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INCUBI

di Marco

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Il nono capitolo

10

Il goblin rimase silenzioso per due-tre secondi, dopo applaudì il mio discorso con un fare ironico o sarcastico.

«Un discorso retorico, banale, poco convincente. Ogni persona può avere le proprie idee sul mondo che lo circonda, questo non lo posso mettere in dubbio, ma il problema viene con il passo successivo, cioè nel rapporto tra le proprie opinioni, quelle altrui e la realtà che ci circonda. Nel rapporto tra queste tre variabili, opinione personale, opinione altrui, realtà oggettiva, il tuo discorso si mescola a tanti altri identici, con il rischio di non riuscire ad influenzare e modificare l’ambiente nel senso desiderato. Ti concedo che queste frasi non sono la premessa per affrontare l’ambiente esterno, ma anzi è l’ambiente esterno a suggerire poi ai grandi retorici di scrivere le cosiddette “frasi celebri”.

Ma torniamo a noi, e al concetto di uguaglianza. Tu hai tentato una definizione. Io dico che ce ne sono altre, e non tutte possono essere classificate come moraliste. Poco fa hai incontrato quello che hai soprannominato “il Dio delle guerre perdute”. Involontariamente, lui ti ha dato un’altra definizione di uguaglianza, ed è quella in voga sotto qualsiasi sistema patriarcale. Hai notato i suoi soldati, tutti cloni identici alla matrice originaria. Si tratta di una sorta di uguaglianza che può essere definita con una frase banale: “Dovete essere tutti uguali a me!”. Il presupposto base di tale comando è l’idea di essere migliore degli altri, un individuo, un nucleo familiare, una razza. Perciò anche gli altri devono essere uguali al soggetto prescelto. Prendi i fondatori delle grandi religioni del mondo: Mosè, Gesù, Maometto, Buddha, Confucio… Ogni civiltà che ha abbracciato una di queste religioni è sempre partita dalla premessa che il tipo di vita del carismatico fondatore debba essere il modello ideale di uomo: cioè colui che ha sacrificato il proprio egoismo, ha abbandonato «le spoglie mortali» per il bene della comunità, affinché la comunità possa eseguire la volontà divina in terra, con la speranza di una vita migliore dopo la morte. Hai già incontrato il “mondo del teologo”, nella tua prima esperienza in questo non-luogo, quindi ti sarai già fatto un’idea.

Questo tipo di uguaglianza può essere al tempo stesso giusto ed ingiusto. Dal punto di vista del rapporto tra vizi e virtù, allora l’uguaglianza nella virtù potrebbe essere il migliore dei mondi possibili: un modello di morale, che però non può collegarsi al secondo paradigma della morale stessa, quello della punizione del forte. Qui la virtù si ricollega al dominio ristretto dei pochi capi carismatici sulla «vile plebe» che ama sguazzare nel pantano. Ma è al tempo stesso ingiusto, perché riduce l’intera società ad una vita di sacrifici: «la guerra come sola igiene del mondo». Carestie, pestilenze e guerre sono una costante di questo mondo patriarcale.

Oltretutto, il dibattito vero sarebbe su cosa si debba intendere per virtù. Dibattito troncato dall’affermazione egocentrica che «la virtù appartiene solo alla razza eletta». In realtà, come ti ha fatto notare il Dio delle guerre perdute, ogni razza, ogni popolo, ogni civiltà è dotata di virtù. In questo senso l’uguaglianza delle razze non è un’idea campata per aria. In ogni caso, in questo tipo di società che pratica l’uguaglianza nella forza, i deboli muoiono perché conducono una vita di stenti o finiscono vittime delle periodiche operazioni di «pulizia etnica».

Ma prendiamo l’uguaglianza del vizio, un argomento poco trattato per via delle sue implicazioni immorali. Ci sono stati soltanto due tentativi di trattazione: i libri di Sade, Justine e Juliette, due capolavori misconosciuti della letteratura, e gli studi sul consumismo figlio della società capitalista.

Sade afferma che la natura è al contempo costruttiva e distruttiva, e pertanto soltanto chi accetta di costruire e distruggere ad ogni passo della sua vita può aspirare ad ottenere una ricompensa dalla natura stessa. Il vizio aristocratico, che sarebbe la pornografia nella sua massima perversione e crudeltà, è costruttivo perché massimizza il desiderio dei protagonisti, ma è al tempo stesso distruttivo perché vuole provare il massimo piacere nel crimine: furti, sodomia, pedofilia, incesto, torture, omicidi brutali, stragi, vendette, scempi ambientali, non c’è crimine di cui non si macchino i protagonisti. La virtù, invece, concepisce solo la forza costruttiva dell’amore, e pertanto rimane vittima della sua debolezza: infatti solo le persone deboli possono essere virtuose.

