Grandes Jorasses
Punta Walker, via normale, versante sud
La naja che in questo 1994 mi vede impegnato all' Ospedale Militare di Milano prevede che, dopo aver sfruttato a fine Luglio 10 giorni di licenza ordinaria nel Green Rock Tour tra il Cervino e il Monte Rosa, possa prendermi solo licenze di 36 ore nei week-end: bastano e avanzano per tentare qualcosina...
In una sera di inizio Agosto, io e Sly discutiamo dei possibili obbiettivi seduti davanti a un paio di Ceres ad un tavolo del pub "la Virgola", il nostro luogo di perdizione preferito.
Le Grandes Jorasses: la loro parete Nord é uno tra i simboli dell'alpinismo ma anche la via normale lungo il versante Sud-Ovest, pur essendo il modo più semplice per giungere in vetta, non è da sottovalutare per lunghezza, difficoltà tecnica e (soprattutto) pericoli oggettivi.
La salita nel complesso è valutata AD e comporta circa 2800 metri di dislivello dal fondovalle alla vetta che noi dovremo compiere, andata e ritorno, in un giorno e mezzo (scarso...): certamente l'ascensione più impegnativa che abbiamo mai tentato fino a questo momento.
|
|
|
|
|
Vista sul versante sud delle Grandes Jorasses, lungo il quale si snoda il percorso della via normale |
|
Così, nel primo pomeriggio di Sabato 6 Agosto Silvano passa a prendermi e sotto un sole rovente ci avviamo verso Aosta, dove ci aspetta una lunga coda che ci farà perdere del tempo prezioso (non esiste ancora l'autostrada fino a Courmayeur), prima di giungere finalmente a Planpinceux, piccolo villaggio all'inizio della Val Ferret. Il caldo afoso della pianura dopo averci fatto esaurire le riserve idriche che avevamo con noi in macchina é scomparso, anche perché sono ormai le sei di sera. Con qualche difficoltà individuiamo l'indicazione di partenza per il rifugio Boccalatte-Piolti. Preparati coscienzio-samente gli zaini (non si riesce mai a farli leggeri come si vorrebbe) ci avviamo per il sentiero boschivo alla volta del rifugio. Nel tentativo di risparmiare il più possibile sul peso, visto che l'ascensione si presenta lunga e faticosa, abbiamo malauguratamente deciso di portare con noi solo la mitica corda rosa da 20 metri invece di una più consona da 50 metri: scelta che, in seguito, avremo modo di rimpiangere...
Il primo tratto, dove si ha una bella visione del fondovalle, sale abbastanza dolcemente nel bosco.
In seguito vi sono degli strappi più ripidi che portano ad una spianata dove é possibile scorgere il rifugio che sembra piccolissimo su quello sperone roccioso in mezzo al ghiacciaio.
Anche se il tempo non é una meraviglia, da qui é possibile ammirare la superba vetta dell'Aiguille Noire, che si staglia quasi minacciosa nel cielo grigio, nonché tutto il profilo della cresta di Peutérey dalle Dames Anglaises fino alla vetta del Bianco, illuminato dall'ultimo sole ormai al tramonto. L'amenità del luogo mitiga la fatica della salita che continuiamo a condurre di buon passo, fiduciosi di poter trovare ancora qualcosa da mangiare una volta giunti al Boccalatte.
Scendendo per un breve tratto arriviamo ad un ruscello che proviene dal ghiacciaio sovrastante.
Il guado non é dei più semplici, essendo pochi e infidi i sassi affioranti dalle acque, ma per nostra fortuna il ruscello non é molto largo sebbene sia molto impetuoso, e riusciamo a cavarcela con i soli piedi un po' bagnati (qualche anno dopo risolverò la questione attraversando a piedi nudi con gli scarponi in mano...). Risalendo l'erto costone roccioso seguente, veniamo incrociati da due escursionisti che, scendendo, ci avvertono di far attenzione alle scariche di pietre nell'attraversamento del ghiacciaio poco sotto al rifugio, facendoci infine gli auguri per domani. A me vengono in mente gli scongiuri più scurrili, scrutando il cielo percorso da nubi basse e grigiastre. Superato un passaggio attrezzato con corde fisse e una scaletta perveniamo al termine del costone roccioso dove bisogna effettuare l'attraversamento, fortunatamente breve, del ghiacciaio. La preannunciata scarica di sassi, che passa non lontanissimo da noi, ci da la buonasera. Dopo un ultimo tratto di arrampicata facilitato da corde fisse, eccoci finalmente al Boccalatte.
L'ambiente, severo, é grandioso ed in uno squarcio di sereno si scorgono anche le Grandes Jorasses che troneggiano alle spalle del rifugio, mentre sull'angusto terrazzino gli alpinisti fanno i preparativi per l'indomani dato che stanno calando le tenebre e di elettricità qui non se ne parla.
