Autore:
Sonia Furlan
Il Castello di Issogne non è solo un pregevole esempio di
architettura ed un ricco catalogo di decorazioni pittoriche, ma
davvero se lo guardiamo con attenzione e cercando di calarci nella
mentalità del XV-XVI secolo, ci si svela come un libro su cui
possiamo leggere la storia della famiglia Challant; e poiché questo
libro è stato scritto proprio da un membro della famiglia, il priore
Giorgio di Challant, non può che tendere ad una compiaciuta
autocelebrazione.
Soffermiamoci un istante sulla figura di Giorgio di Challant, per
capire chi era questo mecenate, e quali fossero le sue motivazioni
più profonde.
Giorgio di Challant, il secondo figlio di Amedeo di Challant e Anne
De La Palud, è priore di Sant'Orso e governatore di Aosta. Questo,
unitamente ai suoi numerosi viaggi e ai contatti che intrattiene con
i principali centri italiani e centroeuropei, contribuisce alla sua
formazione culturale raffinata e in linea con le più suggestive idee
contemporanee. Ci troviamo di fronte ad una personalità colta, che
diventa mecenate del castello di Issogne quando assume il compito di
tutore del figlio di Marguerite de la Chambre e di Luigi di Challant,
suo cugino, morto nel 1487: inizia così la trasformazione di Issogne
da struttura medievale in una dimora signorile in cui il mero
principio del godimento estetico è affiancato all'affermazione del
prestigio della famiglia Challant, beneficio dell'educazione di
Filiberto e di Carlo, i due figli di Luigi e Marguerite. È in questa
ottica che possiamo intravedere un piano di lettura simbolica dietro
a quelle che a prima vista appaiono come semplici decorazioni degli
ambienti del castello.
Partendo dal cortile, è già stata rilevata la forte valenza
simbolica dell'albero di melograno, che allude alla genealogia della
famiglia e all'albero del bene e del male presente nel Paradiso
Terrestre, con i quattro zampilli che riportano appunto ai quattro
fiumi dell'Eden. Inoltre il melograno con foglie di quercia
rappresenta, oltre alla fecondità, alla forza e all'unità della
famiglia, anche il simbolo della Passione di Cristo, ed è
significativo che l'albero sorga proprio dalla vasca ottagonale,
riferimento al fonte battesimale e quindi all'idea dell'immortalità
dell'anima e della Risurrezione.
Il tema dell'immortalità dell'anima ci porta all'interno
dell'edificio, nella salle basse, dove troviamo un paesaggio
raffigurante Gerusalemme con il monte del Calvario sormontato da
croci vuote, chiara allusione alla Risurrezione, e negli oratori di
Giorgio, dove il tema è trattato esplicitamente nella Cocefissione e
nelle Risurrezione, e di Marguerite, dove troviamo l'Assunzione
della Vergine e la leggenda di Santa Margherita, ingoiata dal drago
e miracolosamente "risorta" con l'aiuto della Croce.
Anche gli affreschi apparentemente silenziosi del portico hanno in
realtà qualcosa da dirci. Innanzitutto infatti troviamo un chiaro
riferimento celebrativo della famiglia Challant, suggerendoci la
capacità del feudatario di conservare la pace, con i soldati del
corpo di guardia che lasciano le armi per dedicarsi agli svaghi del
tempo di pace, e l'abbondanza diffusa nel feudo, mostrata con
compiacimento nelle botteghe artigiane. Oltre a questo è possibile
rilevare un ulteriore piano di lettura, per cui nelle lunette si
potrebbero ritrovare le allegorie dei vizi, e questo ci riporta per
un istante al Giudizio di Paride nella salle basse, allegoria della
scelta tra la vita voluttuosa, la vita attiva e la vita
contemplativa. Nelle botteghe artigiano possiamo individuare
facilmente l'ira nella lunetta del corpo di guardia, la gola nelle
immagini del fornaio e del beccaio e la lussuria nella
rappresentazione del mercato, ma l'identificazione degli altri vizi
pone qualche problema; a questo proposito è uttavia necessario
ricordare che la forma mentis di un colto mecenate rinascimentale,
qual era Giorgio di Challant, è senz'altro differente dalla nostra.
L'affresco della vittoria di Ercole su Anteo, riportata sulla parete
esterna tra le finestre della salle basse, ci riporta a considerare
che forse anche le lunette hanno un loro significato profondo nel
complesso delle rappresentazioni iconografiche del castello. In
effetti la storia di Ercole e Anteo ci suggerisce che separarsi
dalle proprie radici familiari può portare alla perdizione: Ercole
vince infatti il gigante tenendolo sollevato e quindi separandolo
dalla madre Terra; e ancora possiamo vedere in Ercole la virtù che
vince le passioni materiali rappresentate da Anteo oppure, seguendo
la lettura di Sant'Agostino, Cristo vittorioso sul peccato.
È questo il contesto in cui si inquadra il Miroir pour les enfants
de Challant, i cui stemmi si inseriscono in una cornice
autocelebrativa e mistica nel contempo.
Il Miroir è un impressionante documento araldico che si snoda sulle
pareti del castello che si affacciano sul cortile, e che riporta gli
stemmi dei capostipiti della famiglia e dei membri che si distinsero
in campo religioso, civile e militare, nonché i blasoni che evocano
le prestigiose alleanze matrimoniali della famiglia.
Gli stemmi sono accostati secondo una logica rigidamente dinastica,
ma con un occhio di riguardo per i personaggi della chiesa, in
relazione al contesto quasi sacrale del cortile; gli stemmi degli
ecclesiastici riportano il cartiglio in lingua latina, a differenza
di quelli dei membri laici della famiglia, scritti in francese, la
lingua abituale qui intenzionalmente contrapposta alla dimensione
ieratica del latino.
Non mancano esempi di damnatio memoriæ, come è logico che sia
visti gli intenti didascalici della rappresentazione: e così gli
stemmi di quei membri della famiglia che sono giudicati indegni, per
questioni di pretese di successioni o per più gravi misfatti, sono
esclusi dal Miroir.
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