ETICA SENZA DÈI


di Frank R. Zindler

The Probing Mind, Febbraio 1985
Traduzione di Luca Bergamasco

Una delle prime domande che gli Atei si sentono rivolgere dai credenti e dai dubbiosi è: "Se non credi in Dio, non c'è niente che ti impedisca di commettere crimini, non è così? Senza la paura del fuoco dell'inferno e della dannazione eterna, puoi fare tutto quello che ti pare, no?"


Introduzione

È difficile credere che persino persone intelligenti e colte possano avere una tale opinione, ma è così! Sembra che non sia mai passato loro per la mente che i Greci ed i Romani, i cui dèi e le cui dee non erano proprio degli esempi di virtù, vivevano comunque una vita che non era sensibilmente peggiore di quella dei Battisti dell'Alabama[1]! Inoltre, pagani come Aristotele e Marco Aurelio, benché i loro sistemi di pensiero non siano oggi più adatti per noi, riuscirono a produrre trattati di etica molto raffinati, una raffinatezza raramente o mai eguagliata dai moralisti cristiani.

La risposta alla domanda posta all'inizio è, naturalmente, "Assolutamente no!". Il comportamento degli Atei è soggetto alle stesse regole sociologiche, psicologiche e neurofisiologiche che regolano il comportamento di tutti i membri della nostra specie, compresi i credenti in una qualunque religione. Inoltre, nonostante professino il contrario, possiamo affermare, come regola generale, che quando i credenti hanno un comportamento etico, questo non è effettivamente dovuto alla paura del fuoco dell'inferno e della dannazione, né è dovuto alla speranza del paradiso. Il comportamento etico, indipendentemente da chi lo pratichi, discende sempre dalle stesse cause ed è regolato dalle stesse forze, e non ha niente a che vedere con la presenza o l'assenza di credenze religiose. La natura di queste cause e di queste forze è il tema di questo articolo.

Basi psicologiche e biologiche

Come esseri umani, siamo animali sociali. La nostra socialità è il risultato dell'evoluzione, non una scelta. La selezione naturale ci ha dotati di un sistema nervoso che è particolarmente sensibili alla condizione emozionale dei nostri compagni. Tra i nostri simili, le emozioni sono contagiose, e sono solo i rari mutanti psicopatici che si trovano tra di noi, che possono essere felici nel bel mezzo di una società triste. È nella nostra natura essere felici nel mezzo della felicità, e tristi nel mezzo della tristezza. È nella nostra natura, per fortuna, cercare la felicità per i nostri compagni allo stesso tempo in cui la cerchiamo per noi. La nostra felicità è maggiore quando la possiamo condividere.

La natura ci ha anche forniti di un sistema nervoso che è sensibile, in misura considerevole, all'imprinting. Per la verità, questo fenomeno non è così pronunciato né così ineluttabile come succede, ad esempio, con le oche, nelle quali un anatroccolo appena uscito dall'uovo può essere sottoposto ad imprinting nei confronti di un trenino giocattolo, che seguirà fino all'esaurimento, come se fosse sua madre. Ciò nonostante, gli esseri umani mostrano un certo livello di imprinting. Il sistema nervoso umano sembra mantenere le sue capacità di imprinting anche in età molto avanzata, ed è molto probabile che quel fenomeno noto come "amore a prima vista" sia una forma di imprinting. L'imprinting è una forma di comportamento di attaccamento a qualcosa e/o qualcuno, e ci aiuta a formare forti legami interpersonali. È una delle principali forze che ci aiuta ad infrangere la barriera dell'Ego per creare degli "altri significativi" che possiamo amare come noi stessi. Queste due caratteristiche del nostro sistema nervoso, suggestionabilità emotiva e sensibilità ad un imprinting di attaccamento, benché siano la base di ogni comportamento ed atto altruistico, sono perfettamente compatibili con l'egoismo caratteristico di tutti i comportamenti creati dal processo di selezione naturale. Ovvero, troveremo che, in larga misura, i comportamenti che soddisfano noi stessi soddisfano, allo stesso tempo, i nostri compagni, e viceversa.

