni nessuno aveva visto un’arma da fuoco in mano a qualche dimostrante) e si è operato ben al di là della ricerca di simili cose. Così, tanti degli occupanti delle due scuole sono stati duramente percossi da poliziotti scatenati; due o tre avvocati chiamati dagli aggrediti non sono stati fatti entrare negli ambienti dove stava operando i militi, in violazione di precise norme di garanzia del codice di procedura penale; altrettanto è avvenuto a parlamentari che pure esibivano il documento di identificazione; e cronisti e fotografi sono stati colpiti e allontanati. Per tutto ciò in paesi come Inghilterra, Germania, Francia e Spagna, alcuni parlamentari hanno chiesto ai rispettivi governi di protestare formalmente nei confronti dell’Italia.
Diritti e garanzie? L’elenco delle violazioni delle leggi, anche al di là della violenza espressa negli interventi sui manifestanti, è davvero lungo (e grave): una vera e propria sospensione delle garanzie, come se un nuovo diritto di polizia fosse stato d’improvviso emanato contro le previsioni costituzionali, per farla pagare cara a chi s’era permesso di disturbare la patinata telenovela del G8 berlusconiano.
Così, la norma della costituzione (art.13) che vieta "ogni violenza fisica e morale sulle persone comunque sottoposte a restrizioni di libertà" è stata calpestata ripetutamente. E poi, un vecchio diritto degli avvocati difensori e degli indagati in custodia cautelare, quello di poter conferire tra loro, è stato negato non con riferimento a situazioni individuali giustificative di un così rilevante provvedimento (come pure eccezionalmente è possibile, con riferimento a "specifiche ed eccezionali ragioni di cautela" che devono essere valutate da un magistrato), ma in via generale per tutti, di fatto, per tutto il periodo di trattenimento in commissariati e altri luoghi nell’esclusivo controllo delle forze di polizia. Ciò ha consentito, secondo innumerevoli testimonianze, violenze ulteriori, in particolare nella caserma, ormai tristemente famosa in tutta Europa, di Bolzaneto.
Ancora. Nel vigente codice di procedura penale c’è una norma, di elementare umanità, che prescrive il dovere di dare notizia, "senza ritardo", ai familiari dell’avvenuto arresto di una persona. Ebbene, ancora a metà della settimana successiva agli arresti, parenti e consolati stranieri andavano cercando dove si trovassero alcuni fra i fermati.
Inoltre. Di tutti i fermi e arresti effettuati nella notte del 22 luglio nelle due scuole di via Cesare Battisti, 93 secondo le fonti anche ufficiali, solo uno è stato convalidato. A tacere dei casi in cui, come ha testimoniato il segretario della Fiom-Cgil di Brescia in una lettera indirizzata al presidente della repubblica, dopo avere subito maltrattamenti di ogni genere i fermati sono stati rilasciati direttamente dalla polizia, senza alcun passaggio davanti a un giudice.
Non solo. Quando il gip competente non ha convalidato i fermi di giovani stranieri non essendovi nei loro confronti alcun elemento di prova, a loro carico è stato adottato un provvedimento immediato di espulsione, con accompagnamento alla frontiera, senza distinzione fra stranieri comunitari ed extracomunitari, anche qui senza che gli avvocati potessero dire una sola parola, senza che una qualche forma di difesa potesse essere svolta. La cosa è inaccettabile, trattandosi di persone la cui innocenza, in sostanza, era stata sancita dall’autorità giudiziaria. Ma poi non si comprende in base a quale norma tutto ciò sia stato possibile. Da un lato il vecchio testo unico delle leggi di pubblica sicurezza, nella parte in cui prevedeva l’espulsione dello straniero, è stato sostituito dalle varie leggi degli anni novanta sull’immigrazione, che prevedono una serie di presupposti e regole, e non un potere assoluto del prefetto o del ministro; dall’altro, in ogni caso, l’applicazione di norme relative a persone pericolose per l’ordine pubblico non è possibile nei confronti di soggetti per i quali la pericolosità è stata esclusa dal giudice (la stessa considerazione vale per i casi di espulsione previsti dal codice penale). Se poi i provvedimenti di espulsione sono basati sulla nuova legge n. 40 del 1998 e sul successivo decreto legislativo n.286 dello stesso anno sull’immigrazione, ci si è dimenticati che l’applicabilità di queste leggi è in via generale ristretta ai cittadini extracomunitari e che sono necessari decreti motivati con riferimento a determinati parametri di legge.
