ISLAM |
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di Vladimir
Soloviev Il vero dogma centrale del cristianesimo è l’unione intima e completa del divino e dell’umano senza confusione e senza divisione. La conseguenza necessaria di questa verità (per limitarci alla sfera pratica dell’esistenza umana), è la rigenerazione della vita sociale e politica attraverso lo spirito del Vangelo, e cioè lo Stato e la società cristiana. Invece di quest’unione sintetica ed organica del divino e dell’umano, si ebbero successivamente la confusione dei due elementi, poi la divisione e da ultimo l’assorbimento e la soppressione dell’uno o dell’altro. Dapprima si confusero il divino e l’umano nella maestà sacralizzata dell’Imperatore. Come nell’idea confusa degli Ariani il Cristo era un essere ibrido, più di un uomo e meno di un Dio, così il cesaropapismo – questo arianesimo politico – confondeva senza unirle la potenza temporale e la potenza spirituale e faceva dell’autocrate qualcosa di più di un capo di Stato, senza poterne fare il vero capo della Chiesa. Si separò poi la società religiosa dalla società profana, confinando la prima nei monasteri e abbandonando il forum alle leggi e alle passioni pagane. Il dualismo nestoriano, condannato in teologia, divenne la base stessa della vita bizantina. Per un altro verso, si ridusse l’ideale religioso alla contemplazione pura, cioè all’assorbimento dello spirito umano nella divinità, ideale evidentemente monofisita. Quanto alla vita morale, le si tolse la sua forza attiva imponendole come ideale supremo la sottomissione cieca al potere, l’obbedienza passiva, il quietismo, cioè la negazione della volontà e dell’energia umane: eresia monotelita. Infine, nel quadro di un ascetismo esasperato, si tentò di sopprimere la natura corporea, di spezzare l’immagine vivente dell’incarnazione divina: applicazione inconscia ma logica dell’eresia iconoclasta. Nell’islam non c’è libertà Questa contraddizione profonda tra l’ortodossia professata e l’eresia praticata era per l’impero bizantino un principio di morte. Ed è questa la vera causa del suo crollo. Era giusto che finisse, ed era giusto anche che finisse ad opera dell’islam. L’islam è il bizantinismo coerente e sincero, liberato da ogni contraddizione interiore. È una reazione piena e completa dello spirito orientale contro il cristianesimo, è un sistema nel quale il dogma è intimamente legato alle leggi della vita, nel quale la credenza individuale è in perfetto accordo con lo stato sociale e politico. Già sappiamo che il movimento anticristiano, che si era manifestato nelle eresie imperiali, era culminato nel VII e nell’VIII secolo in due dottrine, l’una delle quali (quella dei monoteliti) negava indirettamente la libertà umana, mentre l’altra (quella degli iconoclasti) rifiutava implicitamente la fenomenalità divina. L’affermazione diretta ed esplicita di questi due errori costituì l’essenza religiosa dell’islam, che vede nell’uomo una forma finita senza alcuna libertà e in Dio una libertà infinita senza alcuna forma. Una volta che Dio e l’uomo siano stati così fissati ai due poli opposti dell’esistenza, non vi è più alcun nesso fra loro, ed ogni realizzazione discendente del divino al pari di ogni spiritualizzazione ascendente dell’umano resta del tutto esclusa; e la religione si riduce a un rapporto puramente esteriore tra il creatore onnipotente e la creatura che è privata di qualsiasi libertà e non deve altro al suo signore se non un semplice atto di devozione cieca (è questo il senso del termine arabo islam). Questo atto di devozione, espresso in una breve formula di preghiera che si deve ripetere immutabilmente ogni giorno ad ore fisse, è tutta l’essenza religiosa dello spirito orientale che ha detto la sua ultima parola per bocca di Maometto. Onestamente anticristiani A questa semplicità dell’idea religiosa corrisponde una concezione non meno semplice del problema sociale e politico: l’uomo e l’umanità non sono chiamati a realizzare alcun progresso essenziale; non si dà rigenerazione morale per l’individuo e a maggior ragione per la società; tutto è abbassato al livello dell’esistenza puramente naturale; l’ideale è ridotto ad una misura che gli garantisce una realizzazione immediata. La società musulmana non poteva avere altro scopo se non l’espansione della sua forza materiale e il godimento dei beni della terra. Tutto il compito dello Stato musulmano, compito che gli sarebbe ben difficile non adempiere con successo, consiste nel diffondere l’islam con le armi e nel governare i fedeli con un potere assoluto e secondo le regole di una giustizia elementare fissate nel Corano. Nonostante l’inclinazione alla menzogna verbale, tipica di tutti gli orientali come individui, il perfetto accordo tra le credenze e le istituzioni dà a tutta la vita musulmana un carattere di verità e onestà che il mondo cristiano non è mai riuscito a raggiungere. La cristianità nel suo insieme è senz’altro in via di progresso e di trasformazione; e l’altezza stessa del suo ideale non ci consente di giudicarla