Coppe
cristiane e celtiche
Il termine Graal deriva dal latino Gradalis,
con cui si designa una scutella lata et aliquantulum
prufunda (Helimand de Froidmont): una tazza, un
vaso, un calice, un catino. Questi umili oggetti
rivestono nella mitologia un nobile ruolo: sono infatti i
simboli del grembo fecondo della Grande
Madre, la Terra,
e, come l'inesauribile Cornucopia dei Greci e dei Romani,
portano vita e abbondanza. La coppa della vita dei Celti
è il "Calderone di Dagda", portato nel mondo
materiale dai Tuatha De Danaan
rappresentanti ultraterreni del "piccolo
popolo". Molti eroi celtici (tra cui Asterix,
il famoso personaggio dei fumetti) hanno avuto a che fare
con magici calderoni; nel poema gaelico Preiddu Annwn
Re
Artù andò a
recuperarne uno addirittura negli Inferi. La tradizione
cristiana annovera almeno due sacri contenitori: il
Calice dell'Eucarestia e - sorprendentemente - la Vergine
Maria. Nella Litania di Loreto essa è descritta
comeVas spirituale, vas honorabile, vas insigne
devotionis, ovvero "vaso spirituale, vaso
dell'onore, vaso unico di devozione": nel grembo
(vaso) della Madonna, infatti, la divinità era divenuta
manifesta.
Forse, quando alla fine del XII secolo, Chretien de
Troyes decise di introdurre nella materia arturiana il
motivo del "Vaso Sacro ", lo fece perché era
al corrente dei miti celtici del Calderone, e l'argomento
gli sembrò particolarmente in tema; o forse si trattò
di una scelta casuale. Forse esisteva già una tradizione
orale sul Graal, e Chretien si limitò a metterla per
iscritto; forse (è l'ipotesi più probabile) elaborò in
termini cristiani le antiche leggende sui contenitori
sacri, o forse il Graal fu una sua geniale invenzione.
Sta di fatto che - com è accaduto per ReArtù - da otto secoli il Graal
continua a stimolare l immaginazione di generazioni di
lettori: e questa, in un certo senso, è la prova
tangibile del suo magico potere.
Il
Graal di Re Artù
Il Graal arturiano fu descritto per la prima volta da
Chretien intorno al 1190 in Perceval le Gallois ou le
Compte du Graal; nel volgere di soli vent'anni (un
tempo sorprendentemente breve rispetto a quelli,
lunghissimi, lungo cui si sono sviluppate le saghe
arturiane), esso era già perfettamente caratterizzato.
Così il poeta francese racconta la sua apparizione. La
scena si svolge nel castello del "Re
Pescatore", un personaggio su cui ritorneremo; qui
il cavaliere Parsifal assiste a una processione che
scorre accanto alla tavola su cui verrà servita la cena.
Per primo passa un ragazzo con una lancia insanguinata,
poi due giovani con un candelabro, e infine
Un graal entre
ses deus mains
une damoisele tenoit
(...)
De fin or esmereè estoit
prescieuses pierres avoit
el graal de maintes manieres,
de plus riches et de plus chieres
qui en mer ne en terre soient.
("Una
damigellateneva un graal tra le sue mani (...) Era fatto
di oro puro, e c'erano nel graal molte preziose pietre,
le più belle e le più costose che ci siano per terra e
per mare"). La parola "Graal" è
utilizzata con il significato generico di coppa (ma c è
da chiedersi come mai Chretien avesse fatto uso di quel
termine già allora arcaico); il calice fa parte di un
gruppo di oggetti egualmente dotati di poteri mistici, e
non ha comunque alcuna associazione con il sangue di
Gesù.
