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Huascaran

Via normale, cima nord

10-21 agosto 2004
Andrea, Tiziana

Alla fine, ci siamo! No, non è tanto la prima "spedizione" extraeuropea del Green Rock Alpine Club ma piuttosto il matrimonio tra me e Titti il 29 luglio: dopo quasi nove anni di fidanzamento era proprio ora ... Come acclimatazione per il Perù, un paio di giorni dopo ci rechiamo in Svizzera per una mini luna di miele sullo Stralhorn. Poi, mentre Titti va a Diano Marina per quattro giorni con i suoi genitori,

L'Huascaran dalla 'plaza' di Musho

con Sly e Mirko completo l'allenamento salendo il Monte Bianco e la Piramide Vincent sul Monte Rosa (l'obiettivo era il Nordend ma, stranamente, abbiamo trovato un tempo infame!).
Faccio appena in tempo a tornare a casa, preparare con Titti armi e bagagli e, finalmente, l'11 Agosto si parte!
Dopo qualche problemino col computer del check-in (attesa di mezz’ora per avere i posti sull'aereo) partenza dalla Malpensa sotto un cielo plumbeo e, dopo aver viaggiato al sole sopra le nuvole, atterraggio a Madrid con tempo soleggiato a mezzogiorno. Sosta di tre ore, quindi decollo per la trasvolata dell’Atlantico che si conclude tranquillamente a Bogotà dopo quasi undici ore (Titti, dopo un paio d'ore di volo non ce la faceva già più e voleva scendere). Appena sbarcati, subiamo un'accurata perquisizione fisica da parte della “policia” locale, perennemente alla ricerca di droga e armi da fuoco (anche loro, del resto, hanno pistole e parecchie pallottole bene in vista ...) quindi, dopo altre tre ore di sosta, cambio di aereo e ripartiamo per Lima, dove atterriamo a mezzanotte e mezza (ora locale). Dopo il controllo passaporti, le efficienti guardie doganali peruviane organizzano una specie di lotteria: si deve premere un pulsante, se si accende la luce verde si può andare, se invece si accende il rosso bisogna svuotare la valigia per un controllo minuzioso e scocciante;

Titti e Uwe si intrattengono con un 'burro' in attesa di salire al base

fortunatamente grazie anche ad un peruviano conosciuto in aereo il quale sostiene che pigiando con decisione di solito non si hanno problemi, tutto va per il meglio. Espletate le formalità doganali arriviamo finalmente in albergo per una buona dormita.
Il mattino seguente, colazione all’americana (abbondantissima) con dolci vari, caffè, thè, mate de coca, uova, pancetta, salsicce, formaggio, patate tostate ...
Nel pomeriggio partenza in bus per la Cordillera Blanca; ancora prima di raggiungere la deserta costa del Pacifico la foschia tipica di Lima si dirada ed il tempo diventa splendidamente soleggiato.
Il viaggio ci dà modo di toccare con mano la realtà sudamericana: ad ogni fermata del bus uomini, donne e soprattutto bambini si avvicinano per cercare di vendere acqua, frutta e altre cose per guadagnarsi qualche sol (centesimi di euro) che gli permettano di tirare avanti. Mentre risaliamo i tornanti che portano al passo di Conococha (4080 m.), Titti chiede ad un ragazzo peruviano che è seduto di fianco a noi (anche lui guida Andina di Huaraz) se in inverno la strada venga chiusa per la neve: lui la informa che intanto adesso è inverno (siamo nell'emisfero Australe) e che comunque il limite delle nevicate non scende quasi mai sotto i 5000 metri. Arriviamo a sera a Huaraz (3090 m.) dove veniamo accolti da Josè Chacon, il “capo” della Casa de Guias, il quale dopo averci offerto due mate de coca, ci illustra il programma dei prossimi giorni.

