Mentre il
messo bussava alla porta del padrone, pensò che probabilmente si sarebbe
adirato con lui, per averlo disturbato in quel momento: temendo un ira nei suoi
confronti, mentre entrava cercò di farsi il più piccolo possibile e con poca
voce, fece quello che doveva fare.
Fortunatamente Lord Manshoon era particolarmente interessato alla notizia che
aveva portato e per questo il messo era felice: gli dolevano fin troppo le
piaghe sulla schiena che gli erano state inflitte solamente perché aveva
portato una brutta notizia dal padrone.
- E così gli impiccioni si sono spinti a nord?, chiese Lord Manshoon.
- Si, e sembra che adesso siano a Teshwave.
Lord Manshoon voltò le spalle al messo che gli aveva portato la notizia
e pensò, scrutando la fortezza sotto di lui: quel gruppetto aveva osato
intervenire con i piani suoi e di Kurastan e una delle sette li aveva protetti,
a costo della propria libertà. Loro erano sicuramente arpisti, che stranamente
stavano viaggiando nei territori occupati da Zhentil Keep: la cosa non era per
nulla strana, ma che fossero arrivati così a nord, con una semplice carovana,
era già un problema di per sé: ordinò che i prigionieri fossero portati da
lui, alla cittadella del corvo. Se sapevano qualcosa, lo avrebbe scoperto.
Quando Dobos
si svegliò, le prime immagini che i suoi occhi gli trasmisero erano simili ad
un sogno: era in catene ed era chiuso in un carro che stava attraversando una
passo innevato: aveva la testa che gli doleva e gli faceva male tutto il corpo.
Mentre lottava con la stanchezza e con il sonno, cercò gli altri e vide che
erano tutti li: Falagar, Grifis, Ras e il chierico dalla strana acconciatura,
Naunt. In un angolo c’era anche uno di quei due maghi che li avevano fatti
arrestare.
Dobos, facendo leva con le mani, cercò di mettersi in piedi, ma sentì la
ferita della freccia alla gamba destra: quei bastardi non avevano nemmeno avuto
la cura di toglierla dalla sua gamba! Mentre cercava un modo poco doloroso per
togliersi la freccia dalla gamba, una voce venne in suo aiuto:
- Credo che sia meglio se tu lasci fare a me, disse Naunt, dopo aver visto la
ferita di Dobos.
Dobos scrutò l’uomo e realizzò di non sapere come trattarlo: era
quasi certamente un chierico di Liira, e quindi sapeva farci con le ferite:
almeno non era un chierico di Helm.
- Grazie, .. ma noi non ci siamo ancora presentati, il mio nome è Dobos!
Detto questo Dobos, si avvicinò a carponi al compagno, che nel frattempo stava
invocando il potere della sua dea: la freccia si sfilò facilmente e la ferita
cominciò a rimarginarsi velocemente, anche se il dolore durò abbastanza
affinché Dobos si svegliasse dal tutto.
- Non serve che tu mi ringrazi, Dobos: il mio nome è Naunt Dohan di Aragon e
sono felice di poterti dare una mano.
Detto questo Naunt raccontò una barzelletta, che mise di buon umore
Dobos: quel tipo gli piaceva. I suoi pensieri tornarono cupi quando guardò i
compagni: erano stati catturati e disarmati; in più con loro non c’erano ne
Zeross, ne Eric. Che fine avevano fatto? Che fossero morti nello scontro con le
guardie?
- Dobos, vieni qui a vedere il tuo amico: sembra che stia molto male e io non
riesco a fare nulla per lui, disse Naunt.
Dobos cercò di avvicinarsi il più possibile al corpo di Falagar, ma le catene
gli impedivano di muoversi e perciò vedeva ben poco. Falagar sembrava
delirante: come se stesse sognando un incubo ad occhi aperti. Dobos si chiese
che cosa era successo al suo amico mentre era stato portato via dal drago:
Falagar non era certamente l’uomo più coraggioso di Toril, fatto per cui non
poteva aver rimosso lo shock così velocemente come aveva tentato di far
credere.
Naunt si rassegnò e utilizzò le ultime forze di quel giorno per cercare un
po’ di acqua per Falagar: ogni tentativo di attirare l’attenzione delle
guardie era inutile: aveva solamente svegliato Grifis.
- Grifis, riesci a capire dove siamo?, chiese speranzoso Dobos
Grifis, ancora mezzo addormentato, si sollevò e sporgendosi dalle inferriate
della minuscola finestrella del carro (per quanto gli concedessero le catene),
vide solamente il costone di una montagna: su di essa spirava un vento gelido e
sembrava che il carro stesse viaggiando nel bel mezzo di una bufera di neve.