Solo nel successivo Joseph d'Arimathie - Le Roman de l
Estoire dou Graal, un testo arturiano del cosiddetto
"Ciclo della Vulgata" (dove però Re Artù non
compare) scritto da Robert de Boron intorno al 1202, il
Graal viene descritto come il calice dell Ultima Cena, in
cui Giuseppe d'Arimatea aveva raccolto il sangue di Gesù
crocifisso. De Boron lo chiama "Graal" una
volta sola, in un inciso (in verità un po' slegato dalla
continuity del testo) da cui si evince che la
coppa aveva già una storia e un nome particolare prima
di essere utilizzata da Gesù: "Io non oso
raccontare, né riferire, né potrei farlo (...) le cose
dette e fatte dai Grandi Saggi. Là sono scritte le
ragioni segrete per cui il Graal è stato designato con
questo nome" .
Il Joseph di Arimathie fu continuato e integrato
da un anonimo autore del XIII secolo, che, in Le Grand
Graal introdusse alcuni nuovi elementi. Il Graal è
associato (o "è" tout court) a un libro
scritto da Gesù Cristo alla cui lettura può accedere
solo chi è in grazia di Dio . Le verità di fede che
esso contiene non potranno mai essere pronunciate da
lingua mortale senza che i quattro elementi ne vengano
sconvolti. Se ciò, infatti, dovesse accadere, i cieli
diluvierebbero, l'aria tremerebbe, la terra
sprofonderebbe e l'acqua cambierebbe colore . Il
libro-coppa possiede dunque un temibile potere.
Il Grand Graal è collegato sia a tradizioni
ebraiche (viene trasferito in Inghilterra in un
contenitore identico all' Arca dell'Alleanza) sia
islamiche: è infatti in relazione con una terra chiamata
"Sarraz", impossibile da situare storicamente o
geograficamente (non è in Egitto, ma "vi si vede
da lontano il Grande Nilo"; il suo Re combatte
contro un Tolomeo, mentre la dinastia tolomaica si
estinse prima di Cristo), ma situata comunque in Medio
Oriente. Da essa, infatti - afferma l'autore - ebbero
origine i Saraceni . Intorno al 1210, nel poema Parzival,
il tedesco Wolfram Von Eschenbach confer al Graal
ulteriori connotazioni. Non si tratta di una coppa,
bens di " una pietra del genere pi
puro (...) chiamata lapis exillis. (Se un uomo
continuasse a guardare) la pietra per duecento anni, (il
suo aspetto) non cambierebbe: forse solo i suoi capelli
diventerebbero grigi" . Il termine lapis
exillisÊ stato interpretato come "Lapis
ex coelis", ovvero "Pietra caduta dal
cielo": e, difatti, Wolfram scrive che la pietra era
uno smeraldo caduto dalla fronte di Lucifero e portato a
terra dagli angeli rimasti neutrali durante la
ribellione. La tradizione esoterica delle pietre sacre,
tramiti fisici tra l'uomo e Dio, è tipicamente
orientale: la pietra nera conservata nella Ka' ba è
l'oggetto più sacro della religione islamica; i seguaci
della Qabbalah ebraica utilizzano il termine "Pietra
dell'esilio" per designare lo Shekinah,
ovvero la manifestazione di Dio nel mondo materiale;
ancora più a Oriente, l'Urna incastonata
nella fronte di Shiva della tradizione induista,
simboleggia il "Terzo Occhio", organo
metafisico che permette la visione interiore. La ricerca del Graal Perché il calice fu portato
proprio in Inghilterra? Dal punto di vista letterario la
risposta è ovvia: là erano nati i miti di Artù, e là, necessariamente, doveva
svilupparsi la storia del Graal, a essi collegata. Ma i
sostenitori della sua esistenza materiale avanzano altre
ipotesi, in verità piuttosto ardite. Durante la sua
permanenza in Cornovaglia, Gesù aveva ricevuto in dono
una coppa rituale da un Druido convertito al
cristianesimo, e quell'oggetto gli era particolarmente
caro. Dopo la crocefissione, Giuseppe d'Arimatea aveva
voluto riportarla al donatore ulteriormente santificata
dal sangue di Cristo; il Druido in questione era Merlino,
trait d'union tra la religione celtica e
