Risposta di Scotti

 

Gentile Segretario,

ringrazio Lei e i colleghi di Magistratura Democratica per aver sottolineato l'inversione di tendenza delineatasi nel tribunale di Roma, e per aver riconosciuto la fatica e l'impegno - di magistrati e funzionari - rivolti a tale obiettivo. Noto con piacere che la Vostra lettera del 20 febbraio offre un contributo alle responsabilità della presidenza e costituisce un segnale di novità rispetto al silenzio delle componenti associative proprie quando - in un periodo di così difficili realizzazioni - era ed è forte l'esigenza di apporti propositivi, di confronti, di stimoli.
In questi ultimi tre anni sono cambiate tante cose: è decisamente mutato il quadro ordinamentale, la politica legislativa per la giustizia è un cantiere costantemente aperto con ricadute di incertezze soprattutto sul sistema del processo penale, sta cambiando la stessa fisionomia della magistratura (non so se in meglio o in peggio) mentre la new economy pone problemi di giustiziabilità estremamente complessi. Viceversa l'ordine giudiziario è alla ricerca di modelli operativi idonei, sente il bisogno di riorganizzazioni e programmazioni ma non ha la capacità (e forse l'attitudine) ad elaborarli, tanto che, con singolare consonanza, nelle prime circolari di avvio del giudice unico, il Ministero e il Consiglio superiore si appellarono allo spirito di iniziativa, alla fantasia, alla buona volontà dei capi degli uffici. Eppure, l'intera pubblica amministrazione sta facendo notevoli sforzi per rigenerarsi secondo tipologie al passo con i tempi.
Dunque nel tribunale di Roma si tenta di avviare un discorso nuovo che dia significato concreto all'organizzazione della giurisdizione; e mi sono spesso domandato quanta parte avrebbe potuto avere l'Anm su questo terreno, e quali contributi ideologici e pratici avrebbero potuto offrire le sue componenti per cogestire le riforme con i capi degli uffici, invece di limitarsi ad un attendismo critico.

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Dico subito che concordo con l'indicazione dei presupposti indispensabili per un piano di efficienza, come proposto nella Vostra lettera. Tanto vi concordo che da tre anni: 1) raccolgo statistiche di sezione e di uffici, relative ad ogni tipo di provvedimento, monitorando i dati in rapporto alle sopravvenienze; 2) ho costituito gruppi di lavoro misti e vado chiedendo contributi ad ogni collega di buona volontà su qualunque degli aspetti dell'organizzazione e dell'efficienza; 3) convoco e partecipo ad assemblee di sezione e di ufficio (in media, tre alla settimana); 4) rivedo periodicamente gli snodi organizzativi per sempre meglio adattarli alle esigenze reali; 5) confronto le nostre esperienze con i modelli elaborati da altri uffici di analoghe dimensioni.
Ma è chiaro che in questa prospettiva dinamica non posso né debbo limitarmi al semplice controllo "a posteriori" su laboriosità o produttività, evidenziandone i dati soltanto in sede di pareri per la c.d. progressione in carriera. Certo, potrei scegliere la più comoda e neutrale via burocratica di segnalare ogni volta ai titolari dell'azione disciplinare ritardi e improduttività, lasciando a chi di ragione gli interventi di competenza; ma, conoscendo la Vostra tradizione culturale, non credo intendiate spingermi verso questa pilatesca opzione. Né la ritengo produttiva sul piano della buona amministrazione, convinto come sono che lo stimolo, il coinvolgimento, la richiesta di spiegazioni, anche - e perché no - il riconoscimento di un maggiore impegno siano modi più proficui nell'interesse della macchina giudiziaria e - quel che più conta - nell'interesse della collettività degli utenti.

