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Ultra Trail du Mont Blanc 2008

Andrea in corsa, sullo sfondo di Val Veny e Aiguille Noire

L'Ultra Trail du Mont Blanc non può essere considerato solamente una corsa in montagna, anche se a Chamonix viene definito la "sommet mondiale de la course en nature": è una vera e propria avventura, un viaggio che richiede, oltre ad un enorme preparazione fisica, grande passione per la montagna ed un'incrollabile convinzione mentale perchè se la testa cede (e non deve farlo per due giorni e due notti consecutivi) finire la gara rimane purtroppo solo un bel sogno ...
L'ambiente di alta montagna del gruppo del Monte Bianco è favoloso, se si ha la fortuna di trovare condizioni meteo adeguate, e la vista dei panorami che regala questo spettacolo della natura mitiga almeno in parte la gran fatica necessaria per portare a termine questa notevole impresa. Credevo che l'aver già concluso qualche trail piuttosto impegnativo come la Via Marenca in Liguria (95 km e 4000 m. di dislivello positivo) o il Gran Trail della Valdigne a Courmayeur (87 km e 5100 m.) potesse darmi un idea di cosa fosse l'UTMB: mi sbagliavo, qui siamo veramente su un altro pianeta e avrò modo di comprendere fino in fondo perchè è considerata una delle gare di corsa in montagna più dure del mondo.
Questa è la sesta edizione della corsa e gli organizzatori hanno pensato bene di inserire un'ultima salita verso la Flegere "per approfittare del magnifico panorama offerto sul Monte Bianco": serve dire che tutti i trailers partenti ne avrebbero volentieri fatto a meno accontentandosi di rimirare il tetto d'Europa lungo la tranquilla discesa che dal col des Montets attraverso il villaggio di Argentiere porta a Chamonix? Comunque ci tocca, e così il road book recita che la gara sarà di 166,4 km con 9408 metri di dislivello positivo (ed altrettanti in negativo): semplicemente mostruoso, fa paura solo a leggerlo ...
E' già un paio d'anni che ho deciso di provare a correrlo, ma prima mi sono dovuto guadagnare i "gradi" sul campo, perchè solo per iscriversi occorre aver corso nei due anni precedenti la gara almeno un paio di ultra trail (robettina tipo quella che ho citato prima). Questo è l'anno buono, così alle 21.00 dell'11 di Gennaio sono davanti allo schermo del PC per la prima ardua impresa: riuscire ad iscriversi prima che lo facciano gli altri pretendenti. Una cosa impressionante, in una ventina di minuti scarsi vengono bruciati 2600 pettorali (a fronte di un non modesto esborso di 140 euro, oltretutto) e per fortuna uno di questi riesco ad aggiudicarmelo io.
Poi viene il momento di allenarsi: tra fine inverno e primavera infilo una serie di una quindicina di maratone, quindi da maggio a fine Luglio completo il carico con tre 100 km e una 85 km su strada, oltre al Gran Trail della Valdigne e a quello del Verdon, dove puntavo alla lunga (100 km) ma mi son dovuto accontentare di soli 40 km complice una tremenda capocciata sulle mitiche rocce del canyon che mi è anche costata tre punti di sutura. Ad Agosto qualche corsetta in montagna senza esagerare alternata ad alcune escursioni con mia figlia Martina sulle spalle peraltro piuttosto allenanti dato che il peso della bimba sta aumentando, poi nella settimana precedente la gara riposo assoluto cercando di immagazzinare più dormite che posso in vista delle due notti in bianco attorno al Bianco.
Alla fine arriva il fatidico giorno così, dopo un viaggio tranquillo, raggiungo Courmayeur nella tarda mattinata del 29 Agosto con famiglia al seguito, dato che io al ritorno non penso proprio di essere in grado di guidare, forse neanche di intendere e di volere ... Al ritiro del pettorale mi dicono che qui a Courmayeur ne sono rimasti solo quattro da distribuire, e che se non fossi arrivato a breve (anche se non è ancora mezzogiorno ...) mi avrebbero telefonato per conoscere le mie intenzioni: ma la partenza non è alle 18.30?!? Comunque, dopo il rituale controllo dello zaino contenente il materiale obbligatorio come da regolamento (due lampade frontali, telo termico, riserva idrica ed alimentare, fischietto, bandana, benda elastica adesiva, carta d'identità, bicchiere personale e chi più ne ha più ne metta) io rispetto il mio programmino pre-gara che prevede prima del trasferimento a Chamonix un buon piatto di pasta nel paese dov'è stata inventata. Come si suol dire meglio abbondare che deficere, così per sicurezza alle tagliatelle con porcini aggiungo anche una bella pizza alla valdostana.
