VICENDE EDILIZIE DELLA ROCCA DI FORLIMPOPOLI Parte Quinta Trasformazioni quattrocentesche Alla fine del sec. XV, l’aspetto della rocca non era più quello delle origini. Esso era stato profondamente cambiato, soprattutto a seguito degli interventi voluti prima da Pino III Oredelaffi, a cominciare dal 1471 (75), e poi da Caterina Sforza (76). Le opere attuate, in quel periodo, erano principalmente mirate al potenziamento delle strutture esterne, per renderle più resistenti al tiro delle artiglierie. Vennero abbassate le torri angolari, irrobustendole mediante l’incamiciatura cilindrica che vediamo oggigiorno. Fu ispessita notevolmente la cortina occidentale, munendola all’esterno di un’alta scarpa (77). Venne potenziato particolarmente l’angolo sud-ovest della fortezza (cfr. fig. 40, B), trasformando la vecchia torre d’angolo in un possente, basso torrione rotondo ed edificando ex novo un breve tratto di cortina (quello posto fra la torre di guardia ed il torrione suddetto), in posizione avanzata rispetto alla muraglia di epoca precedente. Fig. 42 - Torre di guardia. Fronte verso la corte. In alto, a lato della finestra, porticina medioevale tamponata. Fu, infine, iniziata un’altra analoga poderosa opera di rinforzo (che poi, come si vedrà, non venne eseguita secondo il progetto iniziale) pure davanti all’altro tratto della medesima cortina sud, quello posto ad oriente del ponte levatoio. Le testimonianze archeologiche di questo intervento, che in parte emergono tuttora dall’erba del fossato, furono messe in evidenza mediante un piccolo saggio di scavo, effettuato nel febbraio 1981 nella zona posta immediatamente all’esterno del torrione d’ingresso al castello (78). Fu portata alla luce, in quella occasione, "la fronte esterna di una grossa muraglia con accentuata scarpata rivolta verso Sud e con orientamento quasi parallelo all’attigua cortina meridionale" (79). Al momento della scoperta non furono avanzate ipotesi circa la natura del manufatto, in attesa di scavi più ampi ed accurati, che poi non furono mai intrapresi. Oggi però, grazie a nuove conoscenze, si può dire che le ricerche, sia pur incomplete, effettuate nel fossato nel 1981, fornirono ugualmente elementi sufficienti per poter affermare che la grossa muraglia affiorata era stata progettata, nell’antichità, allo scopo di irrobustire ulteriormente la cortina sud con l’aggiunta di una spessa incamiciatura. Ma questo potenziamento delle difese della rocca, in uno dei suoi punti più vulnerabili, fu ridimensionato notevolmente nel corso dei lavori e alla fine, lungo tutto il tratto della cortina, venne costruita soltanto una bassa scarpa, molto irregolare ed esageratamente inclinata (fig. 40, B, n. 3). Essa si concludeva, in alto, ad una quota posta sotto la linea delle feritoie orizzontali. Sono venuto a conoscenza recentemente di questa situazione, osservando un disegno ottocentesco di Romolo Liverani (fig. 43), nel quale la scarpa in questione fu riprodotta prima di essere asportata, in età successiva, a causa evidentemente della solita pratica dei Forlimpopolesi di recuperare mattoni dal vetusto edificio per le nuove costruzioni della città (80). Altre modifiche, lungo il perimetro esterno della rocca, furono attuate a più riprese sull’intera fronte nord. Anche qui molto probabilmente fu rinforzato ulteriormente tutto il tratto (dal bastione nord-est alla torre posta a Nord-Ovest) con una scarpa, della quale oggi resta traccia soltanto nel punto in cui la grossa muraglia piegava ad angolo retto verso Sud, in corrispondenza della rientranza (fig. 40, A, n. 3) eliminata poi col prolungamento (in linea retta) della cortina stessa fino al torrione nord-ovest (cfr. fig. 40, B). Note sulle antiche difese della rocca Prima di concludere le osservazioni sulle strutture esterne della fortezza, è necessario aggiungere ancora alcune considerazioni sulle difese previste nell’antichità contro gli attacchi degli assedianti. La rocca sorse, all’inizio, con impianto classico di concezione medioevale, con mastio centrale attorniato da recinto con due alte torri ad Occidente, due bastioni a base quadrata ad Est e torre di guardia a Sud, verso la Via Emilia (fig. 40, A). Le varie componenti strutturali avevano camminamenti merlati scoperti, con apprestamenti sommitali per difesa piombante su sporto di beccatelli, da cui venivano effettuati, dalle caditoie, tiri ficcanti e di getto di materiali. All’interno delle torri e dei bastioni angolari erano bombardiere e feritoie per armi leggere (81). L’ingresso principale del castello era ben protetto all’esterno dalle difese apprestate alla sommità della torre di guardia e su quella angolare vicina, dalla quale veniva difesa anche la pustierla della cortina occidentale (passaggio creato non prima del 1380, data della ricostruzione delle mura della città). Superata la porta carraia esterna, i nemici venivano fermati, all’interno dell’androne, dalla saracinesca abbassata in corrispondenza dell’apertura, sormontata da arcone ogivale, rivolta verso la corte (fig. 42) e soprattutto dai tiri effettuati dal vicino mastio, dal quale era possibile difendere anche l’altro ingresso più piccolo (quello posto sul lato Ovest della rocca) e tutta la cortina occidentale che, nei primi momenti, era estremamente fragile e vulnerabile (cfr. fig. 40, A). In occasione delle trasformazioni quattro-cinquecentesche, effettuate nell’edificio per adeguarlo alle nuove armi di offesa, fu cambiata la disposizione delle feritoie. Furono piazzate cannoniere sopra i bastioni (fig. 44) ed anche all’interno di essi (82), mentre furono aperte feritoie orizzontali, per artiglierie semiportatiti, nelle cortine e ai lati dei torrioni; queste ultime per la difesa fiancheggiate, antiscalata. Tutt’intorno al castello erano fin dall’origine, come già è stato detto, ampie fosse colme d’acqua e, a maggior protezione, fu costruito in seguito, davanti alla fronte orientale, un rivellino di cui è possibile conoscere la pianta, grazie ad una mappa settecentesca conservata nell’Archivio Storico di Firenze (83). La residenza del castello dalle origini ai primi decenni del Cinquecento Spostando ora l’attenzione sulle strutture residenziali poste all’interno delle cortine della rocca, cercherò, sempre attraverso l’esame di dati storico-archivistici ed archeologici, di delinearne, sia pur per sommi capi, la storia edilizia, evidenziando soprattutto gli interventi più consistenti. Osservando le pareti liberate dall’intonaco, durante gli ultimi restauri, è stato possibile appurare, come già è stato detto, che fin dall’origine il fabbricato principale era distribuito su tre ali. I muri disposti sulla corte, eseguiti con la tecnica di Tipo 3, erano a faccia a