Primo sopralluogo al rifugio Don Bosco: l'Huascaran, alle spalle, si fa sempre più incombente

Sembra che la via normale per l'Huascaran Sur (6768 m.), la vetta principale, sia impraticabile a causa di enormi crepacci poco sopra il colle della Garganta, che separa la cumbre Sur dalla Norte (6654 m.).
Quest'ultima diventa così il nostro obbiettivo, non da poco peraltro: infatti, pur essendo di un centinaio di metri più bassa, tecnicamente è più impegnativa.
Il 13 Agosto, dopo l'ennesima colazione all’americana alla Casa de Guias, partenza per Musho con la nostra guida Mesias, il cuoco Jaime e il portatore Pablo; si unisce a noi anche Uwe, un "dottore" in matematica tedesco di 20 anni che si sta facendo da solo un mesetto di trekking nelle Ande pur non parlando una sola parola di spagnolo (come faccia a intendersi con l'inglese, visto che qui non lo parla praticamente nessuno, è un mistero).
Durante il viaggio riesco anche a scattare alcune diapositive, nonostante l'autista del nostro mini bus sia un pazzo che ci prova gusto a fare il pelo a ogni cosa e a guidare come se fosse in pista a Monza. Dopo vari sobbalzi sul fondo sterrato dell'ultimo tratto della “caretera”, eccoci a Musho, dove mentre caricano i muli (burros) con il materiale necessario per il campo base, noi espletiamo le formalità burocratiche compilando i visti d'ingresso al parco nazionale dell'Huascaran.
Mentre aspettiamo che Mesias finisca di compilare le scartoffie necessarie, mi viene in mente il cioccolato che avevo preso a Lima in vista del viaggio in bus fino a Huaraz. Come lo tiro fuori dallo zaino, due bambine mi si fanno incontro con gli occhi sgranati gridando estasiate "chocolate!"

Jaime e Pablo verso il campo I: sullo sfondo, minacciosa, la 'canaleta'

e guardandolo come se fosse la cosa più preziosa del mondo: lo divido in due e mi vergogno come un ladro di avere solo questo misero pezzo, invece di un paio di chili di dolcetti vari ...
Arriva anche Mesias e si parte: lungo una pista ottimamente tracciata attraverso piantagioni di eucalipto che si trasforma in alto in un buon sentiero che risale un costone un po' ripido, con un clima fin troppo caldo per la quota a cui siamo, dopo 3 ore e mezza io, Titti, Uwe e Mesias raggiungiamo il base a quota 4200 metri, mentre Pablo, Jaime con gli "arrieros" e i "burros" arrivano poco dopo.
Incontriamo anche il gruppo di Olgiate Comasco che son saliti in cima ieri; quando mi avvicino e mi rivolgo a loro in dialetto brianzolo, mi guardano come se fossi un fantasma!
Ci parlano di un freddo polare (-30°C) e di un pendio di ghiaccio a 60° (le guide dicono 40°), ma forse c’è un po' troppa immaginazione comasca ...
Si fa anche ora di cena, e qui Jaime e Pablo danno il meglio: dopo una zuppa di verdure, ci viene servita una trota locale con contorno di insalata, pomodori e patatine fritte, ed infine macedonia, caffè e mate de coca; una cena che in Italia è impossibile trovare in qualsiasi rifugio e che qui ci viene servita a 4200 metri. Infine, dopo una chiacchierata con Uwe nella tenda-mensa, è ora di andare a letto.
Il giorno seguente, è dedicato all'acclimatazione. Solita colazione abbondante e partenza per il ref. Huascaran, costruito dai volontari italiani dell'Operazione Mato Grosso e da migliaia di ragazzi degli oratori della Cordillera e dedicato a Don Bosco. Sotto un cielo splendidamente sereno ed azzurro, con pochissimo vento, io, Titti, Uwe e Mesias risaliamo dapprima roccette non del tutto elementari quindi, per una traccia discreta, siamo al rifugio, dove lasciamo il materiale per domani (Mesias ha portato anche lo zaino di Titti). Dopo un salto di perlustrazione al campo Morrena, torniamo al rifugio per birra e spaghetti, quindi con un vento che va rafforzando, torniamo al base. Per stanotte dormiremo ancora lì, dopo aver gustato l’immancabile mate de coca che Jaime ci prepara non con le bustine tipo thè viste in valle e a Lima, ma con delle foglie intere di coca.
Il giorno di Ferragosto il tempo è ancora splendido ma purtroppo la vendetta di Montezuma mi ha colpito e dopo la diarrea notturna, sono ridotto veramente uno straccio. Oltre a non aver la minima voglia di mangiare, faccio fatica a stare in piedi, altro che a camminare. Nel vedermi conciato male, Jaime mi chiede, preoccupato, se il problema sia la "cabeza": "No, è lo squaraus ... " gli rispondo massaggiandomi la pancia e facendo l'inequivocabile gesto di colui che si siede sul trono per ... legiferare! Lui capisce al volo di che cosa si tratta e dicendomi di non preoccuparmi, mi prepara uno "special thè".

