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INCUBI

di Marco

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Il settimo capitolo

8

La ferita alla testa è scomparsa, e così pure i dolori alla pancia. L’esperienza di guerra non sembra aver lasciato nessun segno a livello fisico, però ammetto di essere stato particolarmente impressionato dal dialogo con il Dio delle guerre perdute. Non avevo mai considerato la guerra da questo punto di vista, cioè di un determinismo che sconfina qualsiasi morale e qualsiasi pregiudizio. L’homo machina che cerca di garantire la sopravvivenza della sua specie, esattamente come gli altri animali, e pertanto rimane isolato nel suo mondo costruito a metafora del suo corpo e della sua coscienza.

Comunque la stretta interdipendenza tra prolificità e guerra è un fenomeno che avevo in parte individuato nei miei reportage di qualche anno fa, quando lavoravo alla sezione esteri prima di chiedere il trasferimento alla cronaca dopo un brutto incidente con la macchina su cui viaggiavo tra le montagne dell’Afghanisan, saltata in aria dopo essere stata a contatto con una mina sparsa come tante altre nel suolo. Rimasi all’ospedale di Roma per circa un anno, prima di rimettermi in sesto e scomparissero le contusioni e fratture riportate in più punti.

Dicevo del legame tra demografia e guerra. L’alta prolificità è una caratteristica dei sistemi patriarcali, sistemi così classificati per via dei cinque elementi che l’accomunano: alta prolificità a parte, abbiamo la dittatura, la religione, le contese territoriali che sfociano in guerre aperte e la pulizia etnica. In Medio Oriente, nei conflitti arabi e nell’ex-Jugoslavia, ma anche nelle civiltà antiche e ai tempi del nazionalismo europeo, l’alta prolificità è usata come arma di difesa dall’oppressore e come strumento di conquista a scapito degli altri popoli.

Ma adesso non divaghiamo troppo, ho un problema più urgente da affrontare: riuscire ad adattarmi a questo non-luogo in cui sono incappato. Prima dell’incubo, avevo individuato i flussi di energia che governano le menti degli abitanti intrappolati con me nel non-luogo. Provo a localizzarli di nuovo, in mezzo al mio studio. Si, ecco! Da un punto dove vedo un quadro appeso alla parete percepisco una vibrazione. Questa volta non intervengo per modificare l’immagine, preferisco abbandonarmi al dolce mormorio che l’energia mi comunica quasi telepaticamente.

All’inizio è un flusso di neuroni dentro la mia mente che cercano uno spazio per posizionarsi. Gli ultimi due neuroni attraversano la corteccia cerebrale ed entrano nel canale visivo, occhio destro e occhio sinistro. Infine riesco a vedere al di là della vibrazione, o forse è una distorsione dell’immagine ingrandita che la vibrazione contiene. È tutto sfuocato, una serie di colori che formano linee senza senso. Poi qualcosa accade! È come una voce che sussurra: «Vieni! Vieni!». Non resisto e mi avvicino. Tocco con la mia mano immaginaria la vibrazione, vedo che anche le braccia riescono a penetrare la barriera invisibile, infine tutto il mio corpo astrale è spostato nell’altra dimensione. Focalizzo gli occhi e vedo una città allucinante, con tanti palazzi robotizzati che allungano le tentacolari braccia per acchiappare e divorare qualcuno dei pedoni che fuggono terrorizzati lungo i marciapiedi.

Un altro incubo, ci sarà mai la fine?

Il nono capitolo