San Giuseppe Moscati,
il Medico Santo di Napoli - 3
Antonio Tripodoro s.j. - Egidio Ridolfo s.j.
3 - Moscati docente -- Scienza e fede -- Medico dei poveri
Nonostante la rinunzia alla cattedra universitaria, Moscati fu sempre professore e maestro. Se aveva scelto di stare vicino agli ammalati, non per questo aveva rinunziato al'insegnamento, in cui aveva la possibilità di incontrare i giovani e comunicare loro.
Leggendo le testimonianze dei suoi allievi, dobbiamo dire che egli aveva particolari doti per fare il professore. A una preparazione solida, univa il desiderio dell'aggiornamento, la passione per la ricerca, una innata curiosità per il nuovo, la capacità di spaziare nei vari settori della medicina.
Così scriveva il Prof.Moscati al Prof.Francesco Pentimalli: "Ho creduto che tutti i giovani meritevoli, avviatisi tra le speranze, i sacrifici, le ansie delle loro famiglie, alla via della medicina nobilissima, avessero diritto a perfezionarsi, leggendo in un libro che non fu stampato in caratteri neri su bianco, ma che ha per copertura i letti ospedalieri e le sale di laboratorio, e per contenuto la dolorante carne degli uomini e il materiale scientifico, libro che deve essere letto con infinito amore e grande sacrificio per il prossimo.
Ho pensato che fosse debito di coscienza istruire i giovani, aborrendo dall'andazzo di tenere misterioso gelosamente il frutto della propria esperienza, ma rivelarlo a loro..."
Filippo Bottazzi conobbe Moscati fin dal 1905, e nel 1923 lo condusse con lui al Congresso di Edimburgo. Ha scritto di lui: "Profondamente religioso, sincero credente e assiduo praticante, non fece mai ostentazione dei propri sentimenti, ma non tralasciò mai di curare, insieme ai corpi, anche e innanzi tutto le anime, e di avviarle verso quella luce che per singolare grazia divina a lui sfolgorava, da abissi per noi impenetrabili."
Ma alcuni, vedendo che gli studenti si affollavano attorno alal cattedra di Moscati, tramavano per impedirgli d'insegnare. In una lettera di Moscati al Prof.Pietro Castellino, del 22 maggio 1922, si ha l'eco di queste manovre, che gli procurarono anche dei momenti di scoraggiamento: "E' che io sono in preda ad un estremo esaurimento e a una stanchezza mortale, perché dagli anni della guerra fino a oggi è un continuo lavoro e una serie di emozioni pre me! Sono un essere sbagliato... [...] non vivo più; passo le notti insonni..."
Come ognuno di noi, Moscati non era impassibile dinanzi all'invidia e agli interessi degli altri. La santità si innesta sulla natura umana, la rispetta, ma contemporaneamente le fornisce i mezzi per non soccombere e per elevarsi al di sopra di orizzonti angusti e fallaci.
Quando infine conseguì la libera docenza, nonostante gli ostacoli che gli avevano frapposto dinanzi, scrisse quella sua riflessione che è tra i suoi pensieri più conosciuti: "Ama la verità, mostrati qual sei, e senza infingimenti e senza paure e senza riguardi. E se la verità ti costa la persecuzione, e tu accettala, e se il tormento, e tu sopportalo. E se per la verità dovessi sacrificare te stesso e la tua vita, e tu sii forte nel sacrificio."
Nonostante le contrarietà e i dispiaceri, Moscati sapeva però anche scherzare, e in vari suoi scritti, compreso uno schizzo satirico, si vede come fosse sagace e arguto.
Come spesso ai nostri giorni, anche ai tempi di Moscati una concezione pseudoscientifica allontanava molti da Dio e dalla Chiesa, quasi che la vera scienza fosse inconciliabile col soprannaturale, e la tecnica potesse appagare le vere aspirazioni del cuore umano.
Da studente, da medico e da professore, Giuseppe Moscati non si chiuse mai nell'angusto cerchio degli studi umani, ma seppe elevarsi a considerazioni superiori, convinto che verità umana e verità divino provengono da un'unica fonte: Dio verità infinita.