- Non ho la più pallida idea di dove possiamo essere, disse con voce rauca
Grifis
Ras, che stava seduto in un angolo del carro, disse con tono calmo:
- Stiamo viaggiando verso nord e, per quanto ho capito dalle conversazioni delle
guardie, ci stanno portando alla base degli Zhentarim, alla cittadella del
corvo.
Dobos e Grifis si guardarono e Ras, sospirando cominciò a parlare:
- Dovete sapere che durante il periodo dei disordini, quindici anni fa, mentre
gli dei camminavano su Toril, Zhentil Keep era sconvolta da avvenimenti
sovrannaturali; la città era nel caos più totale, per le lotte per la
supremazia delle varie fazioni. Gli Zhentarim decisero dunque di trasferire la
loro base operativa in luogo lontano, di cui potessero essere i soli dominatori
in totale sicurezza. Per questo costruirono la cittadella del corvo ed, insieme
ad essa, un complesso di fortezze che isola, di fatto, i territori del nord da
Zhentil Keep.
Quando Ras smise di parlare, tutti si incupirono, tranne Naunt, che mantenne il
suo solito sorriso, cercando con tutta la sua abilità (come gli era stato
insegnato dal culto di Liira), di essere comunque ottimista e allegro: incitò
pure una preghiera di gruppo, ma con scarso risultato.
All’ennesimo tentativo del sacerdote, il mago lo zitti:
- Smettila prete!
Dobos si voltò di scatto verso il mago, avendolo dimenticato momentaneamente:
la veste dell’uomo, di un color verde marci, era parecchio logora dopo essere
passati per la prigione e per quel viaggio. Le guardie gli avevano certamente
preso il libro di incantesimi (come del resto avevano fatto con Falagar) e per
questo era totalmente indifeso: solamente le magie che erano ancora impresse
nella sua mente lo potevano salvare dalla fine che li aspettava tutti.
- Che cavolo vuoi?, rispose Naunt incollerito. Prima grazie a te e al tuo amico
finiamo dietro le sbarre, poi, mentre ognuno di noi cerca di dare una mano, tu
te ne stai nel tuo angolo a pensare solo a te stesso. Ma chi ti credi di essere?
- Il mio nome è Eridian e sono un incantatore, che potrebbe anche non salvarti,
se non te ne stai buono e non pensi a quello li, disse Eridian indicando
Falagar.
Naunt si tenne la risposta che voleva dargli nei denti, e si girò verso
Falagar, che stava peggiorando a vista d’occhio.
- E dicci, Eridian, come mai quelle guardi vi inseguivano? Non pensi che
dovremmo almeno sapere perché stiamo finendo nel più grande ricettacolo di
individui malvagi delle terre centrali ?, chiese Ras.
Grifis e Dobos annuirono alla domanda di Ras e si tenevano pronti ad ogni
evenienza: quell’Eridian non li rendeva per nulla tranquilli.
- Sarà un piacere. Bene, vi basti sapere che io sono un mago buono (e non
malvagio!) e che uso le mie arti solo a fin di bene. Si dia il caso che, la
notte in cui ci siamo incontrati, io e il mio amico Menentrex, stavamo cercando
il modo di liberare Teshvawe dagli Zhentarim. Quei loschi individui hanno
proibito la magia in città solamente perché temevano che qualcuno potesse
scoprire la verità, cioè che nelle vicinanze Teshvawe è nascosto un potente
oggetto magico: qualsiasi mago che avesse usato il più semplice degli
incantesimi si sarebbe accorto della potenza dello stesso. Per questo noi
stavamo cercando alcune informazioni, quando le guardie ci hanno scoperto e
siamo dovuti scappare verso la foresta. Menentrex non ce l’ha fatta e, beh, il
resto lo sapete.
Ras non riuscì a chiedergli che razza di oggetto magico fosse, perché Naunt
richiamò la sua attenzione: Falagar stava molto male e sembrava ad un passo
dalla morte.
- Ras, dobbiamo unire le nostre preghiere, finché possiamo fare qualcosa per
lui!, disse Naunt
Ras, annuì ed insieme cominciarono a pregare e, mentre Naunt disegnava
nell’aria simboli invisibili, Ras stava imponendo le mani sul capo di Falagar,
sperando che potesse servire a qualcosa.
- Ehi, voi che diavolo state facendo?, chiese una delle guardie da uno degli
spioncini del carro.