Dopo pranzo mi avvio verso il bus per la Francia: salutata la Marti, alle raccomandazioni di rito della Titti rispondo di stare tranquilla, in quanto sul pettorale oltre al numero (un bel 3323) c'è stampato nome, cognome, nazionalità (con tanto di bandierina) e nominativo con numero di cellulare della persona da contattare "in caso di necessità urgenti", qualunque cosa poco simpatica mi dovesse capitare lei lo verrebbe a sapere in tempo reale ...
Sul bus l'unico a dover correre sono io, sembra che tutti i trailers abbiano una fretta del diavolo di raggiungere il luogo di partenza. Giunti a Chamonix l'autista ci deposita proprio davanti al palazzetto dell'ENSA (Ecole Nationale de Ski et Alpinisme) dove viene effettuata la custodia delle borse e la consegna delle sacche (che abbiamo ricevuto col pettorale) per gli eventuali cambi a Courmayeur (km 78) e Champex (km 123): per sicurezza ci metto dentro un po' di tutto (vestiario, cibo, integratori e medicinali) poi, al momento, deciderò cosa mi potrà tornare utile. Al momento della consegna, i ragazzi dell'organizzazione ci salutano con un "au revoir a Dimanche" che se da un lato fa piacere dall'altro spinge a compiere, non visti, gli scongiuri più scurrili. Terminata la vestizione con gli obbligatori fuseaux "che coprano anche il ginocchio" (per la prima parte di gara ne ho scelti un bel paio di uno sgargiante rosso Ferrari) per ingannare un po' l'attesa del via faccio un salto al vicino pasta-party per un caffè. Mi viene offerto anche un piatto di pasta così decido di provarne due forchettate ma per mandarla giù, dato che non è propriamente "al dente", devo accompagnarla con un bel po' di buon formaggio locale.
All'uscita mentre mi sto sistemando il pettorale incontro Max, un ragazzo valtellinese che ha già portato a termine vari UTMB, con un suo amico svizzero-ticinese e ci dirigiamo insieme alla partenza anche se mancano ancora quasi due ore. Mentre parliamo del più e del meno appoggiati alle transenne vicini alla starting line ci passa davanti un ragazzo spagnolo che mi sembra di conoscere: è Jordanet Kilian Burgada, il vincitore del Sentiero delle Grigne dell'anno scorso e di molte altre gare. "Sei qui per vincere?" gli chiedo, "No, oggi per me è troppo lunga e troppo dura, ci vediamo sulle Grigne, quella è una gara che mi piace molto!" risponde lui, al che concludo con un "Suerte, vedrai oggi arrivi primo tu e secondo Olmo!!"; alla fine Marco Olmo (splendido sessantenne vincitore delle ultime due edizioni) purtroppo si ritirerà, Kilian vincerà con un tempo fantascientifico che neanche gli organizzatori più ottimisti si aspettavano, 20 ore 56 minuti e 59 secondi!! Intanto il tempo passa ed alla fine arriva anche il fatidico ed atteso (da mesi) momento della partenza: accompagnati dall'appropriata musica a palla di Vangelis ("Conquest of Paradise") partiamo tra due ali di folla entusiasta e festante. Roba da brividi anche se, complice un po' d'emozione, nella ressa iniziale riesco subito a procurarmi una bella storta alla caviglia su un cordolo di marciapiede: per fortuna è roba da poco (anche se alla fine un po' gonfia sarà), altrimenti rischiavo di stabilire il record terminando l'UTMB dopo soli 200 metri ...
Il tempo è splendido, soleggiato e piuttosto caldo solo nelle fasi iniziali, ma già nei boschi dei Gaillands un po' di frescura comincia già a farsi sentire; qui decido di rallentare un pelo dopo la partenza veloce a causa dell'incitamento del folto pubblico presente lasciando andare Max che ha decisamente un altro passo. Il tratto iniziale prevede solo dolci saliscendi fino a Les Houches, dove è posto il primo ristoro: anche qui gran folla che ti incoraggia a volte chiamandoti direttamente per nome (che è stampato sul pettorale bene in vista più in grande del numero stesso). Con il caldo che ancora un po' si sente apprezzo molto l'idea che hanno avuto gli organizzatori di mettere la Coca Cola ad ogni ristoro; ne approfitterò abbondantemente per tutta la corsa ...
Ora però si comincia a fare sul serio con la prima salita de La Charme: non è tra quelle più dure, sono solamente 800 metri di dislivello su mulattiere con pendenze abbastanza abbordabili, ma sempre di salita si tratta. Quasi in cima si può godere di una vista da cartolina su Monte Bianco ed Aiguille de Bionassay al tramonto poi ci aspetta la discesa verso Saint Gervais, non difficile ma con qualche tratto all'inizio piuttosto ripido su quelle che d'inverno sono piste da sci. Prima di raggiungere il paese mi devo fermare per mettere la frontale, dato che la sera incombe e su questi sentieri immersi nei boschi non ci si vede quasi più. In molti affrontano questa prima discesa ad un ritmo decisamente elevato ma io non voglio affaticare troppo già adesso muscoli e articolazioni, dato che la strada da compiere è ancora molto lunga, e scelgo un'andatura ben più tranquilla; ne approfitto anche per fermarmi un paio di volte per "necessità fisiologiche" impellenti, risolvendo peraltro il problema di un leggero mal di pancia che iniziava a farmi preoccupare un po'.