Questo non dovrebbe sorprenderci, quando consideriamo il fatto che, nelle società dei nostri cugini primati più prossimi, le grandi scimmie, il comportamento sociale non è caotico, anche se i gorilla non hanno i Dieci Comandamenti! Il giovane scimpanzé non ha bisogno di un oracolo che gli dica di onorare la madre e trattenersi dall'uccidere i suoi fratelli e le sue sorelle. Naturalmente, nelle società scimmiesche sono stati osservati liti familiari e persino assassinii, ma questi comportamenti sono eccezioni, non la norma. Così è pure nelle società umane, in tutti i tempi ed in tutti i luoghi.

Le scimmie africane, il cui patrimonio genetico è per il 98-99% identico al nostro, conducono tranquillamente la loro vita di animali sociali, cooperando nelle cose di ogni giorno, e completamente senza il beneficio del clero e senza oi comandamenti dell'Esodo, del Levitico o del Deuteronomio. Ci dà un ulteriore piacere l'apprendere che i sociobiologi hanno persino osservato comportamenti altruistici in branchi di babbuini. Più di una volta, in branchi attaccati dai leopardi, sono stati osservati dei vecchi maschi, ormai oltre l'età riproduttiva, che si attardavano in coda al branco in fuga ed ingaggiavano con i leopardi delle lotte che spesso si risolvevano in un suicidio. Mentre il vecchio maschio ritarda la caccia del leopardo sacrificando la sua vita, le femmine ed i giovani scappano, e possono continuare a vivere per realizzare i loro diversi destini. L'eroismo che ogni tanto vediamo messo in pratica dai nostri compagni umani è di gran lunga più antico delle loro religioni. Molto tempo prima che gli dèi venissero creati dalle menti impaurite dei nostri meno coraggiosi antenati, esistevano atti di eroismo e di amore spinto fino al sacrificio di sé. Essi non avevano bisogno allora di una scusa sovrannaturale, né ne hanno bisogno oggi.

Pertanto, dato il fatto generale che l'evoluzione ci ha dotati di un sistema nervoso distorto in favore dei comportamenti sociali, piuttosto che di quelli antisociali, non è forse vero che, ciò nonostante, il comportamento antisociale esiste, ed esiste in quantità superiore a quella che un ragionevole studioso di etica considererebbe accettabile? Ahimè, questo è vero. Ma è vero soprattutto perché oggi viviamo in mondi che sono di gran lunga più complessi del mondo paleolitico nel quale ha avuto origine il nostro sistema nervoso. Per comprendere il significato etico di questo fatto, dobbiamo fare una piccola digressione, e passare in rassegna la storia dell'evoluzione del comportamento umano.

Digressione

Oggi, l'ereditarietà può controllare il nostro comportamento solo nella maniera più generica: non può dettare dei comportamenti precisi adeguati a circostanze infinitamente variabili. Nel nostro mondo, l'ereditarietà ha bisogno di aiuto.

Nel mondo di un moscerino dell'aceto, per contro, i problemi da risolvere sono pochi di numero ed altamente prevedibili di natura. Di conseguenza, il cervello di un moscerino dell'aceto è in gran parte "precablato" dall'ereditarietà. Ovvero, la maggior parte dei comportamenti deriva dall'attivazione, in seguito a stimoli ambientali, di circuiti nervosi che si formano automaticamente quando si forma l'individuo adulto. Questo è un esempio estremo di quello che è chiamato "comportamento istintivo" o "innato". Ogni comportamento è codificato da uno o più geni che predispongono il sistema nervoso a sviluppare certi tipi di circuito e non altri, e per i quali è completamente impossibile agire in maniera contraria al programma geneticamente predeterminato.

Il mondo di un mammifero, ad esempio di una volpe, è molto più complesso ed imprevedibile di quello del moscerino dell'aceto. Di conseguenza, la volpe nasce con solo una parte dei suoi circuiti neuronali precablati. Molti dei suoi neuroni rimangono "plastici" per tutta la vita. Ovvero, possono collegarsi o meno con gli altri per costruire circuiti funzionali, a seconda delle circostanze ambientali. Il comportamento acquisito è il risultato dell'attivazione di questi circuiti condizionati dall'ambiente. L'apprendimento consente ai singoli mammiferi di imparare, mediante processi di tentativo ed errore, un numero maggiore di comportamenti adattivi di quello che potrebbe essere trasmesso per ereditarietà. Una volpe sarebbe composta di soli geni se tutti i suoi comportamenti fossero specificati solo su base genetica.

