La riforma organica delle espropriazioni per pubblica utilità dopo 136 anni dalla legge fondamentale del 1865

di Antonio Lamorgese

Il nuovo t.u. sulle espropriazioni, approvato con d.p.r. n. 327/2001, che contiene in sé e coordina norme di rango legislativo (il d.lgs. n. 325/2001) e norme di rango regolamentare (il d.p.r. 326/2001), si presta ad una considerazione positiva e ad altre negative.

La prima è costituita dalla eliminazione (auspicata, com’è noto, anche dalla Corte europea dei diritti dell’uomo) dell’istituto di creazione giurisprudenziale e tutto italiano della c.d. accessione invertita o occupazione appropriativa che ha consentito alle pubbliche amministrazioni di espropriare ed acquisire al patrimonio pubblico beni e terreni di privati in violazione delle norme procedimentali previste dalla legge, con l’effetto di premiarle, salvo il diritto del privato al risarcimento del danno la cui misura, paradossalmente, il legislatore ha sempre più avvicinato a quella dell’indennizzo previsto in caso di espropriazione legittima.

Più gravi, a mio avviso, sono le considerazioni negative. Il tridente normativo sopra citato (così lo ha chiamato Vincenzo Carbone) costituisce applicazione dell’art. 7 co. 2 l. n. 50/2000, in materia di delegificazione, che prevedeva la redazione di un testo contenente "in un unico contesto, e con le opportune differenziazioni, le disposizioni legislative e regolamentari" in materia espropriativia. Si tratta, a quanto sembra, di un testo unico "compilativo" avente lo scopo di riordinare l'intera materia delle espropriazione sparsa in una miriade di leggi speciali e la delega del parlamento riguardava proprio (e soltanto) questo riordino. Invece il suddetto t.u. ha attribuito al più comprensivo g.a. le controversie in materia di accessione invertita (o, che dir si voglia, di occupazione appropriativa) lasciando al g.o. (Corte di appello) quelle, meno rilevanti, di opposizione alla stima: si tratta, in sostanza, di una norma innovativa nella materia (avente rango costituzionale) del riparto giurisdizionale approvata dal governo senza neppure una specifica delega del parlamento: dobbiamo ritenere che la giurisdizione sia ormai materia delegificata alla quale il governo può mettere mano con disposizioni di rango paralegislativo o, addirittura, regolamentare ? La probabile giustificazione che i consiglieri di stato che hanno materialmente compilato il t.u. ("in applicazione dell'articolo 7, co. 5, della legge n. 50/1999, attesa la complessità e tecnicità della materia: v. Adunanza plenaria del Cons. di Stato 29.3.2001, n. 4)" – gli stessi che, come si sa, giudicano nelle relative controversie – sono sicuramente pronti ad offrire è che già l'art. 34 d.lg. n. 80/1998 e la legge n. 205/2000 avessero attribuito al g.a. queste controversie: ciò però non è condivisibile e comunque il punto era discusso e dibattuto nella dottrina e nella giurisprudenza di merito (sia ord. che amm.) senza che alcun diritto vivente si fosse formato in favore della giurisd. amm. E' vero che la Cassazione ha interpretato il cit. art. 34 nel senso dell'attribuzione al g.a. di queste controversie ma, al contempo, ha sollevato la questione di cost. dello stesso art. 34 ... proprio per eccesso di delega (per non parlare di ben più gravi profili di cost. prospettabili).

Ulteriore ombra (aggravata dalla mancanza di una chiara delega del parlamento che autorizzi il governo ad incidere sui diritti soggettivi dei privati) è costituita dall’eliminazione della figura dell’occupazione usurpativa, istituto questo di recente creazione giurisprudenziale della Cassazione che, nel caso di occupazione o trasformazione del terreno di privati da parte della p.a. in mancanza di una valida dichiarazione di pubblica utilità, ha ritenuto inapplicabile l’istituto dell’accessione invertita (al quale non sarebbe più consentito ricorrere per sanare un vizio di legittimità del procedimento amministrativo così grave come è quello costituito dalla mancanza della essenziale dichiarazione di p.u.) con conservazione da parte del privato del diritto di chiedere la restituzione del bene (ove possibile, ai sensi dell’art. 2058, co.1, c.c.) e/o il risarcimento del danno per equivalente (commisurato al valore venale pieno del bene). Il t.u. che ha cancellato l’accessione invertita ha poi però anche cancellato questo approdo garantista della giurisprudenza, stabilendo che, nel caso in cui manchi o sia annullata la dichiarazione di p.u., la p.a. "valutati gli interessi in conflitto" può comunque "disporre che esso [cioè il bene immobile] vada acquisito al suo patrimonio indisponibile"; inoltre, qualora il suddetto atto di acquisizione sia impugnato dal privato ed "anche nel caso di fondatezza del ricorso o della domanda", il privato ha diritto soltanto al risarcimento del danno "con esclusione della restituzione del bene senza limiti di tempo" (v. art. 43). In sostanza, la posizione giuridica del privato da diritto soggettivo diventa di semplice interesse legittimo a fronte dell’esercizio del potere autoritativo della p.a. di disporre l’acquisizione del bene anche se già irreversibilmente trasformato in mancanza di una valida dichiarazione di p.u.. A questo indebolimento dei diritti dei privati corrisponde, coerentemente, la devoluzione delle controversie in materia alla giurisdizione amministrativa.

Novembre 2001

 

 

 

 

 

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