Il "problema giustizia"
di Giovanni Palombarini
Le terribili notizie dei bombardamenti che continuano su popolazioni tanto inermi quanto povere e le tragiche cronache relative alla sorte del popolo palestinese non possono fare dimenticare le polemiche che, ad opera degli attuali governanti, hanno investito la giustizia italiana. Con riferimento a vari temi non solo si sono dette cose innumerevoli, con assoluta indifferenza per i diversi ruoli istituzionali e per gli equilibri democratici, ma vi sono state e sono state annunciate per il prossimo futuro concrete preoccupanti iniziative. Le pretese ragioni delle polemiche e delle iniziative sono state diffuse in ogni dove con la sicura certezza dell’ascolto e dell’adesione da parte della generalità dei cittadini, grazie a un sistema di media che nessun altro governante al mondo può vantare (a proposito: ma il conflitto di interessi non doveva essere risolto nei primi cento giorni della legislatura?). Rispetto a tutto ciò vale la pena di tentare di dire, o di ricordare, alcune verità, per coloro che hanno voglia di informarsi un po’ più a fondo e di capire.
Un primo tema, dal quale si parte per proporre drastiche correzioni all’ordinamento giudiziario. In Italia, secondo Silvio Berlusconi, vi è stata una guerra civile grazie alla quale un settore della magistratura, asservito a un partito politico (il Pds), ha eliminato un intero ceto di governo e ha tentato di impedire l’avvento di nuovi governanti. Con riferimento a queste affermazioni è bene ricordare alcune cose.
Innanzitutto non solo i magistrati di "Mani pulite", ma gli studiosi del sistema politico di ogni tendenza hanno pacificamente riconosciuto che all’inizio degli anni Novanta la corruzione aveva raggiunto in Italia livelli eccezionali, intollerabili. D’altro lato, lo stesso Bettino Craxi, in occasione della sua autodifesa in Parlamento, non esitò ad affermare, nell’intento di coinvolgere tutti i partiti del tempo nella questione dell’autofinanziamento illecito, che la corruzione era giunta al un punto tale da mettere a rischio il sistema politico. Cosa si vuol dire oggi, che fu tutta un’invenzione di inquirenti strumentalizzati politicamente?
Inoltre, ai tempi delle inchieste milanesi, autorevoli esponenti della Lega e di Alleanza nazionale si espressero in termini di forte approvazione del lavoro dei magistrati, condannando duramente gli autori dei mille reati emersi d’improvviso. Nessuno di loro parlò di complotti o di guerra civile. Anzi, proprio i deputati della Lega con una lugubre sceneggiata ripresa dai media di tutt’Europa, in un’occasione che tutti ricordano, fecero dondolare alcuni cappi da forca all’indirizzo dei deputati della Dc e del Psi accusandoli platealmente di essere corrotti e corruttori, peculatori e concussori. Sono venuti a conoscenza di fatti nuovi che li inducono, mutando atteggiamento, ad associarsi alle affermazioni del capo del governo e dei suoi più fidati collaboratori ?
Ancora. Andrebbe chiarito il riferimento al "settore della magistratura" coinvolto in quel complotto. Qualcuno allude a Magistratura Democratica. Tralasciando qui ogni discorso sull’autonomia di questa associazione che di certo non ha mai preso ordini da nessuno, rimane il fatto che del "pool" di Mani Pulite era aderente a Md Gherardo Colombo. Se D’Avigo era ed è un autorevole esponente di Magistratura Indipendente, la corrente di destra dell’Anm, per Di Pietro nel 1994 si prospettò una candidatura al Csm nelle liste di Unicost, gruppo di centro; e a seguito del suo rifiuto, venne candidato, ed eletto in tale lista, il gip Ghitti. Inoltre, indagini e processi si aprirono in tante altre città, gestiti da magistrati dei quali oggi nessuno ricorda più il nome e molti dei quali non sono iscritti a nessuna associazione. Allora, tutti inquadrati nello stesso clan legato al Pds?
Un secondo tema d’attualità va ben oltre ogni critica alla magistratura italiana. Fra mille polemiche sono state rapidamente approvate in tema di rogatorie, falso in bilancio e rientro di capitali dall’estero discutibili leggi (al Senato Massimo Brutti le ha di recente definite leggi della vergogna). Le proteste non hanno indotto la maggioranza a fermarsi. Non nei nostri confini, ma in Europa, l’Italia è stata avviata su una strada che davvero fa rabbrividire. Com’è noto, faticosamente si è messo a punto un accordo a lungo ricercato sul punto del mandato di cattura europeo, rispetto al quale sarebbero legittime varie preoccupazioni di segno garantista, che però il governo italiano si è ben guardato dal formulare. Il punto di contrasto con gli altri paesi europei è stato un altro: essendovi una larghissima convergenza - quattordici paesi su quindici - nell’individuazione di più di trenta delitti ritenuti gravi, e quindi da perseguire con la collaborazione di tutti, il governo Berlusconi ha inizialmente dichiarato la sua disponibilità ad aderire al patto solo per una parte di quei reati. Dovevano rimanere fuori dall’elenco, hanno spiegato le cronache, quelli di criminalità economico-finanziaria, cioè le frodi e la corruzione. Il ministro Ruggero, forse per i commenti a volte aspri, a volte ironici formulati in tutta Europa, a un certo punto ha espresso l’opinione che bisognerebbe fare ogni sforzo per non rimanere fuori da questo rilevante momento del processo di unificazione europea, ma il ministro Castelli gli ha replicato a muso duro che la linea non la dà lui, che pure è il ministro degli esteri, ma il presidente Berlusconi.
