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Casella di testo: Casella di testo: Chiara Lubich
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ISTITUTO STATALE DI ISTRUZIONE SECONDARIA SUPERIORE

Istituto Tecnico Commerciale e per Geometri

“Francesco Daverio” - Varese

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La cultura del Dare

(…) Ed ecco qui la nostra cultura, che noi in genere chiamiamo la cultura del dare

Nei nostri ambienti, nei nostri convegni ne parliamo spesso e ci appaiono assai belle queste parole: la cultura del dare. Anche altri Movimenti ormai l’hanno presa come propria. Non sono forse l’antidoto a quella cultura dell’avere che oggi domina e proprio nell’economia? Certamente si. Ma, a volte, si può aver posto troppa fiducia nell’espressione <<cultura del dare>>, dandole un’interpretazione un po’ semplicistica e riduttiva. Non sempre, infatti, con essa si vuol dire spogliarci soltanto di qualcosa per donarla. Queste parole in realtà significano quella tipica cultura che il nostro Movimento porta in sé e irradia nel mondo: è la cultura dell’amore, nel senso più ampio. <<Cultura dell’amore>>, di quell’amore evangelico assai profondo e impegnativo, che è parola sintesi di tutta la Legge e i Profeti, quindi di tutta la Scrittura, per cui chi vuol possederlo, questo amore, non può esimersi dal vivere il vangelo intero.

Ma come lo potrebbe fare? Lo dirò dopo. Intanto notiamo che anche della <<cultura del dare>> si è scritto già nel ’91. E’ scritto così: <<A differenza dell’economia consumista, basata sulla cultura dell’avere, l’Economia di comunione è la cultura del dare. Ciò può sembrare difficile, arduo, eroico; ma non è così, perché l’uomo fatto ad immagine di Dio che è Amore, trova la propria realizzazione proprio nell’amare, nel dare>>. E’ scritto nel DNA di ogni uomo.

<<Questa esigenza è nel più profondo del suo essere, credente o non credente che sia>>.

E si conclude, questo per l’avvenire: <<E proprio in questa constatazione – che esiste nel DNA questa tendenza a dare -, suffragata dalla nostra esperienza, proprio qui, sta la speranza di una diffusione, domani, universale dell’Economia di comunione>>. Non solo qui nel Movimento nostro.

Si prevedeva già, dunque, che l’Economia di comunione potesse un giorno superare i confini del nostro Movimento. Ma bisogna fare i passi secondo la gamba, secondo le possibilità.

Riguardo poi sempre al dare, ma anche alle sue meravigliose conseguenze, troviamo scritto nel ’92: <<Dare, dare, attuare il dare. Far sorgere, incrementare la cultura del dare. Dare quello che abbiamo in sovrappiù o anche il necessario, se siamo ispirati così. Dare a chi non ha, sapendo che questo modo di impiegare le nostre cose rende un interesse smisurato, perché il nostro dare apre le mani di Dio ed egli, nella sua provvidenza, ci riempie sovrabbondantissimamente per poter dare ancora e ricevere di nuovo e così poter venire incontro alle smisurate necessità di molti>>.

Già da allora si voleva, insomma, aprire le mani di Dio, allora bisogna dare.

La causa dell’Economia di comunione però non domanda solo l’amore ai bisognosi, ma verso chiunque, perché così è la spiritualità dell’unità, questo esige. E perciò vuole che si amino tutti i soggetti dell’azienda.

Si scrive a proposito, ad esempio: <<Diamo sempre; diamo un sorriso, una comprensione, un ascolto; diamo la nostra intelligenza, la nostra volontà, la nostra disponibilità; diamo le nostre esperienze, le capacità. Dare: sia questa la parola che non può darci tregua>>.

Nel ’95 si precisa ancora il più profondo significato del dare: <<Ma cos’è questa cultura del dare? È la cultura del Vangelo, è il Vangelo, perché noi il dare lo abbiamo capito dal Vangelo. “Date – c’è scritto nel Vangelo - e vi sarà dato”>>. E qui è bellissima la frase: <<Una misura buona, pigiata, scossa, traboccante…>>. Più di così! Più di così! Sapete come quando viene scossa… e si moltiplica; traboccante, dice, vi sarà data.

<<Una misura buona, pigiata, scossa, traboccante, vi sarà versata in grembo>> (Lc 6,38). Ed è quello che noi nel Movimento sperimentiamo quotidianamente, in tutti i Paesi del mondo. Qui ci sarebbero da fare milioni di esempi, non migliaia.

<<Se tutti vivessero il Vangelo – è scritto ancora – i gravi problemi nel mondo non

esisterebbero, perché il Padre del Cielo interverrebbe a realizzare la promessa di Gesù: “Date e vi sarà dato”>>.

Durante questi anni, poi, non ci sono mancati forti impulsi, specie da certi santi, sul significato anche più semplice del dare, sul dare concretamente.

Dice san Basilio: <<All’affamato appartiene il pane che tu metti in serbo; all’uomo nudo il mantello che conservi nei tuoi bauli; agli indigenti appartiene il denaro che tieni nascosto. Commetti tante ingiustizie quante sono le persone a cui dovresti dare tutto ciò>>.

E san Tommaso d’Aquino: <<Quando i ricchi consumano per i loro fini personali il sovrappiù necessario alla sopravvivenza dei poveri, essi li derubano>>.

Ma oggi, trovandoci qui con persone che hanno responsabilità di aziende, ricorderei un altro scritto: <<Non basta un po’ di carità, qualche opera di misericordia, qualche piccolo superfluo di singole persone, per raggiungere il nostro scopo: occorre che aziende intere e imprese mettano in comune il proprio utile>>.

Fin qui, dunque, qualcosa sulla nostra cultura, che è la cultura del Vangelo, ricavata dal Vangelo, che è la cultura del dare, che va vissuta verso i bisognosi e verso tutti gli agenti intorno a queste aziende.

Sottofondo musicale:

 

“C’è chi ci pensa”

Prime Pagine - Gen Verde

[Da un musical del gruppo musicale internazionale al femminile del Movimento dei Focolari. ]

 

 

I momenti incancellabili di una vicenda realmente accaduta raccontati da tre immaginari ma possibili testimoni.

Sulla scena la storia di Chiara Lubich e delle sue prime compagne.

 

Leggi il testo della canzone.

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