A Saint Gervais sembra di essere a New York durante la maratona: folla incredibile lungo tutto il tratto di gara che attraversa il paese, clima festoso con musica dal vivo e ragazzini che ti danno il cinque quando passi. C'è anche un mega ristoro cosi ne approfitto, oltre che per riempire il camel-back, anche per uno spuntino: il cibo è ottimo e abbondante ma la disposizione andava forse studiata meglio, così evitavo di mangiarmi il plum cake prima di minestra e formaggio locale ...
Riparto accodandomi per un tratto ad un gruppetto composto da due ragazzi italiani, Silvia e Franco (che è di Como), e da un signore francese Maurizio, che ha dei nonni piemontesi e che è già stato in passato due volte finisher dell' UTMB. Il tracciato presenta ora dei saliscendi boschivi poco impegnativi, con solo qualche strappo un po' ripido; procedo alternando corsa (solo sui falsopiani e in discesa) e camminata sino a raggiungere, con una breve ma ripida salitella, il ristoro di Les Contamines. Anche qui siamo accolti da un folto pubblico entusiasta ed incitante: al ristoro pane, formaggio, minestra e Coca Cola (l'appetito di certo non mi manca, forse è un buon segno ...) e poi via di nuovo al passo in compagnia di Renzo, un ragazzo ligure al suo secondo UTMB e che l'anno scorso si era dovuto ritirare proprio qui per seri problemi di stomaco.
Il terreno è qui in prevalenza pianeggiante con al più qualche falsopiano, ma noi procediamo camminando per risparmiare energie in vista delle future (e numerose) salite ancora da affrontare; Renzo mi racconta dell'ultra trail che sta organizzando per quest'autunno ad Arenzano, il Rensen, illustrandomi nei dettagli il percorso per invitarmi a correrlo. Giunti a Notre Dame de la Gorge inizia la lunga e dura salita (in 9 kilometri si superano 1270 metri di dislivello) della Croix du Bonhomme, che si presenta subito con un tratto ripido e faticoso ma per fortuna in seguito le pendenze diminuiscono un po'. Al ristoro di La Balme il freddo inizia a farsi sentire così approfitto di un bel falò per cambiarmi al calduccio ed indossare la maglia a maniche lunghe, prima di far di nuovo man bassa di pane e formaggio.
Salendo poi verso il col du Bonhomme, Renzo mi fa notare lo scenario spettacolare in cui siamo immersi: sotto un cielo terso trapunto da centinaia di stelle vi è un lungo serpentone di migliaia di luci (frontali) che risalgono non senza fatica l'erto pendio verso una meta ancora molto lontana ...
La solennità del momento non impedisce comunque un piccolo errore di percorso, nonostante le segnalazioni con tanto di catarinfrangente siano piuttosto abbondanti, ma con un taglio a mezzacosta tra erba ed arbusti ci riportiamo sulla retta via. L'ultimo tratto di salita verso il refuge de la Croix du Bonhomme non è molto duro, e lo facciamo piuttosto bene superando parecchi concorrenti nonostante io debba sostituire "al volo" la frontale che funziona un po' ad intermittenza; al rifugio ci concediamo solo una bevuta veloce (anche perchè non c'è niente da mangiare) prima di tuffarci nella ripida discesa verso Les Chapieux. Anzi vista la ripidità del sentiero che oltretutto è anche piuttosto umido, sassoso e sdrucciolevole bisogna far attenzione che una scivolata non finisca veramente con un bel tuffo in uno dei numerosi ruscelletti presenti lungo il percorso. Così lascio andare Renzo, che scende come un fulmine, e procedo stile "più piano di così non si può": è vero, la velocità è prossima a quella di un corteo funebre, però preservo muscoli, articolazioni e tendini per i giorni a venire, oltre a non rischiare una più veloce ma anche dolorosa discesa a capriole e ruzzoloni.
Per fortuna il tratto più impegnativo non è lunghissimo e, dopo aver raggiunto una comoda strada sterrata, in breve sono in vista di Les Chapieux. Poco prima di entrare nel villaggio dove ci attende, nonostante l'ora tarda (sono da poco passate le 3 di notte), la consueta folla esultante vengo raggiunto da due ragazzi emiliani, Katia e Nicola. Anche qui il ristoro è veramente ricco e ben fornito (per chi lo desidera c'è anche un cambio pile per la frontale): mi accontento di pasta e fagioli, pane, formaggio, prosciutto, birretta e dolce, tanto per gradire ...