quella Cristiana. Sia come sia, le peripezie subite dal
Graal dopo il suo arrivo in Inghilterra variano in modo
considerevole a seconda delle varie fonti. Estrapolando
dalla Materia di Bretagna gli episodi più
ricorrenti, è possibile tracciare schematicamente il
seguito della storia. Giunto a destinazione, Giuseppe
affida la coppa a un guardiano soprannominato "Ricco
Pescatore" o "Re Pescatore" perché, come
Gesù, ha sfamato un gran numero di persone moltiplicando
un solo pesce. A seconda delle versioni, il Re Pescatore
è Hebron o Bron, cognato di Giuseppe d'Arimatea e nonno
(o zio, o cugino) di Parsifal. Nel Parzival di
Wolfram Von Eschenbach, è un Re chiamato Anfortas, la
cui figlia sposa l'eroico saraceno Feirefiz e genera
Prete Gianni. Secoli dopo, nessuno sa più dove si trovi
il "Re Pescatore": il Graal è, di fatto,
perduto. Sulla Britannia si abbatte una maledizione
chiamata dai Celti Wasteland ("La terra
desolata"), uno stato di carestia e devastazione sia
fisica che spirituale. Il Wasteland è stato
scatenato dal "Colpo Doloroso", ovvero da un
colpo vibrato da Balin il Selvaggio con la Lancia di
Longino (in altre versioni, da Re Varlans con la Spada di
Davide) nei genitali del "Re magagnato". Il Maimed
King si chiama Perlan, Pellehan, Pelles, Lambor,
oppure è identificato con lo stesso "Re
Pescatore". Per annullare il Wasteland -
spiega Merlino ad Artù - è necessario ritrovare il Graal,
simbolo della purezza perduta. Un Cavaliere (Parsifal
"il Puro Folle", o Galaad "il Cavaliere
vergine") occupa allora lo "Scranno
periglioso", una sedia tenuta vuota alla Tavola
Rotonda, su cui può sedersi (pena l'annientamento) solo
"il Cavaliere più virtuoso del mondo", colui
che è stato predestinato a trovare il Graal. Ispirato da
sogni e presagi, e superando una serie di prove
"perigliose" (il "Cimitero
periglioso", il "Ponte periglioso", la
"Foresta perigliosa", il "Guado
periglioso", eccetera), Parsifal rintraccia
Corbenic, il Castello del Graal e giunge al cospetto
della Sacra Coppa. Non osa però porre le domande "Che
cos è il Graal? Di chi esso è servitore?",
contravvenendo così al suggerimento evangelico
"Bussate e vi sarà aperto". Il Graal scompare
di nuovo. Dopo che il Cavaliere ha trascorso alcuni anni
in meditazione, la ricerca riprende. Finalmente Parsifal
(o Galaad) pone il quesito, a cui viene risposto. "È
il piatto nel quale Gesù Cristo mangiò l'agnello con i
suoi discepoli il giorno di Pasqua. (...) E perchè
questo piatto fu grato a tutti lo si chiama Santo
Graal" (la frase, che comprende l'insolita
etimologia grato-Graal - è tratta da La Queste del
Saint Graal, romanzo di autore anonimo del
"Ciclo della Vulgata" del 1220). Il Re
Magagnato si riprende, il Wasteland finisce; Re
Artù muore a Camlann e Merlino sparisce nella sua tomba
di cristallo (o d'aria ). Il Graal viene riportato a
Sarraz (o nel Regno di prete Gianni) da Parsifal e
Galaad. Fuori dal
canone Abbiamo
escluso dal nostro immaginario canone le molte opere sul
Graal posteriori al 1220, tra cui The Idylls of the
King di Tennyson (1885), nel quale si racconta che
Giuseppe d'Arimatea nascose il Graal nel Chalice Well
di Glastonbury. Di un poco noto Graal non canonico
italiano, del tutto indipendente dalla "Materia di
Bretagna" si parla nella tradizione lucchese del
"Volto Santo". Nel VIII secolo un vescovo di
nome Gualfredo si recò a Gerusalemme per visitare i
luoghi sacri; là il pellegrino compì varie penitenze,
digiuni ed elemosine. Fu allora che, per compensarlo
della sua devozione, gli comparve un angelo, il quale lo
invitò a cercare con diligente devozione nella casa
presso la sua: là avrebbe scoperto "il volto del
redentore", cui tributare degna venerazione.
