Incontro con padre Giuseppe Dossetti
di Giacinto Di Nardo
Forse è giusto che l'itinerario per raggiungere
padre Giuseppe Dossetti non sia troppo agevole. Richiede qualche attenzione,
perché egli trascorre queste settimane dell'estate 1996 a Montesole,
in un monastero in alto sugli Appennini. E' una delle sedi della comunità
monastica della Piccola Famiglia dell'Annunziata, di Monteveglio, da lui fondata
nel 1955.
Con la fine, a metà dell'ascesa, della strada asfaltata, la Comunità
probabilmente desidera proteggere la propria pace. Per orientarsi, i punti
di riferimento non sono le segnalazioni stradali abituali, ma le testimonianze
di una storia ancora recente ed angosciosa.
Marzabotto, che patì il massacro da parte delle truppe tedesche del
maggiore Reder, e fu distrutta per rappresaglia. Le lapidi sulla salita, il
cimitero di Casaglia, dove è ricordato l'eccidio di Montesole, del
29 settembre 1944.
L'Appennino tosco-emiliano visse il periodo più aspro della guerra
partigiana, e fu teatro di crudeli repressioni fasciste e naziste. Fra queste
montagne aleggia davvero lo spirito della Resistenza, con il ricordo di una
stagione ricca di dolore e di speranza, che si stenta a vedere ormai quasi
infeconda.
Padre Dossetti fu anche dirigente della lotta partigiana, e la sua presenza
qui sembra quasi una testimonianza di continuità: un custode ideale
di quei valori.
I luoghi e le memorie creano una sintesi unica e perfetta, dominata dalle
due religiosità -civile e trascendente- che convivono in padre Dossetti.
Tra queste suggestioni, la salita a Montesole si fa un po' più ardua
e timorosa.
Ma l'accoglienza, cordialissima, dissolverà ogni preoccupazione. Il
colloquio si svolge nella cella dove il padre trascorre quasi tutto il suo
tempo. Il letto, una piccola scrivania, un armadio, la poltrona sulla quale
è seduto durante l'incontro, e dalla quale di tanto in tanto sembra
protendersi, a voler ridurre lo spazio tra lui ed il suo interlocutore.
Giugno 1946 - giugno 1996: cinquanta anni dalle elezioni
dell'Assemblea costituente, ed oggi già forti sussulti sulla Costituzione.
Padre Dossetti, giurista e deputato alla Costituente, li attribuisce principalmente
alla non applicazione della Costituzione, oltre che alla degenerazione delle
prassi amministrative ed economiche, ed alla presenza -nell'immaginario popolare
- di una certa inefficienza radicale dello Stato.
Ammette senz'altro modifiche alla Costituzione. Ma con l'ammonimento di non
porre un rimedio peggiore del male, cambiandola in modo disomogeneo. Ogni
intervento dovrebbe evitare che si spezzi soprattutto la prima parte di essa:
ma -sottolinea- non soltanto questa.
Poi, la constatazione amara della rottura che si è avuta nella formazione
ideale delle giovanissime generazioni, che non sanno nulla, perché
la scuola pubblica non ha funzionato come avrebbe dovuto, e la tradizione
storica non si è trasmessa. Ed il timore, invece della novità,
di un nuovismo irrazionale.
Ricorda che il federalismo, tema oggi tanto dibattuto, era stato oggetto di
esame nella Costituente. Ma non è stato applicato nemmeno in una particella
del regionalismo; si parla soprattutto -e forse a ragione- di centralismo
statale, ma non dovrebbe dimenticarsi che le regioni non hanno dato la minima
prova di essere decentrate al proprio interno, nelle provincie e nei comuni.
Oppure, quando il federalismo fu applicato, ciò avvenne in un quadro
complessivo che in parte ne paralizzava le funzioni; come ad esempio per la
selezione del personale delle regioni, operata in base non al merito, ma alle
indicazioni di partito.
Fu molto breve -ricorda dolorosamente padre Dossetti, protagonista e critico
della politica- il periodo in cui lo spirito ed i precetti costituzionali
furono interpretati più fedelmente.
Una fase durata pochissimi anni dopo la Costituente. Già nel 1951 la
situazione era cambiata, con la guerra di Corea, l'opposizione dei due blocchi
e la contrapposizione delle parti anche all'interno del nostro Paese.
L'irrigidimento, inevitabile, aveva così impedito che si svolgesse
un naturale sviluppo dei principi costituzionali. E poi erano venuti momenti
ancora peggiori, con una deriva del costume.