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C'è un equivoco nella Vostra lettera a proposito delle note che invio ai colleghi.
A chi supera in modo apprezzabile la media di sezione non rimetto una nota di elogio, che perciò non presenta le caratteristiche previste dalla circolare consiliare, bensì esprimo il mio compiacimento per l'impegno dimostrato; a chi sta, in modo apprezzabile, al di sotto della media di sezione, non trasmetto una nota di biasimo, ma semplicemente una richiesta di spiegazioni, ignorando in quali difficoltà personali, familiari o anche professionali in rapporto alle cause trattate il destinatario sia incorso, tali cioè da giustificare la resa minore.
Questo rientra nei miei doveri di vigilanza e di conoscenza dell'andamento del lavoro giudiziario; è utile, fra l'altro, per accertare l'equa distribuzione dei carichi e la validità dei modelli utilizzati. Potrei demandarlo ai presidenti di sezione: ho chiesto ripetutamente ai presidenti di sezione di esplicare tale attività, ma finora ho soltanto ricevuto generiche assicurazioni o esposizioni giustificative, e lo attribuisco al fatto che queste articolazioni intermedie nella nuova fisionomia ordinamentale (ormai quasi completamente libere, in civile dal carico di presiedere collegi) non sono ancora entrate nello spirito e nei compiti propri dell'art. 47 quater.

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So bene che limitarsi a contare le sentenze è un metodo troppo elementare ai fini di conoscere la professionalità di un magistrato. Ma, a parte che si tratta di controllare l'andamento dell'efficienza, non di valutare professionalità e capacità, è senza dubbio uno strumento indicativo (lo è anche per il Csm e per l'Ispettorato); inoltre, calcolato sulla media di sezione e non su quella generale, si ammortizza anche l'eventuale divario tra tipologie di controversie e numero di decisioni. Certo, si potrebbero utilizzare strumenti più incisivi e qualificati: riscontrare ad esempio il numero e la qualità dei provvedimenti anticipatori, vedere come il collega tiene l'udienza e quali siano i rapporti con parti, avvocati o testimoni, quale la sua partecipazione ai problemi organizzativi della sezione; si potrebbero persino leggere le sentenze per accertare la logica dell'argomentazione e la tecnica di stesura. Non credo che Voi auspichiate tanto, anche se basta scorrere la circolare 6 luglio 2000 del Csm per accertarsi di quel che si potrebbe e dovrebbe fare in termini di controllo di efficienza, produttività e tempestività che, secondo il Consiglio, devono essere oggetto di controllo costante, non a consuntivo in vista dei pareri per le promozioni.

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C'è un altro aspetto su cui vorrei richiamare la Vostra attenzione, nel quadro generale della magistratura oggi (e domani!), affinché l'ordine giudiziario, tra esigenze sottolineate in sede europea, credibilità presso l'opinione pubblica, venti di restaurazione, conservi un ruolo di alto profilo istituzionale. Riguarda i doveri dei capi degli uffici.
Ridiscutiamola finalmente insieme questa figura. Lo faccia l'Associazione, al di fuori di protezionismi corporativi; lo faccia la cultura democratica senza i condizionamenti di un passato vissuto in un contesto ordinamentale diverso; facciamolo tutti insieme tenendo in debito conto quel che - in tema di produttività e di capi degli uffici - dice il recentissimo messaggio del Capo dello Stato, presidente del Consiglio superiore della magistratura.
Personalmente - come Vi sarà noto anche attraverso miei scritti sul tema - ritengo che il capo dell'ufficio abbia molti doveri e complessive responsabilità di resa, garantendo trasparenza, imparzialità e autonomia, ma anche efficienza e produttività, gestendo al meglio i mezzi e le risorse umane disponibili; che di questo debba rendere conto e ragione periodicamente - credo almeno ogni anno - agli organi centrali e che, per adempiere ai suoi doveri, sia titolare di poteri organizzativi, di controllo e di stimolo nel pieno rispetto della Costituzione e dell'ordinamento giudiziario. Non mi pare ci sia più spazio per capi pigri, irresponsabili, inefficienti, magari adagiati sulla trattazione di qualche bella questione giuridica ma sempre pronti a recitare le geremiadi della mancanza di mezzi e di strutture.
E credo, infine, che quei poteri-doveri vadano esercitati coinvolgendo costantemente colleghi ed operatori della giustizia, stimolandoli ad evitare pigrizia , confrontandosi con ciascuno, recependo sollecitazioni e contributi nell'interesse comune.
Nella speranza di proficue intese, Vi auguro buon lavoro e Vi saluto con tanta cordialità.

Luigi Scotti

Roma, 12 marzo 2001

P.S. Sarebbe opportuno che questa mia fosse inserita, come la lettera del 20 febbraio, nel sito M.D. Grazie

 

 

 

 

 

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