Così, nella dimora di un certo Seleuco, Gualfredo
ritrovò il "Volto Santo", un antico crocifisso
scolpito in cedro del Libano dall'apostolo Nicodemo, lo
stesso che aveva aiutato Giuseppe d'Arimatea a togliere
dalla croce il corpo di Gesù. In una cavità dietro la
croce si trovava un'ampolla con il sangue di Cristo.
Croce e ampolla vennero caricate su una nave di grandezza
straordinaria, che, guidata dagli angeli e senz'altro
equipaggio, attraversò il Mediterraneo in tempesta e
approdò sulle coste della Lunigiana. Le reliquie furono
disputate da Lucchesi e Lunesi, e si stabilì che il
Volto Santo sarebbe stato portato a Lucca (dove è
tuttora visibile nella cattedrale di San Martino), e
l'ampolla sarebbe rimasta a Luni, dove se ne sono perse
le tracce.
Il
destino del Graal
Intorno al 540, dunque, stando alla "Materia di
Bretagna" il Graal fu riportato in Medio Oriente.
Per secoli non se ne sentì più parlare, finché, verso
la fine del XII secolo, esso balzò (o tornò)
improvvisamente alla ribalta. Come mai? Cos'aveva
ridestato l'interesse nei confronti di un mito
apparentemente dimenticato? La maggior parte degli
studiosi concordano nel ritenere le Crociate
l'avvenimento scatenante. A partire dal 1095, molti
Cavalieri cristiani si erano recati in Terra Santa, ed
erano entrati per forza di cose in contatto con le
tradizioni mistiche ed esoteriche del luogo: sicuramente
qualcuna di esse parlava del Graal, un sacro oggetto
dagli straordinari poteri. Grazie ai Crociati, la
leggenda raggiunse l'Europa e vi si diffuse. C'è anche
chi ritiene che il Graal sia stato rintracciato dai
Crociati e riportato nel Vecchio Continente. In tal caso
vi si troverebbe ancora, ma dove? Quelli che seguono sono
i nascondigli più probabili .
- Il Graal si
trova nel castello di Gisors.
- I Cavalieri
Templari avevano stretto rapporti con la Setta
degli Assassini, un gruppo iniziatico ismailita
che adorava una misteriosa divinità chiamata Bafometto .
Per alcuni il Bafometto altro non
era che il Graal; prima di essere sgominati, gli
Assassini lo avevano affidato ai Templari, che lo
avevano portato in Francia verso la metà del XII
secolo; e del resto Wolfram aveva battezzato Templeisen
i cavalieri che custodivano il Graal nel castello
di Re Anfortas. Se le cose fossero davvero andate
così, ora il Graal si troverebbe tra i
leggendari tesori dei templari (mai rinvenuti) in
qualche sotterraneo del castello di GISORS.
- Il Graal si
trova a Castel del Monte.
