Ormai è passata anche agli onori
della cronaca la storia di lupi lanciati con il paracadute in zone sperdute
dell’Appennino al fine di ripopolarle di questa dannosissima specie. Ovunque si
vada in Italia si possono trovare testimoni che dichiarano di aver assistito ad
eventi analoghi. D’altronde il mondo è pieno di gente che racconta avvenimenti
stravaganti come l’incontro con mostri preistorici o il rapimento da parte di
alieni! Tutti fatti inventati di sana pianta. Basti pensare a quanto sia
difficile, alle volte, abituare un cane a portare il collare! Convincere un
animale selvatico quale è il lupo ad indossare il paracadute e sottoporlo poi
ad un addestramento da parà temo che non sia così semplice ed anche S.
Francesco in persona avrebbe avuto qualche problema.
Ovviamente
i sostenitori di questa tesi del lupo “lanciato” affermano anche che gli
animali liberati non siano in realtà selvatici, bensì appositamente allevati
dagli ambientalisti o dalle guardie forestali. Non considerano, però, nelle
loro farneticazioni, che il lupo, per quanto simile ad un cane, non è un cane:
il suo allevamento non può essere effettuato all’interno di un canile in cui
gli animali vengono nutriti e fatti accoppiare al fine di ottenere una prole da
liberare per ripopolare il territorio italiano. Abbiamo visto, infatti, che un
lupacchiotto cresciuto al di fuori di un branco è incapace di inserirsi
nell’ambiente naturale. L’allevamento, pertanto, dovrebbe essere svolto in
ampie aree (magari recintate) in cui i branchi godano di semilibertà, per poter
imparare a cacciare. Inoltre, al fine di ripopolare un’area naturale,
bisognerebbe liberare intere famiglie di lupi. Tutto questo, però,
richiederebbe specifiche competenze e precisi supporti tecnici ed avrebbe dei costi
proibitivi (già la gestione di un canile “tradizionale” ha spese notevolmente
elevate) e oltretutto dovrebbe essere protratta per molti anni, dato che
all’interno del branco solo gli individui alfa si riproducono e quindi il tasso
di natalità è piuttosto basso. Tali costi difficilmente potrebbero essere
giustificati da associazioni o da enti pubblici di fronte alla cittadinanza
italiana.
Altre
leggende urbane parlano di immensi branchi di lupi che si spostano per il
territorio sbranando tutta la selvaggina e gli armenti che riescono a
catturare. C’è ad esempio chi sostiene che sui versanti romagnoli del Parco
Nazionale delle Foreste Casentinesi, Monte Falterona e Campigna e nei Comuni
limitrofi vivano addirittura 300 lupi famelici! Questo presuppone, però, che il
territorio occupato da quest’orda vorace abbia delle risorse pressoché
infinite. A chi possiede qualche nozione di ecologia non è necessario ricordare
che il lupo è un “superpredatore” che si trova al vertice della “piramide
alimentare” e pertanto il numero degli individui che occupano un certo
territorio non può essere molto elevato in quanto è strettamente dipendente
dalla “biomassa” prodotta nei “livelli trofici” inferiori (e questa è
tutt’altro che infinita). Per chi non ha molte conoscenze in merito a questo farraginoso linguaggio e si
è spaventato nel leggere le righe precedenti, basterà un piccolo calcolo per
spiegare quanto il numero di lupi che vivono in una certa zona non possa essere
così elevato.
Un
lupo, quando vive in libertà, passa periodi di digiuno in cui non riesce ad
uccidere prede, alternati a periodi di grande abbondanza in cui riesce a
trangugiare quantità enormi di carne in previsione delle successive carestie.
Facendo una stima in media abbiamo che un lupo consuma una quantità di carne
che va dai due ai cinque chili al giorno. Anche supponendo che siano piuttosto
“inappetenti” 300 lupi perciò consumano mediamente 600 kg (cioè 6 quintali) di
carne al giorno e la bellezza di 219 tonnellate all’anno (219,6 negli anni
bisestili)! Di questo passo nel Parco Nazionale delle Foreste Casentinesi e nei
suoi dintorni non dovrebbe più esistere un animale vivo né domestico né
selvatico!
Questo
risponde anche a coloro che vedono nel lupo una pericolosa minaccia per la
selvaggina: infatti il numero degli ungulati, roditori e della selvaggina in
genere presenti nel Parco Nazionale delle Foreste Casentinesi e nei territori
limitrofi non ha subito drastiche diminuzioni. Non dobbiamo dimenticare che
tutti questi animali esistono sulla terra da molto prima che l’uomo comparisse
ed iniziasse a cacciare e che tra di loro si è stabilito un equilibrio che non
necessita dell’intervento umano per essere mantenuto. Il numero di predatori
che abitano un certo territorio è direttamente proporzionale al numero di prede
disponibili e, qualora aumenti troppo, gli individui in eccesso si spostano per
colonizzare nuove zone. È quanto sta avvenendo con il lupo italiano, che
partendo dai nuclei residui alla fine degli anni ’70, ha progressivamente
ricolonizzato tutto l’Appennino fino a raggiungere le Alpi Marittime francesi
ed il Canton Ticino (le analisi genetiche confermano che tutti appartengono
alla popolazione italiana di lupo).