- Il nostro amico sta male grazie a voi!, disse furibondo Grifis.
La guardia guardò per un attimo l’uomo e poi si mise a ridere: chiuse lo
spioncino e tutti sentirono che il carro si fermava.
- Naunt, Eridian, potete aiutarci contro quelli?, sussurrò Dobos
- Purtroppo sia io che Ras abbiamo esaurito le forze, ma in compenso Falagar sta
già meglio, disse Naunt.
- Da me non aspettatevi nessun aiuto, in questo momento: sarò io ad aiutarvi
nel momento giusto, sentenziò Eridian.
Dobos si trattenne dal dargli un cazzotto in faccia, dato che le porte del carro
si stavano aprendo: ben sapendo che non ci sarebbero state altre occasioni si
preparò assieme a Grifis ad aggredire la guardia, ma fu ben altro ad aggredire
loro. Una bufera di neve si era scatenata all’esterno: il vento e la neve
entrando nel carro bloccarono tutti.
- Scendete voi tre (indicando Ras, Grifis e Ras): e non sognatevi di fare
scherzi, intesi? Qui sulle montagne non sopravvivreste più di un giorno!, urlò
la guardia.
I tre obbedirono e videro che le guardie erano dieci, ben armate e molto
attente; davanti e dietro al carro ve ne erano quattro, con le spade sguainate,
mentre dall’altro lato si estendeva un precipizio. Le guardie obbligarono i
tre a rimuovere una piccola frana che aveva ostruito la strada: il freddo
glaciale dopo pochi minuti aveva già indolenzito i muscoli dei tre. Ogni sogno
di fuga doveva essere rimandato.
Quando tornarono sul carro s’erano rimediati un bel raffreddore e un generale
torpore: mentre Naunt cercava di aiutarli alla male peggio, Eridian sentì un
brandello di conversazione tra le guardie, grazie alla magia:
- Ma sei imbecille? Se questi muoiono, Lord Manshoon ci farà a pezzi!
- Stammi a sentire: anche se lui è il capo, questi bastardi devono pagare per
quello che hanno fatto: hanno ucciso due miei amici e meritano ben di più che
una morte indolore!
- Hai ragione, ma sarà meglio dargli qualcosa da mangiare, prima che muoiano di
fame.
Eridian si ritrasse appena in tempo, dato che una delle guardie aprì lo
spioncino e, mentre faceva cenno ad un'altra con una mano, si aprì la porta del
carro: la guardia gettò dentro alcuni brandelli di carne e una borraccia.
Eridian vi fu sopra per primo e nascose prontamente due pezzi di carne nella
veste, prima che gli altri potessero dire qualcosa: divise la carne con i suoi
compagni di sventura e bevve avidamente dalla borraccia, tanto da meritarsi la
ramanzina di Naunt. Non ci fece caso ed invece meditò sulle parole della
guardia: “Lord Manshoon”. Interessante: ma come mai il capo degli Zhentarim
era interessato a loro?
Quando
finalmente le montagne finirono, i carri (Grifis ne contò ben 14!) si
inoltrarono in una immensa pianura, oltre la quale si alzava maestoso il grande
ghiacciaio, una distesa di neve e ghiaccio ben più grande del Cormyr e della
Sembia, a detta di Ras, messi insieme. Mentre procedevano per la brulla pianura,
dopo due giorni di viaggio all’orizzonte cominciò a profilarsi una gigantesca
costruzione: un’immensa muraglia impediva
di vedere oltre l’orizzonte. Al centro di essa si ergeva una fortezza
maestosa, dotata di numeroso torri di difesa: quando i carri si inoltrarono
dentro essa, la fortezza si mostrò ai prigionieri per quello che era: una
piccola cittadella, nella quale erano radunati un numero assai rilevante di
soldati di ogni specie (anche orchi), sotto la bandiera degli Zhentarim.
Il loro carro si staccò quindi dalla colonna, per proseguire diritto verso la
costruzione principale della cittadella: la fortezza del corvo. Entrato in un
primo spiazzale, il carro si trovò di fronte un portone di sei metri di
altezza, che fu aperto, con uno sferragliare di catene, subito. Il carro dei
prigionieri fu condotto in uno spiazzale secondario, verso l’edificio,
probabilmente più antico, sui cui era stata costruita la fortezza.
- Dove siamo? Perché ci avete condotti sino qui?, chiese impaziente Naunt alla
guardia.