vista, con finestre e porte sormontate da archi ribassati. L’ala sud era più corta di quella attuale e si concludeva, a Ponente, con una loggia a tre arcate al pianterreno. Anche l’ala nord era più breve in origine. Poteva arrivare al massimo fino al punto in cui la cortina piegava verso Sud (zona dell’attuale fontana). Nel luogo in cui è l’odierno ingresso del comune, era la scala antica, della quale sono state scoperte le tracce di un pianerottolo e della prima rampa (84), ancora visibili in posto. L’intero frabbricato aveva molto probabilmente due soli piani: pianterreno con ampi locali e sopra il piano nobile con stanze con pareti, all’inizio a faccia a vista (Tipo 3), poi intonacate, come si può dedurre da un avanzo murario decorato rintracciato in una sala dell’ala nord (ora ufficio del Sindaco). La decorazione, leggibile sul lacerto dell’intonaco rimasto (fig. 45), presenta in alto un listello orizzontale che mal si adatta alla soprastante volta lunettata. Si tratta certamente di un lavoro fatto, in età precedente a quella del soffitto a volta, in un periodo nel quale la stanza doveva essere rifinita con una copertura a strutture non curvilinee. Ritengo che il tetto delle tre ali della roccca fosse in origine più basso di quello odierno, per non creare troppo ingombro ai cammini di ronda che erano scoperti. Data la considerevole larghezza delle ali (m 8-10), le coperture non potevano essere ad unico spiovente inclinato verso la corte, ma più probabilmente a due (a capriate). Dopo la costruzione, all’interno della rocca, di questo primo nucleo abitativo, verranno attuati nell’edificio sostanziali cambiamenti ed ampliamenti. Già in epoca molto antica, e cioè prima della ristrutturazione degli ambienti coperti da volte lunettate, fu operato un profondo rifacimento al piano nobile dell’ala est. In questa circostanza, come è stato appurato mediante le ricerche archeologiche, si dovette provvedere alla riedificazione (con muratura di Tipo 4) di quasi tutta la parete prospiciente la corte e quindi anche della parte di tetto costruita su di essa. È impossibile conoscere oggi il motivo del crollo, nell’antichità, di questo tratto dell’edificio, nel quale era sicuramente, anche a quel tempo, la zona residenziale del castello. Forse proprio qui nel 1437 esplose la polveriera, danneggiando notevolmente, come dicono le fonti, la rocca (85). Continuando l’esame dei dati raccolti, relativi allo studio storico-architettonico del monumento, devo sottolineare che, durante il periodo delle radicali opere di potenziamento delle difese esterne della rocca, furono intraprese anche iniziative edilizie all’interno del fabbricato, per migliorarne ed ampliarne le aree residenziali e di servizio. Le notizie di alcuni di questi interventi, attivati per esigenze di manutenzione e completamento di certe strutture, sono state tratte da una documentazione dell’anno 1506, ove figurano – insieme col resoconto dettagliato delle spese sostenute – delle interessanti note sullo stato di conservazione della rocca (86). Da questa fonte archivistica apprendiamo che l’edificio, a quella data (l506), aveva già i cammini di ronda coperti da tetti, i quali dovevano esser stati costruiti diversi anni prima, perchè, al tempo di detti lavori di manutenzione, versavano in uno stato di conservazione precario (87). Nell’ occasione, come risulta da queste carte, furono costruite le due camere, tuttora esistenti, sopra la torre di guardia e la scala in muratura per raggiungerle dalla corte. Dalla nuova scala fu attivato anche l’accesso alla camera posta al primo piano della medesima torre (88). Tale vano era raggiungibile in precedenza soltanto dall’esterno, attraverso la porticina antica (di cui si è detto) ora murata, rivolta verso Nord (fig. 42). Un altro momento di intensa attività edilizia, del quale però non ci è pervenuta documentazione scritta specifica, fu quello in cui fu attuata la ristrutturazione di gran parte dei locali del primo piano, mediante la costruzione delle eleganti volte lunettate, realizzate a mattoni, in tutte le sale più importanti del castello. Complessivamente vennero sistemati, in questo modo, i soffitti di nove grandi ambienti contigui, tutti comunicanti fra loro e distribuiti sulle tre ali principali dell’edificio. Nel sottotetto, reso agibile forse proprio in questa circostanza, furono ricavati numerosi ambienti di servizio, perfettamente funzionali, con pavimenti posti ad una quota di m 1 circa sopra il piano del cammino di ronda. I tetti, a due spioventi, vennero allargati verso l’esterno fino alla linea dei merli. Le murature di questa fase edilizia (tipo 4) furono quasi tutte intonacate, sia all’interno degli ambienti, sia all’esterno e molto probabilmente fu proprio in tale occasione che le facciate delle tre ali residenziali rivolte verso la corte furono completate per la prima volta con l’intonaco. Le antiche finestre medioevali ad arco ribassato furono eliminate e furono sostituite con aperture ad architrave. L’intervento edilizio interessò certamente gran parte dell’edificio. Non sappiamo, però, se al tempo dei lavori fosse già presente tutto il settore dell’ala nord posto ad Occidente del vano-scala e nemmeno siamo in grado di stabilire in quale momento la cortina nord sia stata rettificata fino al torrione nord-ovest, mediante l’eliminazione della rientranza del perimetro esterno della rocca, di cui si è detto più sopra (89). La parte residenziale, rinnovata coi soffitti più eleganti, veniva a trovarsi verso Oriente, ove era lo spazio aperto più ampio della corte. L’accesso alla scala, che portava ai nuovi locali dell’ala nord, fu assicurato da un ampio ingresso, di cui attualmente restano le tracce dell’arco del portale, lasciate in vista, in occasione degli ultimi lavori, sul muro di facciata del municipio, accanto al portone attuale, che si trova spostato un po’ più ad Est rispetto a quello antico (fig. 20). Un altro ingresso con la scala per raggiungere il primo piano doveva essere nell’ala sud, nel punto in cui era la loggia. È difficile oggigiorno conoscere il momento esatto della radicale ristrutturazione di tutto il piano nobile della rocca, mancando ogni notizia in merito di carattere storico-archivistico. La ricerca di una data, sia pur approssimativa, è affidata pertanto alle sole scarse informazioni emerse dalle indagini archeologiche. Un elemento certo è che le sale con le volte lunettate non possono essere datate al tempo in cui la fortezza aveva i cammini di ronda scoperti (senza tetti), perché a quell’epoca, come si è detto, le fabbriche interne dovevano essere più basse. Il momento dell’edificazione delle coperture dei camminamenti costituisce, perciò, un termine cronologico abbastanza sicuro per circoscrivere il tempo dei lavori di rifacimento delle sale del primo piano.
