DA "MONDOPERAIO"

AL PRESIDENTE OPERAIO

di Giancarlo Scarpari

"Negli ultimi dieci anni c'è stata in Italia una guerra civile. 1 giornalisti stranieri non vogliono prendere atto che è stata spazzata via da una parte della magistratura un'intera classe politica, quella di origine democratica e occidentale. E' stata utilizzata illegittimamente la giustizia a fini di lotta polìtìca" ("Panorama" 11/112001).

Così Silvio Berlusconi rivela al giornalista di fiducia, con una sintesi originale ed efficace, quali siano state l'origine e la causa delle trasformazioni avvenute in Italia negli anni.'90, prima delle elezioni dei 13 maggio.

Una parte della magistratura? Ma quale? li Presidente del Consiglio, dato il suo naturale riserbo, non fa nomi, ma interviene pronto il vice-presidente di Forza Italia al Senato, Fabrizio Cicchitto, a chiarire il suo pensiero: apprendiamo così che vi è in Italia "un autentico soggetto politico che ha fatto e fa politica avendo l'obbiettivo della trasformazione rivoluzionaria dello stato" (la Repubblica 30/10); di conseguenza, per capire le cause di questa guerra decennale, "va fatta una commissione d'inchiesta sull'uso politico della giustizia che risalga agli anni sessanta quando nacque Magistratura Democratica" (La Stampa 30/10).

Giustamente preoccupato di questa rivelazione e dovendo fronteggiare una rivoluzione in atto, un altro uomo di Stato, il sottosegretario agli Interni, Carlo Taormina, propone l'istituzione, non già di una semplice commissione d'inchiesta, ma addirittura di una commissione bicamerale permanente "che consenta al parlamento di controllare sistematicamente l'operato della magistratura, l'andamento della giustizia, il suo funzionamento, la correttezza delle procedure e degli indirizzi assunti" (Italia Oggi 30/10).

Malgrado i chiarimenti forniti permangono delle perplessità; e poiché all'estero continua ad esservi un'opinione pubblica disinformata, il Presidente dei Consiglio, ospite in Spagna dei premier Aznar, è costretto a riparlare della guerra civile (di quella italiana, ovviamente, non di quell'altra già nota agli spagnoli), e spiega finalmente che essa fu provocata dall'azione "lungamente studiata dal PCI che ha introdotto nella magistratura elemnenti propri, che hanno costituito una corrente che ha fatto e fa politica attraverso le indagini, i processi e le sentenze" (La Repubblica 14/11).

E poiché c'è sempre la possibilità di essere travisati, Cicchitto interviene ad ulteriore chiarimento: "Per il PCI", sottolinea con forza, "le Procure usarono un altro metro" ("Il Gazzettino" 14/11).

Tutto chiaro, dunque: i comunisti, negli anni 60 e 70, con una strategia lungimirante, hanno inserito i propri militanti nella magistratura per poter bloccare, negli anni 80 e 90, l'ascesa al governo di un nuovo ceto politico democratico e occidentale.

Quello che non è chiaro è perché il forzista Cicchitto richieda una commissione d'inchiesta per venire a conoscere quello che già sa con grande sicurezza.

Il predetto infatti, in quegli anni lontani, non era all'estero, ma in Italia e si interessava proprio di politica.

Il compagno Cicchitto infatti, dalle Patinate pagine di 'Mondoperaio", spiegava allora come si dovesse costruire un blocco di forze capaci di incidere "nell'area di interessi corporativi dei padroni o del sistema di potere democristiano" (gennaio 78, pag. 8); e, questo, dopo aver illustrato le ragioni che rendevano necessaria per l'Italia una democrazia industriale, in attesa di giungere, in una fase socialista, ad un'autogestione operaia della produzione: e per raggiungere questo obiettivo, precisava, era "necessario mantenere in piedi la combattività operaia, la capacità di iniziativa e contestazione, il rapporto del sindacato con le masse, della sinistra a livello politico", avendo cura di ricordare che " l'attenzione estrema che dobbiamo avere per la fabbrica, per i rapporti di potere e di produzione al suo interno, non deve mai farei dimenticare la complessità della società contemporanea, la necessità di stabilire una ramificazione di rapporti tra fabbrica, società, Stato" (gennaio 77, pag. 66).

