ISLAM |
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di
Magdi Allam Quante "tipologie" di martiri dell'islam ci sono? Stando alla cronaca contemporanea principalmente: il martire disperato e il martire per sola fede La Palestina ha offerto i più frequenti casi di martiri per pura disperazione. In un contesto in cui le condizioni di vita della popolazione si sono incredibilmente deteriorate, molte famiglie aspirano a che uno dei loro numerosi figli diventi un martire, sia perché non riescono a sfamarli tutti sia perché il martire riceve una considerevole "premio" in denaro ed una pensione garantita. A pagare sono il movimento islamico Hamas, il presidente iracheno Saddam Hussein e l'Autorità palestinese di Yasser Arafat. In questi giorni, sempre in Palestina, emerge un'altra motivazione che porta al martirio. Non si tratta di disperazione per fame ma per mancanza di armi. Abbas Zaki membro del Comitato centrale di Al Fatah, spiega: "All'inizio dell'Intifada ogni dieci combattenti palestinesi c'era a disposizione un fucile. Oggi se lo contendono a decine. Man mano che cresce questo divario, aumenta il numero degli aspiranti martiri. Non ci domandiamo più quale siano le armi a nostra disposizione perché se ci dovessimo attenere alle teorie militari classiche non combatteremmo mai. Gli attentati dell'11 settembre scorso hanno invece portato alla ribalta la seconda tipologia di martire, quello che sacrifica la vita per sola fede. Stando all'FBI, i kamikaze erano tutte persone benestanti, istruite, capaci di interagire con la società occidentale e in grado di utilizzare i più recenti ritrovati della scienza. Il tratto comune è che si tratta sempre e comunque di giovani. Devono essere single senza famiglia da mantenere, con una personalità fragile ed irrequieta. Ma l'importante è che siano giovani perché più facilmente manovrabili: la via che li porterà al Paradiso di Allah passa attraverso il lavaggio di cervello . |
di Magdi Allam la Repubblica, 14 novembre 2001 |
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I
fenomeni descritti da William Dalrymple sono avvenuti nella totale
indifferenza di un Occidente, che tanto si dice pronto a
proteggere le altre minoranze religiose, quanto sembra disattento
a difendere i cristiani là dove sono minoranza. Vi è inoltre una grande confusione: si confonde la ragione, che è una dote, con la verità che è il contenuto per cui questa dote è fatta. Si dimentica che dall’Illuminismo proviene la celebrazione della Dea Ragione, ovvero dell’uomo misura di tutte le cose, e che proprio da questa pretesa nasce la violenza. Si confonde con la massima tranquillità il suicidio con il martirio. Il problema non è se esistano tante verità misurabili, ma se esista un amore (poiché questo è l’unico senso possibile di una verità desiderata) più grande della nostra misura e in grado di salvare la fragilità che la caratterizza. È questo il vero senso della rivoluzione cristiana, che - come giustamente dice Il Foglio - le nostre pareti dovrebbero ricordarci esponendo il Crocifisso. Il Crocifisso testimonia che il principio della tolleranza non è nella coesistenza e nella conciliazione di tante piccole e discutibili verità, ma nell’essere resi capaci di amare l’altro come se stessi. Per farsi un’idea non peregrina di cosa sia la ragione e di come funzioni in rapporto alla verità, si invita a leggere attentamente tutto - dalla prima all’ultima pagina - L’Autocoscienza del cosmo, di Luigi Giussani (edizioni Rizzoli). ____________________________________________________________________________ |
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