La rocca dall’arrivo degli Zampeschi alla fine del Cinquecento Nel 1535, con l’avvento della Signoria degli Zampeschi (90), il castello aveva raggiunto il suo completo sviluppo (91). Ora era una sede degna dei nuovi principi. Ma il feudo forlimpopolese degli Zampeschi non durò a lungo. Spentosi Brunoro II nel 1578, senza lasciare eredi, la città tornò di lì a poco (dopo la morte della vedova Battistina Savelli, avvenuta nel 1592) sotto il dominio diretto della Santa Sede (92). Da questo momento, che segnava la fine della piccola corte forlimpopolese, l’edificio iniziò il suo lungo ed inesorabile declino. Il degrado del monumento Cercheremo di ripercorrere ora le varie tappe della decadenza, mettendo in risalto soprattutto i cambiamenti più radicali delle strutture, attuati dopo il periodo degli Zampeschi e cioè, praticamente, dalla fine del Cinquecento ad oggi. Sino agli anni Settanta del sec. XVIII, la rocca si era mantenuta quasi integra, sia all’esterno, sia all’interno, conservando inalterato l’aspetto antico. Ma ciò era dovuto soltanto all’abbandono, alle scarse iniziative edilizie intraprese, fino a quel momento, prima da parte del principe Paolo Savelli (erede dei beni della vedova di Brunoro II), poi dei marchesi Capponi di Firenze, che avevano acquistato le proprietà del Savelli (93) ed avevano ottenuto, dal Papa, la rocca in enfiteusi. L’edificio, per tutto quel tempo, era rimasto ancora perfettamente isolato, anche se le fosse che lo circondavano non erano più colme d’acqua (perchè si erano interrate e prosciugate col passar degli anni, per mancanza delle necessarie opere di manutenzione) ed erano state trasformate in prati e campi coltivati. A questo proposito è molto eloquente una notizia d’archivio, di poco più di cento anni prima (1660 circa), relativa alla concessione, ad un affittuario del marchese Capponi, dell’area del rivellino (94) situato, come si è detto, ad Oriente del castello (95). Sul lato opposto, ad Occidente, come risulta da un inventario del 1769 (96), era ancora in funzione, sempre nella II metà del sec. XVIII, la "ponticella" (97), cioé la pustierla – della cui presenza si sono ritrovate testimonianze certe a partire dal 1464 (98) – che collegava la rocca alla piazza del paese (99). Le tracce dell’antico ingresso sono tuttora visibili e si notano osservando la cortina della rocca da Piazza Garibaldi. In alto, sopra il primo arcone situato a monte, è rilevabile, infatti, un tratto dell’incassatura per il bolzone posto fra due beccatelli ravvicinati, costruiti con mattoni e, nella parte bassa, con conci di "spungone". Fra questi beccatelli, lo scasso per la sede del bolzone della pustierla risulta tamponato con mattoni legati con malta, ma impilati semplicemente, senza immaschiature (fig. 48). La residenza del castello nel Settecento Notizie utili sull’antica disposizione degli ambienti del castello e sul loro stato di conservazione nel Settecento si ricavano, inoltre, dal predetto inventario del 1769. Vi sono, infatti, indicazioni molto esatte sul piano nobile di una parte del fabbricato poco conosciuta e cioè la zona ovest dell’ala nord. Partendo con una descrizione sommaria dei vani di tale settore del primo piano, viene indicata nell’inventario la cucina con due finestre sulla corte ed una, a Nord, munita di inferriata all’esterno (100); annotazione, quest’ultima, inconfondibile per localizzare l’ambiente, perché lungo la cortina settentrionale c’erano solo due finestre con inferriata (101) e di esse una soltanto, quella occidentale, poteva appartenere ad un locale con due finestre sulla piazza interna, perche l’altra era quella della stanza d’angolo della rocca (attualmente sala della giunta comunale), la quale non poteva ricevere luce dalla corte (102). Fig. 46 - Veduta della rocca dopo i recenti restauri. Dopo la cucina, che veniva a trovarsi, perciò, ad Ovest del vano-scala, c’era, secondo le indicazioni contenute nel medesimo inventario, un altro ambiente (con una sola finestra), nel quale erano una cassa e un letto (103). Di qui, attraverso una porta che conduceva ad una scala, si poteva raggiungere una camera del sottotetto, mentre, per un altro ingresso posto dalla parte del pozzo (104), si poteva entrare nella camera successiva, che si trovava a ridossso della cortina ovest del castello ed era illuminata anch’essa da una sola finestra. Questo vano comunicava, infine, col "Camerino del torrione" (105). Escludendo gli spazi delle scale e i piccoli locali posti all’interno delle torri angolari, al piano nobile delle tre ali principali della rocca a quel tempo erano allineati, pertanto, 12 ambienti in tutto (tre di servizio e nove nell’appartamento a volte). In un altro inventario, del 1720 (106), sono indicate, con assoluta precisione, le stanze più ricche del primo piano del castello (quelle con le volte lunettate). L’ordine dei locali è il seguente: - "Sala Armature", che doveva essere l’ambiente più vasto e importante dell’edificio, quello che in seguito verrà trasformato in teatro; - "stanza detta della Butigliera" e cioè quella posta nell’angolo sud-est del fabbricato (fig. 34, n. 5); - "Anticamera" che corrisponde all’ambiente con finestrone sulla cortina est e precisamente quello che nel 1935 diverrà una delle due sale del vecchio museo civico (107) (fig. 34, n. 4 e fig. 49); - "stanza della Cappella" (fig. 34, n. 3); - "quinta stanza dopo la Cappella" (fig. 34,. n. 2); - "Camera del letto dorato", cioè l’attuale sala della giunta comunale (fig. 34, n. 1); - "n. 2 stanze che seguono" (l’odierno ufficio del Sindaco e quello attiguo del segretario comunale); - "stanza detta del Tinello" (oggi ufficio dei messi). Dopo aver delineato, coi dati archeologici e quelli d’archivio finora acquisiti, la planimetria degli ambienti posti al piano nobile della rocca, sembrerebbe logico proseguire con la descrizione dell’antica destinazione d’uso di tutti gli altri locali dell’edificio, ma ritengo che ciò sia ancora prematuro, perché gli elementi disponibili in merito sono al momento non sufficienti, molto generici e vaghi. Mi limiterò soltanto a fornire, più sotto, altre indicazioni sugli ambienti del pianterreno dell’ala est, dei quali ho potuto reperire, durante gli ultimi lavori edili, notizie abbastanza circostanziate e sicure. I profondi cambiamenti della fine del sec. XVIII Rispettando l’ordine cronologico degli interventi edilizi attuati nella rocca nel corso dei secoli, continuerò con l’esposizione dei dati reperibili relativi alla fine del Settecento, mettendo in evidenza le notevoli opere urbanistiche che furono effettuate, in quel periodo, a