L’uguaglianza nel consumismo, ovvero l’uguaglianza formale che la democrazia industriale regala ai suoi cittadini, è una versione della morale che non necessariamente contrasta con l’uguaglianza delle razze. Per questo tu oggi puoi concepire questa tua idea di società multietnica: perché il denaro, oltre a non avere odore né sapore, non ha neanche colore. L’immagine simbolo di questo melting pot è un albergo dove si riuniscono il dirigente di una multinazionale americana, un miliardario arabo e un informatico indiano: tre storie di successo in seno al capitalismo. Secondo la morale borghese, l’intelligenza ha la meglio sulla forza bruta. Solo che per arrivare ad una simile concezione virtuosa, si è dovuti passare per secoli di oppressione: oppressione contro gli operai, oppressione contro i popoli colonizzati, oppressione attuale contro i poveri del Terzo Mondo.

Una volta definite le diverse uguaglianze possiamo arrivare alla conclusione che l’uguaglianza tra gli uomini sarà pur possibile, ma la via per arrivarci è irta di violenze e prepotenze. Possiamo giustificarlo con un ragionamento astratto, sui generis. Se gli uomini fossero effettivamente uguali, non esisterebbero soggetti forti e soggetti deboli, perché altrimenti dovrebbe esistere la disuguaglianza. Ma allora il moralista non può scagliarsi contro soggetti inesistenti (i forti) a difesa di soggetti altrettanto inesistenti (i deboli). Delle due l’una: o ammetti la disuguaglianza e combatti per ottenere l’uguaglianza, o la neghi rischiando di essere trascinato nel vortice degli eventi brutali di cui la storia è costellata.

Dovremmo ora andare a chiederci che tipo di disuguaglianza esista in natura, e perché esista tale offesa alla morale qualunquista. Penso che sarà l’ultimo intervento, perché dopo dovremo lasciarci: io ho altri mondi da esplorare, tu hai un mondo intero da ricostruire: il TUO mondo. Ma non temere! Ci rincontreremo, e allora potrò spiegarti alcune regole di questo non-luogo mentre tu potrai espormi qualche altra tua perla filosofica: anche perché mi rendo conto di aver parlato solo io, contrariamente alle intenzioni originarie.

Vi sono due modi per spiegare la disuguaglianza, allo stesso modo dell’uguaglianza: o è un prodotto naturale di Madre Terra, o è una creazione artificiale dell’uomo. Nel primo caso, sarebbe l’uomo stesso ad intervenire artificialmente per eliminare la disuguaglianza: ci sta provando con la rivoluzione industriale. Nel secondo caso, dovrebbe esistere una minoranza di persone in grado di ribellarsi ad una simile oppressione, e seguire una serie di percorsi rivoluzionari per scalzare il potere elitario in nome dell’uguaglianza nei diritti e nei doveri. Una cosa che non esclude l’altra, perché la rivoluzione industriale e quella francese sono un prodotto della stessa era, gli ultimi decenni del diciottesimo secolo.

Suggerirei di partire dal tipo di disuguaglianza più semplice, che esiste nelle società democratiche altamente egualitarie: chi muore in vecchiaia e chi muore prima del tempo. I secondi sono per definizione deboli per natura. Mi pare inutile cercare colpe che non esistono: uno è già predisposto a morire, a meno che non diciamo che poteva prevenire la sua morte grazie all’aiuto degli altri, ed in tal caso la democrazia garantisce lo svolgimento di un regolare processo per assicurarsi che i veri colpevoli di omissione di soccorso subiscano la giusta punizione.

Altra disuguaglianza esistente in democrazia: le capacità naturali. Ogni soggetto ha un grado di intelligenza diverso dall’altro. E il capitalismo si nutre dell’intelligenza delle persone. Come accade nelle stalle, le mucche poco produttive finiscono subito come carne da macello, allo stesso modo gli individui che non riescono ad essere produttivi o a dimostrarsi virtuosi finiscono stritolati nei meccanismi perversi della corruzione e del crimine. Diventano vittime dei tanti casi di cronaca di cui i giornali sono pieni zeppi e che le statistiche appiattiscono ad un numero senza emozioni. Perché questo? Due motivi: uno te l’ha spiegato il Dio delle guerre perdute, l’istinto di repulsione che prima o poi si manifesta cronicamente; l’altro motivo ha a che fare col tipo di ambiente in cui finisce un personaggio, ad esempio in caso di una situazione economica stagnante qualche vittima del progresso spunta sempre.

Facciamo un salto culturale e studiamo la disuguaglianza del sistema patriarcale. Il sistema tribale, ancora esistente in Africa, e quello comunista li trascuriamo perché ci farebbero perdere il nocciolo della questione, che sarebbe il legame tra uguaglianza e realtà dal punto di vista della morale.

