La giustizia penale

E’ opinione comune a tutti gli operatori quella secondo cui il processo penale è ormai diventato un vero e proprio percorso a ostacoli o, peggio, qualcosa di simile al "gioco dell’oca", con irreversibili "ritorni alla base" nel caso di inosservanza di adempimenti del tutto formali.

La successione delle leggi (Carotti, modifica del rito abbreviato, abolizione e reintroduzione dell’ergastolo, modifica alla disciplina sui collaboratori, attuazione dell’art. 111 Cost., indagini difensive, difesa d’ufficio), emanate già durante la precedente legislatura, anziché andare nella direzione di una razionalizzazione del sistema processuale penale, lo ha reso grandemente contraddittorio e disorganico; ogni singolo processo si trova ad essere "attraversato" da diverse discipline, con la conseguente estrema difficoltà di ricercare – per ogni singolo momento processuale, specie nei precedenti gradi di giudizio – la disciplina processuale concretamente applicabile.

La gran parte dei nuovi adempimenti richiesta al P.M. ha reso estremamente burocratica e formale l’attività degli uffici requirenti, che continuano peraltro a non essere sempre dotati delle necessarie strutture di supporto; il ruolo del P.M. ha inoltre subito un significativo ridimensionamento, con l’eliminazione della rilevanza del dissenso in caso di richiesta di giudizio abbreviato; d’altra parte, la completezza ed esaustività delle indagini ridonda a beneficio dell’imputato.

In contraddizione con il principio costituzionale della ragionevole durata del processo, condizione perché possano effettivamente attuarsi i principi del giusto processo, le indagini ed i dibattimenti – in diretta conseguenza degli interventi normativi ricordati - diventano sempre più lunghi e complessi, i termini di prescrizione sempre più vicini e minacciosi. Nulla è stato fatto, né nella precedente legislatura né in quella in corso, per avviare una semplificazione del sistema e, tanto meno, per rendere non vantaggioso per l’imputato il ricorso a tattiche meramente dilatorie, finalizzate ad evitare la decisione o la sua effettività, in contrasto coi principi di buona organizzazione e di economia processuale.

In questo quadro già sconnesso e caotico, del tutto privo della sistematicità e semplicità che dovrebbero caratterizzare una moderna legislazione penale, sono intervenute le leggi di riforma del diritto societario e di ratifica dell’accordo italo-svizzero di assistenza giudiziaria.

L’ANM, pur rispettando, come sempre, le scelte politiche del Governo e del Parlamento, ritiene di dovere esprimere il proprio punto di vista su questi provvedimenti normativi che, a prescindere dalla loro incidenza su procedimenti penali in corso, possono provocare ricadute negative sull’efficacia delle indagini in materia di criminalità organizzata ed economica e, più in generale, sulla razionalità del sistema e sulla sua adeguatezza a tutelare beni e interessi costituzionalmente protetti.

La modifica del sistema sanzionatorio degli illeciti in tema di fedeltà dei bilanci e delle comunicazioni sociali sembra muoversi in controtendenza rispetto al processo normativo che, a partire dal 1991 in poi, aveva modificato le norme sui libri contabili e i bilanci delle società di capitali, nel tentativo di renderne più trasparenti gli assetti proprietari e gestionali, in linea con gli standards dei principali paesi europei.

La nuova disciplina sembra ridurre la rilevanza degli interessi tutelati ai soli soci e creditori, per di più distinguendo nettamente (fino a prevedere la perseguibilità a querela per le società non quotate in borsa) tra diversi tipi di società, individuate peraltro attraverso parametri formali, non sempre corrispondenti alla effettiva dimensione e rilevanza della società.

Nell’economia di mercato, la trasparenza della gestione e l’affidabilità delle informazioni societarie sono condizioni essenziali e indefettibili per un corretto sviluppo delle relazioni economiche e non possono essere considerate patrimonio esclusivo (e in qualche caso disponibile) dei soli soci o creditori. Il deficit di trasparenza societaria provoca danni, diretti e immediati, al sistema economico nel suo complesso.

Per altro verso, la legge di ratifica dell’accordo italo-svizzero di assistenza giudiziaria ci allontana dal processo di costruzione di uno spazio giudiziario europeo e, incidendo su processi in corso – con una previsione di retroattività senza precedenti nel nostro ordinamento processuale - rischia di vanificare attività di acquisizione probatoria legittimamente svolte, con conseguente allungamento dei tempi di numerosi e gravi processi.

In tale prospettiva, gravi preoccupazioni suscita la norma contenuta nell’art. 12 della legge che, stando al tenore letterale della norma, prevede la sanzione della inutilizzabilità dei documenti acquisiti o degli atti assunti per qualunque irregolarità, quindi anche di natura meramente formale, per nulla incidente sulla regolarità della raccolta delle prove e sui diritti della difesa, verificatasi persino nella fase della trasmissione del documento.

Uno degli elementi più qualificanti del trattato italo-svizzero era la volontà di semplificare ed accelerare le procedure rogatoriali e di creare, per i più gravi reati di criminalità organizzata e di corruzione, nuovi strumenti di cooperazione, diversi dalle rogatorie, in grado di assicurare lo scambio informativo.

Il testo di ratifica approvato dal Parlamento sembra invertire tale direzione, ancorando i rapporti di cooperazione non soltanto con la Svizzera, ma, attraverso la modifica dell’art. 729 Cpp, con tutti gli altri Paesi, ai rigidi formalismi ed agli articolati passaggi previsti dalle vecchie convenzioni.

Inoltre, la previsione che gli atti assunti per rogatoria hanno efficacia processuale solo se compiuti con l’osservanza delle norme del Cpp italiano, contrasta con il principio generale di diritto internazionale della lex loci, per cui le attività di cooperazione internazionale si svolgono in osservanza delle regole procedurali proprie dello Stato richiesto, principio riaffermato dall’art.13 della Convenzione europea di assistenza giudiziaria in campo penale, firmata a Bruxelles il 29 maggio 2000 tra i quindici Paesi dell’Unione Europea e non ancora ratificata in Italia.

Le nuove norme, in controtendenza rispetto alla Comunità internazionale, renderanno assai più difficoltosa l’investigazione sui crimini transnazionali di matrice mafiosa e terroristica per i magistrati italiani, ai quali sarebbe poi attribuito l’eventuale fallimento dell’attività repressiva.

Il recente decreto legge 374/2001 in materia di terrorismo internazionale contribuisce ad esaltare tale contraddizione, prevedendo nuovi e più incisivi strumenti investigativi, che si riveleranno tuttavia puramente virtuali nel momento in cui i magistrati italiani dovranno attivare le conseguenti indagini giudiziarie e l’inevitabile cooperazione internazionale, specialmente per l’individuazione dei finanziatori del terrorismo.

Roma, 24 ottobre 2001

 

 

 

 

 

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a cura di magistratura democratica romana


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