Con l'evoluzione dell'uomo, però, la complessità ambientale crebbe in maniera totalmente sproporzionata rispetto ai cambiamenti genetici e neuronali che ci distinguono dai nostri antenati scimmieschi. Questo fu in parte dovuto al fatto che la nostra specie si evolse in un periodo di grandi mutamenti climatici (le Ere Glaciali), ed in parte al fatto che i nostri stessi comportamenti cominciarono a modificare l'ambiente. Le mutazioni ambientali, in cambio, creavano nuovi problemi da risolvere. La loro soluzione provocò nuovi cambiamenti ambientali, e così via. Così, la scoperta del fuoco portò a bruciare alberi e foreste, il che portò alla distruzione delle locali riserve idriche ed alla modifica dei bacini idrografici, il che portò a sviluppare tecniche ingegneristiche ed architettoniche per la costruzione di acquedotti, il che portò alla nascita di leggi che regolavano i diritti sulle acque, il che portò a contese internazionali, e così via.

Data una simile complessità, anche la capacità di apprendere nuovi comportamenti è di per sé stessa inadeguata. Se tentativo ed errore fossero gli unici mezzi, la maggioranza delle persone morirebbe di vecchiaia prima di riuscire a riscoprire il fuoco o reinventare la ruota. Per sostituire l'istinto e per aumentare l'efficienza dell'apprendimento, l'umanità sviluppò la cultura. L'abilità di insegnare, così come quella di apprendere, si evolse, e l'apprendimento per tentativo ed errore divenne l'ultima risorsa.

Mediante la trasmissione della cultura (ovvero, il passaggio del totale dei comportamenti acquisiti comuni ad una determinata popolazione), possiamo fare quello che la selezione genetica darwiniana non permetterebbe: possiamo ereditare caratteristiche acquisite. Una volta inventata la ruota, le tecniche per la sua costruzione possono essere trasmesse lungo molte generazioni. La cultura può adattarsi ai cambiamenti molto più rapidamente dei geni, e questo permette risposte molto ben mirate a disturbi e sconvolgimenti ambientali. Per mezzo della trasmissione culturale, quei comportamenti che si sono rivelati utili nel passato possono essere rapidamente insegnati ai giovani, in modo che l'adattamento alla vita (ad esempio, sulla banchisa della Groenlandia) possa essere assicurato.

Peraltro, anche la trasmissione culturale tende ad essere rigida: ci vollero più di centomila anni per arrivare a scheggiare entrambi i lati delle asce a mano in pietra! Le mutazioni culturali, come quelle genetiche, tendono più ad essere dannose più di quanto non tendano ad essere utili, e pertanto si oppone resistenza ad entrambe: nel primo caso, è il conservatorismo culturale ad opporre resistenza, nel secondo, è la selezione naturale. Ma i cambiamenti si fanno comunque strada più velocemente rispetto alla velocità delle mutazioni genetiche, e le culture, lentamente, evolvono. Persino quel dinosauro culturale conosciuto come Chiesa Cattolica, nonostante affermi di essere l'immutabile deposito della verità e del "corretto" comportamento, è cambiato enormemente dai suoi inizi.

Tra parentesi, è proprio a questo stadio "ascia di pietra" dell'evoluzione comportamentale che la maggioranza delle religioni odierne sono ancora ferme. I nostri codici morali inflessibili ed assolutistici sono pure ancora inchiodati a questo livello. I Dieci Comandamenti sono l'equivalente morale di quello stadio di evoluzione tecnologica in cui si accende il fuoco sfregando insieme due legnetti. Se l'unico tipo di fuoco che si vuole è un fuoco per scaldare la caverna e cucinare le cozze trovate sulla spiaggia, il metodo dei bastoncini basta e avanza. Ma se serve un fuoco per assicurare la spinta propulsiva ad un jet, bisogna cambiare qualcosa.

Lo stesso vale per la trasmissione del comportamento morale. Se dobbiamo vivere una vita che è altrettanto socialmente complessa di quanto un jet è tecnologicamente complesso, ci serve qualcosa di più dei Dieci Comandamenti. Non possiamo basare il nostro codice morale su dei fiat arbitrari e capricciosi riferitici da persone che affermano di essere al corrente delle intenzioni segrete degli abitanti del Sinai o dell'Olimpo. La nostra etica non può basarsi né su invenzioni riguardanti la natura dell'umanità, né su false relazioni sui desideri delle divinità. La nostra etica deve essere fondata stabilmente sul terreno della conoscenza di sé scientifica. Deve essere migliorabile ed adattabile.

Da dove cominciare, allora, e con che cosa?

