Osservazioni di Magistratura democratica e dell’Associazione studi giuridici sull’immigrazione sul disegno di legge n. 795/Senato

 

Le linee–guida del disegno di legge n. 795/S ("Modifica alla normativa in materia di immigrazione e di asilo") di riforma del decreto legislativo n. 286 del 1998 (testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero: cd. legge Napolitano – Turco) e della legge n. 39 del 1990 (cd. legge Martelli) risultano univocamente orientate ad una politica di rifiuto dell’immigrazione e possono essere così sintetizzate:

- una drastica chiusura dei canali di ingresso regolare;

- una netta tendenza verso la precarizzazione del soggiorno;

- una riscrittura della disciplina degli allontanamenti caratterizzata da allarmanti profili di illegittimità costituzionale e foriera di una forte spinta verso l’ulteriore amministrativizzazione dei diritti fondamentali degli stranieri;

- un sensibile irrigidimento della normativa penale;

- uno svuotamento, in termini di effettività, del diritto d’asilo.

* * * * *

Ingressi

Muovendo dalla considerazione del "pericolo di una vera invasione dell’Europa da parte di popoli che sono alla fame, in preda ad una inarrestabile disoccupazione o a condizioni di sottocupazione", il disegno di legge si presenta come orientato ad "affrontare il problema di fondo concernente l’immigrazione clandestina". Le norme in tema di ingressi segnalano il reale obbiettivo dell’iniziativa governativa, che mira ad una drastica chiusura rispetto non all’immigrazione irregolare, ma all’immigrazione tout court: in questo senso, l’impostazione di fondo del disegno di legge sembra tendere all’immigrazione zero, così sancendo il superamento della logica binaria che ha caratterizzato le politiche europee nello scorso decennio, un logica incentrata – con le ambiguità e le contraddizioni interne più volte segnalate – sulla contrapposizione tra immigrazione regolare, da governare nella prospettiva dell’integrazione, e immigrazione irregolare, da contrastare con risolutezza.

Queste le principali innovazioni del disegno di legge.

- Con gli artt. 4, 5 e 15 del disegno di legge, viene introdotto un contratto di soggiorno, presupposto per il conseguimento del permesso di soggiorno per motivi di lavoro. Il meccanismo è imperniato sull’incontro a livello planetario tra domanda e offerta di lavoro e, in realtà, riproduce quello già previsto dall’art. 22 t.u.. Rispetto a quest’ultima norma si registra, nel disegno di legge governativo, una maggiore responsabilizzazione (con probabili effetti disincentivanti) del datore di lavoro, che deve garantire "una adeguata sistemazione alloggiativa per il lavoratore" e assumere l’impegno di corrispondere le spese di viaggio per il rientro nel Paese di provenienza. Significativo, nella prospettiva delineata, è pure l’inasprimento della sanzione pecuniaria previsto dal comma 12 dell’art. 22 t.u. novellato. Nel complesso iter prodromico al rilascio del permesso di soggiorno per motivi di lavoro, viene introdotta (art. 22 co. 4) la verifica preventiva dell’indisponibilità di altri lavoratori iscritti nelle liste di collocamento, verifica – significativamente circoscritta ai soli lavoratori nazionali e comunitari, con esclusione di quelli extracomunitari – già prevista dalla normativa anteriore al t.u. (art. 8 co. 3 legge 943 del 1986) e superata per le disfunzioni che aveva prodotto. L’art. 17 del disegno di legge in tema di lavoro stagionale riproduce le innovazioni previste per il lavoro subordinato.

- Il nuovo istituto dei titoli di prelazione (art. 16 del disegno di legge che modifica l’art. 23 del t.u.), del quale non è difficile preconizzare un infimo tasso di effettività, prende il posto della prestazione di garanzia per l’accesso al lavoro (cd. sponsor), ossia del principale canale di ingresso regolare svincolato dall’incontro a livello planetario tra domanda e offerta di lavoro; il disegno di legge, dunque, mira alla soppressione di un fondamentale strumento di flessibilità nella disciplina degli ingressi, uno strumento che faceva leva, per un verso, sul richiamo esercitato da stranieri già integrati nel nostro Paese (cd. catena migratoria) e, per altro verso, sul ruolo del volontariato: è ragionevole attribuire al drastico irrigidimento dei canali di ingresso legale determinato dalla soppressione dell’istituto dello sponsor un effetto di forte incentivazione dell’immigrazione irregolare.