Forse per stabilire quella ramificazione di rapporti propria di una società complessa, qualche tempo dopo, passando dalla teoria alla prassi, si iscriveva alla P 2, tessera 2232 e qui trovava veri e propri pezzi di Stato (parlamentari, generali dei vari corpi, alti magistrati, tra cui alcuni dirigenti di 'Magistratura Indipendente", la corrente dei giudici su cui Licio Gelli puntava per risanare l'intera magistratura); ma, quel che conta - e conterà per lui - trova anche Silvio Berlusconi, tessera n. 1816, iscrittosi alla Loggia sin dal 78, quando ancora Cicchitto tracciava le vie per giungere all'autogestione socialista.

Mentre i due entravano in un'associazione segreta, i dirigenti di Magistratura Democratica conducevano una battaglia pubblica contro le leggi dell'emergenza, la gestione dei "pentiti", le carceri speciali, polemizzando aspramente col PCI su queste vicende istituzionali (Palombarini, "Giudici a sinistra", ESI 2000, pagg. 153 e segg): non propugnavano una rivoluzione attraverso le sentenze, ma conducevano una battaglia di resistenza costituzionale, pubblica e quasi solitaria, visto che il garantismio di massa non era ancora all'ordine del giorno e sarebbe apparso in un'altra stagione e soprattutto con altri imputati.

Si capisce oggi che quelle e iniziative e quelle polemiche erano solo una questione di facciata e che Partito e magistrati "rossi" si dividevano a parole per poi colpire uniti.

Proprio allora, infatti, due magistrati milanesi, Turone e Colombo, di Magistratura Democratica e perciò comunisti, mentre indagavano su Mchele Sindona, noto banchiere perseguitato da tempo (come avevano già chiarito l'ambasciatore Sogno e il magistrato Guarnera nei loro "affidavit"), rinvenivano a Castiglion Fibocchi gli elenchi degli iscritti alla Loggia P 2, suscitando proteste e reazioni sdegnate da parte di molti, aderenti e non.

Cicchitto rifletteva per tre mesi; quindi spiegava sul quotidiano del PSI, che "la lotta politica in Italia rischia di diventare sempre più guerra di servizi, di dossiers, di scandali, di settori di corpi separati a servizio di questo o di quello"; senonchè, anziché fuggire lontano da tale "torbida" realtà, riconosceva di aver preferito iscriversi alla Loggia di Gelli, ammettendo, peraltro, di aver commesso "un errore di valutazione"; per poter poi "riacquistare interamente, in avvenire, la possibilità di parola politica", metteva a disposizione di altri il suo posto nella Direzione dei PSI; saggia decisione, questa, perché la Commissione Centrale di Controllo, comprensiva, il 22/7/81, si limita a sospenderlo dalla carica sino al 31/10/81, cioè, praticamente, gli faceva trascorrere un periodo di ferie ("Avanti" 22/5 e 24/7/81), in vista di quel "salto di qualità nella vita politica italiana" da lui stesso auspicato nella dichiarazione alla stampa.

Berlusconi, invece, da quel privato cittadino che era, non doveva render conto a nessuno delle sue scelte ideali, per cui, nell'immediato, non rilasciava alcuna dichiarazione; quando gli sarà chiesto, più tardi, qualcosa al riguardo, dirà di aver aderito alla loggia massonica quale "presidente di un consorzio per l'edilizia industrializzata" (sempre di "muratori" in fondo si trattava), ma ricorderà assai poco di questa sua esperienza (né quando si era iscritto, nè se aveva pagato la quota): per questi vuoti di memoria sarà processato per falsa testimonianza davanti al Pretore di Verona, prima e davanti alla Corte d'Appello di Venezia poi.

Siamo nel 1990, l'imprenditore non è ancora entrato in politica, ma i giudici dell'appello (comunisti?), vedono lontano (se no che strategia lungimirante sarebbe?) e scrivono, nero su bianco, che "le dichiarazioni dell'imputato non corrispondono a verità" e tuttavia non lo condannano per falsa testimonianza, perché nel frattempo è intervenuta un'amnistia (cfr. sentenza Corte d'Appello di Venezia 1/10/90).