Adesso si attacca l'interminabile salita del col de la Seigne, 10 kilometri che sembrano non voler finire mai. Per la prima metà comunque la pendenza non è proibitiva, ci sono parecchi falsipiani e persino un tratto di leggera discesa dove si riesce anche a correre un po', poi però si lascia la larga e comoda strada sterrata per imboccare un sentiero che sale ben più ripido verso il colle. Anche qui si incontra qualche tratto umido e fangoso, ma nel complesso le condizioni del terreno sono più che buone. Le lunghe dormite dei giorni scorsi funzionano, problemi di sonno non ne ho, cerco solo di non pensare a quanto ancora sia lunga la corsa per non crearmi qualche pericolosa paranoia mentale che porti ad un'inevitabile crisi con conseguente ritiro. Finalmente raggiungo il col de la Seigne dove trovo ad attendermi, oltre al controllo, anche qualche raffica di vento freddo, così inizio subito la discesa che fortunatamente risulta agevole e piuttosto veloce lungo un evidente sentiero solo a tratti un po' sassoso sino al sottostante Lac Combal. Qui ritrovo Katia e Nicola, che mi avevano staccato in salita, mentre usufruiscono del ristoro: io, visto il clima ancora piuttosto freddo preferisco non fermarmi molto e riparto da solo dopo una breve sosta comunque necessaria per assaggiare la mocetta e la toma locale.
Dopo un breve tratto in pianura ci aspetta la salita all'Arete du Mont Favre, non molto lunga ma piuttosto ripida, seguita da una serie di saliscendi che precedono la discesa verso il col Checrouit, che grazie all'arrivo del sole mi faccio in maniche corte. Poco prima di giungervi però sono costretto ad una riparazione fortuita di una stringa; bè, mi vien da pensare, finchè sono solo le stringhe delle scarpe a rompersi poco male ... La successiva discesa su Courmayeur si deve compiere dapprima per prati, quindi lungo un'ampia e polverosa pista da sci, ed infine lungo un bel sentiero nel bosco che conduce all'abitato di Dolonne, da dove in breve si raggiunge il centro sportivo. Sono ormai le 9 e un quarto del mattino; qui è previsto anche il cambio indumenti, ed infatti una solerte addetta dell'organizzazione controlla il mio pettorale e mi consegna la sacca prima di entrare nel palazzetto. All'interno abbiamo una sorpresa: il ristoro è stato allestito al secondo piano del palazzetto e per guadagnarcelo dobbiamo farci un'ulteriore rampa di scale. Ma la sorpresa peggiore ce l'ho quando apro la sacca e fanno capolino due bei sacchetti di sale: ma chi cazzo ha messo 'sto sale nel mio sacco?!?
Poi, all'improvviso, l'illuminazione: controllo l'adesivo col numero di gara e ci trovo un bel 3233 peccato, stavolta alla lotteria di Courma mi è andata male, io sono il 3323!!!
Sacramentando in brianzolo stretto ridiscendo di corsa la rampa di scale, spiego ringhiando ad un addetto che vuol impedirmi di uscire cosa mi è successo e finalmente entro in possesso della mia sacca, stavolta controllando per bene che il numero corrisponda prima di risalire al piano di sopra ...
Tornato al ristoro non sono dell'umore giusto per gustarmi il piatto di pasta che mi viene offerto, così sistemo lo zaino prendendo dalla sacca del cambio solo qualche pezzo di grana (dei quali uno me lo mangio subito), gli integratori e il cappellino, ed inserendovi anche la maglia a maniche lunghe (che risulterà perfettamente inutile fino a stasera) prima di ripartire alla volta della val Ferret.
All'uscita del centro sportivo trovo ad attendermi mamma, Titti e Marti che mi chiedono come mi sento e a che punto sono del percorso. A livello fisico posso dire di stare ancora abbastanza bene, anche se la prospettiva di aver già percorso 78 kilometri e quasi 4300 metri di dislivello è decisamente più gratificante del fatto che mi manchino ancora 88 kilometri e poco più di 5100 metri di dislivello. Se penso che è come se partissi adesso per il Gran Trail della Valdigne che ho fatto il mese scorso mi viene da piangere ...
Dopo avermi accompagnato fino al centro di Courmayeur, la famiglia mi lascia solo al mio destino.
All'inizio della salita verso il rifugio Bertone (800 metri di dislivello) ritrovo Renzo, che a Dolonne si è visto negare una doccia perchè per poterla fare occorreva nientemeno che il permesso del medico; personalmente invece ho deciso di non lavarmi finchè non arrivo a Chamonix, e se non dovessi farcela pazienza, vuol dire che non mi laverò almeno fino all'anno prossimo!!