- L’art. 20 del disegno di legge modifica l’art. 29 del t.u.: viene ristretta l’area del ricongiungimento familiare, escludendo i parenti entro il terzo grado e subordinando l’ingresso dei genitori alla condizione che essi non abbiano altri figli; la stretta sul ricongiungimento familiare, uno degli istituti più significativi nella prospettiva dell’integrazione dei migranti, rappresenta un sintomo inequivoco della ratio complessiva del disegno di legge.

Soggiorno

La modifiche previste dal disegno di legge in tema di soggiorno non investono profili essenziali della disciplina del t.u., risultando, tuttavia, ispirati ad una medesima opzione di fondo: la spinta verso la – ulteriore – precarizzazione della condizione giuridica dei migranti, per i quali qualsiasi prospettiva di integrazione viene rigidamente subordinata ai bisogni di manodopera a basso costo delle imprese proiettate nella dimensione iper-concorrenziale del mercato globale. Rispetto alla normativa vigente, viene dimezzata la durata del permesso di soggiorno rinnovato [art. 4 lettera e) del disegno di legge] e viene portata da 5 a 6 anni la durata della permanenza regolare necessaria al conseguimento della carta di soggiorno (art. 8 del disegno di legge); la visione dell’immigrato nella sola dimensione imprenditorial-lavorativa viene esaltata dalla riduzione da un anno a sei mesi del periodo minimo di iscrizione nelle liste di collocamento concesso al lavoratore straniero che ha perso il posto di lavoro per trovarne uno nuovo (art. 22 co. 11 t.u., come modificato art. 15 del disegno di legge).

Allontanamenti

La riscrittura complessiva della disciplina degli allontanamenti rappresenta il nucleo centrale del disegno di legge.

a) L’art. 11 del d.d.l. riscrive l’art. 13 t.u. in tema di espulsione amministrativa; per comodità di lettura, si farà riferimento al testo di quest’ultima norma così come risultante dalle modifiche proposte.

- I commi da 3 a 3 sexies disciplinano (a parte l’incipit del comma 3, che si riallaccia, come si vedrà, al nuovo comma 4) i rapporti tra il procedimento penale e il procedimento per l’espulsione amministrativa; il meccanismo ricalca, in buona sostanza, quello previsto dal d.d.l. n. 4656 approvato nella scorsa legislatura dal Senato (si tratta del cd. indultino, a proposito del quale vds. le osservazioni di Md e dell’ASGI pubblicate in Questione Giustizia, n. 6/2000):

- - il comma 3 prevede una procedura di silenzio-assenso per il rilascio del nulla osta dell’A.G. all’espulsione e disciplina le ipotesi in cui la richiesta del questore può essere rigettata; l’intera disciplina del nulla osta non trova applicazione per l’espulsione dello straniero in stato di custodia cautelare in carcere (previsione che trova conferma nei commi successivi);

- - il comma 3 bis disciplina il meccanismo del silenzio-assenso per l’ipotesi in cui l’espellendo sia stato sottoposto a misure pre-cautelari (arresto o fermo); viene ribadita la non concedibilità del nulla osta in caso di applicazione della custodia cautelare in carcere;

- - il comma 3 ter disciplina il caso della revoca o della declaratoria di estinzione della custodia cautelare in carcere, prescrivendo che il giudice debba contestualmente pronunciarsi sulla richiesta di nulla osta;

- - i commi 3 quater e 3 quinquies prevedono che, "acquisita la prova dell’avvenuta espulsione, se non è stato ancora emesso il provvedimento che dispone il giudizio", il giudice pronuncia sentenza di non luogo a procedere; in caso di rientro illegale dello straniero espulso, troverà applicazione l’art. 345 c.p.p., con un nuovo esercizio dell’azione penale (anche sul punto, il disegno di legge in esame ricalca il disegno di legge n. 4656 citato);

- - il comma 3 sexies esclude la concedibilità del nulla osta qualora si proceda per i reati di cui all’art. 407, comma 2, lettera a) c.p.p. e per quelli di cui all’art. 12 t.u..

