La perequazione retributiva


La magistratura associata chiede innanzitutto che si proceda alla c.d. perequazione interna rispetto alla retribuzione della magistratura amministrativa e contabile. Vi è poi l’esigenza, altrettanto importante e comune a tutte le magistrature, di una perequazione retributiva con altri profili professionali della pubblica amministrazione, che hanno goduto recentemente (e addirittura anche con il disegno di legge finanziaria) di forti incrementi economici.
Il primo aspetto (perequazione interna) comporta un intervento immediato per ridurre la forbice già esistente – e poi aggravata dall’art. 50 della legge finanziaria 2000 - fra magistratura ordinaria e magistratura amministrativa e contabile. L’attuale sistema dispone che il trattamento economico complessivo spettante al magistrato ordinario dopo 20 anni di anzianità venga conseguito dai magistrati dei T.A.R. e della Corte dei Conti dopo soli 8 anni.
Una simile diseguaglianza retributiva, aggravata dal fatto che i magistrati amministrativi percepiscono ulteriore reddito per la possibilità di svolgere arbitrati ed altri incarichi retribuiti (possibilità responsabilmente rifiutata dalla magistratura ordinaria) viola il principio dell’unità della giurisdizione e della pari dignità di tutti i magistrati.

L’ANM chiede che siano abbreviati, anche per i magistrati ordinari, i tempi nei quali si conseguono i passaggi a livelli di stipendio più alti. Tuttavia, per favorire i magistrati più giovani, il cui trattamento è del tutto inadeguato alle gravi responsabilità che rivestono e alle condizioni in cui lavorano, l’ANM ritiene che una parte della perequazione debba essere destinata a migliorare i livelli retributivi degli uditori e dei magistrati di tribunale. Si propone quindi l’attribuzione agli uditori giudiziari all’atto di nomina della retribuzione oggi riconosciuta dopo sei mesi di servizio (senza decurtazione dell’indennità giudiziaria); l’attribuzione al magistrato di tribunale di prima nomina della classe di stipendio oggi spettante con tre anni di anzianità nel grado; il passaggio alla retribuzione di grado quinto dopo 8 anni di servizio come magistrato di tribunale e di grado quarto dopo 16 anni di servizio complessivo.

Queste misure si limiterebbero a riequilibrare parzialmente il trattamento interno alle magistrature. Ma è l’intero trattamento economico che deve essere adeguato agli aumenti riconosciuti al settore dirigenziale del pubblico impiego.

Schematicamente le retribuzioni attuali prevedono:

Dirigente di 2° livello (di prima nomina): da lire 87 a lire 152 milioni annui con un trattamento medio di 105 milioni (oltre alla c.d. indennità di risultato). Uditore giudiziario: 58 milioni di lire. Uditore giudiziario dopo 6 mesi: 67 milioni di lire. Magistrato di tribunale: 86 milioni di lire. Magistrato di tribunale dopo 3 anni: 106 milioni di lire. Magistrato di appello: 135 milioni di lire.

Dirigenti preposti a direzione generale: 260 milioni di lire (trattamento medio). Capi Dipartimento: 340 milioni di lire (trattamento medio). Magistrato di cassazione: 178 milioni di lire. Magistrato nominato alle F.D.S.: 219 milioni di lire. Primo Presidente della Cassazione: 305 milioni di lire.

Il riordino della carriera dei magistrati è collegato, nella proposta dell’ANM, anche a un più incisivo sistema di verifica della professionalità, che utilizzi strumenti più penetranti e al contempo rispettosi dell’indipendenza del magistrato, che abbia luogo con scadenze molto più ravvicinate delle attuali e che riguardi tutte le magistrature.

Roma, 24 ottobre 2001

 

 

 

 

 

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a cura di magistratura democratica romana


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