Commento alla sentenza n. 105/2001
della Corte costituzionale
di Giovanni Palombarini
Con qualche preoccupazione si attendevano le pronunce
della corte costituzionale sulle numerose ordinanze con le quali, nell'autunno
del 2000, il tribunale di Milano, in diverse composizioni monocratiche, aveva
sollevato questione di legittimità costituzionale degli artt. 13 e
14 del d.lgs. 25 giugno 1998, n.286, nelle parti in cui non prevedono 1) che
la mancata convalida del trattenimento dello straniero, in caso d'insussistenza
dei presupposti di tale misura, elida gli effetti del provvedimento di accompagnamento
alla frontiera a mezzo di forza pubblica, 2) che questo provvedimento di accompagnamento
debba essere comunicato all'autorità giudiziaria e assoggettato anch'esso
a convalida entro 48 ore, 3) e che all'atto della convalida del trattenimento
il giudice possa stabilire un periodo di permanenza nel centro inferiore ai
20 giorni.
Con qualche preoccupazione, si diceva, perché violente polemiche avevano
investito i giudici al tempo delle loro ordinanze (tra l'altro, per la prima
volta nella storia del Csm un componente togato, eletto nelle liste di MI,
aveva chiesto l'apertura di una pratica con riferimento a quei provvedimenti),
ma anche perché i più recenti precedenti della corte in materia
di leggi sull'immigrazione non erano incoraggianti. In particolare aveva suscitato
ampie perplessità l'ordinanza n.369 del 14 luglio 1999 (rel. Guizzi)
con la quale era stata dichiarata manifestamente infondata l'eccezione sollevata
dall'allora pretore di Roma con riferimento all'art. 14 della legge n.40/98
(poi sostituito dall'art. 16 del citato d.lgs. 286/98).
Il pretore, a fronte di una norma che consente al giudice di applicare allo
straniero extracomunitario condannato a pena detentiva non superiore a due
anni, o al quale una simile pena sia applicata ex art. 444 cpp, la "sanzione
sostitutiva" (questa è la testuale dizione della rubrica del citato
art.14) dell'espulsione senza il consenso dell'interessato, aveva prospettato
alla corte il contrasto della norma con tutta una serie di parametri costituzionali
( il provvedimento del pretore di Roma può leggersi in Diritto, immigrazione,
cittadinanza, n.1/99, pagg. 187 ss). In proposito l'elenco di alcune fra le
questioni prospettate può essere significativo. La norma prevede l'esecuzione
immediata dell'espulsione prima che la sentenza sia divenuta definitiva, con
conseguente pratica eliminazione del diritto dell'imputato di impugnare; la
posizione degli extracomunitari è discriminata rispetto a quella dei
cittadini dei paesi della comunità europea; non potendo l'espulsione
essere disposta per un periodo inferiore a cinque anni, in caso di patteggiamento
verrebbe svuotata di ogni contenuto la previsione dell'estinzione del reato
in caso di applicazione della pena concordata; e così via.
La consulta ha evitato di affrontare una così complessa, delicata problematica
con l'affermazione che il giudice rimettente aveva erroneamente ritenuto che
l'espulsione prevista dalla norma sia una sanzione criminale, dovendosi invece
intendere la stessa - nonostante la dizione inequivocabile della rubrica -
come una misura amministrativa. Non è il caso di riferire qui le argomentazioni
della corte e tutte le critiche che sono state mosse alla pronuncia (in proposito
si rinvia a Anna Casadonte, La Corte costituzionale e l'espulsione dello straniero:
un'ordinanza che non convince, in Diritto, immigrazione, cittadinanza, n.3/99,
pagg. 85 ss). Basterà rilevare come per effetto della decisione si
sia determinato un risultato di rara stravaganza: si ha un processo penale
che si conclude con una sentenza di condanna o di patteggiamento, ma senza
sanzione criminale.
Anche in questa occasione la decisione della corte
costituzionale è stata nel senso di salvare la legge del 1998. Del
resto i paesi d'Europa sono pieni di centri di permanenza coatta e le loro
leggi di limitazioni di diritti e di previsioni di espulsione per gli extracomunitari
(veramente inquietante è sotto questo profilo la legge spagnola n.8/2000,
entrata in vigore il 23 febbraio di quest'anno), e l'ideologia dominante sul
fronte immigrazione è quella che è; per cui, almeno per oggi,
è difficile prevedere interventi di contestazione radicale delle norme
prodotte dalla filosofia della chiusura. Così, con la sentenza n. 105
del 10 aprile 2001 (rel. Mezzanotte), la corte - riuniti tutti i giudizi -
ha dichiarato non fondate le questioni di legittimità prospettate dai
giudici milanesi "nei sensi di cui in motivazione". E tuttavia appunto
la motivazione della sentenza contiene spunti interessanti, che meritano di
essere segnalati.