Come era stato rilevato nelle osservazioni sopra citate, per un verso "l’introduzione dell’istituto del silenzio-assenso per il rilascio del nulla-osta è, in concreto, la consacrazione dell’ineffettività del controllo giudiziario: chiunque conosca la vischiosità del processo sa che normalmente nel termine di quindici giorni la richiesta del questore non arriverà neppure sul tavolo del magistrato"; per altro verso, "la nuova disciplina corrisponde ad una visione dell’immigrato in quanto tale come soggetto pericoloso, sempre potenziale autore e mai vittima di reati, una visione che il legislatore recepisce dal corpo sociale, contribuendo, allo stesso tempo, ad alimentarla. Non altrimenti si giustifica la mancata estensione, nonostante le sollecitazioni della dottrina e degli operatori, della norma sul nulla osta all’espulsione da parte dell’autorità giudiziaria allo straniero che abbia assunto la qualità di persona offesa in un procedimento penale, una qualità rispetto alla quale le esigenze processuali (ad esempio, la testimonianza in dibattimento) risultano – anche alla luce dei princìpi introdotti dal nuovo art. 111 Cost. – di enorme rilevanza."

- Il comma 4 del nuovo articolo 13 rappresenta la norma centrale dell’intero disegno di legge n. 795/S, il fulcro del programma di azzeramento ad ogni costo dell’immigrazione irregolare: l’accompagnamento coatto alla frontiera diviene la forma ordinaria di esecuzione dell’espulsione amministrativa, con la sola deroga offerta dal successivo comma 5 per lo straniero il cui permesso di soggiorno sia scaduto da più di 60 giorni e che non abbia provveduto a chiederne il rinnovo. Come hanno rilevato tutti i commentatori, la Corte Costituzionale, con la nota sentenza n. 105/2001, ha ritenuto l’accompagnamento coatto alla frontiera una misura limitativa della libertà personale e, come tale, soggetta alla riserva di giurisdizione di cui all’art. 13 Cost.: se disposto insieme con la detenzione amministrativa, tale misura è conforme alla Costituzione in virtù dell’allargamento dell’area del sindacato giurisdizionale sancito, in via interpretativa, dalla Corte; nella disciplina di cui ai comma 4 e 5 della legge vigente ed in quella di cui al comma 4 del disegno di legge – norme che non contemplano alcun intervento dell’A.G. – l’accompagnamento coatto alla frontiera deve invece ritenersi incostituzionale. Il silenzio sul punto della Corte Costituzionale è stato imposto solo da ragioni processuali (il difetto di rilevanza della questione nei casi oggetto delle ordinanze di rimessione) ed è un silenzio destinato a perpetuarsi dal momento che la possibilità di ricorso giurisdizionale presentato all’estero da stranieri espulsi con accompagnamento alla frontiera è, di fatto, inesistente: assume, pertanto un carattere mistificatorio la disciplina più liberale – con l’elevazione da 30 a 60 giorni del termine per la presentazione del ricorso all’estero – prevista dal nuovo comma 8 dell’art. 13. In linea con l’impostazione di fondo del disegno di legge è, infine, il prolungamento della durata del divieto di rientro fino ad un minimo di cinque anni, restando sempre indefinito – così come nel t.u. n. 286 del 1998 – il termine massimo del divieto stesso.

b) L’art. 12 del disegno di legge modifica il quinto comma dell’art. 14 del t.u., raddoppiando la durata della detenzione amministrativa nei centri di permanenza temporanea: viene qui al pettine un nodo che la Corte Costituzionale con la sentenza n. 105/2001 non ha affrontato, quello dei parametri di legittimità/ragionevolezza del trattenimento.