S’è così aperta una trattativa - nel corso della quale il ministro Bossi ha dichiarato con forza che non era sua intenzione svendere il popolo padano a "forcolandia", nuova definizione dell’Europa - che è stata avvilente per tanti italiani. In particolare una circostanza umiliante è stata data dall’atteggiamento degli altri paesi i quali, evidentemente nella convinzione che la resistenza fosse riconducibile all’esigenza di proteggere qualcuno, hanno proposto come punto di mediazione una norma secondo cui gli accordi dovrebbero valere solo per il futuro, escludendo cioè la loro applicabilità alle inchieste in corso. Neppure questa proposta è stata accolta, e si è controproposto un termine di sospensione di sette anni, cioè una scadenza che va al di là delle prossime elezioni politiche. Alla fine, tra i commenti sarcastici di tutti i media europei, un accordo è stato raggiunto, con il particolare che l’Italia vi darà esecuzione Dio solo sa quando.
Può servire anche questa vicenda alle persone in buon fede per capire qualcosa di più di ciò che sta avvenendo?
Un altro rilievo. In questi giorni sono sorte polemiche nei confronti del Csm perché alcuni consiglieri, di fronte a una mozione approvata dalla maggioranza del Senato in cui, chiudendo il dibattito che s’è sviluppato a seguito dell’incredibile vicenda Taormina, da un lato si è intervenuti pesantemente in un processo in corso, direttamente sindacando l’interpretazione fornita dai giudici (una novità assoluta nella storia parlamentare), dall’altro si è affermato che vi sarebbero state riunioni di magistrati volte a ricercare mezzi e metodi per disapplicare una legge dello Stato (con evidente riferimento a quella sulle rogatorie), hanno chiesto che di tutto ciò si discuta in una riunione. Evidentemente per il Csm si sono posti due problemi: il primo, quello di un eventuale conflitto di attribuzione, e poi quello di esaminare se quella la denuncia è fondata o meno. Su quest’ultimo punto è evidente che se la denuncia fosse fondata (ma tutti hanno compreso che così non è) il Csm avrebbe il dovere di intervenire nei confronti di quei magistrati scorretti, in caso contrario si tratterebbe di spiegare che gli unici incontri di magistrati che si conoscono sono quelli organizzati periodicamente dallo stesso Consiglio nel quadro di un programma di formazione permanente dedicato a tutte le novità legislative. L’ex presidente delle Repubblica Cossiga, antico esperto della politica, ha subito trovato la soluzione facile del difficile, imbarazzante problema: che il presidente Ciampi non autorizzi il Csm a discutere della questione, altrimenti saranno inevitabili le accuse nei suoi confronti di mancato rispetto della Costituzione. Come si vede, non si esita ad andarci pesante anche con il capo dello Stato. Così, se con quella mozione si è invaso il campo proprio di un altro potere dello Stato e si sono dette cose false, è meglio che nessuno ne parli e che i cittadini ne rimangano all’oscuro.
Siamo di fronte solo a molte polemiche dettate dalla quotidianità, cioè dal rancore di alcuni uomini politici per qualche sfortunata sentenza ai danni loro o di loro amici e congiunti, dal timore di qualcuno per l’esito di qualche processo in Italia o in altro paese europeo, dal dispetto per l’immagine di correttezza che nonostante le mille accuse la magistratura conserva in larghe fasce dell’opinione pubblica?
Evidentemente no, le cose sono troppo grandi per trovare una spiegazione a questo miserabile livello. Una lettura appena attenta di ciò che avviene consente di cogliere la trasformazione in atto dello Stato, delle istituzioni e degli equilibri istituzionali. La tendenza in atto segna un progressivo spostamento dalla democrazia partecipata, basata sulla diffusione e sul bilanciamento dei poteri, alla democrazia autoritaria e mediatica, nella quale con le elezioni politiche viene conferito a chi vince un largo potere da esercitare in tutte le direzioni e sottratto ai controlli tradizionali, a cominciare da quello di legalità. In questo quadro esiste certamente un "problema giustizia", i cui termini sono però molto diversi da quelli di cui normalmente si parla.
"In Inghilterra i magistrati vengono selezionati dal potere politico. Colleghi, vogliamo cominciare a parlare di questo?", ha dichiarato il ministro della giustizia al Senato. Così viene aperto da parte non di un deputato che liberamente esprime un parere, ma di un ministro innanzi al Parlamento, uno scenario che va ben oltre il controllo sul pubblico ministero. Forse Castelli s’è lasciato andare e ha esagerato. Ma che autogoverno della magistratura, cioè il Csm, e pubblico ministero, cioè l’obbligatorietà dell’azione penale, siano questioni all’ordine del giorno è ormai evidente.
Padova, 13.12.2001
Omissisa
cura di magistratura democratica romana
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