ridosso della fortezza, su iniziativa della Comunità di Forlimpopoli. Nel decennio 1773-1783, furono eseguiti gli interventi più consistenti: - eliminazione completa delle fosse poste a Nord e ad Ovest del castello (108); - eliminazione di parte della fossa situata a Meridione del monumento, fino al bastione d’ingresso (109); - distruzione delle due porte urbiche che si aprivano sulla piazza maggiore del paese; - atterramento delle mura cittadine poste vicino alla rocca; - ampliamento del perimetro urbico, mediante lo spostamento della cerchia muraria, che, da un lato, fu congiunta al torrione angolare nord-est della fortezza, mentre, a Sud, fu portata a ridosso dell’antica torre di guardia (110) (cfr. fig. 43); - eliminazione dei ponti levatoi; - ricostruzione della porta di Cesena, spostandola un po’ più a Sud-Est, verso l’attuale Sobborgo Mazzini (111) . In poco tempo fu trasformata notevolmente la situazione urbanistica del centro cittadino, con l’ampliamento della piazza principale e la creazione ex novo dell’odierna Piazza Pompilio. Queste inziative, molto utili per lo sviluppo commerciale del paese, furono, al contrario, deleterie per l’integrità del monumento. Era stato avviato, purtroppo, quel processo irreversibile che in seguito, per tutto l’Ottocento, si aggraverà ulteriormente con nuove pesanti mutilazioni, che deturperanno considerevolmente l’edificio storico, considerato ormai alla stregua di un palazzo qualsiasi, da utilizzare esclusivamente per fini pratici. La rocca al tempo in cui fu, per la prima volta, sede del Comune (sec. XIX) Dopo l’arrivo dei Francesi (1797), non fu rinnovato ai marchesi Capponi il contratto d’enfiteusi per la rocca e l’edificio venne concesso, il 7 maggio l801, al Comune di Forlimpopoli (112), il quale l’utilizzò come propria residenza. Fig. 47 - Torre di guardia. Ingressi. Intanto, fin dal 1798, era in atto la demolizione del mastio, lavoro che si protrasse a lungo nel tempo (113). L’iniziativa venne portata avanti, a più riprese, con estrema caparbietà, per recuperare materiali edilizi, ma soprattutto per far spazio nella corte e per dar più luce alle stanze dell’ala nord del castello. Altre opere particolarmente devastanti per l’edificio furono approvate dell’amministrazione comunale d’allora: l’apertura degli arconi nella cortina ovest (114), effettuata nel 1815 (115) e, subito dopo, la costruzione di un palazzone (addossato al torrione sud-ovest), che nascose gran parte del monumento (116). Innumerevoli lavori edili furono effettuati poi, nel corso dell’Ottocento, all’interno della rocca, per adeguare i locali alle nuove esigenze. Furono adattate diverse stanze per la segreteria, la guardia di polizia e l’abitazione del medico (117). Furono ingrandite e rifatte, negli anni 1818-1820, le finestre dell’ufficio di ragioneria, dell’anticamera consiliare, della camera dei portieri (118). Nel 1830 venne collocato definitivamente, nella sala d’onore della rocca, il teatro cittadino e in quella occasione fu costruito il nuovo soffitto, dopo aver demolito quello precedente che era pericolante (119). Negli anni Trenta fu anche costruito un piccolo loggiato, appoggiato al muro ovest del teatro (cfr. fig. 17), con sopra due locali: un botteghino del caffè e un piccolo ambiente ad uso dei gendarmi (120). Nel 1831 crollarono alcune volte delle stanze del primo piano ed altre, pericolanti, furono demolite (121). Fu allora che vennero costruiti i soffitti ad arelle, di cui si è ritrovata traccia durante i restauri del 1975. Nell’occasione (1832-1834), fu creata, nell’ala est, la nuova sala del consiglio comunale (122), utilizzando lo spazio di due antichi ambienti contigui (quello con la cappella e l’altro posto immediatamente a Nord). Altre sale (fig. 34, nn. 4-5) furono ripristinate con analoghi soffitti ad arelle, mentre una copertura a volta crollata nell’ala nord (quella dell’odierno ufficio del segretario comunale) fu sistemata con un soffitto piano, sorretto da grosse travi di legno. Durante il periodo in cui nella rocca rimase la sede del municipio, fu ricavato – per un più razionale acceso alla sala consiliare – un ingresso indipendente, superando la classica disposizione degli ambienti comunicanti. Fu costruito a questo scopo un passaggio (accanto alla cortina nord), il quale, partendo dal primo pianerottolo della vecchia scala (123), saliva, con una rampa di una decina di gradini, fino ad un lungo corridoio che arrivava all’attuale sala della giunta, l’anticamera della sala del consiglio (124). Questo, per un certo periodo, fu l’accesso per raggiungere il locale, senza dover passare attraverso le varie sale. Solo più tardi (anni Ottanta), per arrivare direttamente al primo piano dell’ala est, verrà costruita una scala a chiocciola (125), che sarà utilizzata (fino alla metà del Novecento) soprattutto per il palcoscenico del teatro. Nell’Ottocento fu edificata, nell’ala nord, un’altra scala interna, eliminata durante i restauri recenti. Si trovava nei pressi della fontana ed aveva l’accesso dal portone d’ingresso dell’attuale Sala Guido Rossa (fig. 18). Essa raggiungeva soltanto il piano nobile ed assicurava l’ingresso indipendente a certi uffici, oppure alle abitazioni ivi ricavate, forse, per il medico o per altri dipendenti comunali, come i donzelli o le guardie (126). Nonostante fossero state attuate, durante la prima metà dell’Ottocento, notevoli modifiche, per adeguare la rocca alle varie necessità del Municipio, i Forlimpopolesi la ritennero in seguito insufficiente e, nel 1862, trasferirono la residenza comunale nell’edificio (oggi sede della filiale della Cassa dei Risparmi di Forlì) posto sul lato meridionale della principale piazza cittadina (127). Tale evento segnò inevitabilmente l’inizio di una ancor più grave fase di degrado del monumento, che in seguito fu occupato in gran parte da inquilini, sistemati nelle numerose abitazioni, ricavate nelle stanze del primo e secondo piano, mentre altri affittuari (artigiani e commercianti) utilizzavano i locali del pianterreno: cantine, "conserve" e botteghe (128). Questa triste sorte fu risparmiata soltanto al settore della rocca riservato alle attività teatrali. Qui infatti anche dopo l’allontanamento della residenza municipale, l’edificio mantenne un certo decoro, grazie alla importante funzione promozionale socio-culturale svolta dagli spettacoli nella piccola comunità cittadina. Bisogna dire però che anche le varie iniziative edilizie intraprese per creare il locale del teatro avevano, purtroppo, trasformato notevolmente le vecchie strutture del castello. Modifiche dell’ala del teatro Il settore dell’edificio in cui, nell’Ottocento, venne ricavata la struttura teatrale, presenta una storia