Berlusconi si guarda bene dal rinunciare a questo beneficio per pretendere invece un giudizio nel merito: si limita a ritardare il passaggio in giudicato della sentenza, ricorrendo in Cassazione; ma questa, di lì a poco, rigetterà l'impugnazione, rendendo definitivo la precedente sentenza.

Un'esperienza isolata e irripetibile ? Niente affatto: vi saranno repliche, con alcune varianti.

Per il momento si può registrare l'incontro avvenuto, in forme discrete, tra un rappresentante dei movimento dei lavoratori e il futuro presidente operaio, un incontro di alto valore simbolico che già indica la via da percorrere per superare l'annosa, e tutto sommato conservatrice, lotta di classe.

Ma non è che l'inizio.

Il "piano di rinascita democratica" - questo il programma d'azione dei club di Licio Gelli - prevedeva la formazione di due partiti, l'uno di centro-destra, l'altro di centro-sinistra, la dissoluzione della RAI-TV in nome della libertà d'antenna, la riforma del'ordinamento giudiziario (separazione delle carriere tra giudici e P.M., riforma dei CSM per renderlo "responsabile" verso il parlamento), etc.

Allora era un semplice documento che la figlia dei Venerabile teneva occultato nella fodera della sua borsa (v. Questione Giustizia, 1984, n.2, pagg. 401 e segg.); negli anni successivi è diventato gran parte della nostra costituzione materiale e, per la sua lucidità e lungimiranza, dovrebbe essere oggetto di studio nella scuola riformata.

Come si vede, molte cose sono cambiate da quel lontano incontro: molti altri compagni hanno ritenuto superata la prospettiva dell'autogestione e sono entrati nelle imprese non per democratizzarle (a che pro?), ma solo per dirigerle; e, di contro, molti imprenditori sono diventati, negli anni 80, socialisti, ma tutti sono rimasti uniti anche dopo, negli anni 90 ed oltre: così, vent'anni dopo, ritroviamo ancora insieme Cicchitto e Berlusconi, l'uno vice presidente al senato di Forza Italia, l'altro Presidente del consiglio dei Ministri della nuova Repubblica italiana.

Una semplice casualità? No, davvero: piuttosto il frutto maturo di quel salto di qualità della politica che aveva auspicato proprio Cicchitto nella sua sofferta lettera-confessione al suo vecchio giornale.

E dopo vent'anni anch'essi possono guardare al passato con serenità e parlare ora, con pacatezza, della trascorsa guerra civile e della magistratura eversiva.

Del resto, tutto quadra.

Alcuni giudici comunisti avevano sollevato un polverone attorno alle liste della P 2, evidentemente per screditare un intero ceto politico, democratico e occidentale: il processo, trascinatosi per anni, è finito come una bolla di sapone; per i ritardi nella sua celebrazione, Licio Gelli è stato addirittura risarcito dalla Corte Europea; infine, proprio in questi giorni, il Venerabile è stato addirittura nominato "Gran Maestro Onorario della Serenissima Gran Loggia nazionale d'Italia di rito scozzese antico" ("La Repubblica, 22/11/2001): chi aveva ragione, dunque, i giudici o il loro inquisito?

E poi: quel magistrato che scopre gli elenchi a Castiglion Fibocchi non è quel Gerardo Colombo che sarà uno dei principali accusatori di Berlusconi e di tanti amici suoi e di Cicchitto? E che confesserà. Impunemente in un librodi essersi avvicinato sin da giovane a Magistratura Democratica?

Ebbene, si può essere garantisti fin che si vuole, ma quando le prove sono così numerose e concordanti non si può non essere d'accordo con Taormina, quando lamenta che "il sistema giudiziario italiano è divenuto preda di un manipolo di magistrati settari" e quando s'incarica di " liberare il paese da queste escrescenza" ("La Repubblica" 22/11/2001).

Una battuta? Un'idea personale? No, è questo il modo, condiviso dai più, di far oggi politica; e per il ruolo coperto da Taormina è tutto un programma.

Novembre 2001

Dalla rivista "Il Ponte"

 

 

 

 

 

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