La differenza essenziale risiede nello stato di salute dei personaggi che animano la scena dei borghi e delle città-Stato dell’epoca: uno stato di precarietà psico-fisica che sfocia in carestie, pestilenze, rivolte, fanatismi, vagabondaggio, soprusi grandi e piccoli. La speranza media di vita era di 40 anni, 45 al massimo. Naturalmente era l’era del predominio del forte sul debole, come narra la Storia.

Di conseguenza dovremmo chiederci i motivi di questa discrepanza con la società borghese. Onestamente, l’unica risposta che posso dare è di seguire il percorso della malattia in direzione inversa alla linea evoluzionistica. Oggi scoppiamo di salute (o quasi) perché il capitalismo ci ha permesso di accumulare tutte le risorse necessarie per la sopravvivenza; sottraiamo a poco a poco queste risorse, e vedremo gli uomini indebolirsi sempre di più. Conclusione? Per il sistema patriarcale non dovremmo parlare del dominio del forte sul debole, ma della differenza fra soggetti che possono permettersi un tenore di vita adeguato ed altri che non possono dire altrettanto. Quale differenza? Qui giunge in soccorso la riaffermazione dei valori morali che guidano la condotta religiosa degli uomini: i virtuosi, cioè i santi e gli eroi, sono meritevoli di ascendere ai vertici del potere aristocratico, gli altri devono recitare il ruolo dei «vili plebei» e subirne le conseguenze negative.

Come vedi, non ci sono soggetti deboli da difendere sotto un qualsiasivoglia sistema si parli, perché la morale che pretende di punire i forti in realtà indebolisce i viziosi e rafforza i virtuosi. Però una forma di moralismo esiste, quando si pretende di avere cura dei propri figli. I figli sono esseri indifesi quando finiscono per essere coinvolti nelle guerre patriarcali, e la morale della Tradizione insiste con il differenziare i massacri “nostri” con quelli “altrui”. Mi spiego: se il presupposto dovrebbe essere la difesa dei deboli, in questo caso le donne e i bambini, dovrebbe essere indifferente che siamo noi a massacrarli o i nostri nemici, perché entrambi abbiamo dichiarato la guerra per gli stessi motivi: la conquista di un nuovo territorio. Eppure, se “loro” massacrano i nostri cari sono subito classificati come esseri brutali da annientare; se “noi” stupriamo le loro donne o seviziamo i loro figli ci giustifichiamo con la parola “pulizia etnica”, una giusta ripulitura del mondo dalle razze inferiori: è un giudizio morale. Così la difesa dei nostri cari non può combaciare con l’uguaglianza dei moralisti.

Non credo che tu possa comprendere il significato della mia filosofia. Mi accontento di aver gettato un granello di polvere negli ingranaggi della tua mente. Spero che d’ora in avanti osserverai il mondo con uno sguardo diverso, senza i paraocchi che il conformismo e l’ipocrisia impongono ai chi vuol vivere da vigliacco, isolandosi nel proprio fittizio Eden e dimenticando i veri problemi del mondo.

Un’ultima cosa prima che io scompaia dalla tua vista. Questo non-luogo è un universo a sé stante, con proprie e misteriose leggi che lo governano. Non conosco tutte queste leggi, ma una te la posso insegnare. Prendila come dimostrazione della mia stima nei tuoi confronti. Sappi dunque che i flussi di energia sono quanto di più vicino al fluire degli elementi intorno a noi. Ogni elettrone è un mondo a sé stante dove vive ogni individuo in compagnia della propria immaginazione. E come gli elettroni sono attratti e respinti a seconda delle leggi della fisica, allo stesso modo qui ogni piccola particella di energia mentale è attratta da altri consimili.

Il tuo esempio lo dimostra: da quando sei qui sei stato invaso da un teologo, un guerriero e un risuscitatore dei fantasmi del subconscio. Il corpo astrale che ti personifica emana uno spirito battagliero non comune. Potresti rivaleggiare con gli Dei, se solo lo volessi. Incontrerai altri tuoi consimili, alcuni folli, altri lucidi, altri ancora portatori di morte e distruzione. Perché ogni mondo immaginario si muove in questo universo, allo stesso modo con cui gli elettroni percorrono i fili della corrente elettrica, e il movimento scatena terremoti inimmaginabili. Finora l’equilibrio del luogo è assicurato dal fatto che nessuno è così potente da rivaleggiare con lo stesso Creatore dei nostri mondi impossibili. Tu potresti essere l’eccezione. Sinceramente me lo auguro, anche al prezzo della mia morte. Addio!».

Un secondo dopo non c’era più.

L'undicesimo capitolo