c) L’art. 13 del disegno di legge introduce – nel corpo dell’art. 16 del t.u. - un’ulteriore figura di espulsione a titolo di sanzione alternativa alla detenzione: disposta dal magistrato di sorveglianza, essa sarà applicabile allo straniero che, per un verso, debba scontare una pena detentiva anche residua non superiore ai due anni e che, per altro verso, si trovi in una delle situazioni individuate dall’art. 13 comma 2 del t.u. quali presupposto dell’espulsione amministrativa. La nuova figura di espulsione a titolo di sanzione alternativa alla detenzione presta il fianco a numerosi rilevi critici, il primo dei quali si ricollega alla mancata previsione del consenso dello straniero quale presupposto dell’allontanamento: l’espulsione senza consenso è già stata censurata, seppur incidenter tantum, dalla Corte costituzionale che, nella sentenza n. 62/1994, ha dichiarato infondata un’eccezione di legittimità costituzionale dell’art. 7 commi 12 bis e ter dl n. 416/1989 motivando proprio, tra l’altro, sul fatto che l’espulsione prevista da detto articolo era subordinata al consenso dell’imputato o del condannato. Questo il passaggio sul punto della sentenza: "La stessa subordinazione del rilascio del provvedimento di espulsione previsto dalla norma impugnata alla richiesta dell’interessato (o del suo difensore), per quanto atipica, non costituisce un arbitrario elemento di favore nei confronti dello straniero, ma rappresenta, come si deduce anche dai lavori preparatori, un requisito diretto, nella fattispecie, ad armonizzare la condizione dello straniero ai valori costituzionali cui il legislatore deve riferirsi nel prevedere una misura pur sempre incidente sulla libertà personale, cioè su un diritto inviolabile dell’uomo". D’altra parte, la mancata previsione, quale presupposto della misura, della richiesta del condannato e, dunque, il carattere officioso del provvedimento di allontanamento snaturano il carattere di pena alternativa dell’espulsione e il ruolo del magistrato di sorveglianza: nel nostro ordinamento, le misure alternative costituiscono un favor per il condannato e sono applicabili solo a richiesta dello stesso (salvo le ipotesi eccezionali di cui all’art. 57 ord. pen.). Più in generale, il nuovo istituto è destinato a riprodurre uno dei difetti più significativi del sistema anteriore alla legge Napolitano – Turco, la sovrapposizione/confusione di profili giudiziari e di profili amministrativi nella costruzione delle fattispecie di espulsione: peraltro, esso – anche alla luce della prevista semplificazione dei rapporti tra procedimento penale ed espulsione amministrativa - sembra rispondere assai più all’esigenza mediatica della proliferazione delle figure di allontanamento (dato costante del trattamento degli stranieri nel nostro Paese) che a bisogni reali.

Letta nel suo complesso, la normativa prevista dal disegno di legge governativo in tema di allontanamenti rivela allarmanti profili di illegittimità costituzionale; mortifica il ruolo garantistico della giurisdizione, riducendo, in buona sostanza, l’intervento del giudice a quello di un passacarte dell’autorità di polizia, a sua volta destinata – attraverso l’ulteriore dilatazione dei poteri ampiamente discrezionali già oggi ad essa riconosciuti - ad assumere una posizione di assoluta centralità nel governo del fenomeno migratorio e nella definizione della condizione di regolarità/irregolarità dei migranti; consacra una visione dell’immigrazione come fenomeno in sé pericoloso, esaltando quella prospettiva dell’ordine pubblico che, per un verso, si oppone ostinatamente all’adozione di strumenti mirati all’emersione dell’immigrazione irregolare (prevedendo, ad esempio, meccanismi di regolarizzazione permanente fondati sul decorso del tempo e su indici di integrazione, quali la mancata commissione di reati e il raggiungimento ex post delle condizioni che avrebbero giustificato l’ingresso) e, per altro verso, individua nell’espulsione la sola risposta a qualsiasi forma di irregolarità. Al riguardo, va ribadito quanto affermato più volte e, da ultimo, nel citato documento sul disegno di legge n. 4656: "il sistema delle espulsioni è uno degli strumenti per affrontare le patologie dell’immigrazione, ma esso può essere utile solo se ancorato a princìpi di razionalità e di equità. In concreto ciò significa contenere, anziché estendere, le ipotesi di espulsione, limitandole alle violazioni amministrative insanabili e protratte ed alla commissione di reati di gravità medio-alta: in questi casi l’impegno degli apparati per dare effettività alle espulsioni disposte deve essere affinato e incrementato; nelle altre ipotesi è necessario, invece, un governo duttile della situazione con previsione di possibilità di sanatoria."