Dopo un tratto su asfalto per uscire da Courmayeur la salita prosegue non troppo ripida ancora per un po' lungo una comoda strada sterrata, sino ad un bivio dove si imbocca un erto sentiero reso ancor più duro dal caldo che qui si fa davvero sentire. Io il caldo lo odio da sempre, così passo un momento di crisi che però supero brillantemente, riagguantando prima del Bertone tutti i concorrenti che mi avevano superato e forse anche qualcuno in più: uno di questi, svizzero o francese, mi chiede se sono lo stesso che un quarto d'ora fa sembrava quasi in coma ...
Dal rifugio il percorso prosegue lungo un bel sentiero a mezzacosta ricco però di strappetti e saliscendi, dove la fatica è comunque alleviata dal panorama mozzafiato che possiamo godere su Monte Bianco, Grandes Jorasses e vette limitrofe; anche il caldo si fa sentire di meno, grazie alla quota e ad un po' di brezza fresca e gradevole. Qualche trailer approfitta anche delle numerose piantine di mirtilli per un ristoro fuori programma. In alcuni punti il sentiero si presenta umido e scivoloso a causa dei soliti ruscelli che tagliano il pendio. Con un ultima breve ma ripida salitina siamo al rifugio Bonatti, dove ci viene offerta della pasta in brodo con formaggio che ovviamente mi guardo bene dal rifiutare; da qui si continua ancora per un buon tratto con la serie dei saliscendi prima di compiere la vera discesa, facile e senza problemi, verso Arnouva in alta val Ferret. Al ristoro faccio il pieno del camel-back, non prima però di aver gustato mocetta e formaggio locale. Devo anche dare una sistemata all'altra stringa che ha deciso pure lei di rompersi: per adesso posso ben dire che sono ben più rovinate le scarpe delle gambe!
Anche la famiglia è salita fin qui per incitarmi (e, come dice la Titti, per vedere se sono ancora vivo): vedere mia figlia che sorride e applaude me e gli altri trailers è una bella iniezione di fiducia ...
La salita del Grand Col Ferret (tetto della corsa, con i suoi 2537 metri) non è lunghissima ma decisamente dura per via di vari tratti ripidi (quasi 800 metri di dislivello da superare) e del caldo, che si fa sentire specie nella parte iniziale. Renzo preferisce salire tranquillo così io allungo, anche perchè sono convinto di essere in ritardo rischiando addirittura di arrivare fuori tempo massimo. Tutto questo in realtà è frutto di calcoli totalmente sballati partoriti da una mente annebbiata che avrebbe un gran bisogno di dormire almeno un po' per tornare a ragionare meglio, ma prima di scoprire l'arcano mi faccio tutta la salita "a palla". In cima, dopo il posto di controllo, mi accorgo che aver percorso 100 kilometri con 6300 metri di dislivello in 20 ore e 16 minuti non è poi così male ...
La discesa lungo la val Ferret svizzera avviene, come per la salita, su un bel sentiero ampio e corribile; anche il clima si è fatto più gradevole, grazie ad un po' di brezza fresca d'alta quota. Alternando i tratti di corsa con quelli di camminata raggiungo l'alpeggio di La Paule, dove si trova un punto-acqua che sino ad un paio d'anni fa era un vero e proprio ristoro, quindi la discesa si fa più boschiva con vari tratti di falsopiano e qualche saliscendi, su terreno piuttosto umido ed a tratti fangoso e scivoloso; il sentiero a tratti è piuttosto stretto ed in un punto leggermente esposto è stata sistemata anche una corda fissa.
Un ultimo tratto piuttosto ripido di discesa attraverso un bel bosco di abeti e giungo sulla strada asfaltata che in breve conduce a La Fouly, dove finalmente si trova un ristoro serio: oltre alla solita minestra non disdegno qualche fetta di pane con prosciutto e formaggio svizzero. Mentre mi rifocillo suona il telefonino: è mia sorella Barbara che vuol sapere dove mi trovo; saputo che sono ancora a 58 kilometri dall'arrivo, da brava allenatrice mi consiglia di non aspettare a cascare (letteralmente) dal sonno, ma di fermarmi un po' prima a schiacciare almeno un pisolino. Riparto quindi lungo una bella e comoda strada sterrata che presenta qualche falsopiano alternato dolci discese, ed anch'io intervallo brevi tratti di corsa leggera con lunghi tratti camminando di buon passo. Ad un tratto mi sento chiamare nel mio dialetto ("Uei ti, cumasch!"): dapprima penso sia uno scherzo causato dalla carenza di sonno ma poi mi raggiunge da dietro Franco di Como che, lasciata la compagnia di Silvia e Maurizio (li avevo raggiunti e superati sulla salita del Grand Col Ferret), si avvia verso Champex lanciato come un treno. Ci salutiamo dandoci appuntamento per l'arrivo, tentare di seguirlo anche solo per un breve tratto potrebbe essere un più che probabile suicidio.