Cumbre norte (sopra) e Cumbre sur dell'Huascaran al tramondo, dal campo I

Mi costringo anche a mangiare qualcosina e prendo infine due pastiglie di Imodium: strisciando, dopo che anche Jaime e Pablo con zaini da 40 Kg. l'uno mi hanno distanziato agilmente, riesco a raggiungere il campo Morrena. Fortunatamente, dopo un paio d’ore in tenda sono già molto migliorato, e riesco anche a gustare la cena di Jaime (siamo ormai a 4800 m.): spaghetti in brodo e carne con patate e prezzemolo. Per sicurezza, prima di dormire, prendo anche una pastiglia per il mal di testa.
La mattina il tempo è una favola, solo nel pomeriggio arriverà qualche innocua nuvola, ed io ho quasi recuperato del tutto. Dopo essere scesi, io e Pablo, al ref. Huascaran ad accompagnare Titti che ci aspetterà qui, ci apprestiamo a salire al campo I (5250 m.) dove resteremo io, Uwe, Mesias e Jaime mentre Pablo, dopo aver portato il materiale necessario per il campo, tornerà al base. Dal campo Morrena al campo I si risalgono dapprima delle facili rocce, sino a raggiungere il ghiacciaio a 5000 metri. Qui occorre mettere i ramponi perchè il tratto iniziale da risalire è abbastanza ripido, oltre che ghiacciato; fortunatamente è anche molto breve, il resto della camminata sino al campo è una "pampa" con pochi ed innocui crepacci. Dal campo Morrena, abbiamo impiegato un paio d’ore.
Nel primo pomeriggio, arrivano sei ragazzi di Verona, che hanno fatto la cima stamattina: ci dicono che i problemi sono il vento gelido e dei tratti un po' ripidi tra la Garganta e la cima, ma i -10°C che ci riferiscono sono già molto diversi dai -30°C di quelli di Olgiate Comasco ... A cena, ottimi gli spaghetti con pomodoro, wurstel e peperoncino peruviano quindi, dopo il mate de coca serale, a dormire, o almeno a provarci.
La sveglia è per le 5 e, dopo il vento notturno, non c’era da dubitare nel bel tempo. La temperatura dentro la tenda è -1°C, fuori non si sa. Dopo la preparazione ed una fugace colazione (Jaime è da ammirare, si fa sempre in quattro) si parte. Un’oretta tranquilla, neve dura che tiene bene e poco ghiaccio, poi si entra nella famigerata “canaleta”, con passaggini su ghiaccio puro e tre crepaccioni veramente insidiosi da superare su miseri ponticelli di ghiaccio. L'ultimo, in realtà, non è un classico ponte di neve, ma una ripida lama (il bordo superiore del crepaccio è almeno quattro metri più in alto del bordo inferiore) che sprofonda nel crepaccio stesso. Comunque tutto va per il meglio, nonostante il vento forte, freddo e costate che ha iniziato a levarsi.

Uwe verso la Garganta alle prese con un crepaccino...

