Appartiene alla stessa famiglia di pettirosso pure un'altra specie molto nota a tutti, anche perché estremamente adattabile: è infatti diffusa dai boschi di montagna alle coste, purché trovi un’abbondante copertura vegetale, con un sottobosco molto fitto, siepi, cespugli ed arbusti in cui costruire il nido. Inoltre a partire dagli inizi del XIX secolo, ha iniziato a colonizzare i centri urbani, fino a diventare così comune non soltanto nei parchi e nei giardini, ma anche nei viali alberati e nei cortili da passare inosservata.

Mi riferisco, naturalmente, al merlo (Turdus merula).

Il maschio è completamente nero, di un bel nero-lucido, con il becco che va dal giallo oro all’arancio scuro e l’anello palpebrale pure giallo. Tanto che nel Medio Evo, quando ogni essere vivente simboleggiava qualcosa, era una metafora del peccato: dal canto melodioso che affascinava, ma contemporaneamente scuro come l’inferno! In realtà il colore nero è un segnale visivo analogo alla chiazza rossa del suo cugino pettirosso e serve a marcare il territorio nei confronti dei propri simili.

La femmina è invece brunastra, con chiazze più scure sul petto. Anche i giovani immaturi hanno un colore simile a quello della femmina, che diviene gradatamente sempre più scuro. Le ultime a diventare nere sono le ali, che rimangono brune anche quando il resto del corpo ha assunto il colore tipico degli adulti.

Ascolta il canto del Merlo X

 

La vicinanza con l’uomo determina anche curiose varietà nel canto del merlo: infatti ciò l’apprendimento del canto da parte di ogni individuo è influenzato dal cosiddetto “panorama sonoro” in cui esso si trova: ogni uccello assimila i suoni dell’ambiente in cui vive e li inserisce all’interno del proprio tema di base come variazioni. Per un esemplare che vive in un bosco tali variazioni possono derivare dai canti di altre specie. Per un esemplare che vive vicino all’uomo può esserci di tutto: l’abbaiare di un cane, il miagolio di un gatto, il fischio del treno ecc. È stato documentato, per merli che vivevano in cattività, anche l’inserimento di melodie da brani musicali, come “Bandiera Rossa” oppure “’O sole mio”!

In ogni caso, come abbiamo visto finora, il canto del merlo ha la funzione di marcare un territorio (anche il merlo è fortemente territoriale!) e di attirare la femmina per la riproduzione. La spartizione dei territori inizia a partire dal cuore dell’inverno (già a gennaio è possibile udire il canto del maschio): tra dicembre e gennaio iniziano curiose baruffe tra i vari maschi per garantirsi il possesso di un’area in cui nidificare. Il proprietario di un territorio caccia via tutti i possibili rivali protendendosi in avanti con il becco, schiacciando le penne contro il corpo, tenendo la coda orizzontale in linea con il dorso e la testa ed inseguendo ogni intruso in questa posizione “a siluro”. Man mano che si avvicina ai confini dei propri possedimenti, però, diventa sempre meno sicuro di sé, si ferma titubante ed attende. A questo punto è il rivale che si protende in avanti e parte all’attacco, in una sorta di curioso balletto. Alle volte scoppiano risse e zuffe a colpi di becco e zampe, ma solitamente incruente.

Il periodo riproduttivo va da marzo ad agosto. Solitamente vengono deposte due o tre covate, ma in città, dove la mortalità dei piccoli è elevata, nonostante il cibo più ricco ed abbondante, possono essere anche 4 o 5. Infatti i merlotti, ancora incapaci di volare con sicurezza, si aggirano nei dintorni del nido e sono facili prede per cani o gatti oppure restano vittime del traffico cittadino. Le uova deposte sono da 3 a 5, di colore blu-verdastro, macchiate oppure punteggiate di bruno rossiccio e vengono covate dalla sola femmina, che in questo periodo è molto sensibile ai rumori ed agli agenti di disturbo e può abbandonare facilmente le cova. Il nido è una coppa di erbe, paglia, foglie e rametti, su una base di muschio e foglie e, spesso, pezzi di carta, cartone e plastica. L’interno è rivestito di fango ed imbottito con fili d’erba. Il nido viene costruito tra rametti di cespugli ed arbusti o tra le fronde dell’edera, ma anche sul terreno o tra manufatti umani.

 

            Il tordo bottaccio

 

        Il fringuello

 

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