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INCUBI

di Lyon

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Il sedicesimo capitolo

17

«Il secondo tipo di conflitti è quello cosiddetto patriarcale. Hai scritto personalmente che, quando eri inviato di cronaca estera, hai individuato le cinque caratteristiche di tale sistema: dittatura, alta prolificità, religione, guerra di conquista e pulizia etnica…».

Mentre dice queste parole, un orribile sospetto si insinua nella mia mente: «Ehi! Non mi sembra di aver detto proprio queste parole!».

Mentre io sono roso da dubbi, il mio vicino sembra al contrario felice della circostanza: «Si, in realtà le hai proprio dette!».

«Avrò pure individuato il sistema patriarcale, anche se non l’ho mai definito tale. Avevo più semplicemente specificato la similitudine tra le varie ideologie nazionaliste che si concretizzano nella costruzione della dittatura, dello Stato tirannico!».

Il professore annuisce: «C’è un’altra cosa che non sai di questo ambiente… e forse è destino che tu debba imparare il meccanismo del non-luogo a poco a poco, istante dopo istante, senza mai fermarti all’apparenza dei concetti! Vedi, quando più soggetti sono costretti a coabitare nello stesso subconscio, fatalmente le loro menti si amalgamano in un continuo confronto-scontro, una dialettica degli opposti che tende sempre più verso un’unità d’intenti e una sintonia di pensieri ed azioni… Accidenti! Di nuovo un linguaggio complicato! Voglio scusarmi per simili digressioni che costituiscono un fastidioso tic intellettualoide.

Ciò che intendevo farti capire è che vivere in uno stesso ambiente costringe chi è coinvolto ad uniformarsi al modello generale, se non vuole subirne le rimostranze. Si tratta di un movimento spontaneo che coinvolge fatalmente ed inconscialmente i nuovi entranti, come in questo caso te stesso. Non intendo illudermi che si tratti di un meccanismo che tende alla perfezione o che è esteso a tutto l’universo che ci circonda, ma almeno in questo spazio in cui siamo rinchiusi – per modo di dire – tu, io, il goblin, il dio delle guerre perdute, l’inquisitore e i tanti che non hai ancora incontrato. Poiché abbiamo un potenziale psichico comune, le differenze difficilmente possono predominare sulle comunanze d’intenti. Non ti sei ancora accorto che con gli altri vicini che ci circondano, abbiamo reagito all’unisono alla tua comparsa qui, come se avessimo alle spalle anni e anni di esperienza? E che più o meno le parole, le inflessioni del linguaggio, le emozioni che ti abbiamo svelato si somiglino? Conclusione: le cinque caratteristiche del sistema patriarcale hanno immediatamente invaso il tuo subconscio, integrandosi alla perfezione con le tue idee già pre-esistenti.

Ma torniamo a noi e al concetto di guerra tradizionale. L’aspetto più importante è che coinvolge civiltà ben consolidate, con anni, decenni, secoli di esperienza, perché altrimenti sarebbe più corretto rinviare alle guerre tribali e alla loro anarchia. Civiltà, l’ho detto, significa ordine: però ordine nel senso limitativo del termine, perché circoscritto al solo scopo di perpetuare la comunità, la razza, la religione; il di più è immondo, impuro, peccaminoso. Si individua facilmente il concetto di civiltà: una comunità che vive in un territorio molto ampio ma che non basta mai per soddisfare la crescita continua della popolazione o per compensare le continue carestie, e pertanto costringe alla conquista dei territorio d’oltrefrontiera, con la forza delle armi o della diplomazia. Non necessariamente le guerre patriarcali devono avere come oggetto la conquista, ma si tratta della molla primaria, comune alle prime civiltà che sono apparse sulla terra.