Egli non si sottrae al collegamento -immediato- alla Democrazia cristiana,
di cui riconosce la grande responsabilità. E concorda sull'impressione
che questo partito sia stato un enigma, se aveva potuto esprimersi con persone
come lui, ma anche in altre forme diametralmente opposte, come ormai -potrebbe
dirsi- risulta quasi dai libri di storia.
Ricorda di essersi ritirato dalla politica nel 1952 (a parte la brevissima
parentesi del 1956 per il Comune di Bologna, "consapevolmente destinata
al fallimento"), quando già era conscio di una certa inconsapevolezza
o immaturità della cristianità italiana, che esprimeva la democrazia
come partito, per nulla consonante con le possibilità che egli affermava.
Così, anche per ragioni più forti personali, e malgrado le insistenze
che si facevano nei suoi confronti, aveva manifestato a tutti la propria impossibilità
di continuare, poiché aveva verificato che non era realizzabile quella
che a lui pareva una doverosa visione del futuro del Paese.
Le parole ed il tono di padre Dossetti provocano una impressione profonda,
e per qualche momento l'immaginazione si sovrappone alla realtà.
Forse esiste la dimensione del rimpianto non personale, ma collettivo e istituzionale.
Pensando a ciò che un uomo come lui, se avesse voluto mantenere il
proprio ruolo politico ed avesse potuto esercitarlo con pienezza, avrebbe
offerto alla democrazia ed alla società in Italia.
Uno dei "professorini" di Cronache Sociali, pubblicata -tra il maggio
1947 e l'ottobre 1951- da intellettuali cattolici colti ed intransigenti (Dossetti,
appunto; e Fanfani, Lazzati, La Pira), che esprimevano una visione alimentata
da una tendenza di sinistra moderata, e vicina alle istanze popolari. La forza
più valida di una democrazia nascente, e poi travolta dalla prassi.
Un breve richiamo, per evidente associazione, a La Pira.
E a don Lorenzo Milani, che in una lettera del 1952 ad un amico magistrato,
Gian Paolo Meucci, aveva parlato di Dossetti, che rinunciava allora al mandato
parlamentare. E lo associava alla disperazione. "Oppure no forse a qualcosa
di peggio: alla stima illimitata". "Ma in questa stima per l'uomo,
che s'è trovato solo nel deserto quasi un invito anche a me a dire
siamo soli. Sentirci due o tre dalla parte di Dio e tutto il resto nel più
sporco tradimento".
In un incontro immaginario con loro, di che cosa prima di tutto parlerebbero ? Certo del problema della cattolicità italiana, e, nella solidarietà, del tema della fratellanza, riscontrando che l'ambito di questa ultimamente non si è certo allargato.
Sui tempi attuali, padre Dossetti è -tendenzialmente- ottimista. Ammette di poter sembrare -e di essere stato- negli ultimi decenni un pessimista, e di avere anche fatto i discorsi più recenti -come quello di due anni fa per la commemorazione di Lazzati- in un'ottica pessimistica.
Ma afferma di non essere tale, in realtà, e vede
se stesso come uno scrutatore realista, però sostenuto sempre da grandi
speranze.
Spera molto per il nostro Paese, perché conosce, ed ha sempre cercato
di conoscere, sia nella sua vita politica che dopo, come frate, le possibilità
profonde del popolo italiano, con tutti i suoi grandi difetti ed incompletezze,
dovuti anche alla colpa di altri nella sua storia. Tuttavia ci sono -a suo
parere- delle energie molto sane, molto capaci di lasciare sperare: solo che
non vi è adeguata canalizzazione di questa energia forte.
E' un problema complesso, perché dovrebbe aprirsi tutto un altro discorso,
specialmente sulla Chiesa del meridione, sulla quale egli punta molto gli
occhi. Intravede nel popolo grandi elementi di positività, però
vi è un primo strato che impedisce l'emergere di queste geniali e feconde
energie.
Certo la classe dirigente di ogni ambiente, nel meridione, ha esercitato sino
ad ora una energia compressiva, soprattutto col terribile metodo della cooptazione
dei gruppi dirigenti. Quando -ad un certo punto- deve lasciare, coopta dei
giovani fatti a sua immagine e somiglianza, e non lascia emergere quello che
ci sarebbe nel profondo: e questo è un inconveniente molto grave.
Ma aggiunge che il sistema della cooptazione, con altri aspetti ed altri canali,
opera pure nell'Italia settentrionale: ed infatti, che cosa era stata per
alcuni decenni la Democrazia cristiana anche nel nord, anche nelle valli più
bianche, quelle che diventano oggi leghiste ?
