Giudici nel paese delle meraviglie

di Gianfranco Viglietta

(Recensione ad una recensione)

Che il libro di Giovanni Palombarini (Giudici a sinistra) avrebbe suscitato dibattito e anche dissensi era previsto ed auspicato. E' infatti una storia di parte, nel senso che I' autore ne è uno dei massimi protagonisti e non aspira ad apparirne falsamente distaccato. Inoltre è la storia di Md, che solo di riflesso offre uno spaccato dell'intera magistratura italiana. Certo non parla delle foibe e dei lager staliniani, e dunque era scontato che non piacesse a Storace. Meno scontata era invece la sequela di insulti, in puro stile de "Il borghese", con cui Mario Cicala commenta il libro sui siti Internet Giustizia e Carità e di Mi. Per poi aggiungere una specie di pentimento postumo con cui, con indulgente bonomia, recupera un'accezione della politicità dell'interpretazione.

Mi domando se Cicala abbia veramente letto il libro che recensisce, o se non I' abbia piuttosto scorso con la volontà di cogliere qua e là frasi che si prestassero alla polemica: che sarà anche esercizio divertente, ma è anche il miglior modo di non capire un libro che è assai problematico, non privo di autocritiche e di dubbi, e non cela nulla di tutto ciò che si dibatteva in Md, anzi lo documenta. Già I' approccio di Cicala è spiritosamente illuminante: si evocano Stalin e i carri armati sovietici a Budapest. Sono tra i più vecchi ormai in Md, nondimeno quando è morto Stalin avevo 11 anni. All'epoca dei fatti d'Ungheria facevo il quarto ginnasio. Del resto, I' approccio resta lo stesso per tutta la recensione, anche quando Palombarini ammette che la valutazione su Lazagna era altamente opinabile, resta egualmente "trinariciuto".

Sfugge invece a Cicala il senso complessivo del libro e degli anni in cui si collocano gli avvenimenti: tutto il percorso contro un ordinamento verticísta della magistratura il cui vertice supremo, la Cassazione, si era impegnata nella disapplicazione della costituzione, e la parallela, crescente denunzia della falsa neutralità dei magistrati che si rifugiavano dietro I' ideologia dei metodo tecnico-giuridico e la tesi della continuità dello stato nonostante la costituzione. Certo non siamo stati soli in questo percorso, e Palombarini cita vari personaggi che hanno fin da allora condotto le stesse battaglie: Cremonini, Beria d'Argentine, Franceschelli, Moro, Giangreco, Padovaní , etc, tutti con grande rispetto, anche coloro che poi ruppero con Md. Ma la reazione della corporazione fu durissima, e non fatta di spiritosi scherzi, ma di decine di procedimenti disciplinari, per lo più per lesa maestà nei confronti dei capi (vedere il cap VII). Certo, nel vivo della polemica molte espressioni sembrano eccessive o datate, ma si può negare che quelle posizioni hanno largamente concorso alla parità di tutte le funzioni, all'indipendenza interna, all'abbattimento delle carriere che sono oggi patrimonio di tutta l'Anm?

E sfugge anche la continuità tra la giurisprudenza costituzionalmente orientata verso I' uguaglianza e le prime agitazioni per la piena attuazione della costituzione: la c.d. giurisprudenza alternativa non fu mai una giurisprudenza di partito. Può darsi che in molti casi fosse discutibile, come quella conformista: ma questo è un altro ordine di idee. L'altro grande filone dei libro è il singolare percorso della corrente dalla denuncia della falsa neutralità dell'interpretazione e dalla contestazione, in nome dell'uguaglianza dei cittadini, dei potere dei capi di condizionare la giurisdizione, e quindi il suo sentirsi parte di un movimento progressista e "di classe", all'autonomia piena, con momenti di fortissima polemica, rispetto ai partiti della sinistra e alla loro concezione giacobina della politica, in cui la garanzia giuridica non conta nulla rispetto a quella politica espressa mediante il voto. Autonomia che era pienamente raggiunta ali' inizio degli anni 70: non abbiamo avuto bisogno della caduta dei muro dì Berlino.

Nondimeno, nel suo garrulo cicaleccio Cicala non si esime neppure dal rispolverare sospetti su un presunto collateralismo rispetto al terrorismo di sinistra che non è stato ancora prospettato neppure dal Polo delle libertà, con argomenti di questo spessore: "la difesa dell' Avv. Lazagna non nasceva solo dal candido garantismo delineato dall'A., fu I' ultimo disperato tentativo di negare il colore rosso delle BR, di sostenere la menzogna secondo cui erano brigate nere laccate di rosso (i giornalisti di regime pagati con il denaro dei contribuenti parlavano allora di sedìcenti brigatisti che si autodefiniscono rossi). A questo tentativo si collega dei resto I' iniziativa dell' On. Pajetta di indurre i brigatisti rossi a consegnarsi al giudice amico Ciro De Vincenzo.... garantendo I' impunità o quanto meno una forte indulgenza".

