Rassegnina |
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Contro l'utopia
violenta, la sostanza delle cose
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Solo scuse (e in ritardo) al diplomatico israeliano.
Ma quando può parlare?
Il Foglio, 20 ottobre 2004
«Il messaggio di terrore diretto alla direzione della facoltà è stato
chiaro: o lo cacciate oppure rimaniamo qui. Questo israeliano non apre
bocca. Non siamo antisemiti ma antisionisti - hanno precisato i
manifestanti - Israele non ha diritto di esistere». Nelle scorse
settimane, all’Università di Pisa, venti studenti, in nome della
tolleranza pacifista, hanno impedito all’ambasciatore israeliano di
parlare alla facoltà di scienze politiche, minacciandolo di violenza
fisica perché convinti del fatto che Israele non abbia il diritto di
esistere.
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Marco Lodoli
I jeans a vita
bassa delle quindicenni
Repubblica, 18 ottobre 2004
«Professore, ma non ha capito che oggi solo
pochissimi possono permettersi di avere una personalità? I cantanti, i
calciatori, le attrici, la gente che sta in televisione, loro esistono
veramente e fanno quello che vogliono, ma tutti gli altri non sono niente
e non saranno mai niente. (…) Ho protestato, (…) ma capivo che (…) non
riuscivo a convincere nemmeno me stesso. A quindici anni ci si può già
sentire falliti, (…) perché non c'è alcuna possibilità di essere
protagonisti almeno della propria vita».
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Annalena Benini
Il diritto alla
sofferenza di Brunetta, un “mostro” felice di esserci
Il Foglio, 23 ottobre 2004
«Ma allora, se per sostenere un’idea bisogna
cambiare la realtà, vuol dire che l’idea non è così formidabile….e non
esiste al mondo, “mai mai mai” un malato di talassemia che preferirebbe
essere non nato, “la sofferenza è niente, in confronto all’essere qui
adesso, a incazzarmi”».
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Giuliano Ferrara
Perché non
possiamo rinunciare a definire il bene dal male
Il Foglio, 22 ottobre 2004
«Deve esserci un criterio per dire e fare “meglio” o
“peggio”, e questo criterio è una certa definizione di ciò che è “bene”
come adeguamento dell’intelletto alla cosa, alla realtà, e di ciò che è
“male”. E’ una conversione… nel senso che è la decisione di usare la
ragione in modo non strumentale e tecnico, guardando alla sostanza delle
cose che sarà inafferrabile e difficile da definire, ma senza la quale non
esisterebbe nemmeno la loro forma.»
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Commento: |
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Ci
sono degli stereotipi di pensiero molto diffusi che diventano, nelle
code estreme, inevitabilmente violenti, o contro gli altri - come i
tolleranti pacifisti di Pisa -; o contro se stessi, come la studentessa di
Roma che dice: se non vado in tv, se non riesco a distinguermi dalla massa
sono una fallita. E il professore imbarazzato non sa cosa rispondere.
Quando, come in questi esempi, un’idea di ciò che dovrebbe essere prevale
sulla realtà stessa, allora emerge o un’estrema violenza, o un’estrema
desolazione.
Se
così fan tutti, c’è chi va contro tendenza. Come il signor Brunetta - il
presidente dei talassemici in Italia ed egli stesso talassemico - che,
dentro il dolore della sua malattia, raccontando di sé, testimonia la
positività e l’utilità del suo essere al mondo, come emerge in particolari
apparentemente banali, quali il correre a casa per accudire la moglie
influenzata: «Adesso devo scappare, lei ha bisogno di me». «Il pensiero più
risoluto è niente in confronto a ciò che avviene», diceva Pavese;
desideriamo quindi l’umiltà che accetta la realtà come più grande di sé e la
impariamo da chi non si accontenta e spende le sue forze per cercarla e, per
questo, come dice Ferrara, occorre convertire la nostra posizione. |
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