Il 1848 MANTOVANO
Episodi
di sfida
Verso la
fine del 1847, il malcontento verso l'Austria era
pressoché generale nel Mantovano. La situazione
economica peggiorava; anche il clero manifestava quasi
dovunque, in città e in provincia, sentimenti
antiaustriaci.
Solo i mazzinianipreparavano moti
rivoluzionari organizzati. Le nuove idee si diffondevano
ovunque. Solo alcuni nobili e possidenti apparivano
indifferenti, timorosi di "novità" pericolose,
anche se alcuni di loro, gli Arrivabene i Valenti Gonzaga, i
Cavriani aderirono a forme di liberalismo moderato.
A Milano e a Mantova accadevano alcuni clamorosi episodi
di sfida all'Austria (astensione dal fumo e dal gioco del
lotto, con lo scopo di recare danno alle finanze dello
Stato, che causarono discussioni e risse.
Mentre in Europa si verificavano i grossi avvenimenti del
Quarantotto, a Mantova, del vecchio
perbenismo austriacante, non era rimasta quasi più
traccia. I mantovani erano pronti ad insorgere pur
manifestando contrasti tra liberali moderati e liberali
radicali.
La
mancata insurrezione di Mantova
Nell'insurrezione
del 1848, le due tendenze moderatae rivoluzionaria) furono assai
contrastanti. A prevalere fu la prima, come risulta dai
seguenti episodi.
Alla notizia che Vienna era insorta a Mantova la folla
manifestò il proprio entusiasmo correndo al palazzo
municipale, dove fu esposto il tricolore.
Alla sera, la frenesia aumentò ed, in una festa al
teatro Sociale, le signore-bene annodavano i propri
fazzoletti con quelli delle vicine, per simboleggiare la
necessità dell'unione ed infatti il tricolore passava di
palco in palco, salutato e applaudito.
Ormai non restava che occupare militarmente la città, ed
il compito non era impossibile perché la guarnigione
austriaca era formata solo da 3600 uomini, tremila dei
quali italiani.
In questo periodo sorse, a fianco della municipalità,
col compito di stimolarla, un comitato provvisorio di 18
uomini, ma perdette molto del suo primitivo slancio a
causa di contrasti insorti tra i suoi componenti: il
gruppo di uomini d'azione avrebbe voluto agire ma rimase
in minoranza. Prevalse la corrente moderata.
Nonostante tutto questo si costituì un corpo di trecento
guardie civiche armate. Erano militari incaricati di
mantenere l'ordine e difendere i cittadini dalle
prepotenze dei soldati. Ma il compito di passare dalla
protesta all'insurrezione diventava sempre più
difficile.
Non c'erano soltanto persone dubbiose e timorose, ma
anche spie (una viene ricordata da don Tazzoli: un tizio
s'offerse di preparare le cartucce per i fucili; per puro
caso ci si accorse che al posto della polvere da sparo
c'erano sabbia e crusca, sicché in caso di bisogno le
guardie sarebbero state praticamente disarmate).
Il comitato, che sedeva in Municipio, si lasciava
condizionare: i più pacifici cercavano di bloccarlo,
mentre i più decisi spingevano all'azione.
La notte del 21 marzo non si dormì: vennero erette
barricate un po' dovunque; non c'era casa che non
nascondesse sassi, pietre, tegole, olio bollente, pece,
mobili vecchi da scaraventare in strada all'occorrenza
contro gli austriaci.
I soldati avevano un atteggiamento minaccioso, ma era il
minimo che potessero fare, viste le intenzioni dei
patrioti.
Davanti alla chiesa di Sant'Andrea, la guardia civica,
era schierata su tre ordini, armi in pugno e il tricolore
in mezzo; l'affiancavano cittadini decisissimi
(popolani), armati in qualche modo. Di fronte a loro
c'erano i militari della guarnigione, pronti a sparare.
Un volontario della guardia civica si lasciò sfuggire un
colpo di fucile o forse lo fece apposta per provocare lo
scontro, ma gli ordini dei due comandanti erano ispirati
alla prudenza: "Non attaccare per primi" ed
infatti nessuno attaccò e gli austriaci
indietreggiarono. Perciò quel 22 marzo fu per Mantova il
giorno della grande occasione mancata, la situazione
andò poi gradatamente peggiorando.
Le truppe giunte a Mantova
per riportare l'ordine nel 1848 si resero protagoniste di
odiosi episodi: bivaccarono nella chiesa di Sant'Andrea
e dopo qualche giorno tornarono nel tempio, dove fecero
man bassa di candelabri, pianete, cotte, tappeti,
reliquie, oggetti d'arte.
Solo qualche tempo dopo si
scoprì che avevano rubato i Sacri Vasi. Subito le autorità
militari cercarono di addossare la colpa del sacrilego
furto ai mantovani. Ma la coraggiosa inchiesta chiarì,
senza ombra di dubbi, che la responsabilità era di
alcuni ufficiali, alcuni dei quali vennero riconosciuti
tra i profanatori ed i rivenditori degli oggetti sacri. I
militari, nonostante le accuse, non subirono condanne né
ammonimenti, anzi la punizione toccò ai tre mercanti
ebrei che avevano acquistato e rivenduto parte della
refurtiva.
Nel 1856 l'imperatore Francesco
Giuseppe ordinò che a spese della
corte di Vienna fossero costruiti due nuovi Sacri Vasi
per la Chiesa di S. Andrea. in essi furono messe quelle
parti delle reliquie che i Gonzaga avevano provveduto
tempo prima, a trasferire nella chiesa di S. Barbara e in
duomo.
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