definitivamente sulla base dei suoi diversi stati passati ed attuali. Ma il bizantinismo, che è stato ostile per principio al progresso cristiano, che ha voluto ridurre tutta la religione ad un fatto compiuto, ad una formula dogmatica e ad una cerimonia liturgica - questo anticristianesimo nascosto sotto una maschera ortodossa - ha dovuto soccombere nella sua impotenza morale di fronte all’anticristianesimo aperto ed onesto dell’islam. È curioso constatare come la nuova religione, con il suo dogma fatalista, sia apparsa proprio nel momento in cui l’imperatore Eraclio inventava l’eresia monotelita, quella cioè dietro la quale si celava la negazione della libertà e della energia umana. Con questo artificio si voleva consolidare la religione ufficiale, e ricondurre all’unità l’Egitto e l’Asia. L’errore dei Bizantini Ma l’Egitto e l’Asia preferirono l’affermazione araba all’espediente bizantino. Se non si tenesse in conto il lungo lavorio anticristiano del Basso impero, non vi sarebbe nulla di più sorprendente della facilità e della rapidità che caratterizzarono la conquista musulmana. Cinque anni furono sufficienti per ridurre a un’esistenza archeologica tre grandi patriarcati della Chiesa orientale. Il fatto è che non vi erano conversioni da compiere, ma solo un vecchio velo da strappare. La storia ha giudicato e condannato il Basso Impero. Esso non solo non ha saputo compiere la propria missione – fondare lo Stato cristiano – ma si è attivamente adoperato per far fallire l’opera storica di Gesù Cristo. Non essendo riuscito a falsare il dogma ortodosso, lo ha ricondotto a una lettera morta; ha voluto minare alla base l’edificio della pace cristiana attaccando il governo centrale della Chiesa universale; e nella vita pubblica ha sostituito la legge del Vangelo con le tradizioni dello Stato pagano. I Bizantini hanno creduto che, per essere veramente cristiani, fosse sufficiente conservare i dogmi e i riti sacri dell’ortodossia senza preoccuparsi di cristianizzare la vita sociale e politica; hanno creduto che fosse cosa lecita e degna di lode confinare il cristianesimo nel tempio e abbandonare l’agone pubblico ai principi pagani. Non poterono certo lagnarsi del loro destino. Hanno avuto quello che volevano: hanno conservato il dogma e il rito e solo la potenza sociale e politica è caduta in mano ai musulmani, eredi legittimi del paganesimo. |
Vladimir
Soloviev Tempi - Numero: 45 - 8 Novembre 2001 |
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Tutti
i commentatori appaiono decisi a difendere l’occidente, perché
in fondo l’occidente come identità è niente e in questo niente
ripongono la tolleranza di tutto come il valore più moderno.
Tuttavia, è uscito un articolo molto pertinente alla situazione
attuale, scritto pressappoco cent’anni fa da Soloviev e
ripubblicato da Tempi in data 14 novembre. Soloviev, partendo dalla consapevolezza che «il vero dogma centrale del cristianesimo è l’unione intima e completa del divino e dell’umano», con la conseguente necessità di una «rigenerazione della vita sociale e politica», individua in due grandi eresie anticristiane i principali fattori di crisi della chiesa orientale: la riduzione dell’ideale religioso alla pura contemplazione (monotelismo); la soppressione dell’immagine vivente dell’incarnazione divina e implicitamente della sua manifestazione storica (iconoclastia). L’essenza religiosa dell’Islam si fonda su queste due eresie, vedendo nell’uomo «una forma finita senza alcuna libertà e in Dio una libertà infinita senza alcuna forma». La religione si riduce così a un rapporto puramente esteriore, rituale, «tra il creatore onnipotente e la creatura che è privata di qualsiasi libertà non dovendo al suo Signore se non un semplice atto di devozione cieca. È questo il senso del termine arabo Islam». Nemmeno vi è la necessità di cambiare l’uomo e la società: «tutto è abbassato al livello dell’esistenza puramente naturale; l’ideale ridotto a una misura che garantisca una realizzazione immediata». Le chiese orientali non hanno saputo opporsi all’«anticristianesimo aperto e onesto dell’islam». Soloviev inquadra questa debolezza nel bizantinismo - «anticristianesimo nascosto sotto una maschera ortodossa» - per cui in Egitto e in Asia «cinque anni furono sufficienti per ridurre ad un’esistenza archeologica tre grandi patriarcati della chiesa orientale». Le chiese orientali hanno creduto «che per essere veramente cristiani fosse sufficiente conservare i dogmi e i riti sacri dell’ortodossia senza preoccuparsi di cristianizzare la vita sociale e politica; hanno creduto che fosse cosa lecita e degna di lode confinare il cristianesimo nel tempio e abbandonare l’agone pubblico ai principi pagani». Così Soloviev. Noi, d’accordo con la sua analisi e con lui, pensiamo esattamente il contrario e non vogliamo essere bizantinisti, coscienti che il rischio c’è anche nel cristianesimo occidentale, incluso quello di casa. _____________________________________________________________________________ |
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