Poichè nel libro non si parla affatto di tutto ciò (Palombarini non mette per nulla in dubbio il colore delle BR , nè I' esistenza di un'articolata galassia eversiva anche al di fuori delle organizzazioni clandestine, né l'on. Pajetta né Ciro De Vincenzo hanno mai aderito ad Md), si tratta, come anche le pagine precedenti e seguenti, di libere esercitazioni, che partendo dai carri armati russi proseguono con le scritte sui muri di casa che hanno fatto soffrire i magistrati conservatori e, pare, lo stesso Cicala, I' attentato all'Angelo Azzurro a Torino e simili. Tutto ciò sarebbe stato superato solo lentamente , "quando la sinistra italiana (tutta, n.d.r.) e con essa la maggioranza di Md (N.B., solo la maggioranza! n.d.r.) fece la scelta legalitaria e pagò la sua parte dì tributo di sangue.

Tutto ciò spiega "le ragioni storiche dei magistrati tradizionalisti".
L'acrobatica Cicala, come nella sua favolosa natura, rischia, con affermazioni così gravi, di dissipare un recente patrimonio di unità associativa, ma poiché, nonostante il suo parere , anche ai magistrati di sinistra non manca necessariamente il senso dell'humor (e talvolta hanno anche quello del glamour) , non riesco a prenderlo troppo sul serio.

Mi limiterò ad osservare: 1) a sinistra (ma non mi risulta in Md, anche se non posso escluderlo per singoli aderenti) ci fu chi, per difficoltà ad accettare una dura realtà, ma anche perché uscivamo da anni di trame di destra (dal "piano Solo" al "Golpe Borghese" alla "Rosa dei venti" allo stragismo) rifiutò l'idea che le BR fossero di sinistra; tesi che poi si è modificata in quella della eterodirezione. Ma che c'entra (in dipietrese, ci azzecca) con la lotta al terrorismo, quale che fosse I' interpretazione che se ne dava? L'impegno di Md contro il terrorismo fu immediato, generoso e su più versanti, alcuni dei quali preclusi ai giudici tradizionalisti. Dai processi di Caselli a Galli, alla Paciotti, Bernardi, Pellegrino, Campo, Guardata, e numerosi altri che non cito per non fare torto a chi potrei dimenticare, e si estrinsecò anche in dibattiti nelle scuole e nei luoghi dove c'erano aree di possibile continuità al terrorismo. Sicchè abbiamo raccolto i nostri morti, le nostre minacce e schedature nei covi, e di tanti pentiti non uno di questi ha indicato un solo magistrato di Md come amico. C'era invece in Md un acceso dibattito, di cui Palombarini dà conto, tra chi era disposto ad accettare anche restrizioni di libertà e irrigidimenti alla legislazione, e chi si opponeva (linea che prevalse e che vedeva schierata la maggioranza di Md), perché non si doveva dare una legittimazione da guerra civile al terrorismo, né assecondarne il disegno, che era quello di provocare un'irrigidimento autoritario dello Stato, per "svelarne la natura di falsa democrazia". Galli cadde per questo, perchè autore di un commento contrario al fermo di polizia. Prima Linea teorizzò, ad un certo punto, che noi eravamo i principali nemici perché " ottundevamo la coscienza di classe", facendo credere che lo Stato fosse democratico. Certo, anche qui siamo stati una parte della magistratura che ha lottato contro il terrorismo, l'Anm non ha avuto alcuna esitazione, e altri si sono impegnati sia nei processi che nei dibattiti nelle scuole o nei luoghi di lavoro, indipendentemente dalle correnti.

Semplicemente, non possiamo accettare insinuazioni su questo piano.
Resta il confronto aspro con i giudici tradizionalisti. Saremo stati anche verbalmente estremisti o settari, ma mi domando in che mondo ha vissuto Mario Cicala: penso, nel paese delle meraviglie. Non ricorda di un codice che mandava in galera, per due anni, minorenni per aver rubato due o tre mele da un albero, o capi degli uffici che assegnavano i processi secondo simpatie ed affidabilità politiche, o avocazioni per garantire I' impunità dei potere, o mandati di cattura per articoli di giornali? L'abbiamo presa in modo poco spiritoso, abbiamo subito procedimenti disciplinari e paradisciplinari e tuttora pensiamo che esista un diritto internazionale che abilita i giudici ad interloquire, perfino sulla guerra. Ma una cosa, invece mi fa ridere, irrefrenabilmente: la visione degli stati maggiori di M.I. dell'epoca che difendevano la neutralità della legge, la non interferenza sulle sentenze, l'apoliticità dei magistrati.
In grembiulino, cazzuola e compasso.

 

 

 

 

 

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