Tornando all'etica

Molto tempo fa Platone ha dimostrato, nel suo dialogo Eutifrone, che non possiamo dipendere dai fiat morali di una divinità. Platone chiese se i comandamenti di un dio fossero "buoni" semplicemente perché un dio li aveva stabiliti, o perché il dio riconosceva ciò che era "buono" e dava regole di buon comportamento di conseguenza. Se qualcosa è buono semplicemente perché un dio l'ha ordinato, qualunque cosa potrebbe essere considerata buona. Non ci sarebbe alcun modo di prevedere che cosa, in particolare, il dio potrebbe desiderare prossimamente, e non avrebbe alcun senso asserire che "Dio è buono". Sbattere bambini contro le pietre avrebbe la stessa probabilità di essere "cosa buona" che avrebbe il principio "Ama i tuoi nemici" (sembrerebbe che la "bontà" del dio dell'Antico Testamento sia esclusivamente di questo tipo).

D'altra parte, se i comandamenti di un dio si basano sulla conoscenza della bontà intrinseca di un'azione, ci troviamo a guardare negli occhi il fatto che c'è uno standard di bontà indipendente dal dio, e dobbiamo ammettere che egli non può essere la fonte della moralità. Nella nostra ricerca del buono, possiamo scavalcare il dio ed andare direttamente alla sua fonte!

Pertanto, dato che gli dèi non possono, a priori, essere la fonte dei princìpi etici, dobbiamo cercare questi princìpi nel mondo nel quale ci siamo evoluti. Dobbiamo trovare il sublime nel quotidiano. Quali precetti potremmo adottare?

Il principio dell'"interesse privato illuminato"[2] è un'ottima prima approssimazione di un principio etico che sia coerente con ciò che sappiamo della natura umana ed al contempo abbia una certa rilevanza per le problematiche della vita in una società complessa. Esaminiamo questo principio.

In primo luogo, dobbiamo operare una distinzione tra interesse privato "illuminato" e "non illuminato". Per chiarire meglio il concetto, facciamo un esempio. Supponiamo che Tizio conduca una vita completamente egoistica, dedita alla soddisfazione immediata di ogni desiderio. Supponiamo che ogni volta che qualcun altro ha qualcosa che Tizio vuole, costui se la prenda per sé.

Non passerebbe molto prima che tutti muovano guerra a Tizio, e Tizio dovrebbe passare tutte le ore in cui è sveglio a rintuzzare le rappresaglie. A seconda di quanto sia stata dannosa l'attività di Tizio, egli potrebbe benissimo perdere la vita in un'orgia di vendetta dei vicini. Una vita fatta di un interesse privato totale ma non illuminato può essere eccitante e piacevole finché dura: ma è ben difficile che duri a lungo.

La persona che pratica l'interesse privato "illuminato", per contro, è la persona la cui strategia comportamentale massimizza al contempo l'intensità e la durata della gratificazione personale. Una strategia illuminata sarà una strategia che, quando praticata durante un lungo periodo di tempo, genererà quantità e varietà sempre crescenti di piaceri e soddisfazioni.

Come si può fare ciò?

È ovvio che c'è più da guadagnare dalla cooperazione con gli altri che non da atti di egoismo isolato. Un uomo con una pietra non può uccidere un bisonte per cena. Ma un gruppo di uomini e/o donne, con un sacco di pietre, può spingere la bestia giù da un burrone, e, anche dopo aver diviso la carne tra tutti, avremo ancora più da mangiare di quanto non avremmo avuto senza cooperazione.

Ma la cooperazione è una strada a doppio senso. Se Tizio coopera con molti altri per uccidere i bisonti, ed ogni colta gli altri lo allontanano dalla preda e se la mangiano loro, Tizio farà fagotto in fretta, e lascerà gli ingrati a fronteggiare l'equivalente paleolitico del quarto per una briscola. La cooperazione implica reciprocità.

La giustizia affonda le sue radici nel problema di determinare equità e reciprocità nella cooperazione. Se io coopero con te per arare il tuo campo di grano, quanto di quel grano mi spetterà all'epoca del raccolto? Quando c'è giustizia, la cooperazione opera con la massima efficienza, ed i frutti della cooperazione diventano anche più desiderabili. Così, l'interesse privato illuminato comporta un desiderio di giustizia. Con giustizia e cooperazione, possiamo ottenere delle sinfonie. Senza, non abbiamo nemmeno una canzone.