La discesa vera e propria finisce, e la stradona lascia il posto ad un sentiero boschivo ricco di saliscendi che porta con un'ultima breve discesa al villaggio di Praz de Fort, dove alcuni ragazzini svizzeri si sono dati da fare allestendo un ristoro volante con acqua, frutta secca e cioccolato. Dopo aver attraversato tutto il paese e frazioni limitrofe tra gli applausi della gente e i muggiti delle vacche indigene, inizia la salita verso Champex Lac. Sono solo 450 metri di dislivello ma si fanno sentire non poco, specie nel tratto iniziale dove il sentiero presenta alcuni tratti ripidi. Comunque, a dispetto della stanchezza, riesco a salire bene con passo veloce e senza troppa fatica.
Al culmine della salita si trova il mega ristoro di Champex; all'ingresso del tendone, veniamo chiamati per nome da uno speaker che invita (come se ce ne fosse bisogno ...) il pubblico ad incoraggiarci. Una ragazza mi porge la sacca del cambio. All'interno è pieno di gente, si fa fatica a trovare un posto per sedersi a mangiare qualcosa, ma alla fine un buco per gustarmi la pastasciutta svizzera lo trovo. Lo chef, forse perchè si è accorto che sono italiano, prima di servirla la manteca a dovere con un'abbondante dose di burro e formaggio poi, mentre mi dirigo alla zona-cambio, concludo la cena con plum cake e caffè.
In vista della seconda notte (perchè nel frattempo si è fatta sera) opto per un cambio completo tranne che per le scarpe, che peraltro non ho neanche pensato di portare.
Poco dopo le 8 di sera riparto, non resta da fare che poco più di una maratona ma i 123 kilometri che ho nelle gambe conditi da quasi 7000 metri di dislivello la renderanno ancor più dura di quanto non lo sia già di suo. Usciti dal paese dopo un tratto su mulattiera boschiva in leggera discesa dove, dato il buio incombente, occorre accendere di nuovo la frontale, si prosegue su sentiero con un po' di su e giù sino all'inizio della terribile salita della Bovine. Purtroppo è esattamente come me l'avevano descritta, forse anche peggio: ripidissima, tanto che per superare alcuni brevi salti rocciosi occorre usare anche le mani, ed ingombra di radici e sassi spesso muschiosi e scivolosi che nei pressi dei soliti ruscelli da attraversare lasciano spazio al fango (e meno male che non piove ...). Anche il clima, del resto, è decisamente umido, oltre che piuttosto fresco. Sono così stanco che ormai non ho più neanche il fiato per imprecare quando scivolo o inciampo, le parolacce mi limito a pensarle ... Inoltre la mancanza di riposo mi sta provocando improvvisi e radicali cambi di umore: nel giro di un paio di minuti passo dall'entusiasmo per un traguardo non più lontanissimo al pessimismo più nero riguardo tutta la fatica che ancora devo fare, e viceversa.
Ma anche la più maledetta delle salite ha una fine, e così al termine del tratto più bastardo un lungo e panoramico traverso a mezzacosta con bella vista verso il fondovalle dove brillano le luci di Martigny conduce al ristoro dell'alpeggio di Bovine, dove è d'obbligo un bel caffè caldo sia per svegliarsi bene in vista della discesa che per combattere il vento freddo che nel frattempo ha cominciato a farsi sentire.
Dopo aver indossato anche la maglia a maniche lunghe, supero un ultimo breve tratto di salita prima di iniziare la discesa, che si preannuncia brutta e ripida quasi quanto la salita.
Anche qui radici e sassi scivolosi la fanno da padrone, ed il fango abbonda anche più che in precedenza; inoltre, nonostante il caffè, il sonno inizia a far sentire sul serio i suoi effetti nefasti. Scendo pianissimo con la massima attenzione a non scivolare di brutto, ma gli occhi fanno fatica a rimanere aperti e mi gira anche un po' la testa. Con un tratto particolarmente fangoso raggiungo un piccolo villaggio dove termina la parte più difficile della discesa; infatti, dopo una breve salita su strada sterrata, un bel sentiero solo a tratti un po' ripido conduce in una ventina di minuti a Trient.