- I Cavalieri
Teutonici - fondati nel 1190 - erano in contatto
sia con i mistici Sufi - una setta islamica che
adorava il Dio delle tre religioni, Ebraica,
Islamica e Cristiana - sia con l' illuminato
Imperatore Federico II Hohenstaufen, a sua volta
seguace di quella dottrina. Tramite i Cavalieri
Teutonici, i Sufi avrebbero affidato il Graal
all'Imperatore, affinché lo preservasse dalle
distruzioni scatenate dalle Crociate. In tal
caso, il Graal si troverebbe a Castel del Monte,
un palazzo a forma di coppa ottagonale edificato
apposta per custodirlo. Wolfram sembra fornire un
appoggio anche a questa tesi: nel suo Parzifal
aveva infatti evidenziato il legame tra le
religioni cristiana, ebraica e islamica.
- Il Graal si
trova a Takht-I-Sulaiman.
- Nella voce Artù è descritta l'ipotesi
secondo la quale il Sovrano inglese era un
rappresentante dello Zoroastrismo. Ebbene, il
Castello del Graal descritto - al solito - da
Wolfram Von Eschenbach, è sorprendentemente
simile a Takht-I-Sulaiman, il principale centro
del culto di Zoroastro. Qui, prima di venire
dispersi e allontanati, i seguaci di Zarathustra
adoravano il simbolico "Fuoco Reale",
fonte della conoscenza. Takht-I-Sulaiman potrebbe
essere dunque la mitica Sarraz, da cui il Graal
(il Fuoco Reale ?) giunse, a cui ritornò, e dove
forse si trova ancora.
- Il Graal si
trova nel Castello di Montsegur
- Dopo che il culto
di Zoroastro era stato disperso, alcune delle sue
dottrine furono ereditate dai Manichei, e, di
seguito, dai Catari o Albigesi; questi ultimi
erano giunti in Europa dal Medio Oriente,
passando per la Turchia e i Balcani, e si erano
stabiliti in Francia nel XII secolo. Nel 1244,
dopo una lunga persecuzione da parte del Papato e
dei francesi, furono sterminati nella loro
fortezza di Montsegur; se avessero portato con
sé il Graal durante le loro peregrinazioni, ora
esso potrebbe trovarsi insieme al resto del loro
tesoro in qualche impenetrabile nascondiglio del
castello. È di nuovo Wolfram a fornire un
indizio in proposito: il "Castello del
Graal" (quello simile a Takht-I-Sulaiman) si
chiama infatti "Munsalvaesche", cioé
"Monte Salvato" o " Monte
Sicuro". Negli anni '30 il tedesco Otto
Rahn, colonnello delle SS e autore di Crusade
contre le Graale La Cour de Lucifer,
intraprese alcuni scavi a Montsègur e in altre
fortezze catare con l' appoggio del filosofo
nazista Alfred Rosenberg, portavoce del Partito e
amico personale di Hitler: l'episodio fornì al
romanziere Pierre Benoit, già autore del celebre
L'Atlantide, lo spunto per il romanzo Monsalvat
. Sull'attuale
nascondiglio del Graal esistono altre teorie, se
possibile ancor più fantasiose:
- Il Graal si
trova a Torino.
- Importato forse dai
pellegrini che si spostavano per l'Europa durante
il medioevo o forse dai Savoia insieme alla Sacra
Sindone, il Graal sarebbe giunto nel capoluogo
piemontese; le statue del sagrato del tempio
della Gran Madre di Dio, sulle rive del Po,
indicano, a chi è in grado di comprenderne la
complessa simbologia, il nascondiglio della
Coppa.
- Il Graal si
trova a Bari.
- Nel 1087, un gruppo
di mercanti portò a Bari dalla Turchia le
spoglie di San Nicola, e in loro onore venne
edificata una basilica. In realtà la
translazione del Santo era solo la copertura di
un ritrovamento ben più importante, quello del
Graal. I mercanti erano in realtà cavalieri in
missione segreta per conto di Papa Gregorio VII.
