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di
Joseph
Ratzinger
Che l'umanità abbia bisogno di purificazione e di
perdono, è del tutto evidente in questa nostra ora
storica. Proprio per questo il Santo Padre nella sua Lettera
Apostolica Novo millennio ineunte ha auspicato
fra le priorità della missione della Chiesa per il nuovo
millennio "un
rinnovato coraggio pastorale per proporre in modo suadente
ed efficace la pratica del sacramento della
Riconciliazione" (n.
37).
A questo invito si riallaccia il nuovo Motu proprio
Misericordia Dei e concretizza teologicamente,
pastoralmente e giuridicamente alcuni importanti aspetti
della prassi di questo Sacramento. Il Motu
proprio sottolinea innanzitutto il carattere personalistico
del Sacramento della Penitenza: come
la colpa malgrado tutti i nostri legami con la comunità
umana è ultimamente qualcosa di totalmente personale, così
anche la nostra guarigione, il perdono deve essere
totalmente personale. Dio
non ci tratta come parti di un collettivo - egli conosce
ogni singolo per nome, lo chiama personalmente e lo salva,
se è caduto nella colpa. Anche se in tutti i sacramenti il
Signore si rivolge direttamente al singolo, il carattere
personalistico dell'essere cristiani si manifesta in modo
particolarmente chiaro nel sacramento della penitenza. Ciò
significa che sono parti costitutive del sacramento la
confessione personale e il perdono rivolto a questa persona.
L'assoluzione
collettiva
è una forma straordinaria e possibile solo in ben
determinati casi di necessità; essa presuppone inoltre -
proprio a partire dall'essenza del sacramento - la volontà
di provvedere alla confessione personale dei peccati, non
appena ciò sarà possibile. Questo carattere fortemente
personalistico del Sacramento della Penitenza era stato un
po' messo in ombra negli ultimi decenni a motivo di un
sempre più frequente ricorso all'assoluzione collettiva,
che era considerata sempre più come una forma normale del
sacramento della Penitenza - un abuso, che ha contribuito
alla progressiva scomparsa di questo sacramento in alcune
parti della Chiesa.
Se il Papa ora riduce nuovamente i confini di questa
possibilità, potrebbe insorgere l'obiezione: ma il
sacramento della penitenza ha pur subito nella storia molte
trasformazioni, e perché non anche questa? Al riguardo
occorre dire che la forma del sacramento manifesta in realtà
nel corso della storia notevoli variazioni, ma la componente
personalistica gli era sempre essenziale.
La
Chiesa ha avuto coscienza ed ha coscienza che solo Dio può
perdonare i peccati (cfr
Mc 2,7). Perciò doveva imparare a discernere con
attenzione, quasi con timore, quali poteri il Signore le
aveva trasmesso e quali no. Dopo un lungo cammino di
maturazione storica il Concilio di Trento ha esposto in una
forma organica la dottrina ecclesiale sul sacramento della
penitenza (DS 1667-1693; 1701-1715).
I Padri del Concilio di Trento hanno compreso le parole del
Risorto ai suoi discepoli in Giov. 20, 22s come le
specifiche parole dell'istituzione del sacramento:
"Ricevete lo Spirito Santo! A chi rimetterete i
peccati, saranno rimessi e a chi non li rimetterete,
resteranno non rimessi" (DS 1670; 1703; 1710). A
partire da Giov. 20 essi hanno interpretato Mt 16, 19 e 18,
18 e compreso il potere delle chiavi della Chiesa come
potere di remissione dei peccati (DS 1692; 1710). Erano
pienamente consapevoli dei problemi di interpretazione di
questi testi ed hanno fondato pertanto l'interpretazione nel
senso del sacramento della penitenza con l'ausilio dell'
"intelligenza della Chiesa", che si esprime nel
consenso universale dei Padri (1670; 1679; 1683; importante
1703). Il punto decisivo in queste parole di istituzione
consiste nel fatto che il Signore affida ai discepoli la
scelta fra remittere et ligare, retinere et solvere:
i discepoli non sono semplicemente uno strumento neutrale
del perdono divino, piuttosto è loro affidato un potere di
discernere e così un dovere di discernere nei singoli casi.