Anche qui il ristoro è ben fornito, io scelgo il formaggio ed una specie di wusterone locale; prendo anche il caffè ma non lo bevo, lo tengo per quando avrò finito il riposino che ho deciso di concedermi. Nel percorrere i cento metri tra la tenda del ristoro e il locale massaggi adibito anche a "sala di riposo" tremo dal freddo tanto che rovescio sulle mani un bel po' di caffè bollente, meno male che se non altro ho i guanti ... E' da poco passata l'una di notte, chiedo di poter dormire un'oretta e mi viene indicato un materasso provvisto di coperta di lana: non è neanche necessario che per la sveglia debba puntare orologio o telefonino, una ragazza molto gentile mi avvisa che mi chiamerà lei fra un'ora esatta. Ho raggiunto un livello di stanchezza tale che nonostante il casino che proviene dall'attiguo locale massaggi (dal quale peraltro siamo separati solo da un tendone) riesco a farmi una dormita di una quarantina di minuti filati, ma poi tra il russare di qualcuno che ha il sonno ben più pesante del mio e il vociare di dottori e infermieri decido di rinunciare all'ultimo quarto d'ora di riposo lasciando la branda ad un ragazzo spagnolo appena arrivato. Se non altro non crollo più dal sonno come nella discesa della Bovine ed anche le gambe girano molto meglio; peccato che ci sia subito da affrontare l'ennesima, e fortunatamente penultima, salita.
La Catogne presenta un dislivello simile alla Bovine (circa 800 metri) ma è decisamente meno ripida: si sale lungo un sentiero boschivo facile e sempre piuttosto ampio, un po' impervio solo in qualche tratto. Chiamo Barbara a casa (l'unica che posso disturbare a quest'ora) per farle sapere che se tutto va come deve andare in mattinata sarò a Chamonix, e lei di rimando "Dai, che è quasi fatta!". Appunto, penso tra me, è il "quasi" che mi preoccupa ancora un po'...
Il clima è fresco, decisamente umido ma non freddo; qualcuno, che stupidamente non ha voluto approfittare dei comodi materassi di Trient, preferisce fermarsi a schiacciare un pisolino sull'erba umidiccia ai lati del sentiero. Al termine del tratto nel bosco si continua per pascoli su pendenze non eccessive sino a guadagnare il ristoro al culmine della salita, dove prendo solo un po' di coca cola. La discesa non è molto bella, di certo meglio della precedente ma decisamente fangosa e con qualche tratto ripido; fortunatamente testa e gambe rispondono ancora discretamente, così riesco anche ad evitare di schiacciare un piccolo topolino che decide di attraversare il sentiero passandomi quasi sotto la suola delle scarpe. Raggiunta una sassosa ma facile pista da sci cerco inutilmente di scrutare il fondovalle alla ricerca delle luci di Vallorcine, ma sembra che non ci si debba arrivare mai; il mix di sconforto e stanchezza che mi attanaglia mi spinge a considerare l'idea di fermarmi a dormire ancora un pochino, visto che ormai ho qualche ora di vantaggio sul tempo massimo, ma poi reagisco all'intorpidimento (certamente più mentale che fisico) intimandomi che la prossima dormita non sarà prima di Chamonix.
Finalmente, con un ultimo tratto di discesa lungo un sentiero boschivo che presenta ancora qualche breve saliscendi, raggiungo Vallorcine. Visto che, come fa ben notare un grande cartello posto all'interno del tendone del ristoro, ormai sono a 18 kilometri dall'arrivo e che questo è l'ultimo ristoro "consistente" della corsa ne approfitto per la colazione (sono quasi le 6 di mattina) con formaggio, torta e minestra, ovviamente in ordine sparso ... Faccio anche un salto dal medico per farmi mettere un po' di pomata anti-infiammatoria e di ghiaccio spray sul ginocchio destro che ogni tanto mi lancia qualche fitta di dolore affaticato da quasi 36 ore di continue salite e discese.
Mentre sto per ripartire ritrovo Renzo, così ci avviamo insieme di buon passo verso gli ultimi mille metri di dislivello ancora da compiere. E' ancora piuttosto buio e nel rimetterci in movimento dopo un po' di sosta sentiamo parecchio il freddo, complice anche il fatto che all'interno del tendone del ristoro funzionava una bella stufa, ma come al solito dopo un breve tratto di strada riusciamo a scaldarci.
Tanto per cambiare si sale ancora per fortuna non molto ripidamente, stavolta verso il Col des Montets, per strade sterrate ed ampi sentieri tra i prati cosparsi di brina mattutina. La luce dell'alba si fa più consistente, tanto che la frontale diventa inutile. Intanto Renzo, che non si è ancora fermato a dormire, viene colto da un potente attacco di sonno tanto che nonostante i miei incitamenti a tener duro visto la vicinanza dell'arrivo decide di sedersi su un comodo sassone per schiacciare almeno un pisolino; lo rivedrò solo all'arrivo ... Al Col des Montets mi tolgo l'ormai inutile frontale e la maglia a maniche lunghe confidando nell'ormai prossimo arrivo del sole, anche se una rapida occhiata al cielo ingombro di nuvoloni grigi mi fa capire che sicuramente oggi la giornata non sarà granchè soleggiata.