Significative sono a questo proposito tante lettere di Moscati, come questa al Dott.Agostino Consoli di Lagonegro (PZ), del 22 luglio 1922: "Sebbene lontano, non lascerete di coltivare e rivedere ogni giorno le vostre conoscenze. Il progresso sta in una continua critica di quanto apprendemmo. Una sola scienza è incrollabile e incrollata, quella rivelata da Dio, la scienza dell'al di là!
In tutte le vostre opere, mirate al Cielo, e all'eternità della vita e dell'anima, e vi orienterete allora molto diversamente da come vi suggerirebbero pure considerazioni umane, e la vostra attività sarà ispirata al bene."
Un'altra considerazione su questo tema dei rapporti tra scienza e fede è contenuta in una lettera al Dott.Antonio Guerricchio, di Matera: "Di quanti giovani mi sono ricordato, promettenti, pieni di spirito di sacrificio e di virtù, pervasi da giusto entusiasmo, e che son dovuti arrivare dispersi, sopraffatti dal nepotismo, dalla indifferenza, dall'egoismo dei sacerdoti della scienza! [...]
Non la scienza, ma la carità ha trasformato il mondo, in alcuni periodi; e solo pochissimi uomini son passati alla storia per la scienza; ma tutti potranno rimanere imperituri, simbolo dell'eternità della vita, in cui la morte non è che una tappa, una metamorfosi per un più alto ascenso, se si dedicheranno al bene.
Io ho sempre vivo nel cuore il rammarico di sapervi lontano; e solo mi conforta che abbiate conservato in voi qualche cosa di me; non perché valga nulla, ma per quel contenuto spirituale, che mi sforzai di trattenere e diffondere intorno: compito sublime, ma tanto irragiungibile con le mie povere forze. Io vi tengo presente, siatene sicuro..."
Se si volessero raccogliere gli episodi che manifestano la predilezione del Prof.Moscati per la povera gente, non basterebbe un libro. Ne riportiamo solo alcuni.
"Una volta - attesta il Dott.Brancaccio - mandai al professore una giovane donna ammalata di tubercolosi con un biglietto, con cui gli facevo notare le condizioni economiche della povera inferma.
Il professor Moscati la visita, prescrive la cura, non prende alcun compenso e congeda l'inferma; ma questa, con grande meraviglia, si accorge che nel foglio della diagnosi vi era un biglietto da 50 lire, messovi dal professore senza dir nulla."
Racconta il gesuita P.Antonio de Pergola che, insieme a Moscati, tornando da Vico Equense, si fermarono a Castellammare di Stabia e si diressero alla "povera e miserabile dimora di un ferroviere infermo, presso il cui capezzale i colleghi del malato, nel treno medesimo, avevano pregato il Professore di andare."
Moscati cominciò la visita e il Padre, notando che i ferrovieri raccoglievano denaro per pagare il Professore, cominciò a dissuaderli. Moscati se ne accorse e allora "si avvicinò e con elequente semplicità rivolse loro queste poche parole: «Poiché voi, sottraendo parte del vostro duro lavoro, siete venuti in aiuto del vostro amico infermo, io mi associo al vostro senso umanitario e contribuisco alla sottoscrizione con la mia quota, onde l'infermo possa avere, con la somma raccolta, i mezzi necessari per curare la malattia», e consegnò loro tre biglietti da lire 10."
Una suora del Sacro Cuore ha riferito che Moscati, chiamato da un'inferma, le prescrisse una cura, ma tornando un'altra volta vide che la cura non era stata fatta. Egli, resosi conto che nonostante l'ampiezza, la casa nascondeva invece povertà, "trovò subito il modo di provvedere senza destare ammirazione; e diede in parole di rimprovero, dicendo che quando si chiama il medico, se ne devono adempiere le prescrizioni, poi si allontanò.
Quelli della famiglia restarono afflitti; ma di lì a poco, rimuovendo i cuscini dell'inferma, trovarono un biglietto di 500 lire. Il dottor Moscati, per sfuggire all'ammirazione della sua carità, aveva assunto la veste del rimprovero e dell'asprezza."
moscati @ gesuiti.it | ||