E’ questa la strada da seguire per conciliare le esigenze di un effettivo governo del fenomeno migratorio con la irrinunciabile salvaguardia dei diritti fondamentali dei migranti e del ruolo della giurisdizione, salvaguardia dalla quale non si può certo deflettere neppure di fronte alla più volte prospettata – o minacciata – introduzione del reato di immigrazione clandestina quale alternativa all’inadeguatezza, dal punto di vista garantistico, delle procedure amministrative di allontanamento: traducendosi nella criminalizzazione della condizione del migrante e, dunque, delle cause profonde che stanno alla base degli epocali fenomeni migratori della nostra epoca, la configuazione penalistica dell’ingresso irregolare si porrebbe in insanabile contrasto con la visione costituzionale dell’illecito penale e con i principi fondamentali che da tale visione discendono.

Norme penali

Nel disegno di legge non viene criminalizzato l’ingresso irregolare in quanto tale; come è emerso con chiarezza dal dibattito che ha preceduto l’iniziativa governativa, la scelta di non introdurre il reato di immigrazione clandestina è scaturita non dalle considerazioni sopra sintetizzate, ma dalla valutazione dei prevedibili effetti paralizzanti sulla macchina della giustizia penale derivanti dalla criminalizzazione di massa degli irregolari e, soprattutto, da preoccupazioni relative alla effettività e immediatezza degli allontanamenti: illuminanti sui contenuti di quel dibattito sono le parole di Giovanni Sartori (Il Corriere della sera, 6 agosto 2001): "se l’immigrazione clandestina diventa reato, allora il clandestino entra ope legis negli ingranaggi infernali del nostro processo penale e del suo esasperato garantismo."

Se, come si è visto, è la riscrittura complessiva della disciplina degli allontanamenti lo strumento sul quale il disegno di legge governativo fa leva per l’azione di contrasto all’immigrazione irregolare, sul terreno penalistico si registra, da una parte, un drastico irrigidimento delle fattispecie incriminatrici già previste dal t.u. del 1998 e, dall’altra, l’introduzione di nuove figure di reato non prive di profili di problematica legittimità costituzionale.

- L’art. 4 lettera g) del disegno di legge introduce nell’art. 5 t.u. il comma 8 bis, ai sensi del quale: "chiunque redige un permesso di soggiorno, un contratto di soggiorno o una carta di soggiorno falsi o ne altera di autentici, ovvero redige documenti falsi o ne altera di autentici al fine di determinare il rilascio di un permesso di soggiorno, di un contratto di soggiorno o di una carta di soggiorno, è punito con le pene previste dall’articolo 476 codice penale. La pena è aumentata se il fatto è commesso da un pubblico ufficiale." La norma rappresenta un chiaro esempio di diritto penale speciale, assoggettando alla più severa pena prevista dall’art. 476 c.p. per il falso commesso dal pubblico ufficiale in atto pubblico condotte commesse da privati e/o relative a documenti non aventi natura giuridica di atto pubblico, ossia condotte punite, ad esempio, dagli artt. 477 e 482 c.p. con pene inferiori.

- L’art. 10 del disegno di legge apporta significative modifiche all’art. 12 del t.u., allargando, prima di tutto, l’area dell’incriminazione delineata dal primo comma alle condotte favoreggiatrici dell’"ingresso degli stranieri, presenti illegalmente in Italia, nel territorio di un altro Stato". Con i nuovi commi 3 e 3 bis, vengono trasformate in fattispecie autonome le ipotesi previste quali circostanze aggravanti dall’originaria formulazione del terzo comma. La ratio dell’innovazione è chiaramente funzionale ad un inasprimento del regime sanzionatorio in concreto applicato, inasprimento conseguito attraverso la sottrazione dei fatti oggetto delle nuove ed autonome fattispecie incriminatrici alla valutazione giurisdizionale sul possibile bilanciamento con circostanze attenuanti; tale ratio, che caratterizza anche la modifica del delitto di furto introdotta dal cd. pacchetto sicurezza, dovrà, comunque, misurarsi con la complessa questione del rapporto tra elementi costitutivi ed elementi circostanziali della fattispecie, rapporto la cui configurazione caso per caso resta, infatti, affidata all’interpretazione giurisdizionale.

