Felicità

Con il nemico dentro le mura

 
 
«Questa è stata Assisi, nella sua essenza. Non il trionfo di una universale fede pacifica, ma dodici religioni riunite all’ombra del disastro di Manhattan e costrette quasi loro malgrado a scoprire quel che davvero conta: lo spirito del male che abita nel cuore stesso dell’“aiuola” composta dai fedeli […] Questa dismisura dell’uomo, questa hybris del bigotto, era lo spettro che si aggirava nella basilica di san Francesco. Spettro che impaura le religioni vere, perché la dismisura minaccia mortalmente l’uomo e offende mortalmente la fede in Dio e il Dio della fede».

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di Barbara Spinelli



Non sono mancati gli scettici, a conclusione della preghiera di Assisi, né gli scontenti. Molti pacifisti speravano in parole più dure contro la guerra, e in un’armonia fra le diverse religioni che sfociasse in fusione. I critici della mondializzazione si aspettavano forse l’inno a un futuro egualitario, radioso: a un mondo dove i conflitti saranno sradicati grazie all’intervento di una divina bontà che restituisce il pane all’indigente, il maltolto al derubato, la giustizia agli umiliati. Chi pensa il mondo in termini di scontro tra civiltà religiose deve esser tornato a casa con una strana sensazione: al centro dell’attenzione dei convenuti ad Assisi non v’era, in fondo, questo scontro. A esser precisi non erano il multiculturalismo, la tolleranza tra le fedi, a tormentare le undici religioni, e Giovanni Paolo II che le aveva quasi d’urgenza convocate.


In realtà le ha convocate per un’altra emergenza, non meno tormentosa. Il pericolo e il male non abitano più fuori casa, come è apparso negli incontri ecumenici del passato. Non sono l’ateismo e neppure il paganesimo o il relativismo a esser additati come nemici da fronteggiare, ripudiare. Non tutti alla preghiera comune l’hanno detto a chiare lettere ma l’atmosfera che regnava ad Assisi aveva toni apocalittici e designava il nemico interno come massimo, ineludibile avversario. L’avversario che si presenta al mondo come bigotto, come difensore inflessibile delle fedi, come oppositore di tutte le guerre, le ingiustizie. Incessante è la sua preghiera, notte e giorno egli si rivolge a Dio, ed è in suo nome che non esita a sterminare e fomentare guerre. Nell’Apocalisse e nelle lettere di San Paolo è l’Anticristo, ad avanzare così mascherato. In tutte le grandi religioni il maligno semina violenza «ammantandosi di religiosità», come ammonisce il Pontefice. Usa il nome di Dio e usa i credenti per i propri disegni di distruzione e di cattura delle menti. Impaura mentre prega, e quanto più prega tanto più incrudelisce. In uno degli apologhi più conturbanti sul falso ecumenismo, il filosofo russo Solovev descrive l'avvento del Santo Vendicatore che uccide e regna in nome di Dio, e che in nome di Dio annuncia la pace tra i popoli a condizione che questi si sottomettano, il benessere a tutti purché ciascuno rinunci alla libertà (Vladimir Solovev, Breve Racconto sull'Anticristo).


Questo è stato Assisi, nella sua essenza. Non il trionfo di un’universale fede pacifica ma dodici religioni riunite all’ombra del disastro di Manhattan, e costrette quasi loro malgrado a scoprire quel che davvero conta: lo spirito del male che abita nel cuore stesso della «bella aiuola» composta dai fedeli. Non solo la lotta fra le religioni ma la la ferocia che spesso impregna i rapporti tra adepti della medesima fede. Il nichilismo che non proclama la morte di Dio ma anzi lo esalta, e impugnando i suoi simboli annuncia che il valoroso vive oltre il bene e il male, dove tutto è permesso. Come in Solovev, gli invitati di Assisi si sono messi alle porte dell'inferno, hanno pronunciato il loro non prevalebunt, ma in cuor loro lo sapevano: nell’inferno che presidiavano non c’è l’ateo ma c’è il religioso portato al parossismo, c’è l’uomo che fantastica una fede a tal punto lancinante da immaginarsi eguale a Dio. C’è l’uomo che si atteggia a fondamentalista ma che cancella l'autentico fondamento delle religioni: la distanza fra terra e cielo, fra sé e Dio. Il praticante di questo tipo è chiamato l’Uomo che viene, in Solovev. E’ l’uomo che forgerà la mondializzazione basata su un’idea assolutizzata di bontà, che darà prosperità all’universo in cambio di servitù volontaria. Che «teorizzerà una giustizia di ripartizione e non di retribuzione». «Salvatore perfetto e definitivo», lo chiama il filosofo russo: idealista e feroce. Non uomo, ma superuomo. Forse questo intendeva il Papa, quando ha concluso che «le tenebre non si dissipano con le armi; le tenebre si allontanano accendendo fari di luce». Non ha detto che si allontanano con il pacifismo, la diplomazia. Si dissipano con l'acutezza intransigente dell’occhio che sa guardare nell’opacità, nell’inganno. L’occhio che guarda dentro di sé, e dentro la natura infinitamente mortale delle stesse religioni.