Il Pontefice era al corrente del potere del
Calice, ma non intendeva pubblicizzare la sua
ricerca, né l'eventuale ritrovamento, in quanto
esso era un oggetto pagano, o comunque il simbolo
di una religione ancor più universale di quella
cattolica. Gli premeva di recuperarlo da Sarraz
in quanto temeva che la sua presenza sul suolo
turco avrebbe aiutato i Saraceni (in questo caso
i Turchi Selgiuchidi) nella loro espansione ai
danni dell'Impero Bizantino, e avrebbe nociuto al
programmato intervento di forze cristiane in
Terra Santa a difesa dei pellegrini. Non è dato
di sapere dove si trovava la coppa (che, forse,
era passata per le mani di San Nicola nel VI
secolo, e che gli avrebbe conferito la fama di
dispensatore d'abbondanza ) e chi comandò la
spedizione; sta di fatto che, in una chiesa
sconsacrata di Myra, i cavalieri prelevarono
anche alcune ossa, poi ufficialmente identificate
come quelle del Santo. Il recupero delle spoglie
giustificò la spedizione in Turchia e
l'edificazione di una basilica a Bari; la scelta
di custodire il Graal in quella città anzichè a
Roma fu determinata da due motivi: da lì si
sarebbero imbarcati i cavalieri per la Terra
Santa (la prima crociata fu bandita sei anni dopo
il ritrovamento) e il Graal avrebbe riversato su
di loro i suoi benefici effetti; in più la sua
presenza avrebbe protetto Roberto il Guiscardo,
Re normanno di Puglie, principale alleato del
Papa nella lotta contro Enrico IV. A ricordo
dell'avvenimento, sul portale della cattedrale
(edificata parecchi anni prima della divulgazione
della "Materia di Bretagna") si trova
l'immagine di Re Artù e un'indicazione
stilizzata del nascondiglio; la tomba di San
Nicola continua a emanare un liquido chiamato
"manna" che, oltre a essere altamente
nutritivo, come il Graal guarisce da ogni male.
La
natura del Graal
Vale la pena, a questo punto, di tracciare un sunto delle
caratteristiche del Graal descritte dal canone e dalle
tradizioni celtiche fino al momento in cui esso raggiunge
l'Inghilterra. - Il Graal è un oggetto materiale e
spirituale insieme. Non si conosce esattamente la sua
natura: forse è una pietra, forse è un libro, forse un
contenitore; è certo che permette di abbeverarsi
(l'ultima cena), ma vi si può anche versare qualcosa (il
sangue di Cristo crocefisso). Può guarire le ferite,
dona una vita lunghissima, garantisce l'abbondanza,
trasmette e garantisce la conoscenza, ma è anche dotato
di poteri terribili e devastanti. - La tradizione
sull'esistenza di un oggetto con questi poteri è
antichissima e diffusa in una vasta zona dell'Asia, del
Nord Africa e dell'Europa; il Graal è forse stato
identificato con nomi diversi (la "Lampada di
Aladino", il "Vello d'Oro", l'"Arca
dell'Alleanza", la coppa "Amonga" dei
Sarmatiani del Caucaso). In qualche modo ignoto Gesù ne
è entrato in possesso. - Le varie leggende a proposito
del Graal (Tuatha De Danaan, Smeraldo di Lucifero, Occhio
di Shiva, eccetera) concordano nel conferirgli un origine
ultraterrena. Basandosi su questi capisaldi, molti
commentatori hanno dedotto la vera natura del Graal.