Poiché limitare l’organizzazione sociale al solo scopo della riproduzione è una forzatura contro-natura, queste civiltà possono assicurarsi la sopravvivenza solo se accompagnano ogni loro azione con un uso spropositato della propria forza e del proprio carisma, di qui l’instaurazione di uno Stato di polizia onnipresente e onnipotente, la struttura piramidale del potere, l’aura di sacralità ed eroismo dei potenti, la censura e la tortura, l’uso dello spionaggio come arma di controllo sulla popolazione, la propaganda, la religione per giustificare la contro-natura di un simile processo, la pulizia etnica, l’attenzione quasi maniacale per tutti i riti e i simboli della comunità – ad esempio la barba e il velo islamici, la foto del dittatore in ogni abitazione, l’iscrizione obbligatoria al partito, il saluto nazista…

Osserviamo più da vicino, dato che la situazione straordinaria in cui vive attualmente l’umanità ce lo permette, i vari conflitti patriarcali:

 

- La guerra del Kosovo e i focolai nelle altre regioni balcaniche dovrebbero confermare il loro carattere di guerre tradizionali, dato che le varie etnie, albanese, serba, macedone e così via, ragionano secondo la concezione patriarcale della storia: dappertutto si disegnano cartine geografiche inglobanti anche i confratelli perseguitati dagli Stati confinanti in quanto minoranze (cartina panalbanese, panserba…), si invocano pulizie etniche, si cerca nella storia la dimostrazione della propria superiorità e della benedizione divina, si mantiene un’alta prolificità come arma di difesa…

- Dopo la disgregazione dell’Urss, sono scoppiate due guerre in Tagikistan prima, in Cecenia dopo. La prima guerra è terminata mentre la seconda è in corso. La posta in gioco è, ora, l’indipendenza del popolo ceceno: la Russia non può accettare la richiesta d’indipendenza per motivi economici (le riserve petrolifere), ma soprattutto per motivi sociali: l’indipendenza di una regione potrebbe fungere da vaso di Pandora per la richiesta d’indipendenza di altre minoranze, e minacciare così l’integrità stessa del territorio proprio mentre si sta avviando faticosamente un processo di modernizzazione. A dire il vero, quello ceceno dovrebbe essere classificato come conflitto moderno, simile al Risorgimento europeo, però bisogna considerare che la Cecenia è uno stato musulmano e pertanto c’è il rischio che nella regione predomini l’ideologia patriarcale.

- La guerra in Afghanistan ha favorito l’emergere di un’economia di guerra, con traffici di ogni genere (armi, droga, ecc.). La parentesi talibana è degna di nota: dopo essersi sostituiti ai sovietici, questi studenti coranici avevano imposto uno Stato teocratico, dove tutto era vietato (ma non coltivare droga da vendere agli occidentali capitalisti e corruttori), e dove gli uomini dovevano portare una barba lunga mentre le donne dovevano indossare il chador, un indumento che copriva qualunque parte del corpo tranne gli occhi. Una sorta di fondamentalismo religioso spinto all’estremo: presentava alcune regole di vita come se fossero le migliori, ma lo erano solo perché escludevano tutto il resto.

- Gli elementi che individuano il conflitto indo-pakistano come patriarcale sono tre: il territorio, dato che la contesa riguarda la regione del Kashmir, a maggioranza pakistano ma governato dall’India; la discriminazione etnica e la religione, ovverosia un’eredità della colonizzazione araba, 100 milioni di arabi residenti in India vittime di saltuari pogrom e a loro volta vendicatori sanguinari. Proprio l’essere il conflitto di tipo patriarcale impedisce di trovare una soluzione pacifica che escluda armi nucleari, perché nessun contendente è in grado di vedere al di là dell’integrità della propria comunità una possibile base della convivenza, rifiutando qualsiasi compromesso che infranga una simile integrità.