Il piccolo rifugio, spartano ma ben gestito, é d'altronde in perfetta sintonia col grandioso scenario che lo circonda. Osserviamo la preparazione del materiale altrui, pensando alla pochezza del nostro, mentre ci cambiamo: infatti, nonostante il clima si sia fatto decisamente fresco, adeguatamente ai 2.800 m. di altitudine, la salita ci ha procurato ugualmente una solenne sudata. Entrando, ci accorgiamo che contrariamente a quel che pensavamo la cena non é ancora stata servita, anche se ormai sono le otto. Il gestore, pensando che fossimo appena giunti dalla vetta, ci chiede da dove arriviamo e la mia risposta è fulminante: "Da Como!".
Nell'attesa diamo uno sguardo al libro del rifugio dove notiamo che non é poi moltissima la gente che tenta la normale delle Jorasses e che noi, avendo impiegato due ore e dieci a salire da Planpincieux (contro le quattro indicate nella guida) non siamo andati per niente male: il bello, però, comincia domani mattina ...
Consumiamo la cena a lume di candela con accanto a noi alpinisti tedeschi, francesi, spagnoli e qualche italiano: in tutto, saremo una ventina. Il cielo fa ben sperare in quanto le nubi si sono alzate ed é visibile persino qualche stella splendere sopra le Grandes Jorasses. Posti letto disponibili non ce ne sono, così andiamo a dormire sopra la cucina con i ragazzi che gestiscono il rifugio: qualche coperta e il pile come cuscino andranno benissimo.
La sveglia non é poi tanto tragica, anche se sono solo le due. Colazione con marmellata e pane secco invece delle fette biscottate, ultimi preparativi e prima delle tre siamo già in cammino per la Walker. La traccia risale tutto lo sperone roccioso alle spalle del rifugio e non é sempre di facile individuazione, complice anche l'oscurità. Infatti per un breve tratto finiamo, per errore, in un canalone nevoso alla nostra destra salvo riportarci poi sulla spianata nevosa all'inizio del ghiacciaio di Planpincieux, dove tutti sono fermi per calzare i ramponi. Ci attrezziamo anche noi: per oggi, sarò io il capocordata.
Risaliamo il ghiacciaio, la cui neve é già abbastanza molle, fino ad un grande crepaccio, il primo della serie. La traccia continua dritta verso la voragine ma evidentemente deve essere crollato un ponte di neve, perché per superarlo ci vorrebbero le ali. Riusciamo ad aggirarlo con un ampio giro sulla sinistra, manovra che in seguito dovremo ripetere in quanto fino ai Rocher du Reposoir i crepacci da superare saranno parecchi. Intanto il tempo sembra peggiorare, ma per ora non ce ne preoccupiamo più di tanto dal momento che fisicamente e psicologicamente io e Silvano stiamo benissimo: mentre saliamo ci mettiamo anche a cantare, inaugurando così quella che in seguito diventerà una tradizione in particolare per me, suscitando gli sguardi attoniti dei francesi che ci precedono.
All'attacco del Reposoir é necessario togliere i ramponi, mentre comincia a nevicare. I passaggi iniziali sono di un buon III grado, poi diventa leggermente più facile. Cerchiamo di arrampicare come il gestore del Boccalatte ci ha consigliato, mantenendoci sul bordo destro della dorsale rocciosa ed avendo sempre in vista il Couloir Whymper alla nostra destra, impercorribile a causa dei crepacci spaventosi che lo attraversano. Superato il tratto più duro del Reposoir ci concediamo una piccola pausa, mentre anche il tempo che sta migliorando (non nevica più) sembra deciso a darci una mano. Mentre sostiamo, passa una cordata di francesi che ci chiede se, per caso, stessimo meditando di tornare indietro: la risposta di Sly, "No, no, a petit pause!" infonde fiducia ... A mia volta, gli faccio notare che il canalino dei Rochers Whymper dove passa la nostra via di salita e che già intravediamo al di là del canalone nevoso non mi sembra più difficile della via normale ai Corni di Canzo, note vette escursionistiche del triangolo lariano, ma lui non mi sembra molto convinto...
Al termine dello sperone roccioso é necessario rimettere i ramponi per effettuare l'insidioso attraversamento del Couloir Whymper, risalendo dapprima un dosso nevoso piuttosto ripido per passare poi sul bordo di un paio di giganteschi crepacci, infine tagliando a mezza costa il canalone (fortunatamente lungo una buona traccia) sino a raggiungere i Rochers Whymper. E' ancora presto, così non dobbiamo perlomeno preoccuparci delle scariche di sassi e ghiaccio che ci possono arrivare in testa durante il traverso (il casco per noi è un curioso optional che ancora non abbiamo). Qui abbiamo alcuni problemi per togliere i ramponi essendo il pendio alla base delle rocce, che partono subito verticali, ghiacciato e molto ripido, ma riusciamo comunque a fissarli in qualche modo allo zaino ed attacchiamo il canalino roccioso.