Nell'interpretazione più realistica, è una favolosa
invenzione letteraria stimolata da miti antecedenti,
attecchita su un terreno particolarmente fertile e
arricchita di nuovi particolari da successive generazioni
di autori; in quella più materialistica è semplicemente
la coppa dell'ultima cena, preziosissimo oggetto di
antiquariato. Per gli antropologi è un corpus di
dottrine elaborato attraverso i secoli ("vi ci si
può abbeverare e vi ci si può versare"), forse
supportato fisicamente da un testo scritto. Per la
tradizione cristiana, il Graal rappresenta l
evangelizzazione del mondo barbaro, operata dai
missionari (Giuseppe d'Arimatea), stroncata dalle
persecuzioni e ripresa da un gruppo di uomini di buona
volontà guidati da un sacerdote (Merlino), o ancora, la
cacciata dall'Eden (il Wasteland ) e la
successiva redenzione grazie all'intervento di Gesù. Per
gli esoteristi Renè Guenon e Julius Evola il Graal è il
cuore di Cristo, potente simbolo della Religione
Primordiale praticata ad Agharti, di cui Gesù sarebbe stato un esponente;
per gli alchimisti rappresenta la conoscenza, e la sua
ricerca equivale a quella della Pietra Filosofale o dell
Elisir di lunga vita. Per Carl Gustav Jung è un
archetipo dell inconscio; per Jesse Weston è un simbolo
sessuale e di fertilità; per Walter Stein, autore di The
Ninth Century and the Holy Grail, il Graal è
connaturato con l'intero pianeta: un generatore di
energia spirituale, ma anche politica e socioeconomica.
Per Rudolf Steiner è "il simbolo degli eventi
dell'epoca primitiva percepiti dalla sensibilità dell
animo"; quando, nel 1913, progettò l'edificio
chiamato Gotheanum, il filosofo tedesco intese
realizzare un nuovo "Castello del Graal". Per
Adolf Hitler è uno strumento magico con cui ottenere il
potere assoluto; per gli autori di romanzi di
fantascienza e i fautori dell Ipotesi extraterrestre è
un'apparecchiatura proveniente dallo spazio, o qualcosa
che ha a che vedere con i terribili poteri della fusione
nucleare. E, per i giornalisti Michael Baigent, Richard
Leigh e Henry Lincoln è ancora un altra cosa... Linea di sangue Una delle possibili etimologie
di Graal comprende l'attributo "San": "San
Graal" sarebbe l'errata trascrizione di "Sang
Real", ovvero "Sangue Reale". Il sangue
è, evidentemente, quello di Cristo contenuto nella
coppa, ma per altri commentatori il termine sangue
designa una dinastia (per Dion Fortune, quella dei
sacerdoti di Atlantide). La stirpe di cui i ricercatori
Baigent, Leigh e Lincoln hannno scoperto l'esistenza dopo
un appassionata ricerca è quella di Gesù. Salvatosi
dalla crocefissione, il Redentore avrebbe generato dei
figli, da cui sarebbe nata la dinastia francese dei
Merovingi. L'ipotesi, descritta in The Holy Blood and
the Holy Grail (Il mistero del Graal, 1982)
non si ferma qui. Certe misteriose carte rinvenute nel
1892 dal parroco Berenger Saunière nell'altare della
chiesa di Rennes-Le-Chateau sarebbero state il punto di partenza per
il ritrovamento di altri documenti i quali proverebbero
che, lungi dall'essersi estinti nel 751, i Merovingi (e
quindi gli eredi diretti di Cristo) sono ancora tra noi,
accuratamente protetti da un'antica società iniziatica
denominata Il "Priorato di Sion", il cui scopo
è ripristinare la monarchia al momento opportuno. Come i
"Superiori Sconosciuti" di Agharti, i membri del Priorato - di cui
sono stati Gran Maestri, tra gli altri, Nicolas Flamel,
Leonardo da Vinci, Ferrante Gonzaga, Robert Fludd, Victor
Hugo, Claude Debussy, Jean Cocteau - costituiscono una
"Sinarchia" o governo occulto che, ormai da
quasi un millennio, influisce sulle scelte (politiche o
d'altro genere) dei governi ufficiali. Purtroppo - fanno
rilevare Baigent, Leigh e Lincoln nel seguito di The
Holy Blood and the Holy Grail, intitolato The
Messianic Legacy (L'eredità messianica,
1986), negli ultimi tempi il "Priorato" si è
parzialmente corrotto, e alcune sue frange mantengono
stretti contatti con la Mafia, la P2 e alcuni uomini
politici italiani.
|