Inoltre qualsiasi predatore
difficilmente cerca di uccidere gli individui che godono di un buono stato di
salute: sarà sempre più facile e vantaggioso catturare i soggetti anziani ed
ammalati oppure i giovani ancora inesperti. In questo modo un predatore come il
lupo esercita un valido controllo sull’espansione delle popolazioni di ungulati
selvatici (che causano spesso danni all’agricoltura) e sul loro stato di
salute, riducendo le possibilità di contagio per malattie potenzialmente
pericolose anche per gli animali domestici.
Anche
perché, stando a recenti statistiche, il numero di cacciatori in Italia va
riducendosi progressivamente e, in futuro, potrebbe mancare il controllo da
parte dell’uomo sulle popolazioni di animali selvatici come il cinghiale.
Infine,
come tutti i predatori, che sono fondamentalmente degli opportunisti, il lupo
si nutre anche di carogne contribuendo a ripulire l’ambiente da pericolose
fonti di infezioni.
Tutto
questo, però, non fa del lupo un santo che non si alimenterebbe mai degli
animali domestici. La possibilità che aggredisca pecore o vitelli è tutt’altro
che remota, anche se in questo settore trova una notevole concorrenza da parte
dei cani randagi o rinselvatichiti, che, per la maggior dimestichezza con
l’uomo e quindi un minor timore nei suoi confronti, facilmente uccidono animali
al pascolo.
Le
lagnanze degli allevatori sono tutt’altro che infondate, anche se a volte
esagerate, e sono necessarie varie misure al fine di preservare il lupo dal
bracconaggio di chi pensa di difendere il proprio patrimonio zootecnico dalla
minaccia di questo predatore, vera o dubbia che sia, eliminandolo fisicamente.
Da un lato sono previsti risarcimenti per chi subisce danni da parte del lupo,
ma questi sono spesso lenti o inadeguati a causa della burocrazia.
Dall’altro
lato, invece, non vi sono metodi a livello burocratico per stabilire se
l’uccisione di bestiame sia davvero attribuibile al lupo, né esiste un’anagrafe
canina a livello nazionale per controllare e ridurre la piaga del randagismo.
Così è successo che allevatori uccidessero animali ormai privi di valore commerciale
utilizzando assi con due chiodi sporgenti all’estremità in modo da farne
apparire la morte come causata da un’aggressione di lupi, oppure che in certe
zone dove si pratica l’allevamento allo stato brado di pecore, bovini e cavalli
questi animali venissero uccisi dai cani che erano stati messi loro di guardia
perché non alimentati a sufficienza.
Certamente
l’uso di cani da pastore (ovviamente ben nutriti, affinché non diventino una
minaccia anziché una difesa per gli armenti) è sicuramente un ottimo deterrente
contro le aggressioni di lupi e di cani selvatici. Anche la costruzione di
ovili può essere una protezione per gli armenti, come tutte quelle tecniche
tradizionali che si erano progressivamente perdute a causa della scomparsa del
lupo da buona parte del territorio italiano. D’altro canto pure le leggi e la
burocrazia devono adeguarsi ad una migliore gestione del territorio e della
fauna senza penalizzare chi nel territorio vive e lavora.
E
sicuramente la conoscenza delle specie da tutelare, dell’importanza che ha la
biodiversità, dell’ecologia e dei rapporti delle specie animali tra di loro e
con l’ambiente in cui vivono sono elementi fondamentali per una gestione ed una
fruizione corretta del territorio da parte di tutti.
(La fotografia in questa pagina
proviene dal Cd-rom MPC 30).
Bibliografia:
I mammiferi – Guida a tutte le
specie italiane. A cura di Marco Tenucci. 1986, Istituto Geografico
De Agostini – Novara.
Barry Holstun Lopez, Lupi –
Dalla parte del miglior nemico dell’uomo. 1999, Edizioni Piemme S.p.a.
Convegno nazionale “il lupo e i
parchi”, S.Sofia (FC) 12 e 13 Aprile 2002. Raccolta degli
abstracts dei lavori presentati, a cura di G. Boscagli e M. Cavalieri.
Il lupo – Il più importante
predatore italiano tra realtà e fantasia. Testi: Carlo Matteucci. ©
copyright Parco Nazionale delle Foreste Casentinesi, Monte Falterona, Campigna,
2000.