Riportiamo questo articolo al punto di partenza. Poiché abbiamo un sistema nervoso da animali sociali, di norma siamo più felici in compagnia dei nostri compagni umani che da soli. Poiché siamo emozionalmente suggestionabili, dal momento che pratichiamo l'interesse privato illuminato saremo di solito abbastanza saggi da scegliere comportamenti che renderanno felici gli altri, e daranno loro la voglia di cooperare con noi e di accettarci - dato che la loro felicità si rifletterà su di noi, ed intensificherà la nostra. D'altro canto, quelle azioni che causano un danno agli altri e li rendono infelici, anche se non scatenano delle rappresaglie che diminuiscano direttamente la nostra felicità, creeranno un'atmosfera emozionale che, a causa della nostra suggestionabilità, ci renderà meno felici.

Poiché il nostro sistema nervoso è soggetto ad imprinting, non solo siamo in grado di innamorarci a prima vista, ma siamo anche in grado di amare oggetti ed ideali proprio come le persone, e siamo in grado di amare con intensità variabile. Come l'anatroccolo è attirato dal trenino, noi siamo spinti in avanti dal desiderio d'amore. Diversamente dall'"amore" dell'anatroccolo, però, il nostro amore può essere modellato dall'esperienza in misura notevole, ed è in grado di essere educato. Uno dei fini principali dell'interesse privato illuminato è certamente dare e ricevere amore, sia sessuale che non sessuale. Come regola generale, sebbene non assoluta, dobbiamo scegliere quei comportamenti che ci daranno la maggior probabilità di portarci amore ed accettazione, e dobbiamo evitare quei comportamenti che non ci daranno questa probabilità.

Altro scopo dell'interesse privato illuminato è la ricerca della bellezza in tutte le sue forme, per preservare e prolungare la sua risonanza tra il mondo esterno ed il mondo interiore. La bellezza e l'amore sono solo due facce diverse della stessa gemma: l'amore è bello, e noi amiamo la bellezza.

L'esperienza dell'amore e della bellezza è però una funzione passiva della mente. Quanto è più grande la gioia che deriva dal creare la bellezza. Com'è delizioso applicare in maniera attiva le nostre potenzialità creative per generare qualcosa che possa essere amato. Vernici e pianoforti non sono prerequisiti essenziali per l'esercizio della creatività. Ogni qual volta trasformiamo le materie prime dell'esistenza in modo tale da lasciarle in una condizione migliore di quando le abbiamo trovate, siamo stati creativi.

Compito dell'educazione morale, pertanto, non è quello di far imparare a pappagallo grandi liste di "questo si fa" e "questo non si fa", ma piuttosto quello di aiutare le persone a prevedere le conseguenze delle varie azioni prese in considerazione. Quali sono i ritorni positivi e negativi delle azioni a breve e lungo termine? Una particolare azione aumenterà o diminuirà le possibilità di sperimentare la triade edonistica di amore, bellezza e creatività?

Così capita che, quando l'ateo affronta il problema di trovare un terreno di fondazione naturale per la morale umana, e di stabilire una base non superstiziosa per il comportamento, sembra che la natura abbia già risolto in gran parte il problema. È nella nostra natura desiderare l'amore, ricercare la bellezza, ed eccitarsi per un atto creativo. La complessità labirintica che vediamo quando esaminiamo i codici morali tradizionali non scaturisce dalla necessità: è in gran parte il risultato di vani tentativi di mettere insieme bisogni e natura umani con gli stravaganti totem e tabù dei demoni e delle divinità che emersero con noi dalle nostre grotte alla fine dell'Era Paleolitica - ed hanno infestato le nostre case da allora ad oggi.


Note del traduttore:

[1] La Southern Baptist Church (Chiesa Battista del Sud) è una di quelle Chiese protestanti americane "dure e pure"; fu una delle Chiese che si riunirono nella Chiesa Fondamentalista, e negli Stati Uniti sono sinonimo di integralisti. [indietro]

[2] Per "interesse privato" si intende qui quel tipo di comportamento volto a procurare un vantaggio personale. Per identificare un punto di vista simile a quello di Frank R. Zindler ho talvolta utilizzato l'espressione "egoismo illuminato", equivalente ma più brutale. Al proposito, si veda anche la sezione dedicata all'etica nel materiale relativo al progetto Materialismo Aperto[indietro]

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Traduzione autorizzata da American Atheists