- Il conflitto in Medio Oriente è un conflitto in puro stampo tradizionale: la contesa riguarda il territorio, incluse le assurde colonie ebraiche site nella zona arabo-palestinese, trova in entrambe le parti una giustificazione nel libro sacro e si concretizza nell’alta prolificità di entrambe le parti. In Palestina, il livello di fecondità è di 7,44 figli per donna a Gaza (il record mondiale), di 5,61 in Cisgiordania (senza Gerusalemme) e di 3,95 a Gerusalemme. In Israele la fecondità si suddivide tra la sezione ebraica (2,56 figli per donna) e quella araba (4,15 figli per donna). Una situazione esplosiva, tenuto conto dell’aridità del deserto, e non sostenibile nel lungo periodo. – Non mi chieda come faccio a ricordare queste cifre, a volte la memoria è bizzarra!

- Quanto all’Irak, rivediamo la successione dei fatti a partire dall’ascesa al potere del dittatore Saddam Hussein: epurazioni all’interno del partito al potere (Baath) e repressione delle popolazioni sciite e curde nemiche (si tratta della classica società fondata sulla violenza istituzionalizzata per fronteggiare le avversità del mondo); organizzazione della dittatura attraverso la propaganda e i controlli massicci sulla popolazione irakena («Anche i muri hanno orecchie»); conflitti con l’Iran originati da contese territoriali; appropriazione delle risorse kuwaitiane attraverso l’arma della guerra di conquista anziché con la mediazione del capitalismo; rispolvero delle tradizioni arabe per difendersi dagli Stati Uniti (e conseguente abbandono del precedente laicismo); difficoltà a trovare un dialogo costruttivo con il mondo occidentale per via dei retaggi ancestrali (gli Usa usano un linguaggio borghese, mentre l’Irak ragiona ancora alla maniera patriarcale).

- Nell’isola di Cipro, quattro quinti degli abitanti sono di lingua greca e di religione cristiana ortodossa, mentre il quinto rimanente è di lingua turca e di religione islamica. La situazione è molto tesa per i rapporti tra le due comunità: sia la Grecia che la Turchia rivendicano la sovranità sull’isola, e spesso arrivano a scontrarsi diplomaticamente, con il rischio di degenerare in una guerra.

- Ultimo capitolo: l’Africa mediterranea, popolata da genti cristiane, arabe e indigene. Questo tipo di guerre è un miscuglio tra tribalismo e tradizione, in quanto si tratta di conflitti anarchici e religiosi.

 

Uff, che fatica! Concludo dicendo che l’ultima tipologia di conflitti, quelli moderni, si identifica più per esclusione, perché priva di una tradizione propriamente detta e perché coinvolge Stati già formatisi in seno al colonialismo. Detto in altri termini, sono Stati che si stanno faticosamente avviando verso la strada del capitalismo e che non hanno pregiudizi di tipo patriarcale, pregiudizi che negli altri casi ostacolano il cammino. Anzi, oserei dire che i vari contendenti possono abbracciare le varie ideologie, capitalismo-comunismo-tribalismo, tranne quella patriarcale. Le guerre di tipo moderne sono prevalentemente guerre civili perché non esiste l’imperativo tradizionale di conquistare nuovi territori a scapito dei Paesi confinanti, e pertanto manca la molla primaria dei conflitti patriarcali. Sono guerre civili anche perché vede schieramenti opposti, il governo al potere (spesso appoggiati dalle nazioni esterne che mirano ad influenzare la politica interna) contro i grandi cartelli criminali (che a volte riescono ad infiltrarsi tra le maglie del potere) e contro i ribelli (guidati dai marxisti) che osano contestare l’autorità di individui considerati servi del capitalismo e corrotti fino al midollo. In Colombia come in Nepal, ogni gruppo riesce a controllare una frazione del territorio e a gestirlo con la forza delle armi, come nel Medioevo, attraverso l’imposizione di tasse pesanti ai lavoratori e a i contadini, l’instaurazione di una giustizia sommaria che può finire con una condanna a morte, il terrore di massa… Certo, c’è la Corea del Nord che potrebbe far scatenare un conflitto “comunista”, ma si tratta di un residuato, più utile per i giochi diplomatici tra Stati Uniti, Cina e Corea del Sud.».

Il diciottesimo capitolo