Tutti erano ai cancelli di quell'inferno, anche se non tutti ne erano coscienti. Nell’Islam la percezione è tuttora vaga, e lo sceicco Tantawi si è guardato dall’accennare alla crudeltà che usurpa la religione e ne abusa. Ma ne era specialmente cosciente il Pontefice, quando ha denunciato l’«ingiusta associazione della religione con interessi nazionalistici, politici, economici», aggiungendo: «Chi utilizza la religione per fomentare la violenza ne contraddice l'ispirazione più autentica». E ne era cosciente il rappresentante ebraico, il rabbino americano Israel Singer, forse più intensamente e disperatamente di altri. E’ stata l’orazione più allarmata, e non a caso la voce parlava in nome di quella Palestina dove le fedi si fanno una guerra cui viene ancora dato il nome di processo di pace. Scosso dall’iniziativa del Papa, Israel ha acceso i fari sul male che si ammanta di religiosità, ha abbandonato d’un tratto il discorso scritto e ha detto, rivolgendosi ai musulmani: «Voi dovete chiedere al vostro popolo e noi dovremo chiedere ai nostri, a tutti i nostri fedeli, se la terra e le città sono più importanti delle vite umane. Finché non impareremo questa lezione, non ci sarà la pace». E’ un profondo ripensamento che il rabbino invoca, non soltanto nell’Islam ma nell’ebraismo: non è detto che sarà ascoltato.


Naturalmente ci sono anche ragioni economiche, alla base delle violenze mondiali. C’è anche il grido dei poveri della terra, che gli integralismi sfruttano mescolandoli con false fedi. Ma il punto cruciale non è questo. Non è per ragioni economiche che gli ortodossi serbi e russi benedicono il massacro di musulmani bosniaci, kosovari, ceceni. Non è per propugnare la giustizia tra ricchi e poveri che Bin Laden abbatte le torri di New York. Non è per un futuro di equità che tanti rabbini hanno elogiato l’eccidio di musulmani in preghiera a opera dell'integralista Goldstein. E’ per sopprimere la distanza da Dio che tramutano, come ha detto l’induista Talwalkar, «il messaggio religioso in bigottismo». E’ per divenire uomini-Dio, anelanti all'onnipotenza. Questa dismisura dell'uomo, questa hybris del bigotto, era lo spettro che si aggirava nella basilica di San Francesco. Spettro che impaura le religioni vere, perché la dismisura minaccia mortalmente l'uomo, e offende mortalmente la fede in Dio e il Dio della fede.

Barbara Spinelli, 
La Stampa (27 gennaio 2002)


Commento:

 

A parte gli allarmi, ridicoli, di Repubblica (lo stato italiano tra i vari rischi possibili non corre certo quello di diventare “cattolico”), negli articoli di Shalev, Spinelli,  Mafai,  si avverte la persistenza di un pensiero lugubre e senza speranza: Dio è cattivo. Fa gli esperimenti sull’uomo e la fede in Lui non riesce a combinare niente di buono, anzi…


Così Dio è cattivo e l’uomo è mortale: questo è appunto l’apice di un pensiero lugubre che non ha il coraggio di cercare un Dio buono perché l’uomo è cattivo.


Il tono della nostra società, quando essa affida la propria liberazione dal male allo sforzo mortale dell’uomo, diventa funereo. Quello che ci si ostina a non capire è che proprio per la sua fragilità e peccato, l’uomo non può non cercare la felicità in una risposta positiva che viene come grazia, ovvero come dono più grande di quanto si possa immaginare. Credere in Dio è aver fatto questa esperienza, per cui la stessa durezza del vivere diventa ragione per desiderare e domandare, non nel pensiero astratto ma, come afferma Sequeri,  «in legami umani che rendano riconoscibile alla vita la sua destinazione e il suo appagamento [...]. Nella consolazione di qualche legame che rimane fedele, anche l’attesa più dura e più improbabile non è senza il profumo di quella misteriosa promessa che la felicità contiene».

(Pierangelo Sequeri, Sequeri: grazia misteriosa e sempre da aspettare, Avvenire - 29 gennaio 2002)


   
  • Meir Shalev
    Giobbe, la cavia divina
    Diario (25 gennaio 2002)
    Nella Bibbia si racconta che Dio permise a satana di perseguitare Giobbe per metterne alla prova la fede. Di fronte alla persecuzione Giobbe si domanda: «“Che male ho fatto?” […] Noi lettori sappiamo qual è la risposta, ma Dio a Giobbe la tiene nascosta. La risposta è semplice: Dio non avrebbe altro da fare che svelare a Giobbe l’esistenza della scommessa con il satana, quella crudele scommessa che l’ha trasformato nella vittima di un altrettanto crudele esperimento divino».

  • Barbara Spinelli
    Con il nemico dentro le mura
    La Stampa (27 gennaio 2002)
    «Questa è stata Assisi, nella sua essenza. Non il trionfo di una universale fede pacifica, ma dodici religioni riunite all’ombra del disastro di Manhattan e costrette quasi loro malgrado a scoprire quel che davvero conta: lo spirito del male che abita nel cuore stesso dell’“aiuola” composta dai fedeli […] Questa dismisura dell’uomo, questa hybris del bigotto, era lo spettro che si aggirava nella basilica di san Francesco. Spettro che impaura le religioni vere, perché la dismisura minaccia mortalmente l’uomo e offende mortalmente la fede in Dio e il Dio della fede».

  • Miriam Mafai
    Lo Stato cattolico che sogna Wojtyla
    La Repubblica (29 gennaio 2002)
    A proposito dell’intervento del Papa che chiede agli operatori del diritto di «evitare di essere personalmente coinvolti in quanto possa implicare una cooperazione al divorzio», l’articolista dice: «prepariamoci al peggio. Ad una repubblica fondamentalistica o talebana […] nella quale i principi della religione vengono trasformati in legge dello Stato, nella quale tutto ciò che è peccato per la Chiesa è anche reato per il tribunale».

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