I Padri hanno visto qui il carattere giudiziale del
sacramento. Al
sacramento della penitenza appartengono pertanto
essenzialmente due aspetti: da una parte quello sacramentale,
cioè il mandato del Signore, che va al di là del potere
proprio dei discepoli, ed anche della comunità dei
discepoli della Chiesa; dall'altra l'incarico della
decisione, che deve essere fondata oggettivamente,
quindi deve essere giusta ed in questo senso ha carattere giudiziale.
Appartiene così al sacramento stesso la "iurisdictio",
che esige un ordinamento giuridico da parte della Chiesa, ma
naturalmente deve essere sempre orientata all'essenza del
sacramento, alla volontà salvifica di Dio (1686s). Trento
si differenzia così chiaramente dalla posizione riformata,
secondo cui il sacramento della penitenza significa solo una
manifestazione di un perdono già concesso nella fede,
quindi non pone nulla di nuovo, ma solo annuncia, ciò che
nella fede sempre già esiste.
Questo carattere sacramentale-giuridico del sacramento ha
due importanti implicazioni: si tratta, se le cose stanno
così, di un sacramento diverso dal battesimo, di un
sacramento specifico, che presuppone un particolare potere
sacramentale, quindi che è legato all'ordine (1684). Se però
deve esserci una valutazione giudiziale, allora è chiaro
che il giudice deve conoscere la fattispecie da giudicare.
Nell'aspetto giuridico è implicita la necessità della
confessione personale con la comunicazione dei peccati, per
i quali deve essere chiesto il perdono a Dio e alla Chiesa,
perché essi hanno infranto quell'unità di amore con Dio
donata nel battesimo. A partire di qui il Concilio può dire
che è necessario "iure divino" confessare tutti e
singoli i peccati mortali (can. 7, 1707). Il dovere della
confessione è istituito - così ci dice il Concilio - dal
Signore stesso e costitutivo del sacramento, non lasciato
quindi alla disposizione della Chiesa.
Non è dunque nel potere della Chiesa sostituire la
confessione personale con l'assoluzione generale: questo ci
ricorda il Papa nel nuovo Motu proprio, che è così
espressione della coscienza della Chiesa a riguardo dei
limiti del suo potere - esprime il legame con la parola del
Signore, che obbliga anche il Papa. Solo nella situazione di
necessità, nella quale la salvezza ultima dell'uomo è in
gioco, l'assoluzione può essere anticipata e la confessione
rimandata ad un momento, in cui per questo sarà data la
possibilità: questo è il vero senso di ciò che in modo
piuttosto oscuro viene reso con la parola assoluzione
collettiva. Qui è ora nondimeno compito della Chiesa
definire quando si è in presenza di una tale situazione di
necessità. Dopo che negli ultimi decenni - come già
accennato - si erano diffuse interpretazioni estensive per
molti motivi insostenibili del concetto di necessità, il
Papa in questo documento dà precise determinazioni, che
devono essere applicate nei particolari da parte dei
Vescovi.
E' allora questo un testo, che pone nuovi pesi sulle spalle
dei cristiani? E' proprio il contrario: il carattere
totalmente personale dell'esistenza cristiana viene difeso.
Certamente,
la confessione della propria colpa può apparire spesso
pesante alla persona, perché umilia il suo orgoglio e lo
confronta con la sua povertà. Ma
è proprio di questo che abbiamo bisogno; proprio di questo
soffriamo, che ci rinchiudiamo nel nostro delirio di
incolpevolezza e così ci chiudiamo anche davanti agli altri
e nei confronti degli altri. Nelle cure psicoterapeutiche si
esige dalle persone di portare il peso di profonde e spesso
pericolose rivelazioni circa la loro interiorità. Nel
sacramento della Penitenza si depone con fiducia nella bontà
misericordiosa di Dio la semplice confessione della propria
colpa. E' importante fare questo senza cadere nello scrupolo,
nello spirito di confidenza proprio dei figli di Dio. Così
la confessione può divenire un'esperienza di liberazione,
nella quale il peso del passato ci abbandona e noi possiamo
sentirci ringiovaniti per merito della grazia di Dio, che ci
ridona ogni volta la giovinezza del cuore.
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