- L’art. 11 lettera g) del disegno di legge sostituisce il comma 13 dell’art. 13 del t.u. e introduce i commi 13 bis e 13 ter: si tratta di innovazioni ispirate al più drastico rigorismo sanzionatorio e foriere di evidenti eccezioni all’impianto garantistico del codice di procedura penale. La prima disposizione aumenta la pena edittale per il reato di rientro senza autorizzazione dello straniero espulso, portandola, nel minimo, da due mesi a sei mesi di arresto e, nel massimo, da sei mesi a un anno di arresto; il nuovo comma 13 bis prevede una fattispecie ad hoc per la trasgressione del divieto di reingresso dello straniero espulso sulla base di un provvedimento giudiziario, fattispecie punita con la reclusione da uno a quattro anni. La terza disposizione prevede che "per i reati di cui ai commi 13 e 13 bis è sempre consentito l’arresto in flagranza dell’autore del fatto e, nell’ipotesi del comma 13 bis è consentito il fermo. In ogni caso contro l’autore del fatto si procede con rito direttissimo". La prima parte della norma deroga alla disciplina contemplata dall’art. 381 c.p.p. primo e secondo comma (individuazione dei reati che consentono l’arresto, individuazione estesa anche ad una fattispecie contravvenzionale quale quella prevista dal comma 13) e a quella di cui al quarto comma (requisiti della gravità del fatto e della pericolosità del soggetto); rimane fermo, invece, il presupposto dello stato di flagranza di cui all’art. 382 c.p,, presupposto, peraltro, svuotato - con riferimento alla fattispecie di cui al nuovo comma 13 bis - dalla possibilità di procedere comunque al fermo dell’indiziato. La seconda parte della norma allarga la possibilità di procedere con il giudizio direttissimo a tutte le ipotesi contemplate dall’articolo in esame.

- L’art. 12 lettera b). del disegno di legge prevede un’articolata disciplina per il caso in cui "non sia stato possibile trattenere lo straniero presso un centro di permanenza temporanea ovvero siano trascorsi i termini di permanenza senza aver eseguito l’espulsione o il respingimento", disciplina incentrata, in prima battuta, sull’ordine rivolto dal questore allo straniero di lasciare il territorio dello Stato entro cinque giorni. Decorso tale termine, "lo straniero che senza giustificato motivo" si trattiene nel territorio dello Stato è punito – ai sensi del comma 5 ter del nuovo art. 14 t.u. - con l’arresto da sei mesi ad un anno e viene espulso con accompagnamento coatto alla frontiera; lo straniero, nuovamente espulso in base al comma 5 ter, che si trattiene senza giustificato motivo nel territorio dello Stato è punito – ai sensi del comma 5 quater dell’art. 14 t.u. novellato - con la reclusione da uno a quattro anni; per i reati indicati, "è obbligatorio l’arresto dell’autore del fatto e si procede con il rito direttissimo".

L’applicazione delle figure di reato ora descritte richiederà grande rigore interpretativo, al fine di scongiurare il rischio che le ragioni per le quali - all’esito del periodo massimo di trattenimento dell’espellendo nei centri di permanenza - non è stata eseguito l’allontanamento (ad esempio, indisponibilità di documenti di identificazione) si traducano in elementi di per sé soli integrativi delle fattispecie incriminatrici: una lettura di questo tipo, oltre a porsi in contrasto con il tenore letterale della disposizione (che esige l’assenza di giustificati motivi), determinerebbe una sostanziale reviviscenza della fattispecie di cui all’art. 7 bis della legge Martelli (che puniva con la reclusione da sei mesi a tre anni lo straniero destinatario di un provvedimento di espulsione "che non si adopera per ottenere dalla competente autorità diplomatica o consolare il rilascio del documento di viaggio occorrente"), fattispecie dichiarata incostituzionale per violazione del principio di tassatività dalla sentenza n. 34/1995 della Corte Costituzionale.