Usciti dalla "canaleta" risaliamo il facile pendio che porta alla Garganta, dove però Mesias ci avverte di essere "muy rapidi" almeno nella prima parte che è minacciata dai seracchi della parete ovest dell'Huascaran Sur. Raggiunto infine anche il sole, eccoci al campo II (5950 m.): nonostante Uwe sia andato un po' in crisi nel finale, abbiamo impiegato solo tre delle cinque ore pronosticate da Mesias.
La tenda la dobbiamo piantare in quattro per evitare che voli via. E per farla stare giù (il vento, molto forte, non smette un secondo) dobbiamo usare le quattro picozze mie e di Uwe, perché i picchetti da campeggio standard non resistono per più di qualche secondo. Come pranzo prugne secche, arachidi, un altro tipo di frutta secca, mate de coca e crackers.
Intanto arrivano anche un po' di nuvole, come ieri del resto, mentre Mesias e Jaime (con i miei ramponi perché dei suoi ne ha uno rotto) partono in perlustrazione per studiare “el camino por magnana”. Io e Uwe inganniamo il tempo chiacchierando e facendo qualche foto: lui trova anche il tempo per riparare il rampone di Jaime con del cordino. La ricognizione dei nostri amici peruviani va a buon fine, e ci dicono che la traccia sembra essere in eccellenti condizioni. Quindi, col vento che sembra diminuire, si cena con zuppa (tipo tage suppe), purè e spezzatino di pollo di Huaraz, poi a nanna. Mi sento bene, ma prendo lo stesso un'altra pastiglia per l'emicrania a scopo preventivo.
Riesco perfino a fare dei brevi sonnellini di qualche minuto. In uno di questi rari momenti, ad un tratto mi manca il respiro e mi sento soffocare. Svegliandomi di soprassalto mi accorgo che il vento ha fatto cedere la tenda dalla mia parte ed il telo mi preme in faccia facendomi mancare il respiro: non mi resta che girarmi dall'altra parte sperando che la tenda non ceda del tutto.
Il 18 Agosto la sveglia è per le 2:30, ma in realtà svegli lo siamo già da un bel pezzo. Uscendo da quel che resta della tenda, notiamo che il vento non è fortissimo, anche se il termometro di Uwe segna -15°C. Colazione con mate de coca e via.

Galis alla Garganta, ultimo campo prima dell'attacco all'Huascaran

Inizialmente il vento si fa un po’ sentire, poi meno. Evitati alcuni grossi crepacci, dalla Garganta, pieghiamo decisamente verso l'Huascaran Norte. Come preannunciato, il pendio si fa ripido.
La frontale di Mesias esala l'ultimo respiro, così gli regalo la mia e proseguo senza, tanto sono abituato, anche se un delicato traverso ed una rampa di neve molto dura a 45° senza pila non sono il massimo, ma si va ancora bene. A tratti la neve diventa più farinosa e si affonda anche un po'.
Ma tanto per cambiare, Alpi o Ande che siano, Giove pluvio ci mette lo zampino e al solito vento già fastidioso di suo, si aggiunge la nebbia e una bella nevicata.
Siamo ormai a 6400 metri. Mesias ci fa notare che “falta” (manca) 1 ora sola alla vetta, e che i tratti più difficili sono alle spalle: dal campo II alla "cumbre" sarebbero 3 ore in totale, un bel record dato che di solito ne occorrono 5, ma poi ce ne vorrebbero altrettante per tornare al campo II ed il tempo non sembra voler migliorare, anzi sembra che faccia sempre più freddo.

Uwe e Mesias a 6200 metri, sopra alla Garganta, col bel tempo

Mi preoccupa in particolare il vento che soffiando con questa intensità non ci impiegherà molto a cancellare le nostre tracce e se a ciò si aggiunge la nebbia sempre più fitta, il quadro è completo ...
Anzi no: bisogna anche considerare il fatto che visto il tempo oggi dobbiamo scendere almeno fino al campo I, perchè se ci fermassimo alla Garganta e il tempo dovesse ulteriormente peggiorare poi sarebbero veramente cazzi amari, dato che il tratto della "canaleta" non è proprio uno scherzo.
Inoltre, arrivare in cima oggi in mezzo alla nebbia e sotto alla neve non mi renderebbe certo più felice di quanto lo sono adesso: sono in Perù da sette giorni e sono arrivato a 6400 metri senza troppi problemi (Montezuma a parte), anzi più sono salito in alto e più sono stato bene! Non ho il minimo dubbio che se il tempo fosse stato migliore, sarei arrivato in vetta. Per me, va bene così.
Faccio presente tutto questo a Mesias, che si convince del tutto quando vede che Uwe, a differenza di me, non sta proprio benissimo: sembra risentire della quota, infatti mentre si gira per iniziare la discesa inciampa e scivola giù per il ripido pendio. Per fortuna qui la neve è molto buona e riesco a bloccarne la caduta piantando le mie due picozze.
Nonostante il tempo infame, arriviamo da Jaime al campo II senza ulteriori incidenti, mentre la nevicata continua e alpinisti e tende sono incrostati di ghiaccio. Dopo una breve sosta per un thè e per smontare le tende, si riparte verso il campo I. La discesa della "canaleta" avviene senza problemi, se si eccettua il fatto che mi tocca far da traduttore volante: mentre cala Uwe nei punti più ostici, Mesias gli indica (in spagnolo) cosa fare e Uwe di rimando chiede a me (in inglese) che cosa voglia da lui.