edilizia un po’ diversa da quella dei fabbricati contigui. Le notizie più antiche, come si è già detto, si riferiscono alla presenza, sulla fronte occidentale dell’ala sud del castello, di una loggia, di cui oggigiorno resta uno dei tre archi che la componevano (fig. 33). Qui, sotto il portico, in antico era un altare, dove si celebrava la messa in certe occasioni (129). Al pianterreno, c’erano locali di servizio e, sopra, il salone d’onore, preceduto da un’ anticamera, nella quale arrivava la scala che saliva dalla loggia, ove era l’ingresso dalla corte. Succesivamente, quando furono coperti da tetti i cammini di ronda, l’edificio venne alzato fino alla quota odierna e fu ricavato il secondo piano. Questa situazione rimase immutata fino all’arrivo degli Zampeschi e più esattamente sino a quando, come afferma il Vecchiazzani (130), Antonello (131) eresse la Chiesetta di S. Brizio. L’iniziativa faceva parte di un progetto che avrebbe eliminato la loggia per costruire, al suo posto, la nuova scala d’accesso al salone. L’ala sud della rocca non subì cambiamenti in seguito, fino al 1830, anno in cui furono avviati i primi consistenti lavori, già messi in evidenza più sopra, per collocarvi stabilmente il teatro, che all’inizio ebbe un’unica galleria (132) ed un solo ingresso. In questo modesto locale, sprovvisto persino di uscita di sicurezza, ebbe luogo nel 1851 la celebre invasione del Passatore. Dell’avvenimento si è parlato e scritto tanto, per cui è difficile aggiungere qualcosa di nuovo. Ritengo tuttavia utile una considerazione che finora è sfuggita a chi si è interessato del clamoroso episodio. Tutti hanno raccontato che il Passatore apparve al pubblico mentre si apriva il sipario, enfatizzando questa sua irruzione improvvisa e singolare. In effetti, invece, ciò non può corrispondere a verità, perchè, mancando a quel tempo un accesso indipendente per il palcoscenico (133), il brigante poteva giungere al di là del boccascena soltanto passando attraverso la platea, fra gli spettatori. La banda quindi non apparve al pubblico all’alzata del sipario, come si è sempre detto, ma nel momento in cui irruppe nella platea dall’unico ingresso del teatro. Altre opere edilizie dell’Ottocento Verso la fine degli anni Settanta del secolo scorso, furono avviate notevoli opere di rinnovamento, che cambiarono volto nel giro di pochi anni alla struttura teatrale (ed anche all’ala sud del castello!). Nel periodo 1877-1878, come è stato detto, furono eseguiti i lavori più gravosi (134). Furono create le nuove scale d’ingresso ed alcuni attigui locali di servizio (tuttora agibili), ampliando verso Ovest l’intero edificio. Fu abbassato il piano della platea, realizzando le attuali coperture a volta del pianterreno. Vennero costruite due gallerie sostenute dalle colonne di ferro, ancora presenti anche oggi (135). Fu ampliato il palcoscenico, sottraendo spazio alle due attigue sale (fig. 36, n. 4). Il collaudo finale del teatro venne effettuato il 26 novembre del 1879 (136), ma altri lavori furono programmati ed eseguiti in seguito, anche dopo l’inaugurazione – che ebbe luogo il 12 ottobre 1882 (137) –, perché fossero disponibili all’occorrenza tutte le attrezzature necessarie ed i vari servizi indispendabili per la buona riuscita degli spettacoli. Al pianterreno dell’ala sud, sotto il teatro, furono costruite, per i vari ambienti, delle ampie aperture d’ingresso, chiudibili con portoni di legno, con l’intento evidente di trasformare ogni vano in negozio. In uno di questi locali (il primo partendo da Est) fu costruita, nel 1887, una scala secondaria (138) per l’accesso alla platea (139). Con la sistemazione definitiva del teatro cittadino si concluse la lunga serie degli interventi edilizi effettuati, durante l’Ottocento, all’interno ed all’esterno del monumento. Furono, come si è visto, iniziative in genere di ampio respiro, che in certi casi modificarono a fondo le strutture antiche. Per completare il quadro delle opere edili più notevoli, eseguite nella rocca nel secolo XIX, è doveroso soffermarsi ancora un po’ su alcuni lavori, di cui finora non si è fatto cenno. Non si possono dimenticare, infatti, la costruzione nel 1861 di una loggetta in ferro per il mercato della seta (140), l’eliminazione dei resti del rivellino (e di tutta la fossa orientale) per ricavare lo spazio per il foro boario e la ristrutturazione completa, all’interno del castello, delle facciate delle tre ali principali, realizzata rispettando le lineee architettoniche dettate dal gusto neoclassico – conservate anche nel restauro recente –, che tanta fortuna ebbero a Forlimpopoli nell’Ottocento. Ristrutturazioni operate nella metà del Novecento Dall’inizio del sec. XX fino agli anni Quaranta nella rocca non furono intrapresi lavori edilizi particolari, ma furono svolte soltanto le normali opere di manutenzione, salvo qualche modesto intervento come, ad esempio, quello di costruire pareti divisorie per creare nuovi alloggi. Tale situazione di stasi si sbloccò improvvisamente verso la fine della seconda guerra mondiale, nell’ottobre del 1944, quando le truppe tedesche in ritirata distrussero con le mine il palazzo ottocentesco addossato al torrione sud-ovest (141). E, grazie a questo drammatico evento, la rocca ritornò ad essere isolata e ben visibile nella sua interezza. Subito dopo il passaggio del fronte, il torrione ed un tratto dell’attigua cortina sud, seriamente danneggiati (a causa delle mine, ma anche delle gravi mutilazioni operate in precedenza, al momento della costruzione del palazzo), furono restaurati e rifatti nelle parti più alte. Intanto, sempre nell’immediato dopoguerra, venne riscavato il fossato, tuttora esistente, su due lati del castello (142). Fu costruita, a Sud, la nuova strada che da Piazza Garibaldi conduce all’odierna Piazza Trieste e, attorno all’intera area scavata, fu posta una recinzione molto elaborata, sostituita in seguito, durante gli ultimi restauri della Rocca, col muretto attuale, più pratico e razionale (fig. 46). Sempre nel dopoguerra fu anche costruito in muratura (ex novo) il ponte morto, cioè il ponte fisso sul quale nell’antichità venivano calati i due ponti levatoi dell’ingresso. Tale intervento oggigiorno sarebbe molto criticabile, e giustamente, perché comportava la creazione di un falso (143). Ma, allora, i tempi erano diversi ed anche questa iniziativa ebbe la piena approvazione dei cittadini, specie di quelli appassionati per le memorie locali (144). Anche col ripristino del fossato non fu ricostruita la situazione antica, che era molto diversa per dimensioni e caratteristiche (145), ma lo sterro conferì al monumento un aspetto più slanciato e suggestivo. Animati dalla volontà di isolare