- Gli artt. 15 e 17 del disegno di legge aumentano la pena pecuniaria prevista dagli artt. 22 comma 12 e 24 comma 5 per il datore di lavoro che occupa alle sue dipendenze stranieri privi del permesso di soggiorno o il cui permesso sia scaduto, revocato o annullato: l’ammenda da due a sei milioni è sostituita dalla pena proporzionale di 2.582,28 euro (pari a cinque milioni di lire) di ammenda per ogni lavoratore impiegato.

Asilo

Gli artt. 24 e seguenti del disegno di legge governativo innovano profondamente la disciplina in tema di asilo prevista dall’art. 1 della legge Martelli; in particolare:

- nelle ipotesi di cui al nuovo art. 1 bis (accertamenti sulla nazionalità e sull’identità del richiedente; verifica degli elementi sui quali si basa la richiesta qualora gli stessi non siano immediatamente disponibili; iter procedimentale per il riconoscimento del diritto di ammissione nel territorio dello Stato in corso; richiesta presentata da straniero che ha eluso i controlli di frontiera o che si trova, comunque, in condizione di soggiorno irregolare; richiesta presentata da uno straniero già destinatario di provvedimenti di allontanamento), è previsto – come facoltativo nei primi tre casi, come obbligatorio negli ultimi due - il trattenimento del richiedente asilo in uno dei previsti centri di accoglienza;

- nelle ipotesi di trattenimento obbligatorio di cui all’art. 1 bis comma 2, la definizione dell’istanza di riconoscimento dello status di rifugiato ha luogo attraverso una procedura semplificata, per la quale sono previste serrate cadenze temporali sia nella fase di trasmissione da parte del questore della documentazione necessaria alla valutazione della richiesta, sia nella fase della decisione della istituita commissione territoriale per il riconoscimento dello status di rifugiato; il ricorso avverso la decisione della commissione territoriale – presentato, anche dall’estero, al tribunale in composizione monocratica competente per territorio – "non sospende il provvedimento di allontanamento dal territorio nazionale"; il richiedente asilo ha facoltà di chiedere al prefetto un’autorizzazione alla permanenza nel territorio nazionale fino all’esito del ricorso; la decisione di rigetto del ricorso è immediatamente esecutiva;

- viene delineata la struttura della commissione territoriale per il riconoscimento dello status di rifugiato e vengono ridefinite le funzioni della Commissione centrale, ribattezzata "Commissione nazionale per il diritto d’asilo".

La normativa in tema di asilo prevista dal disegno di legge governativo è criticabile da molteplici punti di vista e, prima di tutto, nella scelta di adottare una disciplina scarna e tranchant in luogo del complesso articolato che, ad esempio, caratterizzava il disegno di legge approvato nello scorso marzo dalla Camera dei deputati: si tratta di una scelta tanto meno comprensibile se si pone mente alla normativa europea in materia approvata o in corso di approvazione, normativa alla quale la legislazione italiana sarà chiamata ad adeguarsi. Nel merito, l’amplissimo ventaglio di ipotesi previste dall’art. 1 bis attribuirà al trattenimento del richiedente asilo caratteri di assoluta ordinarietà; d’altra parte, la natura sommaria della procedura semplificata, in uno con la immediata esecutività della decisione della commissione territoriale, determina gravi rischi di svuotamento, in termini di effettività, del diritto d’asilo e, dunque, alimenta seri dubbi di legittimità costituzionale della normativa.

* * * * *

Se approvato, il disegno di legge governativo non condurrà ad un governo giusto ed efficace dei fenomeni migratori, ma comporterà un’ampia e profonda compressione dei diritti fondamentali dei migranti; non raggiungerà gli scopi dichiarati e, in particolare, non ridurrà l’area dell’immigrazione irregolare, destinata anzi ad allargarsi a causa sia della mancata adozione di strumenti di assorbimento della clandestinità, sia della drastica chiusura dei canali di ingresso legale; non favorirà l’integrazione dell’immigrazione regolare, che, attraverso l’accentuazione dei processi di precarizzazione/amministrativizzazione della condizione giuridica degli stranieri indotta dalle nuove norme in tema di soggiorno e di allontanamento, sarà spinta verso una dimensione sempre più marcatamente servile.

Novembre 2001

 

 

 

 

 

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