ISLAM |
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di Francesco
Merlo Purtroppo non esiste una legge che possa obbligare gli insegnanti e i Comuni a festeggiare normalmente il Natale, a evitare ordini del giorno che esaltino il chador (Paderno Dugnano), a non eccedere nel finanziare Centri islamici (Val d'Elsa), a organizzare le soliti recite con il bue e l'asinello, a far cantare ai bambini «Tu scendi dalle stelle», ad addobbare di luci gli alberelli. Purtroppo il buon senso non si può imporre per legge, ma forse si possono «sorvegliare» le istituzioni e le scuole, e incoraggiarle alla normalità. A preparare, per esempio, un Natale come al solito, come sempre si è fatto nelle scuole, nelle strade e nelle case di noi italiani, non importa se atei o credenti, tutti insieme a celebrare una festa che non offende, che non calpesta il diritto d'essere musulmano, ebreo e neppure pagano, perché non è il simbolo di una religione in guerra, ma è innanzitutto la nostra maniera di celebrare la nascita del mondo. E' la festa, illusoria ma necessaria, della generosità e dell'altruismo senza secondi fini, è il nostro rapporto con la morte che meglio ci aiuta a credere nella vita. Sarebbe dunque bene che cessasse di diffondersi la demagogia predicatoria, il talebanismo laicista degli insegnanti che staccano i crocifissi dai muri (La Spezia) o dei direttori di istituto che «giustiziano Babbo Natale (Biella, Bergamo, Milano), eliminano i biglietti di auguri illustrati con Gesù o con le renne. C'è in Italia un fiorire di etnologi dilettanti, di piccoli Levì‑Strauss che, esibendo un falso rispetto, applicano al laicismo la ferocia giacobina e, per risolvere il problema della convivenza tra le diverse identità, cancellano la nostra identità, la nascondono, la impoveriscono, la offendono e dunque, alla fine, la rendono offensiva. Un crocifisso sul muro, di legno massiccio, è il testimone innocuo di una tradizione secolarizzata, di una storia, di una identità ormai tollerante e laica. Tolto dal muro diventa un vuoto, un alone, un'ombra, un chiodo, una sottrazione, un simbolo insolentito e dunque insolente. Certo il pasticcio è in parte comprensibile e nessuno può affrontarlo con spocchia perché l'Italia arriva impreparata, e nel momento peggiore alla convivenza tra le religioni e le etnie. Ci sono casi grotteschi come quello di una piccola scuola elementare (Acicastello) dove è stato pop osto un presepe con le due torri al posto della capanna, la Madonna con il burqa e il Bambinello mutilato. E ci sono bislaccherie di segno opposto, come la decisione dell'assessore alla Cultura di Gela che ha offerto un milione di lire alle scuole che non hanno celebrato Halloween. E' una demagogia che va tenuta sotto controllo. La convivenza con le altre identità si può affrontare o cancellandole tutte, che è una maniera selvaggia e militare, come risolvere la disoccupazione ammazzando i disoccupati, o strutturando meglio le identità, trattandole come ricchezze, incuriosendoci reciprocamente. «Per capirsi bisogna conoscersi e non nascondersi» ha scritto Paul Ricoeur. Gli abitanti di un palazzo possono convivere con i vicini di un altro palazzo aprendosi con delle finestre e non radendosi al suolo. E i nostri simboli religiosi, da molto tempo, non sono più armati, e anzi, per molti di noi, non parlano più di religione. Insomma noi siamo pronti ad ospitare la diversità delle fedi, delle nevrosi, delle ossessioni e dei misteri. Ma senza rinunciare alla nostra identità che è fatta anche di Natale, di campanili, di Crocifissi. E' vero che nessuno ha risolto una volta per tutte il problema di Dio, che non esistono immagini di Dio che somigliano a Dio più di altre immagini, e nessuno ha il diritto di imporre agli altri i propri simboli siano quelli di un Dio tessitore o di un Dio falegname. Ma il crocifisso e il Natale siamo noi. Credenti e non credenti ci rappresentano tutti. E per capire come amiamo e quanto amiamo i nostri simboli, è sufficiente riflettere sul più amato di essi: Babbo Natale. Noi adulti non crediamo in lui, ma incoraggiamo i nostri figli a crederci. |
di Francesco Merlo Corriere della Sera, 10 novembre 2001 |
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Tutti
i commentatori appaiono decisi a difendere l’occidente, perché
in fondo l'occidente come identità è niente e in questo niente
ripongono la tolleranza di tutto come il valore più moderno.
Tuttavia, è uscito un articolo molto pertinente alla situazione
attuale, scritto pressappoco cent’anni fa da Soloviev e
ripubblicato da Tempi in data 14 novembre. |