Sulle prime rampe della salita della Tète aux Vents mi accodo a due francesi che stanno concludendo la Petite Trotte à Léon senza il terzo membro del team: da quest'anno infatti è stata inserita anche questa prova a squadre che prevede un tracciato di 220 kilometri e 17000 metri di dislivello positivo da compiere in autosufficienza in un tempo massimo di 100 ore. All'inizio però penso che anche loro stiano facendo l'UTMB ma poi, dopo una mia lieve rimostranza verso gli organizzatori circa l'utilità di inserire anche quest'ultima salita dopo l'elevata quantità di dislivello già superato, il ragazzo davanti a me si gira sorridendo mostrandomi il suo pettorale; ok, come non detto ...
Comunque non sto per niente male così, nonostante i due francesi salgano già con un ottimo passo, a metà salita aumento il ritmo e me ne vado. Recupero diversi concorrenti, per molti dei quali quest'ultima ascesa si sta trasformando in una vera Via Crucis dato che la salita, pur non lunghissima, è piuttosto dura con vari tratti ripidi. Intanto si fa giorno, ma il cielo rimane plumbeo con le nubi che coprono le vette del Bianco e delle Aiguilles de Chamonix, anche se il clima non è per niente freddo.
Il sentiero è sempre ben tracciato, ed in alcuni tratti supera anche qualche fascia di facili roccette. Superata la tenda del posto di controllo della Tète aux Vents, posto a 10 kilometri dall'arrivo, si devono ancora affrontare alcuni saliscendi prima di guadagnare l'ultimo ristoro de La Flégère. Qui non mi fermo neanche un secondo, ho il camel-back praticamente pieno e ormai mancano solo 6 kilometri, quasi tutti di discesa, così decido di provare a correre il più possibile. Dopo un'ultima salitella che brillantemente riesco a fare di corsa (anche se breve è pur sempre quella che porta il totale del dislivello positivo a 9400 metri ...) inizia finalmente la discesa verso Chamonix, dapprima lungo una pista da sci nella sua sassosa versione estiva per poi proseguire lungo un bel sentiero boschivo ampio e facile che scende con degli ampi zig-zag senza grosse pendenze. Anche quando si presentano tratti pianeggianti piuttosto lunghi riesco a correre con discreta continuità, superando vari concorrenti che procedono al passo. Oltrepassato un caratteristico e panoramico chalet-ristorante la discesa diviene corribilissima, lungo una strada sterrata piuttosto ampia e mai troppo ripida. Incontro alcuni escursionisti che mi incitano con il consueto entusiasmo, ai quali rispondo come sempre con un ringraziamento, un sorriso e un accenno di saluto: quando poi sento dire che mancano poco più di due kilometri alla fine riesco perfino ad aumentare ancora un po' la velocità.
La fine dello sterrato e l'inizio dell'asfalto mi fanno capire che ormai ci sono, qualcuno mi grida che manca meno di un kilometro. Forse dovrei prepararmi allo sprint finale ma preferisco godermi fino in fondo il finale di questa splendida avventura; in fondo sto già correndo decisamente bene e poi questo momento me lo sono immaginato così tante volte dall'inizio dell'anno ad oggi ...
Il pubblico che questa mattina affolla il centro di Chamonix si fa sempre più numeroso: sono da solo così applausi e complimenti sono tutti per me, in molti mi incitano chiamandomi per nome. Mi viene un groppo alla gola, ormai faccio quasi più fatica a ringraziare che a correre ... Faccio in tempo a scorgere solo di sfuggita mia mamma con in braccio Martina e subito dopo la Titti che, colta di sorpresa, non fa neanche in tempo a fotografarmi. Ultima curva, poi il rettilineo d'arrivo che percorro per buona parte con lo sguardo fisso sullo striscione del traguardo: 39 ore, 18 minuti e 24 secondi di fatiche ed emozioni indimenticabili, quasi stento a crederci ma è davvero finita!!
Monsieur Poletti si complimenta personalmente con me stringendomi la mano sulla linea del traguardo e facendomi presente che finire l'UTMB al primo tentativo non è per niente male, tenendo presente che anche oggi la metà dei partenti si è ritirata strada facendo ...
Dopo essermi riunito ai famigliari in trepida attesa ci rechiamo al palazzetto dell'ENSA per recuperare le sacche dei cambi di Courmayeur e Champex quindi, dopo una bella doccia ritemprante, ci avviamo verso casa con una doverosa sosta per il pranzo a Courma durante il quale, complici le ultime due notti insonni, riesco perfino ad addormentarmi con in mano una bella fetta di pizza!


Andrea Galimberti
31 marzo 2009

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