La guardia non rispose e si limitò a mettersi un fazzoletto sul volto: aprì
dunque la porta del carro e, prima che qualcuno potesse fare qualcosa, gettò
all’interno una bottiglietta riempita con un liquido verde, che si ruppe
subito. In men che non si dica si sviluppò una nuvoletta verde, che abbracciò
Ras, Grifis, Eridian, Falagar e Dobos, addormentandoli.
L’ultima cosa che Ras vide fu il volto deformato della guardia che gli si
avvicinava sempre di più.
Quando
Ras si svegliò, era in una stanza molto ampia, nel cui centro c’era una
fossa: guardandosi intorno, vide che la stanza era piena di alambicchi e testi
di magia. Un uomo gli stava parlando:
- …è un onore conoscere un paladino di Helm, colui che su tutto vigila, disse
l’uomo
Ras cercò di visualizzarlo, ma non vi riuscì:una magia agiva sicuramente su
quell’uomo ed era un magia decisamente potente! Sentì un lamento a sinistra e
vide che non era solo: con lui c’erano anche i suoi compagni.
- Chi sei tu e perché siamo qui?, chiese Falagar.
L’uomo guardò per un attimo il mago e decise di non rispondergli: Kurastan lo
aveva pregato di concentrarsi sull’elfo che aveva osato interrompere il loro
lavoro, ma non lo trovò, allora infuriato disse:
- Dov’è l’elfo? Perché non è con voi?
Grifis e Falagar si guardarono sorpresi. Mai se ne era andato oramai molto tempo
fa!
- L’elfo di cui parli non è più con noi, disse Dobos
Lord Manshoon placò la sua furia: decise di giocare un po’ con i suoi
prigionieri. Si diresse verso la sua scrivania e ne estrasse degli anelli, che
gettò di fronte ai suoi prigionieri. Mentre Ras e Dobos si guardavano stupiti,
Manshoon si diresse verso di lui e cominciò a dire:
- Bene, dato che a quanto ho scoperto non sapete un bel nulla e solamente per
caso siete giunti sulla nostra strada, vi offro una possibilità. Indossare
quell’anello e vivere o morire.
Detto questo sfoderò un bacchetta e dalle sue mani cominciò a comparire una
aura rossastra.
Eridian per primo si gettò sull’anello e lo infilò al dito: non gli successe
nulla, subito, ma poi la magia cominciò a fare il suo effetto. Il suo sguardo
si tramutò in qualcosa di bestiale e cominciò a ridere a squarciagola, via via
che la sua voce si faceva più cavernosa:
- Ah, si il potere: quello che ho sempre sognato si è avverato (Eridian stava
già pregustando il momento in cu avrebbe ucciso Manshoon, quando nella sua
mente venne cancellato ogni ricordo: il vecchio Eridian precipitò in un abisso
senza fondo, dal quale non sarebbe mai risalito…). Chi sarà il primo,
padrone, il prete o il guerriero?, chiese rivolto a Manshoon.
Manshoon alzò le spalle, disinteressandosi della questione: stava già volgendo
i suoi pensieri ad altre faccende, quando un altro dei prigionieri prese uno
degli anelli del controllo della volontà.
- Mi dispiace amici, ma non voglio finire come mio fratello, detto questo Grifis
si infilò l’anello e subito divenne più calmo.
Dobos si guardò in torno, disperato, cercando un arma: con un cenno verso
Falagar e Naunt, scattarono tutti insieme contro i loro avversari. Purtroppo una
barriera magica li divideva: Grifis e Eridian scattarono a loro volta e
cominciarono, con forza sovraumana, a strangolare Dobos e Naunt. Gli incantesimi
di Falagar erano inutili contro di loro e Ras era disperato. Senza un’arma non
ce l’avrebbero mai fatta.
Ras cominciò allora a pregare ad alta voce, attirando l’attenzione di
Manshoon: una luce stava infatti comparendo nelle sue mani. Quella luce stava
prendendo la forma della spada e, anche se nessuno poteva capire cosa stesse
succedendo, Manshoon intuì troppo tardi la verità (troppo tardi anche per ogni
incantesimo): il paladino aveva vinto.
- No,
quella è la… , furono le uniche parole che Manshoon riuscì a pronunciare,
dato che Ras alzò la spada e la luce che formava la lama della spada si
espanse, colpendo tutto quello che era in quella stanza.
Quando la luce accecante sparì, Ras ordinò a Dobos di raccogliere Falagar,
mentre lui prendeva Naunt: Dobos obbedì e non capendo, lo segui sino fuori
dalla fortezza.
Ras brandiva una spada la cui lama era luce pura.