Il secondo capitolo
3
Per rievocare
il ricordo, riservo ad un angolo remoto l'illusione di scrivere
le parole che verranno. Adesso devo concentrare l'intero mio
lato cosciente sulle immagini dell'epoca.
Il ricordo è ambientato in montagna. E io ricreo la montagna
qui, in questo non-luogo. Gli alberi di pino uno accanto all'altro,
l'erba sopra il manto di terriccio, i cespugli di rovi e di fogliame
verde a metà altezza. Come seconda immagine ho la strada
costruita disboscando il terreno in pendenza, per renderla agibile
alle autovetture in transito, agli autoveicoli di turisti di
passaggio, ai camion per la raccolta della legna, alle ruspe
per il trasporto di materiale da costruzione.
La terza immagine è il campo di scout, un vasto spiazzo
vuoto in mezzo alla fitta vegetazione, con tende sparse qua e
là per ospitare gli scout a gruppi di due, e all'estremità
una recinzione circolare costruita tante estati fa rimescolando
grossi tronchi tagliati, filo spinato e reti metalliche. Un tempo,
il posto era di proprietà del sindaco del paesino Platea.
Ma durante una campagna elettorale il sindaco, per guadagnare
voti, ha donato il terreno in beneficenza alla parrocchia, che
da quel momento ne ha fatto un centro di ritrovo per ricorrenze
particolari, come la comitiva scout.
Adesso devo ricreare i personaggi. Ricordo che al campeggio c'erano
almeno venti persone, a cui andavamo aggiunti noi sette: a parte
me e mio fratello, devo includere Marilena e gli altri quattro
membri che avevamo incontrato. E adesso ricordo che loro cinque
formavano il gruppo addetto alla perlustrazione del bosco. Gli
istruttori avevano suddiviso tutti gli scout in diversi gruppi,
composti da almeno tre elementi, e ciascun gruppo era addetto
a determinate mansioni: due gruppi per la perlustrazione, uno
per la cucina, uno per l'assistenza medica, uno per la programmazione
della giornata, uno per le funzioni religiose. Ma non ho voglia
di sforzarmi nel ricordare la fisionomia e la posizione di tutti
i soggetti presenti al campeggio. A me bastano tre persone: me,
mio fratello e lei.
Mi autoricreo a mia immagine e somiglianza, come si suol dire:
a quel tempo avevo un'aria sbarazzina, distratta, tipica di chi
non aveva problemi di lavoro né tantomeno una famiglia
da mantenere, con moglie e figli. Un po' più paffutello
e con capelli più lunghi, guardavo il mondo con molta
curiosità, desiderio di scoprire cose nuove. Però
per addentrarmi fin dentro il bosco mi affidavo a mio fratello,
perché avevo paura di serpenti e ragni. Era sempre lui
a prendere l'iniziativa, qualunque parte del bosco avessimo voluto
scoprire: e di scoperte ne avevamo fatte tante. Più alto
di me, aveva già il fisico maturo: il volto disegnato
da capelli corti e una barba appena pronunciata, indossava come
me la maglia lunga, i jeans e gli scarponi, gli indumenti più
indicati per una scampagnata in montagna. Marilena indossava
la divisa dei boy-scout: foulard al collo, camicia blu sottile,
jeans neri. Particolare più erotico: i capelli raccolti
in una vivace treccia a forma di cavallo.
Siamo noi tre al limitare del bosco, in uno dei quattro lati
esterni al campo, oltre il quale si staglia un lungo precipizio
che termina in un ruscello che io e mio fratello avevamo già
esplorato qualche volta. Bastava solo stare attenti ai serpenti
che potevano annidarvisi.
Mi vedo come se fossi ad uno specchio spazio-temporale: bacio
appassionatamente Marilena, mentre Giuseppe si guarda intorno
imbarazzato, sperando in qualche scusa per allontanarsi. All'improvviso
vedo un colpo di vento spettinare i capelli di Marilena. Risate
e allarmismi giocosi: il meglio del Paese dei balocchi, qualcosa
che ho sempre sognato ma mai realizzato. Difficile perfino per
la mia giovane età, per l'altro me stesso, giocare e infischiarmene
del resto del mondo. Ho la tendenza a pensare alla Totò:
"E io mi butto a sinistra!". La mia idea del mondo
è banalmente di sinistra: uguaglianza tra le razze, famiglia
borghese, due figli, virtù platoniche. Ma per creare questo
paradiso in terra bisogna lottare, combattere. Il mio modello
è Superman. Ma avrei potuto citare altri personaggi famosi,
i classici eroi che salvano il mondo ma non ricevono nessuna
ricompensa.
Quando sto (stavo) con una donna (ragazza), ho sempre il desiderio
di dimenticare tutto questo, di illudermi che l'ambiente intorno
sia il mio mondo, e i problemi siano roba antiquata, superata,
dissolta. Adesso che sto lottando con me stesso per ricrearmi
le illusioni ottiche, posso farlo. Il mio mondo è qui
e ora, in questo non-luogo.
Il colpo di vento è cessato. Marilena si risistema i capelli.
Io insisto per risistemarli da me, lo considero eccitante. Lei
dice di no, e ride ancora con quel suo bellissimo sorriso. Mi
arrendo. Mi giro imbarazzato per la sconfitta e vedo mio fratello
ammirare un albero cavo, probabilmente la tana di uno scoiattolo
posta in alto, tra i rami. Gli alberi sono secolari, e pertanto
alticci. Rifletto sulla natura e sul destino degli animali e
dell'uomo, rievoco concetti scientifici e filosofici studiati
sui libri della biblioteca paterna. Ma è questione di
un attimo, c'è Marilena che pretende di rubarmi tutta
l'attenzione possibile. Comincia a farsi buio, mio fratello a
pochi passi da me mi grida che dobbiamo tornare a casa, a cenare.
"Dai, aspetta un attimo!". E torno a baciare Marilena,
ad occhi chiusi. Riapro gli occhi dopo non so quanto tempo, e
non trovo più Marilena. Sono in cucina con tutta la famiglia.
La cena è pronta. Sembra un quadro normale, ma i miei
sensi si allarmano. Cosa diavolo è successo? Io stavo
pensando al campo scout, non alla mia famiglia! Ho la sensazione
che stia per accadere qualcosa di orribile, i miei occhi seguono
una scia invisibile che passa dal muro alla mia destra per finire
al televisore alla mia sinistra. È questione di un secondo,
e all'improvviso vedo i corpi dei miei genitori e di Giuseppe
sanguinare dalla testa ai piedi. Il sangue esce copioso. Inonda
tutta la stanza. Affogo!
E una voce proveniente dall'abisso mi grida: "L'Apocalisse
sta tornando!" |