completamente la rocca, gli amministratori del Comune di Forlimpopoli, dopo aver fatto abbattere, infine, un piccolo edificio addossato al torrione nord-est (146), fecero aprire, sempre accanto al medesimo torrione, un nuovo accesso pedonale per consentire la passeggiata completa intorno all’edificio storico. La viabilità, in questo punto, fu resa possibile demolendo l’ultimo negozio dell’edificio con loggiato posto sul lato est della Piazza Pompilio (147). Per completare l’opera di ristrutturazione della zona esterna del castello, furono riaperti gli ingressi antichi della torre di guardia, che erano stati murati nell’Ottocento (148) e si tentò di ricostruire i due ponti levatoi (quello più grande e l’altro pedonale). Tale operazione però non ebbe esito del tutto positivo, perché i nuovi ponti di legno furono collocati nell’ingresso, ma in posizione orizzontale, senza i congegni necessari per il sollevameno (149). Terminati, verso il 1950, i vari interventi – che in poco tempo avevano migliorato considerevolmente l’aspetto della rocca –, si pensò, in un primo momento, di mettere l’acqua nel fossato, ma poi prevalse la proposta di utilizzare lo spazio come giardino pubblico e furono piantati alberi di vario tipo, dei quali oggi rimangono soltanto maestosi pini. Mentre, nell’immediato dopoguerra, fervevano i lavori all’esterno del castello, dentro il monumento veniva ripresa, purtroppo, la deleteria opera di devastazione che nell’Ottocento aveva avuto il suo massimo sviluppo. Si cominciò, come è già stato accennato più sopra, con l’ampliamento della platea del Teatro Verdi e la costruzione della moderna scala esterna nell’angolo sud-est della Piazza Fratti. Poi furono distrutte la sala ottocentesca del consiglio comunale (fig. 35. n. 2) e quella attigua (fig. 35, n. 3 e fig. 49) – locali ove, fino a poco prima, erano stati esposti gli oggetti del vecchio museo civico – per costruire la Sala B (fig. 36, n. 2) da utilizzare, come il vicino teatro, per proiezioni cinematografiche (150). In quella occasione venne aggiunta una seconda scala esterna in muratura, nell’angolo nord-est della corte, con un lungo ballatoio (addossato alla parete che sorge sul lato orientale della piazza), che la metteva in comunicazione con l’altra rampa di scale, già edificata poco tempo prima, per il Teatro Verdi (fig. 50). La residenza della rocca al tempo del suo massimo degrado (anni Cinquanta) Il successo considerevole riscosso dagli spettacoli cinematografici nel periodo post-bellico, portò, infine, all’utilizzazione della Piazza Fratti come luogo per proiezioni serali. Nacque così l’Arena "Italia" che, molto attiva negli anni Cinquanta, contribuì a deturpare ulteriormente l’edificio, con la sistemazione dello schermo fisso, verniciato sul muro, nell’ala nord (figg. 21-22) e con la collocazione (sotto gli arconi) di strutture di lamiera, per la chiusura dell’arena, e grandi pannelli, a scritte cubitali, ben in vista dalla Piazza Garibaldi durante tutto il periodo estivo, anche nelle giornate in cui non erano previste le proiezioni serali. Fig. 50 - La zona orientale della corte della rocca (1975). Questo decennio fu molto critico per l’integrità del monumento, lasciato quasi esclusivamente alle iniziative del gestore del teatro e dei numerosi affittuari che ne occupavano i diversi vani posti nei vari settori, dai locali del pianterreno, ove erano negozi (perfino una farmacia!), a quelli più modesti del sottotetto, destinati alle famiglie meno abbienti del paese. Dai primi restauri degli anni Sessanta al recupero completo del monumento Verso la fine degli anni Cinquanta, si era fatta strada a Forlimpopoli una nuova sensibilità nei confronti del patrimonio storico-artistico locale e la rocca cominciò ad essere osservata a considerata in modo diverso. Di tale cambiamento sono testimonianze eloquenti gli scavi effettuati da appassionati del luogo, a cominciare dal 1959, all’interno del castello, per ricercare vestigia antiche. Questa fu un’iniziativa fortunata, coronata da successo: furono ritrovati i resti della cattedrale di cui si è detto. La scoperta diede nuovo impulso alle ricerche e portò, di lì a poco, alla creazione del museo archeologico (inaugurato nel 1961 nella sede attuale) ed alla sistemazione di un’area archeologica all’aperto (fig. 50), nella zona orientale della Piazza Fratti (151). Con la presenza del museo nella rocca, maturò ben presto l’idea di restaurare, all’interno del monumento, altri locali da utilizzare per attività culturali e, approfittando dell’abbandono, da parte degli inquilini, di quattro stanze del piano nobile poste nella parte orientale dell’ala nord, furono programmate e portate a termine, alla fine degli anni Sessanta – durante la gestione commissariale del comune –, le necessarie opere di risanamento, per collocarvi l’Archivio Storico di Forlimpopoli e la Biblioteca "P. Artusi", da poco costituita (152). Negli ambienti restaurati furono esposti anche i dipinti della quadreria comunale, che da lungo tempo giacevano in magazzini di fortuna. La rocca nuovamente sede del municipio (anni Settanta) L’amministrazione comunale, insediatasi nel 1970, continuò l’opera, appena avviata, del recupero dell’edificio, progettando notevoli lavori di restauro e di riadeguamento funzionale, allo scopo di trasferirvi la sede del municipio. Alcuni anni più tardi, il 13 novembre 1974, come è stato scritto più sopra, fu avviato un primo importante intervento edilizio, che portò a compimento, in un tempo relativamente breve, la ristrutturazione del piano nobile dell’ala est del castello, ove fu ricavata, nell’area della Sala B del teatro, la nuova sala del consiglio comunale (fig. 37, n. 2), inaugurata, con la prima seduta nella rocca, nel gennaio del 1977. Subito dopo vennero eseguiti altri interventi di restauro nell’ala nord, al primo e al secondo piano, ove furono ricavati gli uffici per gli amministratori e per gli impiegati, i quali si insediarono stabilmente nell’edificio nel dicembre 1978. Nel giro di pochi anni il progetto del trasferimento, voluto dall’amministrazione comunale e caldeggiato da gran parte della cittadinanza, era stato realizzato e la sede del municipio, dopo un’assenza di 116 anni (non era più in questo edificio dal 1862), ritornava nella rocca. I lavori edili però continuarono anche in seguito, all’interno ed all’esterno del monumento, fino al completamento del restauro totale, terminato, come ho scritto all’inizio, nel 1990. A questo punto ritengo conclusa la ricerca sulle vicende edilizie della Rocca di Forlimpopoli, perchè le strutture risanate negli ultimi tempi sono ora sotto gli occhi di tutti. Chi poi volesse approfondire ulteriormente le conoscenze sulla recente ristrutturazione e sullo stato dell’edificio storico prima e dopo i lavori, potrà trovare tutte le informazioni utili nell’articolo del progettista, Arch. Alberto Bacchi, pubblicato nel volume edito nell’aprile 1990, in occasione della fine dei restauri del monumento (153).