"Ma c'è una corda fissa!" avverto Silvano; sebbene sia in uno stato precario, anche grazie a questa corda piazzata chissà quando l'arrampicata, che a prima vista non pareva tra le più facili, si rivela invece abbastanza tranquilla, benché la qualità della roccia non sia delle migliori.
Il tratto roccioso é piuttosto breve; giunti al livello del ghiacciaio delle Grandes Jorasses Superiore abbandoniamo i Rochers Whymper e coloro che risalendo l'intero sperone arriveranno direttamente sulla punta Whymper per puntare attraverso il ghiacciaio verso la Walker, il punto culminante delle Grandes Jorasses.
Nel dirigerci verso l'ultima crestina rocciosa che ci porterà in vetta passiamo sotto al gigantesco seracco il cui crollo l'anno scorso aveva causato la morte dei componenti di due cordate ma, fortunatamente, oggi il manto nevoso sembra tenere. Ad ogni buon conto, la vista di qualche blocco di ghiaccio sparso qua e là consiglia di accelerare l'andatura. Affrontiamo quindi un breve ma ripido pendio nevoso a tratti ghiacciato e, dopo aver superato una piccola terminale, perveniamo alle rocce. L'arrampicata non presenta grandi difficoltà salvo per degli sporadici tratti verglassati dove bisogna porre maggior attenzione e, seguendo il filo della crestina quasi per intero, giungiamo sotto la calotta sommitale della Walker. Uno sguardo verso la vetta ci fa notare come le nubi l'abbiano coperta un'altra volta: con colorite ed estemporanee imprecazioni le convinco subito ad andarsene. Risaliamo rapidamente il dolce pendio nevoso e finalmente ci siamo: sono da poco passate le dieci del 7 Agosto e, sotto uno splendido sole, siamo in vetta!
|
|
|
|
|
Silvano e Andrea in cima alla Punta Walker; alle loro spalle la Punta Whymper; all'orizzonte l'Aiguille du Midì |
|
Attorno a noi alcune delle montagne più belle delle Alpi: il Monte Bianco e i suoi satelliti dominano imponenti sopra Chamonix, l’Aiguille Verte e le Droites sembrano a portata di mano, mentre più in lontananza si stagliano il massiccio del Rosa e l'inconfondibile sagoma del Cervino.
Le reciproche congratulazioni tra me e Sly sono quanto mai calorose, ma non possiamo indugiare più di tanto, abbiamo una lunga discesa da compiere. Così dopo le foto di rito e una barretta energetica ci riavviamo verso valle.
Visto che in parecchi scendono lungo il canalone nevoso che passa tra il grande seracco e i Rochers Whymper e che almeno inizialmente l'itinerario sembra più semplice di quello che abbiamo fatto in salita, anche noi optiamo per questa via. L'inclinazione però presto aumenta, e ci suggerisce di scendere assicurandoci a vicenda ma, per la pessima scelta iniziale, la corda che abbiamo con noi é di soli 20 metri e ci costringe a dei tiri di corda ridicoli.
Così dopo un breve tratto nel canalone, nell'impossibilità di trovare delle soste decenti, usciamo dal canalone cercando di guadagnare la dorsale rocciosa dei Rochers Whymper. La roccia é però pessima ed il pericolo delle scariche di pietre troppo elevato (ne passano, sibilando, anche un paio non lontane); decidiamo quindi di tornare nel canalone proprio mentre il capocordata dei francesi che ci seguivano sta calando i compagni per 50 metri superando il punto più delicato, un imbuto largo un paio di metri tra la roccia ed un gigantesco crepaccio. Con la nostra corda saremmo costretti a dover attrezzare un paio di soste molto aleatorie per poter giungere allo stesso punto.
Per risparmiare tempo e problemi, chiedo al francese di poter utilizzare la sua come corda fissa e, superata così la strozzatura, raggiungiamo la base del canale dove effettuiamo una breve sosta.
Altre pietre si staccano però dalla dorsale rocciosa anche a causa di coloro che stanno scendendo per di là ed una neanche tanto piccola mi sibila a non più di mezzo metro mentre la osservo fisso per cercare di indovinarne la traiettoria: io e Sly ci mettiamo meno di due secondi per capire che è ora di levarsi dalle palle!