Galis e Tiziana in compagnia di Uwe, Mesias, Jaime e Pablo al rifugio Don Bosco en los Andes

Mi manca solo di imparare un po' di quechua, l'idioma locale (tra di loro Mesias, Jaime e Pablo non parlano mai in spagnolo) e sono a posto ... Intanto la neve smette di cadere ed esce anche il sole, ma il tempo rimane molto variabile.
Passiamo dal campo I senza fermarci e alla fine del ghiacciaio troviamo Pablo e Titti che ci sono venuti incontro. Appena giunti al ref. Huascaran, per festeggiare il lieto fine dell'ascensione offro a tutti spaghetti, formaggio peruviano, vino bianco cileno, birra e caffè. Il rifugio è bellissimo e non ha nulla da invidiare a quelli alpini: stanzette pulite con letti a castello e bagni con acqua calda, garantita dai pannelli solari. Titti ha passato qui le ultime due notti, stringendo amicizia con il missionario italiano (è originario di Besana Brianza) e le ragazze peruviane che sono di turno a gestirlo. Così io e lei decidiamo di passare in rifugio la notte e per cena ci fanno anche la pizza. Fuori, intanto, ricomincia a piovere.
Il mattino seguente dopo la colazione al rifugio, ci prepariamo a scendere al campo base: Titti regala a Pablo i suoi Koflach e io i miei (più una picca) a Jaime. Il tempo resta variabile, con sole e annuvolamenti anche estesi: comunque molto meglio di ieri. Giunti al base Uwe da buon matematico si mette a fare due conti: in 7 giorni, abbiamo fatto circa 6000 metri di dislivello. Dopo pranzo, pomeriggio di relax in attesa della cena finale: spaghetti in brodo con verdure, pollo all’arancia

Titti 'a cavallo' alla laguna di Quenococha, verso Chavin de Huantar

(carne freschissima, dato che Jaime gli ha fatto la festa stamattina), tortino di riso e dolce di gelatina di frutta, il tutto accompagnato da un buon cabernet cileno. Mi sto sempre più convincendo che il Cile sia una specie di Monferrato del Sudamerica ...
Anche il giorno dopo il tempo è ovviamente splendido, senza una nuvola in cielo: sarà un caso che in 8 giorni l’unica mattina veramente brutta è stata quella in cui dovevamo andare in cima?
Comunque, dopo la solita ottima colazione, scendiamo a Musho con, sullo sfondo, le due eteree cime dell’Huascaran che si stagliano nel cielo azzurro; però, ripensando alle condizioni meteo con freddo, neve, vento e nebbia e alla quota a cui eravamo, nessun rimpianto! Però, se solo il tempo maledetto ... Arrivati i burros e caricato il mini-bus, nel pomeriggio siamo alla Casa de Guias. Dopo una meritata bistecca con Uwe in centro a Huaraz, abbiamo tempo anche per un po’ di shopping.
L'ultimo giorno in Cordillera Blanca lo dedichiamo al turismo, andando a visitare il sito archeologico preincaico di Chavin de Huantar, chiaramente sotto un bel cielo azzurro con poche nuvole che mi fa incazzare ancora di più. Rientriamo a Huaraz in serata e, dopo un’ultima pizza con Uwe, partenza con il bus per Lima.
Ma è pur sempre un viaggio di nozze, così prima di tornare a casa da Lima ci trasferiamo dapprima a Caracas e quindi alle isole di Los Roques, nel sud dei caraibi, per otto giorni di assoluto riposo al sole e al caldo, dove l'impresa più ardua sarà far sparire dei mega piatti di gamberoni alla griglia!


Andrea Galimberti
2005

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