La verità è che le autorità amministrative di Genova hanno ritenuto di poter cacciare a tamburo battente tutti gli stranieri fermati, mettendo da parte la legge. Il risultato è che oggi, per le proteste di alcuni paesi europei, il divieto di rientrare in Italia viene oggi revocato nei confronti dei cittadini comunitari. Per gli extracomunitari non c’è invece problema, trattandosi, com’è noto, di persone di serie B.
Un’ultima annotazione. In occasione delle ultime elezioni politiche Silvio Berlusconi ha portato in parlamento un manipolo di avvocati, fra i quali alcuni di quelli che hanno avuto occasione di difendere lui e alcuni suoi amici nei processi penali nei quali erano stati chiamati a rispondere dei reati più vari. Si tratta di persone che in più occasioni - anche per la condanna di alcuni neofascisti per la strage di piazza Fontana - hanno protestato vivacemente per la violazione di garanzie degli imputati, in non pochi casi accusando i magistrati di volontà persecutoria. Ebbene, costoro non hanno proprio nulla da dire a proposito delle questioni sopra elencate, e in particolare in ordine all’operazione della polizia genovese alle scuole Diaz e Pascoli nella notte fra sabato e domenica 22 luglio, con annessi e connessi? Si è trattato a loro giudizio di alcuni dei tanti "inconvenienti" che possono capitare a questo mondo, e quindi trascurabili?
Si tratta ovviamente di domande retoriche. Inutilmente Franco Carlini ha provato su il Manifesto a cercare Gaetano (Pecorella), il cui riserbo è apparso insuperabile. D’altro lato, raggiunto dal Corriere della sera del 26 luglio, l’avv. Carlo Taormina ha tranquillamente adottato la tattica del "io non c’ero, se c’ero dormivo": dopo avere dichiarato a proposito dell’operazione di polizia alle scuole "per quanto riguarda le ragioni dell’intervento, è stata rispettata la legge, nulla so delle modalità della perquisizione", a una domanda sul trattamento riservato ai fermati ha risposto: "anche su questo punto non posso dire nulla, perché non sono a conoscenza di quanto è accaduto". Non male, per un sottosegretario agli interni. Il quale ha comunque dichiarato la sua disponibilità ad assumere la difesa di un funzionario di polizia che gli ispettori del suo stesso ministero hanno indicato fra i maggiori responsabili delle violenze genovesi.
A molti tante volte è capitato di dire che le proteste e le polemiche alimentate nell’ultimo decennio da queste persone, e il loro garantismo, erano del tutto strumentali, finalizzati (come la riforma in corso del delitto di falso in bilancio) a salvare posizioni e interessi di imputati eccellenti, protagonisti della criminalità economico-finanziaria e di quella politico-amministrativa. Oggi di tutto ciò quelle stesse persone, anche se davvero non ce n’era bisogno, ne danno spontaneamente la prova.
Fa sorridere il ricordo di una battuta del ministro della giustizia del primo governo Berlusconi, Alfredo Biondi, che al tempo delle proteste di tanti per il "decreto salvaladri" rispose sdegnato che nelle sue preoccupazioni c’erano le garanzie sia dei "colletti bianchi" che dei "piedi neri". Oggi anche Alfredo Biondi, avvocato, già segretario del vecchio partito liberale italiano, è fra coloro che tacciono.
Agosto 2001
Omissisa
cura di magistratura democratica romana
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