La cooptazione dei grandi e degli emergenti rispetto ai più giovani,
che ha soffocato le energie culturali; il principio di selezionare optando
per persone, per energie nuove, ma nuove solo apparentemente, omogenee già
ai gruppi dirigenti, il che ha fatto andare sempre peggio le cose.
Vi è un altro richiamo al rapporto nord-sud dell'Italia, quando si
tratta delle nuove e delle nuovissime generazioni, cresciute in un'epoca in
cui sicuramente non vi è stato il culto della legalità.
Padre Dossetti individua nel popolo del sud, pur in un contesto di corruzione
diffusa, la permanenza più che altrove di alcuni indistruttibili principi
reattivi, che malgrado non siano professati realmente, sono conservati nel
suo animo: insieme alla capacità di intravedere chi, ad un certo momento,
se ne facesse espressione.
Mentre in altre parti d'Italia vi è una eccessiva aderenza ai modelli
internazionali, recepiti nei loro aspetti più grossolani e più
caratterizzati da un vuoto ideologismo e da una prassi egoistica. Ma questa
è comunque è una tendenza diffusa ovunque, non solo nel nostro
popolo.
Padre Dossetti non segue la televisione e non legge i giornali quotidiani.
Vive in luoghi appartati, che sembrano -almeno apparentemente- sottolineare
la sua distanza. Per questo è davvero sorprendente, soprattutto quando
si toccano temi di attualità, rendersi conto di quanto egli sia aggiornato
ed informato.
La realtà è che a lui giungono anche attraverso canali forse
oggi inusuali le voci profonde del mondo, che sa ponderare ed elaborare con
l'acutezza e l'intensità del saggio. E' una dimensione logica, ma insieme
anche profetica.
Ha apprezzato il risultato elettorale dell'aprile scorso, perché evidentemente
non poteva -dice sorridendo- optare per l'altro corno del dilemma.
Ma è tuttavia molto pensoso, soprattutto per la tendenza manifestata
dai giovani, schierati piuttosto verso destra. Anche perché si può
presumere che gli odierni 13 o 14enni, quando voteranno la prossima volta,
saranno ancora orientati in questo senso.
Il Padre non è affatto sorpreso delle recenti elezioni in Israele,
di cui prevedeva l'esito, nonostante il vantaggio di partenza del partito
laburista. Non si aspettava nulla di diverso, anche perché Shimon Peres
è un uomo "viscido e confuso", che aveva fatto una politica
disastrosa.
Un richiamo alle sue peculiari fonti di conoscenza: quella sera sarebbero
tornati dopo alcuni mesi di permanenza in Israele due fratelli delle comunità
sulle rive del Giordano, in territorio palestinese occupato ed in Giordania.
Così, è molto cauto su quello che viene chiamato Stato palestinese
-l'Autorità nazionale palestinese - perché è ancora tutto
sulla carta, con la popolazione in condizioni invivibili, senza lavoro, pane,
acqua; senza poter edificare e senza potersi muovere.
Afferma di non vedere con chiarezza nella situazione attuale della pace. E'
cessato il pericolo della guerra universale, ma non sono finiti i conflitti
locali o regionali, che possono portare ad una guerra generale, anche se non
lo si vorrebbe.
Ed è allarmato, ad esempio, dalla spartizione del potere che si profila
in Russia [siamo all'indomani del primo turno delle elezioni presidenziali],
perché ritiene che Eltsin -insieme a ciò che lui rappresenta-
sia fortemente contrastato, e che comunque vi siano molti fermenti. Anche
il nuovo super-comandante di tutte le forze armate, non si sa che cosa stia
facendo.
Sospende il giudizio sulla Germania, per la grande responsabilità che
questa ha avuto nel dramma balcanico, con il riconoscimento anticipato della
Croazia, che ha portato alla disgregazione della Iugoslavia. Una qualche responsabilità
è anche della Chiesa, una delle prime ad accettare l'esistenza dell'autonomia
della Croazia.
Padre Dossetti aveva constatato, dalla fine della II guerra mondiale al Concilio,
una particolare fragilità del diritto e delle istituzioni preposte
alla sua applicazione.
Oggi ritiene che sia ancora così, rilevando anzi che negli ultimi tempi
il fenomeno si è ulteriormente aggravato e confuso.
Con riferimento al nostro Paese, rileva che certamente il fascismo ha pesato
in modo molto grave nella costruzione di una mentalità non correttamente
legalitaria: la giurisdizione, la magistratura in particolare, erano state
molto asservite.
E ciò fin dal principio, perché la rottura costituzionale aveva
fatto sì che quelli che erano veri e propri delitti, notori, provati,
venissero invece considerati quasi come dei meriti, e rovesciati nelle loro
premesse, sia di fatto sia di legalità.