Scendiamo quindi l'ultimo tratto di pendio ancora un po' ripido prestando comunque attenzione alla tenuta della neve, particolarmente molle a causa del sole che ora picchia. Riprendiamo i Rochers Whymper esattamente dove li avevamo lasciati prima di inoltrarci sul ghiacciaio delle Grandes Jorasses Superiore alla volta della Walker. Una breve discesa su roccia lungo lo stesso canalino di salita ed una doppia ci portano su di un terrazzino a pochi metri dal Couloir Whymper che occorre riattraversare per giungere di nuovo al Reposoir. Scrutando più sotto poi, riusciamo a scorgere delle persone che hanno già ultimato lo sperone roccioso e si avviano per il ghiacciaio verso il rifugio; e pensare che noi ce l'abbiamo ancora tutto da fare... Una breve doppia, con i ramponi già calzati essendo il pendio ghiacciato sottostante molto ripido, e siamo nel canalone: a Sly, che nel calarsi gli si sgancia un rampone, tocca pure risalire per sistemarselo.
|
|
|
|
|
La cima della Punta Walker |
|
Il traverso é pericoloso sia per le condizioni della neve che per le scariche di pietre sempre possibili dalla cresta sommitale, ma riusciamo a passare senza problemi guadagnando il dosso nevoso alla base del quale inizia il Reposoir.
La ripidezza del pendio richiederebbe un paio di assicurazioni ben fatte, specie per evitare i pericolosi crepacci sulla destra, e giungere così alla sommità della dorsale rocciosa. Scendo io per primo mentre Silvano mi assicura dall'alto facendomi peraltro presente che vista la consistenza della neve (una via di mezzo tra il budino e il purè di patate) l'assicurazione che mi sta facendo con la sua picca è più che altro psicologica, per cui vietato scivolare!
Un paio di grosse scariche, fortunatamente non pericolose per noi, precipitano con un rombo minaccioso sul ghiacciaio di Planpincieux. Raggiunto finalmente il Reposoir, la stanchezza si fa sentire e le pause cominciano a farsi più frequenti ma scendiamo comunque senza grossi problemi.
L'ultimo tratto é il più difficile, come abbiamo già verificato mentre salivamo stamattina: una guida italiana ha attrezzato una doppia da 50 metri per il suo cliente e, anche per evitare eventuali scariche di pietre da parte nostra che ci apprestiamo a scendere in arrampicata, propone a noi ed a una cordata di spagnoli che sono sopraggiunti nel frattempo di aspettare il termine della loro discesa per poi effettuarla a nostra volta. Purtroppo noi, in due, disponiamo di un solo "otto": lo sfrutto io e scendo per primo. La calata, non difficile ma per un paio di punti nel vuoto, permette di raggiungere la base del Reposoir senza dannarsi troppo l'anima. Ora è il turno di Sly: mentre si sta arrabattando per scendere col "el nodo dinamico" (mezzo barcaiolo in spagnolo) gli ispanici, per tagliare corto, gli prestano un loro discensore sicché in breve ci riuniamo.
Ora possiamo rilassarci un attimo anche se prima di giungere al Boccalatte dobbiamo ancora affrontare i pericolosi crepacci del ghiacciaio delle Grandes Jorasses che, per usare un eufemismo, é veramente una schifezza, con la neve ormai ridotta a poltiglia. Con la dovuta attenzione riusciamo a superare indenni quasi tutti i crepacci; quasi, perché quando siamo ormai alla fine Sly scivolando non può evitarne uno che gli si apre sotto ai piedi finendoci dentro con tutte e due le gambe. Lo avviso che se sprofonda dentro del tutto, per lui poi sarebbero volatili per diabetici (cazzi amari) venirne fuori perché a me è rimasta forza sufficiente solo per tener la corda tesa, ma per fortuna riesce a tirarsi fuori da solo quasi subito.
C'é ancora il tempo per un deciso peggioramento atmosferico: le nubi tornano a coprire il sole ed il freddo si fa pungente, mentre cade anche qualche fiocco di neve. Ma ormai, terminato il ghiacciaio, siamo in breve al Boccalatte. Ci fermiamo solo il tempo per mangiare qualcosa, e per farci prendere in giro dal gestore secondo il quale siamo stati in giro un po' troppo tempo: non gli rispondo male perché sono un ragazzo educato ...
La discesa verso la Val Ferret é piuttosto sofferta. Prima del guado, metto giù male il piede sinistro e con la tibia testo la durezza del granito locale. Sembra non debba finire mai ma, quando ormai le gambe non tengono quasi più, ecco Planpinceux. Sono le otto di sera, esattamente 26 ore fa partivamo da qui verso la Walker.
Mentre ancora una volta il sole sta tramontando in Val Ferret, una fitta coltre di nubi copre le Jorasses, proprio come ieri, ma non importa: oggi sappiamo cosa si prova ad essere lassù.
Mi raccomando a Silvano: se non torno in caserma per mezzanotte sono in mancato rientro, ma mentre io dormirò per quasi tutto il viaggio, ci penserà lui a salvarmi il culo!
Andrea Galimberti
2005
|