Intanto vi si può leggere un'affermazione di principio che sgombra
il campo da alcuni equivoci, più o meno strumentali, quale ad esempio
quello che nel caso sarebbe in ballo non il valore fondamentale della libertà
personale ma un più ristretto concetto di libertà di circolazione:
"il trattenimento dello straniero presso i centri di permanenza temporanea
e di assistenza è misura incidente sulla libertà personale,
che non può essere adottata al di fuori delle garanzie dell'articolo
13 della costituzione". Al di là delle formule adottate dal legislatore
e delle finalità anche di assistenza che la legge assegna al trattenimento,
questo, se si ha riguardo al suo contenuto, "è quantomeno da ricondurre
alle altre restrizioni della libertà personale di cui pure si fa menzione
nell'articolo 13". E i diritti che la costituzione proclama inviolabili
spettano ai singoli non in quanto partecipi di una determinata comunità
politica, ma in quanto esseri umani.
Di qui, alcune conseguenze, che riguardano l'intero procedimento di espulsione
forzata.
La prima. L'art.14 del d. lgv. 286/98 va interpretato nel senso che il controllo
del giudice sul provvedimento di trattenimento dello straniero si estende
anche all'espulsione amministrativa nella sua specifica modalità di
esecuzione consistente nell'accompagnamento alla frontiera a mezzo della forza
pubblica, regolata dall'art. 13 dello stesso decreto: la convalida del provvedimento
del questore va quindi rifiutata non solo se il provvedimento di trattenimento
non sia congruamente motivato, ma altresì nel caso in cui un provvedimento
di espulsione con accompagnamento manchi, o nel caso in cui "tale provvedimento,
ancorché esistente, sia stato adottato al di fuori delle condizioni
previste dalla legge". In tal modo anche il decreto di espulsione, che
dev'essere adeguatamente motivato (e che rappresenta il presupposto del provvedimento
di trattenimento nei centri), è sottoposto al controllo dall'autorità
giudiziaria.
La seconda. Anche in assenza di un'esplicita previsione di legge, deve ritenersi
che, nell'ipotesi in cui il giudice ritenga o insussistenti o non congruamente
motivate le ragioni per le quali l'autorità di polizia abbia disposto,
anziché l'espulsione per intimazione, quella mediante accompagnamento
alla frontiera, il diniego di convalida travolge ogni cosa (cioè, oltre
al trattenimento, anche l'accompagnamento), con conseguente immediata liberazione
dello straniero.
Per quanto concerne invece il tempo di permanenza del cittadino extracomunitario
nel centro, nessuna irragionevolezza o violazione di principi costituzionali
nelle scelte del legislatore: lo straniero dev'essere trattenuto per il tempo
strettamente necessario e sarà l'autorità di pubblica sicurezza
a valutare se la misura può cessare prima dello spirare del termine
ultimo di venti giorni.
A questo punto è necessario attendere per verificare gli effetti pratici di questa decisione. Se per la terza questione sottoposta all'attenzione della corte si può dire fin d'ora che è ben difficile prevedere casi nei quali la misura possa cessare prima del termine massimo previsto dalla legge, in ordine alle prime due questioni saranno le future decisioni dei giudici ordinari a evidenziare gli sviluppi giurisprudenziali consentiti dalle puntualizzazioni che la sentenza n.105 contiene. Certo, nonostante le aperture formalmente prodotte dalla corte, è difficile immaginare quali concreti vantaggi si potranno determinare per lo straniero irregolarmente residente, essendo numerose, per legge, le ragioni che possono motivare il decreto di espulsione forzata con trattenimento in un centro, ed essendo noti i limiti del controllo giurisdizionale sulle scelte amministrative. Tuttavia uno spazio s'è aperto per una giurisprudenza alternativa che sappia tenere fermo quanto la stessa corte costituzionale ha riconosciuto: "per quanto gli interessi pubblici incidenti sulla materia della immigrazione siano molteplici e per quanto possano essere percepiti come gravi i problemi di sicurezza e ordine pubblico connessi a flussi migratori incontrollati, non può risultarne minimamente scalfito il carattere universale della libertà personale". E' un principio importante, questo, che merita di essere valorizzato al massimo in una stagione che, in Italia come nel resto d'Europa, non sembra promettere niente di buono per i diritti fondamentali della persona.
Omissisa
cura di magistratura democratica romana
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