I motivi di fondo di questo secolo sono stati naturalmente approfonditi da
Padre Dossetti. Ne ha elaborato uno, in particolare, sulle radici della crisi
attuale, e sa che la sua posizione non è condivisa dall'opinione oggi
più diffusa.
Tornando indietro alla prima guerra mondiale ed alla ideologia allora dominante,
imputa parecchio alla crisi fondamentale di valori del liberalismo, come era
maturato soprattutto negli ultimi anni prima della guerra mondiale: un liberalismo,
per così dire, strozzato.
L'Italia stessa era entrata in guerra non certo per grandi ideali liberali.
Il dannunzianesimo emotivo e certe forme di tendenza imperiale, l'imitazione
da parte nostra dei grandi imperi coloniali, e di quelle che furono le colpe
dell'Inghilterra e della Francia già prima della I guerra mondiale.
Soprattutto queste grandi democrazie, ma anche le altre, predicavano un pensiero
anche corretto ed equilibrato, ma non lo praticavano.
Nella guerra del Golfo sono maturati gli ultimi frutti di quella che era la
concezione imperiale britannica: i grandi statisti inglesi dicevano che la
frontiera dell'India, e quindi dell'impero, era nel Golfo persico. Era stato
creato un clima incoerente rispetto alle dottrine che si andavano sviluppando.
Segnala un vecchio libro molto significativo di Benedetto Croce, Le Pagine
sulla Guerra, ove si dibatteva se l'Italia doveva o meno entrare in guerra:
lo discuteva coerentemente con la filosofia hegeliana, che egli praticava,
seppure accomodata dal pensiero italico.
Era significativo di un fenomeno che colpiva l'alta intellettualità,
nell'anno intermedio tra lo scoppio della guerra e l'intervento dell'Italia:
un'espressione culturale di vertice, e la gente a livello più basso,
cosciente o non, era impregnata di quella dottrina.
Anche da parte cattolica -e ciò è considerevole- la volontà
di provare la lealtà verso lo stato spingeva figure, peraltro nobili,
come Giosuè Borsi, giovane cattolico figlioccio di Giosuè Carducci
(ne portava il nome), che andò volontario in guerra. Scriveva alla
fidanzata lettere tutte infiammate di patriottismo, per quanto è possibile
ad un cattolico ancora bellicista. Poi cadde nei primi tempi del conflitto.
Padre Dossetti aveva criticato i silenzi di Pio XII nella seconda guerra mondiale. Oggi vede nella tendenza della Santa Sede a prendere posizione apertamente su tutto, più che un atteggiamento del pontefice, una maturazione della Chiesa. Più vicina alla realtà, ed anche costretta da nuovi aspetti della sua base ecclesiale e dalle realtà che si impongono socialmente.
Non si può non accennare ad un evento di fine
secolo, il Giubileo, che vedrà -secondo Padre Dossetti - la prevalenza
dell'aspetto strutturale, e quindi sarà difficilmente idealizzabile.
Egli è però persuaso che se si seguiranno alcune direttive possibili,
potrebbe essere una grande occasione per la conoscenza reciproca e l'integrazione
delle Chiese. Un fatto non solo verticale, ma anche orizzontale. Ma come sarà
di fatto, non sa, né se scapperà di mano alle buone intenzioni.
Il Padre ha la benevolenza di informarsi sull'attività
dell'improvvisato "inviato speciale", e chiaramente la sua non è
una domanda formale. Ancora una volta la profondità del suo giudizio,
anche quando delinea con semplicità una situazione che talvolta può
sfuggire anche ai nostri colleghi.
Parla del diritto di famiglia, che a suo parere è molto difficile per
un giudice, perché in gran parte si sottrae al diritto ed alla valutazione
della magistratura nei suoi valori più profondi. E richiama la elementare,
ma davvero necessaria, dote della pazienza, con la quale si può dare
ugualmente un grande contributo alla verità.
Padre Dossetti non è andato a Roma, il 2 giugno,
per la celebrazione del cinquantesimo anniversario della Repubblica, alla
quale hanno partecipato anche i membri dell'Assemblea costituente. Ma non
avrebbe esitato a partecipare se fosse stato in altre condizioni fisiche.
Ma, soprattutto -conclude- l'ispirazione che adesso lo guida è di continuare,
dopo avere tentato di dire qualche cosa che poteva essere utile e necessaria,
nel suo "profondo ed incessante silenzio".
Il saluto di commiato del vecchio venerabile è di un calore che non può non commuovere l'"inviato" della piccola rivista.
da Omissis, n. 3, 1996
Omissisa
cura di magistratura democratica romana
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