Note al testo (75) E. Rosetti, Storia cit., p. 38. (76) V. Bassetti, Documenti sui primi 150 anni cit., p. 168. (77) La scarpa fu eliminata nel 1815, quando furono aperti gli arconi per collegare meglio la corte della rocca con la piazza principale del paese (cfr. E. Rosetti, Storia cit., p. 56). (78) T. Aldini, Scoperte archeologiche nella Rocca cit., p. 22. (79) Ibid., p. 22. (80) Nel disegno del Liverani è visibile anche una feritoia (non più presente attualmente), la quale si trovava ove ora è la finestra del piccolo ambiente posto a ridosso della scala del Teatro Verdi, nel punto in cui nell’antichità, come si è detto, era la loggia. Sempre nel medesimo disegno (fig. 43) si notano il nuovo tratto delle mura della città (di cui si parlerà più avanti), portato fino all’altezza dell’antico ingresso principale della rocca, ed un ponte situato davanti ad una porta ricavata nell’Ottocento nella cortina orientale. (81) Una delle più antiche feritoie (in origine con stretta apertura verticale), scoperta nell’anno 1985, è attualmente visibile all’interno del torrione nord-est, nel museo cittadino (cfr. T.Aldini, Scoperte archeologiche nella Rocca cit., pp. 62-63, fig. 46; Id., Il Museo Archeologico cit., p. 143, fig. 52). (82) L’apertura esterna (a forma di toppa di chiave) di una cannoniera, visibile sulla parete del torrione nord-ovest (vicino alla cortina settentrionale), fu murata in parte durante gli ultimi lavori di restauro. Ora di essa è visibile soltanto la fessura superiore per la manovra di puntamento. (83) Cfr. A. Aramini, La decadenza nei secoli XVIII e XIX cit., p. 54 e mappa n. 2 a p. 47. (84) Cfr. V. Bassetti, Documenti sui primi 150 anni cit., fig. a p. 159. (85) L. Cobelli, Cronache Forlivesi, a cura di G. Carducci, 1874, p. 193 (29-36); Giovanni Di Mastro Pedrino, Cronaca del suo tempo, a cura di A. Pasini - G. Borghezio - M. Vattasso, 1934, par. 1029; M. Vecchiazani, op. cit., Part. II, p. 113. (86) V. Bassetti, Documenti sui primi 150 anni cit., pp.169-174. (87) Ibid., p. 170. (88) Ibid., p. 171. (89) Quando il tratto occidentale della cortina nord venne regolarizzato, fu anche irrobustito dalla parte interna. Questa situazione – deducibile dall’esame della pianta della fortezza – è ben visibile attualmente nell’ingresso del comune, dove il muro aggiunto (spessore cm 70) termina con un arco rampante appoggiato alla parete est del vano-scala. (90) E. Rosetti, Storia cit. p. 42. (91) In base alle ricerche condotte finora, risulta che gli Zampeschi non apportarono sostanziali cambiamenti all’edificio.
(92) E. Rosetti, Storia cit., p. 42. (93) A. Aramini, La decadenza nel XVII secolo cit., 1990, p. 178. (94) Ibid. p. 196. (95) Vd. sopra nota 83. (96) A. Aramini, La decadenza nei secoli XVIII e XIX cit., p. 38. (97) Ibid., p. 38. (98) V. Bassetti, Documenti sui primi 150 anni cit., p. 166. (99) Durante i restauri recenti, e precisamente nel settembre 1985, fu ritrovata traccia di tale ingresso secondario del castello (cfr. T.Aldini, Scoperte archeologiche nella Rocca cit., p. 63, fig. 41, A e figg. 47-48). In tale circostanza chiamai erroneamente l’accesso "ingresso della bottella", nome che invece nell’antichità era stato dato alla porta urbica rivolta verso Cesena, situata nell’angolo sud-est della piazza (cfr. A. Aramini, Forlimpopoli nel timor del contagio cit., 1983, p. 108; Id., La decadenza nel XVII secolo cit., 1990, pp. 192-193). Devo precisare, infine, che i resti dell’ingresso venuti alla luce sotto l’arcone della cortina della rocca non erano quelli dell’antica pustierla, ma della successiva porta di piazza, allargata e sistemata, sempre nello stesso punto, dopo che era stata colmata la fossa esterna, alla fine del sec. XVIII. (100) A. Aramini, La decadenza nei secoli XVIIIe XIX cit., p. 38. (101) Queste strutture metalliche, molto ampie e sporgenti all’esterno di tutti e cinque i finestroni aperti nelle cortine del castello (due sul lato nord, due su quello est ed uno – scomparso, perché murato recentemente – sul lato sud), furono eliminate durante gli ultimi restauri, mentre le relative quattro aperture, tuttora utilizzate, furono modificate e notevolmente rimpicciolite. (102) In base a tali considerazioni, risulta inaccettabile il punto di vista di Aramini, secondo il quale, da questo documento, si ricaverebbe una diversa ubicazione (nell’ala sud della rocca) della cucina e degli altri ambienti attigui (cfr. A. Aramini, La decadenza nei secoli XVIII e XIX cit., p. 38). (103) A. Aramini, La decadenza nei secoli XVIII e XIX cit., p. 38. (104) Tale pozzo si trovava a poca distanza dal punto in cui oggigiorno è una vecchia fontana (fig. 18), ove nel 1831 venne inaugurata la prima pompa idraulica, come è scritto in alto su una lapide murata, il cui testo è il seguente: QUESTO / DI PERENNE RICORDAZIONE / PUBBLICO MONUMENTO / PRESIDE / LODOVOCO DE CONTI BRIGANTI / NEL MDCCCXXXI / ERESSE / LA PATRIA LIBERALITÁ. (105) A. Aramini, La decadenza nei secoli XVIII e XIX cit. p. 38. (106) Ibid., p. 36. (107) Vd. sopra bibliografia (nota 23). (108) A. Aramini, La Rocca cit., 1977, p. 9. (109) Ibid., p. 9. (110) Ibid., p. 9. (111) La nuova porta, detta anche "Romana", fu costruita negli anni 1773-1774 (cfr. A. Aramini, La decadenza nei secoli XVIII e XIX cit., p. 41). (112) A. Aramini, La decadenza nei secoli XVII e XIX cit., p. 49. (113) A. Aramini, Il maschio della Rocca cit., 1975, p. 195; Id., La decadenza nei secoli XVIII e XIX cit., pp. 46 e 53. (114) Bisogna riconoscere però che tale intervento, dannoso per la rocca, fu invece molto utile dal punto di vista urbanistico, perché, oltre a favorire un più diretto contatto fra le due piazze, creò un piacevole fondale, scandito da una serie di archi aperti e ciechi, il quale migliorò il lato est della piazza rispetto alla situazione precedente, caratterizzata da una vasta, monotona muraglia con un solo piccolo ingresso. Durante i recenti restauri della rocca si discusse a lungo sulla convenienza o meno di chiudere gli arconi, ma alla fine si optò per il loro mantenimento. (115) E. Rosetti, Storia cit. , p. 56. (116) Tale edificio, come si dirà in seguito, verrà completamente distrutto dalle mine tedesche nell’ottobre del 1944. (117) A. Aramini, La decadenza nei secoli XVIII e XIX cit., p. 49. (118) Ibid., p. 55. (119) Ibid., p. 55.
