Mozione finale del XXVI Congresso Nazionale Forense di Firenze - 28 Ottobre 2001

L'Avvocatura italiana, nel rispetto della propria tradizione e funzione costituzionale di garante dei diritti dei cittadini anche nei confronti dei pubblici poteri, è impegnata, a fronte delle sfide della modernità, in un profondo processo di autoriforma sul piano dell'organizzazione della professione, della formazione, della deontologia e nel campo della politica giudiziaria. Se nella Costituzione è stato affermato il principio del giusto processo e se nella pubblica opinione e nelle forze politiche e sociali va emergendo la consapevolezza della centralità della questione della giurisdizione, ciò è dovuto anche alla lotta politica e culturale degli avvocati italiani. E' maturo il tempo - che appare favorito anche dalla stabilità del quadro politico - per una riforma complessiva dei codici sostanziali e processuali, dell'ordinamento giudiziario, dell'ordinamento professionale, e per un riordino della legislazione attraverso testi unici, in un quadro di scelte organiche che sia preceduto da forme definite di coinvolgimento dei soggetti e delle categorie della giurisdizione, che vedano protagonisti gli avvocati e le loro rappresentanze, istituzionali, politiche ed associative. E' improcrastinabile la convocazione, da parte dei Presidenti delle Camere, di una Conferenza Nazionale per la Giustizia, affinché sia dato inizio al delineato percorso e, con esso, ad una discussione di merito che, abbandonando sterili contrapposizioni, faccia sì che la questione Giustizia sia sottratta a polemiche inconcludenti e divenga il terreno su cui il Parlamento sappia finalmente, esaltando se stesso e le proprie funzioni, dimostrare di essere adeguato interprete di una grande riforma reclamata non solo dagli avvocati, ma dall'intero Paese. Il Congresso ha quindi ritenuto di dover assumere, sulla base delle mozioni presentate e dei contributi al dibattito, le seguenti determinazioni su quei punti che sono apparsi di particolare interesse. 1) Sulla legge professionale. Le profonde e radicali modificazioni delle istituzioni, della società e dell'economia ed il processo di integrazione europea, rendono improcrastinabile la ridefinizione dello statuto della professione forense attraverso la celere approvazione di una nuova legge. Fermi i principi dell'autonomia e dell'indipendenza dell'Avvocatura, nonché il ruolo degli Ordini nella tutela soprattutto degli interessi della collettività, e ferma la consapevolezza del ruolo che la funzione difensiva assume in una società libera e democratica, si tratta di definire le nuove regole attraverso una legge di principi che contenga un'ampia attribuzione di potestà regolamentare al sistema ordinistico. A garanzia della collettività, agli Ordini dovrà essere conferito, tra l'altro, il potere di vigilare in materia di formazione ed aggiornamento obbligatori, per garantire competenza e responsabilità nell'esercizio professionale. Gli Ordini dovranno, altresì, vigilare sull'informazione concernente l'esercizio della professione, sulla base di principi elaborati ed aggiornati dal C.N.F., sentiti i Consigli territoriali. La nuova legge professionale dovrà: a) disciplinare l'accesso alla professione, attraverso l'istituzione ed il riconoscimento di scuole obbligatorie, con onere economico a carico dello Stato (giustificato dall'interesse generale e dal rilievo pubblicistico della funzione difensiva) e che sia affidato alle Istituzioni forensi; b) disciplinare il regime delle incompatibilità, con riferimento alle molteplici forme in cui il conflitto di interessi si manifesta nelle moderne società complesse, ed in particolare alle ipotesi di esercizio della professione forense contemporaneamente allo svolgimento di funzioni pubbliche o di assunzione di incarichi nella magistratura onoraria; c) prevedere l'esplicita attribuzione agli avvocati dell'assistenza e consulenza stragiudiziale (salvo specifiche competenze di altre professioni) a tutela dell'interesse dei singoli e della collettività; d) completare la regolamentazione delle società professionali, con particolare attenzione all'esclusione della partecipazione di soci di capitale, al regime fiscale e previdenziale, alla salvaguardia della libertà e dell'autonomia degli avvocati ed alla possibilità della partecipazione di esercenti professioni diverse, purché compatibili. 2) Sull'ordinamento giudiziario e la giurisdizione. Il nuovo testo dell'art. 111 Cost. impone un adeguamento di tutti i sistemi processuali (civile, penale, amministrativo, nonché delle forme paragiurisdizionali - Autorithies, sistemi alternativi di soluzione delle controversie -). Nell'immediato dovrà procedersi senza indugio: a) ad intraprendere un percorso legislativo e culturale che conduca all'unicità della giurisdizione; b) alla riforma dell'ordinamento giudiziario sui seguenti presupposti: · separazione delle carriere tra magistratura requirente e giudicante in applicazione del principio della parità delle parti e dell'effettività della difesa e nell'attuazione completa del processo accusatorio; · regolamentazione delle magistrature onorarie attraverso una riforma complessiva che rispecchi le esigenze di terzietà, autonomia e dignità e che preveda, per le nomine, il parere vincolante dei consigli dell'ordine; · revisione delle circoscrizioni giudiziarie anche con riferimento alle sezioni distaccate, al fine di riorganizzare gli uffici e ottimizzare le risorse; · partecipazione paritaria e senza limitazioni dell'Avvocatura ai consigli giudiziari; c) all'adeguamento informatico degli uffici giudiziari, anche per rendere operativo il processo telematico; d) ad interventi sul processo civile finalizzati a velocizzarne la definizione nel rispetto del contraddittorio e delle garanzie; e) ad interventi sul processo esecutivo civile, per garantire l'attuazione tempestiva dei diritti; f) all'istituzione, presso ogni tribunale, di camere di conciliazione ed arbitrato che prevedano la difesa tecnica e siano soggette al controllo dei consigli dell'ordine; g) all'applicazione alla Giustizia del sistema delle autonomie, promuovendo l'intervento delle regioni e delle loro risorse. 3) Sull'effettività dei diritti. L'esperienza sinora maturata nell'applicazione della legge Pinto induce a registrarne il fallimento e, pertanto, a richiederne l'abrogazione.

 

 

 

 

 

 

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