(120) Ibid., p. 55. (121) Ibid., pp. 55-56. (122) Ibid., p. 56. (123) Prima di quella moderna, che è in cemento armato, c’era una scala a tre rampe (attraverso le prime due si raggiungeva il piano nobile e mediante la terza si arrivava al camminamento di ronda). La scala demolita era stata costruita (probabilmente nell’Ottocento) in sostituzione di una precedente, forse quella originale, di cui rimangono, come si è accennato più sopra, tracce della prima rampa (molto breve) e del pianerottolo, su cui poggiava sostenuta da arco ribassato. (124) L’accesso, che era illuminato da due piccole finestre le quali prendevano luce dal cammino di ronda, fu eliminato alla fine degli anni Sessanta di questo secolo, quando furono ripristinati gli antichi ambienti fra loro comunicanti, per adibirli a sede della Biblioteca "P. Artusi" ed Archivio Storico Comunale. (125) M. Gori, Il Teatro cit., p. 34. (126) In precedenza, fino al momento dell’apertura degli arconi (1815), uno di questi locali del primo piano della zona occidentale dell’ala nord si raggiungeva mediante una scala esterna (in origine di legno e poi in muratura) addossata alla cortina ovest (cfr. A. Aramini, La decadenza nei secoli XVIII e XIX cit., p. 50). (127) E. Rosetti, Storia cit., p. 57; A. Aramini, La decadenza nei secoli XVIII e XIX cit., p. 58. (128) Sulla fronte esterna della cortina nord erano state aperte diverse botteghe e due anche sulla fronte con gli arconi, verso la piazza maggiore. (129) V. Bassetti, Documenti sui primi 150 anni cit., pp. 164 e 166. (130) M. Vecchiazzani, op. cit., Part. II, p. 297. (131) Anonello Zampeschi, figlio di Brunoro I, dopo aver avuto dal 1530 al 1534 il feudo di Santarcangelo, ottenne nel 1535 da Papa Paolo III quello di Forlimpopoli, che conservò fino al 1551, anno della sua morte. In seguito il feudo forlimpopolese passò alla vedova Lucrezia Liviana Orsini e al figlio Brunoro II (cfr. E. Rosetti, Storia cit., pp. 85-86). (132) M. Gori, Il Teatro cit., p. 26. (133) Di tale ingresso il teatro sarà provvisto negli anni Ottanta, con la costruzione della scala a chiocciola di cui si è detto (fig. 35, n. 8). (134) M. Gori, Il Teatro cit., pp. 27-28. (135) A. Aramini, Cronaca di Forlimpopoli dal 1860 al 1918, in "Forum Popili", n. 2, 1975, p. 124. (136) M. Gori, Il Teatro cit., p. 36. (137) Si conserva a Forlimpopoli, presso il teatro, il manifesto originale col programma dell’apertura (cfr. M. Gori, Il Teatro cit., p. 79). (138) M. Gori, Il Teatro cit., pp. 35 e 38. (139) Tale scala sarà eliminata nell’immediato ultimo dopoguerra, quando la platea verrà ingrandita verso Oriente fino ad occupare quasi tutto lo spazio del vecchio palcoscenico, per meglio utilizzare il teatro come cinematografo. Una nuova scala secondaria per raggiungere la sala verrà costruita all’esterno dell’edificio, nell’angolo sud-est della Piazza Fratti. (140) La struttura, eretta lungo i lati della corte, sarà demolita completamente nel 1906 (cfr. A. Aramini, La decadenza nei secoli XVIII e XIX cit., p. 59). (141) C. Capezzuoli, Restauro della Rocca di Forlimpopoli, in "La Piê", Anno 1948, pp. 43-46. (142) Per la verità non su tutto questo spazio fu abbassato il livello del terreno, perchè dell’antico fossato era ancora conservato un breve settore, quello posto davanti al tratto della cortina sud, compreso fra il bastione dell’ingresso ed il torrione sud-est. Tale terreno, coltivato ad orto fino a quel momento, era molto più basso del piano di calpestio circostante e si estendeva fino alla linea della fronte del vicino caseggiato. Ad Est e ad Ovest l’orto era chiuso da alti muri di cinta. I lavori di sterro per il fossato furono, pertanto, molto gravosi nel tratto occidentale, nel settore posto ad Oriente di detto orto ed in quello adiacente alla cortina est. (143) Per erigere il ponte morto fu smantellato il vecchio lavatoio pubblico che era stato costruito in quel luogo (proprio davanti all’antico ingresso della rocca!) nel secolo scorso. Esso riceveva l’acqua dall’Ausa attraverso un canale sotterraneo. Una ricostruzione fedele del manufatto è stata realizzata da P. Novaga (cfr. Forlimpopoli d’altri tempi cit., tav. 9). (144) Il ponte morto, fatto con mattoni vecchi, di recupero, legati con malta poco tenace, crollò dopo breve tempo nel tratto del pattiponte e fu in seguito restaurato più volte, modificandolo con la realizzazione di un arco (tuttora presente) che nella ricostruzione iniziale non c’era. (145) La fossa della rocca nell’antichità si estendeva, ad Oriente, fino ad occupare buona parte dell’area dell’odierna Piazza Trieste, ove era un rivellino triangolare circondato dalle acque (cfr. sopra nota 83). Anche sul lato meridionale il fossato era più largo di quello odierno, ma qui manteneva andamento regolare. Un tratto della controscarpa antica, costruito a mattoni, fu rinvenuto diversi anni fa durante lavori di scavo nel Piazzale Paulucci De Calboli. Esso correva parallelamente alla fronte sud del castello e si trovava a monte degli scalini che segnano il limite nord del piazzale suddetto, ad una distanza da essi di circa m 3. (146) Qui erano stati ricavati spogliatoi per il campo sportivo, che era ubicato, fino all’immediato dopoguerra, nell’area della Piazza Trieste. (147) Per l’affittuario del negozio abbattuto, fu costruita ex novo una bottega, proprio lungo il percorso pedonale, sulla fiancata meridionale dell’edificio, rivolta verso il fossato. (148) Sotto l’arco ogivale dell’accesso più ampio, era stata costruita una finestra per dar luce all’androne, nel quale, al tempo dello scavo del fossato, era la bottega di un fabbro. (149) Questi ponti, realizzati con assi ricavate da vecchie travi, si deteriorarono rapidamente e crollarono all’arrivo delle prime nevicate. L’ultimo tentativo di ricostruire i due ponti mobili risale al periodo finale dei recenti restauri della rocca, ma anche questa volta il lavoro alla fine rimase incompleto come in precedenza. (150) Vd. sopra bibliografia (nota 23). (151) T. Aldini, Scoperte archeologiche nella Rocca cit., pp. 4-12 e 24-37; Id., Il Museo Archeologico Civico cit., pp. 26-28. (152) Con questi lavori edili furono ripristinati alcuni degli antichi locali dell’appartamento a volte lunettate, demolendo il corridoio d’accesso alla sala d’angolo (oggi sala della giunta comunale), costruito nell’Ottocento. La nuova sede per la biblioteca e l’archivio fu inaugurata nel settembre del 1969, in occasione della "Settimana Artusiana", manifestazione organizzata dalla Pro Loco cittadina (cfr. T. Aldini, Notizie sull’attività della Pro Loco di Forlimpopoli, in "Forum Popili", n. 2, 1975, p. 258). Biblioteca ed archivio saranno poi allontanati dalla rocca al momento della sistemazione dei locali per la sede comunale. (153) A. Bacchi, op. cit., pp. 219-251. Ritorna alla pagina Visita alla città di Forlimpopoli |